Agostino: Le confessioni 1021

Il ricordo della felicità

1021 21. 30. È un ricordo simile a quello che ha di Cartagine chi vide questa città ? No, perché la felicità, non essendo corporea, non si vede con gli occhi. È simile al ricordo che abbiamo dei numeri ? Nemmeno, perché chi ha la nozione dei numeri non cerca ancora di possederli, mentre la nozione che abbiamo della felicità ce la fa anche amare, e tuttavia cerchiamo ancora di possederla per essere felici. È simile al ricordo che abbiamo dell’eloquenza ? Nemmeno, perché se, a udirne il nome, anche le persone non ancora eloquenti ricordano cosa designa, e se molti desiderano essere eloquenti, così dimostrando di avere nozione dell’eloquenza, tuttavia costoro percepirono l’eloquenza in altri mediante i sensi del corpo, ne provarono godimento, e quindi desiderano essere eloquenti ; però senza una nozione interiore non potrebbero provare godimento, e senza godimento non potrebbero desiderare di essere eloquenti. Ma la felicità non la conosciamo negli altri mediante i sensi del corpo. È simile allora al ricordo che abbiamo della gioia ? Forse sì. Delle mie gioie ho il ricordo anche nella tristezza, e così della felicità nell’afflizione. Eppure non ho mai visto o udito o fiutato o gustato o toccato questa gioia con i sensi del corpo, bensì l’ho sperimentata nel mio animo quando mi sono rallegrato. La sua nozione penetrò nella mia memoria affinché potessi ricordarla, ora con disdegno, ora con desiderio, secondo i diversi motivi per cui ricordo di aver gioito. Se mi pervase la gioia per moti-vi abietti, ora il suo ricordo mi è detestabile ed esecrabile ; se per motivi buoni e onesti, la rievoco con rimpianto, anche se per caso essi mancano. Di qui la triste rievocazione della gioia antica.

Desiderio universale della felicità

21. 31. Dove dunque e quando ho sperimentato la mia felicità, per poterla ricordare e amare e desiderare ? Né soltanto io, o pochi uomini con me vogliono essere felici, bensì tutti lo vogliono (Cf. Cic., Tusc, 5, 10, 28). Ora, senza conoscere ciò di una conoscenza precisa non lo vorremmo di una volontà così decisa. Ma, che è ciò ? (Es 13, 14; 16, 15; Sir 39, 26). Chiedi a due persone se vogliono fare il soldato, e può accadere che l’una risponda di sì, l’altra di no ; ma chiedi loro se vogliono essere felici, ed ambedue ti risponderanno all’istante, senza ombra di dubbio, che sì ; anzi, lo scopo per cui l’una vuole fare il soldato, l’altra no, è soltanto la felicità. Poiché l’una trae godimento da una condizione, l’altra dall’altra. Così tutti concordano nel desiderare la felicità, come concorderebbero nel rispondere a chi chiedesse loro se desiderano godere. Il godimento è appunto ciò che chiamiamo felicità della vita : l’uno lo ricerca bensì da una parte, l’altro dall’altra, ma tutti tendono a un’unica meta, di godere. E siccome il gaudio è un sentimento che nessuno può dire di non avere mai sperimentato, perciò lo si ritrova nella memoria e perciò lo si riconosce all’udire il nome della felicità.

Dio godimento dei suoi servi

1022 22. 32. Lontano, Signore, lontano dal cuore del tuo servo che si confessa a te, lontano il pensiero che qualsiasi godimento possa rendermi felice. C’è un godimento che non è concesso agli empi, ma a coloro che ti servono per puro amore, e il loro godimento sei tu stesso. E questa è la felicità, godere per te, di te, a causa di te ; fuori di questa non ve n’è altra. Chi crede ve ne sia un’altra, persegue un altro godimento, non il vero. Tuttavia da una certa immagine di godimento la loro volontà non si distoglie.

Amore universale per la verità

1023 23. 33. Dunque non è certo che tutti vogliono essere felici : quanti non cercano il godimento di chi, come te, è l’unica felicità della vita, in realtà non vogliono la felicità. O forse tutti la vogliono, ma, poiché le brame della carne sono opposte allo spirito, e quelle dello spirito alla carne, sì che non fanno ciò che vogliono (Gal 5, 17), cadono là dove possono, e ne sono paghi, perché ciò che non possono, non lo vogliono quanto occorrerebbe per volerlo ? Chiedo a tutti : "Preferite godere della verità o della menzogna ?". Rispondono di preferire la verità, con la stessa risolutezza con cui affermano di voler essere felici. Già, la felicità della vita è il godimento della verità, cioè il godimento di te, che sei la verità (Cf. Gv 14, 6), o Dio, mia luce (Sal 26, 1), salvezza del mio volto, Dio mio (Sal 41, 6-12). Questa felicità della vita vogliono tutti, questa vita che è l’unica felicità vogliono tutti, il godimento della verità vogliono tutti. Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare ; nessuna di essere ingannata. Dove avevano avuto nozione della felicità, se non dove l’avevano anche avuta della verità ? Amano la verità, poiché non vogliono essere ingannate ; e amando la felicità, che non è se non il godimento della verità, amano certamente ancora la verità, né l’amerebbero senza averne una certa nozione nella memoria. Perché dunque non ne traggono godimento ? Perché non sono felici ? Perché sono più intensamente occupati in altre cose, che li rendono più infelici di quanto non li renda felici questa, di cui hanno un così tenue ricordo. C’è ancora un po’ di luce fra gli uomini. Camminino, camminino dunque, per non essere sorpresi dalle tenebre (Gv 12, 35).

23. 34. Ma perché la verità genera odio (Ter., Andr, 68; Cf. A, Otto, o.c., s.v, veritas 3, p, 368), e l’uomo che predica il vero in tuo nome diventa per loro un nemico (Cf. Gv 8, 40; Gal 4, 16), mentre amano pure la felicità, che non è se non il godimento della verità ? In realtà l’amore della verità è tale, che quanti amano un oggetto diverso pretendono che l’oggetto del loro amore sia la verità ; e poiché detestano di essere ingannati, detestano di essere convinti che s’ingannano. Perciò odiano la verità : per amore di ciò che credono verità. L’amano quando splende, l’odiano quando riprende (Cf. Gv 5, 35; 3, 20). Non vogliono essere ingannati e vogliono ingannare, quindi l’amano allorché si rivela, e l’odiano allorché li rivela. Questo il castigo con cui li ripagherà : come non vogliono essere scoperti da lei, lei contro il loro volere scoprirà loro, rimanendo a loro coperta. Così, così, persino così cieco e debole, volgare e deforme è l’animo umano : vuole rimanere occulto, ma a sé non vuole che rimanga occulto nulla. E viene ripagato con la condizione opposta : non rimane lui occulto alla verità, ma la verità rimane occulta a lui. Eppure anche in questa condizione infelice preferisce il godimento della verità a quello della menzogna. Dunque sarà felice allorché senza ostacoli né turbamento godrà dell’unica Verità, grazie alla quale sono vere tutte le cose.

Presenza di Dio nella memoria

1024 24. 35. Ecco quanto ho spaziato nella mia memoria alla tua ricerca, Signore ; e fuori di questa non ti ho trovato. Nulla, di ciò che di te ho trovato dal giorno in cui ti conobbi, non fu un ricordo ; perché dal giorno in cui ti conobbi, non ti dimenticai. Dove ho trovato la verità, là ho trovato il mio Dio, la Verità persona (Cf. Gv 14, 6) ; e non ho dimenticato la Verità dal giorno in cui la conobbi. Perciò dal giorno in cui ti conobbi, dimori nella mia memoria, e là ti trovo ogni volta che ti ricordo e mi delizio di te. È questa la mia santa delizia, dono della tua misericordia, che ebbe riguardo per la mia povertà (Cf. Sal 30, 8).

Sede di Dio nella memoria

1025 25. 36. Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori ? Quale stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato ? Hai concesso alla mia memoria l’onore di dimorarvi, ma in quale parte vi dimori ? A ciò sto pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poiché non ti trovavo là, fra immagini di cose corporee. Passai alle zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perché lo spirito ricorda anche se medesimo, ma neppure là tu non eri, poiché, come non sei immagine corporea né sentimento di spirito vivo, quale gioia, tristezza, desiderio, timore, ricordo, oblio e ogni altro, così non sei neppure lo spirito stesso, essendo il Signore e Dio dello spirito, e mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti conobbi ! Perché cercare in quale luogo vi abiti ? come se colà vi fossero luoghi. Vi abiti certamente, poiché io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.

La conoscenza di Dio

1026 26. 37. Dove dunque ti trovai, per conoscerti ? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me ? Lì non v’è spazio dovunque : ci allontaniamo, ci avviciniamo, e non v’è spazio dovunque. Tu, la Verità, siedi alto sopra tutti coloro che ti consultano e rispondi contemporaneamente a tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode.

L’incontro con Dio

1027 27. 38. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità ; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità ; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai (Cf. Sal 33, 9; 1 Pt 2, 3) e ho fame e sete (Cf. Mt 5, 6; 1 Cor 4, 11) ; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

Le presenti condizioni del suo spirito

La vita umana sulla terra
1028 28. 39. Quando mi sarò unito a te (Cf. Sal 62, 9) con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena (Sal 9, 28; 10, 7; 89, 10) dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te. Tu sollevi chi riempi ; io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per me ; le mie gioie, di cui dovrei piangere, contrastano le afflizioni, di cui dovrei gioire, e non so da quale parte stia la vittoria ; le mie afflizioni maligne contrastano le mie gioie oneste, e non so da quale parte stia la vittoria. Ahimè, Signore, abbi pietà di me ! (Sal 30, 10). Ahimè ! Vedi che non nascondo le mie piaghe. Tu sei medico, io sono malato ; tu sei misericordioso, io sono misero. Non è, forse, la vita umana sulla terra una prova (Gb 7, 1) ? Chi vorrebbe fastidi e difficoltà ? Il tuo comando è di sopportarne il peso, non di amarli. Nessuno ama ciò che sopporta, anche se ama di sopportare ; può godere di sopportare, tuttavia preferisce non avere nulla da sopportare. Nelle avversità desidero il benessere, nel benessere temo le avversità. Esiste uno stato intermedio fra questi due, ove la vita umana non sia una prova ? Esecrabili le prosperità del mondo, una e due volte esecrabili per il timore dell’avversità e la contaminazione della gioia. Esecrabili le avversità del mondo, una e due e tre volte esecrabili per il desiderio della prosperità e l’asprezza dell’avversità medesima e il pericolo che spezzi la nostra sopportazione. La vita umana sulla terra non è dunque una prova ininterrotta ?

Il comando di Dio : la continenza

A) La concupiscenza della carne :

1029 29. 40. Ogni mia speranza è posta nell’immensa grandezza della tua misericordia. Dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Ci comandi la continenza e qualcuno disse : "Conscio che nessuno può essere continente se Dio non lo concede, era già un segno di sapienza anche questo, di sapere da chi ci viene questo dono" (Sap 8, 21). La continenza in verità ci raccoglie e riconduce a quell’unità che abbiamo lasciato disperdendoci nel molteplice. Ti ama meno chi ama altre cose con te senza amarle per causa tua. O amore, che sempre ardi senza mai estinguerti, carità, Dio mio, infiammami. Comandi la continenza. Ebbene, dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi.

a) il senso ;

1030 30. 41. Mi comandi certamente di astenermi dai desideri della carne e dai desideri degli occhi e dall’ambizione del mondo (1 Gv 2, 16). Comandasti l’astensione dal concubinato, ma anche a proposito del matrimonio indicasti una condizione migliore di quella lecita (Cf. 1 Cor 7, 38) ; e poiché me ne desti la grazia, fu la mia condizione ancora prima che diventassi dispensatore del tuo sacramento. Sopravvivono però nella mia memoria, di cui ho parlato a lungo, le immagini di questi diletti, che vi ha impresso la consuetudine. Vi scorrazzano fievoli mentre sono desto ; però durante il sonno non solo suscitano piaceri, ma addirittura consenso e qualcosa di molto simile all’atto stesso. L’illusione di questa immagine nella mia anima è cosi potente sulla mia carne, che false visioni m’inducono nel sonno ad atti, cui non m’induce la realtà nella veglia. In quei momenti, Signore Dio mio, non sono forse più io ? Eppure sono molto diverso da me stesso nel tempo in cui passo dalla veglia al sonno e finché torno dal sonno alla veglia. Dov’è allora la ragione, che durante la veglia mi fa resistere a quelle suggestioni e rimanere incrollabile all’assalto della stessa realtà ? Si rinserra con gli occhi, si assopisce con i sensi del corpo ? Ma allora da dove nasce la resistenza che spesso opponiamo anche nel sonno, quando, memori del nostro proposito, vi rimaniamo immacolatamente fedeli e non accordiamo l’assenso ad alcuna di tali seduzioni ? In verità sono due stati tanto diversi, che anche nel primo caso la nostra coscienza al risveglio torna in pace, e la stessa distanza fra i due stati ci fa riconoscere che non abbiamo compiuto noi quanto in noi si è compiuto comunque, con nostro rammarico.

30. 42. La tua mano, Dio onnipotente, è forse impotente a guarire tutte le debolezze (Sal 102, 3; Cf. Mt 4, 23) della mia anima, a estinguere con un fiotto più abbondante di grazia i miei moti lascivi anche nel sonno ? Moltiplicherai vieppiù, Signore, i tuoi doni in me, affinché la mia anima, sciolta dal vischio della concupiscenza, mi segua fino a te ; affinché non si ribelli a se stessa ; affinché anche nel sonno non solo non commetta turpitudini così degradanti, ove immaginazioni bestiali scatenano gli umori della carne, ma neppure vi consenta. Far sì che non vi provi alcuna attrazione, o così lieve da poterla comprimere col più lieve cenno della volontà, con la sola intenzione casta con cui ci si mette a letto in questa vita, e per di più a questa età, non è gran cosa per la tua onnipotenza : tu puoi superare quanto chiediamo e comprendiamo (Ef 3, 20). Ora ho esposto al mio buon Signore, con esultanza e insieme apprensione (Sal 2, 11) per i tuoi doni, con lacrime per le mie imperfezioni, il punto ove mi trovo tuttora per questo aspetto del mio male. Ma spero che tu perfezionerai in me le tue misericordie (Cf. Sal 102, 6), finché io abbia la pace piena, che possederà con te il mio essere interiore ed esteriore quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria (1 Cor 15, 54).

b) il gusto ;

1031 31. 43. Un’altra malizia l’ha il giorno, e volesse il cielo che questa gli bastasse (Cf. Mt 6, 34) ! Noi restauriamo i danni che ogni giornata infligge al corpo, con cibo e bevanda, finché tu distruggerai e cibo e ventre (Cf. 1 Cor 6, 13), estinguendo il mio bisogno con una meravigliosa sazietà e rivestendo questo corpo corruttibile di un’incorruttibilità sempiterna (1 Cor 15, 53). Per ora mi è dolce questa necessità e lotto (1 Cor 9, 26) contro la sua dolcezza per non caderne prigioniero, combatto una guerra quotidiana attraverso digiuni (2 Cor 6, 5), riducendo di solito il mio corpo in schiavitù (1 Cor 9, 27), e scaccio i miei dolori col piacere. Infatti la fame e la sete sono anch’esse una sorta di dolore, bruciano e uccidono come la febbre, se non intervenga il rimedio del cibo ; e poiché il rimedio è a portata di mano grazie al conforto dei tuoi doni, in cui terra, acqua e cielo lavorano per la nostra debolezza, questa sventura si chiama delizia.

31. 44. Tu mi hai insegnato ad accostarmi agli alimenti per prenderli come medicamenti. Sennonché, nel passare dalla molestia del bisogno all’appagamento della sazietà, proprio al passaggio mi attende, insidioso, il laccio della concupiscenza. Il passaggio stesso è un piacere e non ve n’è altro per passare ove ci costringe a passare il bisogno. Sebbene io mangi e beva per la mia salute, vi si aggiunge come ombra una soddisfazione pericolosa, che il più delle volte cerca di precedere, in modo da farmi compiere per essa ciò che dico e voglio fare per salute. La misura non è la stessa nei due casi : quanto basta per la salute è poco per il piacere, e spesso non si distingue se è la cura indispensabile del corpo, che ancora chiede un soccorso, o la soddisfazione ingannevole della gola, che, sotto, richiede un servizio. La nostra povera anima esulta dell’incertezza e predispone in questa la difesa di una scusa, lieta che non sia manifesto quanto basta a una vita normalmente sana. Così sotto il velo della salute si occultano i traffici del piacere. A queste tentazioni mi sforzo quotidianamente di resistere, invocando l’aiuto della tua mano, e riferisco a te i miei turbamenti, poiché il mio giudizio su questo punto non è ancora sicuro.

31. 45. Odo la parola del mio Signore, che mi comanda : Non lasciate appesantire i vostri cuori nella crapula e nell’ubriachezza (Lc 21, 34). L’ubriachezza è lontano da me : la tua misericordia non le permetterà di avvicinarsi. La crapula invece s’insinua talvolta nel tuo servo : la tua misericordia la spingerà lontano da me. Nessuno può essere continente se tu non lo concedi (Sap 8, 21). Molte grazie accordi alle nostre preghiere ; anche quelle che abbiamo ricevute prima di pregare sono un dono tuo, ed anche il riconoscerle dopo averle ricevute è un dono tuo. Io non fui mai dedito al vino, ho però visto persone dedite al vino, divenire sobrie per opera tua. Dunque avvenne per opera tua che alcuni non fossero ciò che mai furono come avvenne per opera tua che altri non fossero sempre ciò che furono, e ancora per opera tua che i primi come i secondi sapessero chi operava in loro. Ho udito un’altra tua parola : Non correre dietro alle tue brame e non concederti ciò che ti dà piacere (Sir 18, 30). E anche questa ho udito per tua bontà, che molto mi è cara : Né il mangiare ci darà abbondanza, né il non mangiare scarsità (1 Cor 8, 8), ossia né l’uno mi renderà ricchissimo, né l’altro poverissimo. Ne ho udito un’altra ancora : Imparai infatti a bastarmi con ciò che ho, e appresi a vivere nell’abbondanza come appresi a tollerare la penuria. Tutto posso in Colui che mi fortifica (Fil 4, 11-13). Questo sì è un soldato della milizia celeste, e non polvere come siamo noi. Ricordati, Signore, che siamo polvere (Sal 102, 14), e con la polvere hai creato l’uomo (Cf. Gn 3, 19), e si era perduto e fu ritrovato (Lc 15, 24. 32). Neppure l’Apostolo trovò in sé il suo potere, essendo polvere anch’egli, ma il tuo soffio gli ispirò le parole che tanto amo, quando disse : Tutto posso in colui che mi fortifica. Fortificami, affinché io sia potente ; dà ciò che comandi e comanda ciò che vuoi. Quest’uomo riconosce i doni ricevuti, e, se si gloria, si gloria nel Signore (1 Cor 1, 31) ; da un altro udii chiedere questa grazia : Toglimi la concupiscenza del ventre (Sir 23, 6). Ne risulta, santo Dio mio, che è un dono tuo, se facciamo ciò che ordini di fare.

31. 46. Tu, Padre buono, mi insegnasti che tutto è puro per i puri (Tt 1, 15), ma fa male un uomo a mangiare con scandalo degli altri (Rm 14, 20) ; che ogni tua creatura è buona, e non si deve respingere nulla di ciò che si prende rendendo grazie (1 Tm 4, 4) ; che non è l’alimento a raccomandarci a Dio (1 Cor 8, 8) ; che nessuno ci deve giudicare dal cibo o dalla bevanda che prendiamo (Col 2, 16), e chi mangia non deve disprezzare chi non mangia, come chi non mangia non deve giudicare chi mangia (Rm 14, 3). Ora lo so, e ti siano rese grazie e lodi, Dio mio, mio maestro, per aver bussato alle mie orecchie (Cf. Ap 3, 20) e illuminato la mia intelligenza. Liberami da ogni tentazione (Cf. Sal 17, 30). Io non temo l’impurità delle vivande, temo l’impurità del desiderio. So che a Noè fu permesso di mangiare ogni genere di carne commestibile (Cf. Gn 9, 2)s., che Elia si rimise in forza mangiando carne (Cf. 1 Re 17, 6), che Giovanni, pur dotato di un’austerità meravigliosa, non fu contaminato dagli animali, ossia dalle locuste, impiegati come cibo (Cf. Mt 3, 4) ; ma so pure che Esaù fu vittima della brama di lenticchie (Cf. Gn 25, 34), che Davide si rimproverò di aver desiderato dell’acqua (Cf. 2 Sam 23, 15-17), e il nostro Re fu tentato non già con carne, ma con pane (Cf. Mt 4, 3). Perciò anche il popolo nel deserto meritò un rimprovero non per aver desiderato della carne, ma perché nel suo desiderio di cibo mormorò contro il Signore (Cf. Nm 11, 1-20).

31. 47. Assediato da queste tentazioni, lotto ogni giorno contro la concupiscenza del cibo e della bevanda. Qui non è possibile che decida di troncare tutto una volta per sempre e non tornarvi più in avvenire, come potei fare per i piaceri venerei. Devo invece tenere sulla mia gola un morso, allentandolo o stringendolo moderatamente. Ma chi, Signore, non viene trascinato qualche volta oltre il traguardo del necessario ? Se c’è qualcuno, è magnanimo e magnifichi il tuo nome (Ap 15, 4). Certo non sono io, perché sono un uomo peccatore (Lc 5, 8). Magnifico ugualmente il tuo nome, e intercede presso di te per i miei peccati (Rm 8, 34) chi vinse il secolo (Cf. Gv 16, 33), enumerandomi fra le membra inferme del suo corpo (Cf. 1 Cor 12, 12. 22; Rm 12, 5). I tuoi occhi videro infatti le sue imperfezioni, e tutti saranno iscritti nel tuo libro (Sal 138, 16).

c) l’odorato ;

1032 32. 48. L’attrazione dei profumi non mi preoccupa troppo. Assenti, non li ricerco ; presenti, non li rifiuto, disposto a farne a meno anche per sempre. Così mi pare ; forse sbaglio, poiché sono circondato da queste tenebre deplorevoli, che mi nascondono le mie reali capacità. Così, quando il mio spirito s’interroga sulle proprie forze, dubita di potersi fidare di se medesimo, poiché il suo intimo rimane più spesso ignoto, se non lo rivela l’esperienza, e nessuno deve sentirsi sicuro in questa vita, che fu definita tutta una prova (Gb 7, 1). Chi poté diventare da peggiore migliore, può anche ridiventare da migliore peggiore. Sola speranza, sola fiducia, sola promessa salda la tua misericordia.

d) l’udito ;

1033 33. 49. I piaceri dell’udito mi hanno impigliato e soggiogato più tenacemente, ma tu me ne hai sciolto e liberato. Fra le melodie che vivificano le tue parole, quando le canta una voce soave ed educata, ora poso, lo confesso, un poco, ma non al punto di rimanervi inchiodato, cosicché mi rialzo quando voglio. Tuttavia per entrare nel mio cuore insieme ai concetti che le animano, vi esigono un posto non indegno, e io difficilmente offro quello conveniente. Talvolta mi sembra di attribuire ad esse un rispetto eccessivo, eppure sento che, cantate a quel modo, le stesse parole sante stimolano il nostro animo a un più pio, a un più ardente fervore di pietà, che se non lo fossero ; tutta la scala dei sentimenti della nostra anima trova nella voce e nel canto il giusto temperamento e direi un’arcana, eccitante corrispondenza. Ma spesso il piacere dei sensi fisici, cui non bisogna permettere di sfibrare lo spirito, mi seduce : quando la sensazione, nell’accompagnare il pensiero, non si rassegna a rimanere seconda, ma, pur debitrice a quello di essere accolta, tenta addirittura di precederlo e guidarlo. Qui pecco senza avvedermene, e poi me ne avvedo.

33. 50. Talora esagero invece nella cautela contro questo tranello e pecco per eccesso di severità, ma molto raramente. Allora rimuoverei dalle mie orecchie e da quelle della stessa Chiesa ogni melodia delle soavi cantilene con cui si accompagnano abitualmente i salmi davidici ; e in quei momenti mi sembra più sicuro il sistema, che ricordo di aver udito spesso attribuire al vescovo alessandrino Atanasio : questi faceva recitare al lettore i salmi con una flessione della voce così lieve, da sembrare più vicina a una declamazione che a un canto. Quando però mi tornano alla mente le lacrime che canti di chiesa mi strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la grande utilità di questa pratica. Così ondeggio fra il pericolo del piacere e la constatazione dei suoi effetti salutari, e inclino piuttosto, pur non emettendo una sentenza irrevocabile, ad approvare l’uso del canto in chiesa, con l’idea che lo spirito troppo debole assurga al sentimento della devozione attraverso il diletto delle orecchie. Ciò non toglie che quando mi capita di sentirmi mosso più dal canto che dalle parole cantate, confessi di commettere un peccato da espiare, e allora preferirei non udir cantare. Ecco il mio stato. Piangete dunque con me e per me piangete voi che in cuore avete con voi del bene e lo traducete in opere : perché voi che non ne avete, non vi sentite toccare da queste parole. E tu, Signore Dio mio, esaudiscimi, guarda e vedi e commisera e guariscimi (Sal 12, 4; 79, 15; 9, 14; 24, 16; 6, 3). Sono diventato per me sotto i tuoi occhi un problema, e questa appunto è la mia debolezza (Cf. Mt 4, 23; Sal 102, 3).

e) la vista.

1034 34. 51. Rimane il piacere di questi occhi della mia carne. Ne farò una confessione, che vorrei giungesse alle orecchie del tuo tempio (Cf. 1 Cor 3, 16; 6, 19; 2 Cor 6, 16), orecchie fraterne e pietose. Così concluderemo le tentazioni della concupiscenza carnale (Cf. 1 Gv 2, 16) che ancora mi assalgono, mentre gemo e desidero essere rivestito della mia abitazione celeste (2 Cor 5, 2). Gli occhi amano le forme belle e varie, i colori nitidi e ridenti. Ma non avvincano questi oggetti la mia anima. L’avvinca Dio, che fece sì questi oggetti buoni assai (Gn 1, 31), ma è lui solo il mio bene, non essi. Per tutto il giorno, finché ho gli occhi aperti, mi raggiungono senza darmi tregua, mentre me ne danno le voci che cantano e talora, nel silenzio, tutte le voci. La regina stessa dei colori, la luce, inondando tutto ciò che si vede, dovunque io sia durante il giorno, mi raggiunge in mille modi e mi accarezza, anche quando, intento ad altro, non bado ad essa. S’insinua con tale vigore, che, se viene a mancare all’improvviso, la ricerco avidamente, e se si assenta a lungo, il mio animo si rattrista.

34. 52. O Luce, che vedeva Tobia quando, questi occhi chiusi, insegnava al figlio la via della vita e lo precedeva col piede della carità (Cf. Tb 4, 2) senza mai perdersi ; che vedeva Isacco con i lumi della carne sommersi e velati dalla vecchiaia, quando meritò non già di benedire i figli riconoscendoli, ma di riconoscerli benedicendoli (Cf. Gn 27, 1-40) ; che vedeva Giacobbe quando, privato anch’egli della vista dalla grande età, spinse i raggi del suo cuore illuminato sulle generazioni del popolo futuro prefigurate nei suoi figliuoli, e impose sui nipoti avuti da Giuseppe le mani arcanamente incrociate, non come il loro padre cercava di correggerlo esternamente, ma come lui distingueva internamente (Cf. Gn 48, 3; 49, 28). Questa è la Luce, è l’unica Luce, e un’unica cosa coloro che la vedono e l’amano. Viceversa questa luce corporale di cui stavo parlando insaporisce la vita ai ciechi amanti del secolo con una dolcezza suadente, ma pericolosa. Quando invece hanno imparato a lodarti anche per essa, Dio creatore di tutto (Ambr., Hymn, 4, 1 - ed.W, Bulst); (2 Mac 1, 24), l’attirano nel tuo inno anziché farsi catturare da essa nel loro sonno. Così vorrei essere. Resisto alle seduzioni degli occhi nel timore che i miei piedi, con cui procedo sulla tua via, rimangano impigliati, e sollevo verso di te i miei occhi invisibili, affinché tu strappi dal laccio i miei piedi (Sal 24, 15), come fai continuamente, poiché vi si lasciano allacciare. Tu non cesserai di strapparli di là, mentre io ad ogni passo son fermo nelle tagliole sparse dovunque, perché tu non dormirai né sonnecchierai, custode d’Israele (Sal 120, 4).

34. 53. Quante cose, da non poterle enumerare, gli uomini aggiunsero alle naturali attrattive degli occhi mediante varie arti e mestieri nelle vesti, nelle calzature, in vasi e prodotti d’ogni genere, e poi nei dipinti e nelle diverse raffigurazioni che vanno ben oltre la necessità, la misura e un significato pio ! Seguendo esteriormente le loro creazioni, gli uomini abbandonano interiormente il loro Creatore e distruggono ciò che di loro creò. Ma io, Signore mio e onore mio, traggo anche di qui un inno per te e una lode da offrire in sacrificio (Cf. Sal 115, 17) a Chi mi santifica. La bellezza che attraverso l’anima si trasmette alle mani dell’artista proviene da quella bellezza che sovrasta le anime, cui l’anima mia sospira giorno e notte (Sal 1, 2; Ger 9, 1). Ma chi fabbrica e cerca le bellezze esteriori, trae di là la norma per giudicarne il valore, non trae di là la norma per farne buon uso. Eppure c’è, e non la vedono ; diversamente non andrebbero tanto lontano e preserverebbero la loro forza presso di te (Sal 58, 10), anziché disperderla in amenità sfibranti. Io stesso, che lo dico e lo vedo, lascio cogliere il mio passo al laccio delle bellezze esteriori ; ma tu lo strappi di là, Signore, lo strappi tu, perché la tua misericordia è davanti ai miei occhi (Sal 25, 3). Io mi lascio prendere miseramente, e tu mi liberi misericordiosamente, a volte senza farmi soffrire, per esservi caduto solo con la punta del piede, a volte con dolore, per esservi ormai del tutto impigliato.

B) La vana curiosità

1035 35. 54. S’aggiunge un’altra forma di tentazione, pericolosa per molteplici ragioni. Esiste infatti nell’anima, oltre la concupiscenza della carne, che risiede nella soddisfazione voluttuosa di tutti i sensi, cui si asserviscono rovinosamente quanti si allontanano da te (Cf. Sal 39, 12), una diversa bramosia, che si trasmette per i medesimi sensi del corpo, ma tende, anziché al compiacimento della carne, all’esperienza mediante la carne. È la curiosità vana, ammantata del nome di cognizione e di scienza. Risiedendo nel desiderio di conoscere, ed essendo gli occhi, fra i sensi, lo strumento principe della conoscenza, l’oracolo divino la chiamò concupiscenza degli occhi (1 Gv 2, 16). La vista infatti appartiene propriamente agli occhi, ma noi parliamo di vista anche per gli altri sensi, quando li usiamo per conoscere. Non diciamo : "Ascolta quanto luccica", oppure : "Odora come brilla", oppure : "Assapora come splende", oppure : "Tocca come rifulge" ; in tutti questi casi si dice sempre : "Vedi". Non solo diciamo : "Vedi quanto riluce", per le sensazioni cioè che gli occhi soli possono avere ; ma anche : "Vedi che suono, vedi che odore, vedi che sapore, vedi che ruvido". Perciò qualunque esperienza sensoriale viene chiamata, come dissi, concupiscenza degli occhi, perché l’ufficio di vedere, prerogativa degli occhi, viene usurpato anche dagli altri sensi per analogia, quando esplorano un oggetto per conoscerlo.

35. 55. Ora si può distinguere più chiaramente quale sia la parte del piacere, e quale quella della curiosità nell’azione dei sensi. Il piacere cerca la bellezza, l’armonia, la fragranza, il sapore, la levigatezza ; la curiosità invece ricerca anche sensazioni opposte a queste, per saggiarle ; non per affrontare un fastidio, ma per la bramosia di sperimentare e conoscere. Cos’ha di piacevole la visione di un cadavere dilaniato, che ti fa inorridire ? Eppure, non appena se ne trova uno in terra, tutti accorrono ad affliggersi, a impallidire, e temono addirittura di rivederlo in sogno, quasi fossero costretti a vederlo da svegli, o fossero indotti dalla promessa di uno spettacolo ameno. La stessa cosa accade per gli altri sensi, ma sarebbe lunga la rassegna. Da questa perversione della curiosità derivano le esibizioni di ogni stravaganza negli spettacoli, le sortite per esplorare i segreti della natura fuori di noi, la cui conoscenza è per nulla utile, e in cui gli uomini cercano null’altro che il conoscere ; e ancora le indagini per mezzo delle arti magiche, col medesimo fine di una scienza perversa ; e ancora, nella stessa religione, l’atto di tentare Dio, quando gli si chiedono segni e prodigi (Gv 4, 48; Cf. Lc 11, 16), desiderati non per trarne qualche beneficio, ma soltanto per farne esperienza.

35. 56. In questa foresta tanto immensa, disseminata di insidie e pericoli, ecco, ho potuto sfrondare e spogliare molto il mio cuore : quanto tu, Dio della mia salvezza (Sal 17, 47; 37, 23), mi hai dato di fare. Eppure quando oserei dire, fra i richiami fragorosi di tante sollecitazioni di questo genere, che assediano da ogni parte la nostra esistenza quotidiana, quando oserei dire che nessuna trattiene su di sé il mio sguardo e assorbe la mia vana curiosità ? Certo non mi attirano più i teatri né mi curo di conoscere i passaggi degli astri, e mai l’anima mia ha cercato di conoscere i responsi delle ombre ; detesto qualsiasi rito sacrilego. Ma quante macchinazioni non compie il nemico per suggestionarmi e spingermi a chiederti, Signore Dio mio, che devo servire in umiltà e semplicità, qualche segno ! Ti supplico per il nostro Re, per la nostra semplice, pura patria, Gerusalemme, che il consenso a queste sollecitazioni, come è lontano da me oggi, così lo sia sempre, sempre più. Quando invece ti prego per la salute degli altri, il fine che mi propongo è ben diverso ; perciò mi concedi e mi concederai di assecondare volentieri la tua opera, qualunque sia.

35. 57. Eppure chi può enumerare le moltissime miserie risibili che tentano ogni giorno la nostra curiosità, e le molte volte che cadiamo ? Quanto spesso, partiti col tollerare un racconto futile per non offendere la debolezza altrui, a poco a poco vi tendiamo gradevolmente l’orecchio ! Se non assisto più alle corse dei cani dietro la lepre nel circo, però in campagna, se vi passo per caso, mi distoglie forse anche da qualche riflessione grave e mi attira quella caccia ; non mi costringe a deviare il corpo della mia cavalcatura, ma l’inclinazione del mio cuore sì ; e se tu non mi ammonissi tosto con la mia già provata debolezza a staccarmi da quello spettacolo per elevarmi a te con altri pensieri, o a passare oltre sprezzantemente, resto là come un ebete vano. Che dico, se spesso mi attira, mentre siedo in casa, una tarantola che cattura le mosche, o un ragno che avvolge nelle sue reti gli insetti che vi incappano ? Per il fatto che sono animali piccoli l’azione che si compie non è la medesima ? Di là passo, sì, a lodare te, creatore mirabile, ordinatore di tutte le cose ; ma non è questa la mia intenzione all’inizio. Altro è l’alzarsi prontamente, altro il non cadere. La mia vita pullula di episodi del genere, sicché l’unica mia speranza è la tua grandissima misericordia (Cf. Sal 85, 13). Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte caterve di vanità, che spesso interrompono e disturbano le nostre stesse preghiere. Mentre sotto il tuo sguardo tentiamo di far giungere fino alle tue orecchie la voce del nostro cuore, l’irruzione, chissà da dove, di futili pensieri stronca un atto così grande.


Agostino: Le confessioni 1021