Catechesi 79-2005 9703

Castelgandolfo, Mercoledì, 16 luglio 2003

Cantico: Is 66,10-14a : Nella città di Dio consolazione e gioia - Lodi giovedì 4a settimana

(Lettura: Is 66,10 Is 66,12 Is 66,13-14)

1. Dall’ultima pagina del Libro di Isaia è tratto l’inno che abbiamo appena ascoltato, un canto di gioia dominato dalla figura materna di Gerusalemme (cfr Is 66,11) e poi dalla sollecitudine amorevole di Dio stesso (cfr Is 66,13). Gli studiosi della Bibbia ritengono che questa sezione finale, aperta a un futuro splendido e festoso, sia la testimonianza di una voce posteriore, quella di un profeta che celebra la rinascita di Israele dopo la parentesi oscura dell’esilio babilonese. Siamo, dunque, nel sesto secolo a.C., due secoli dopo la missione di Isaia, il grande profeta sotto il cui nome è posta l’intera opera ispirata.

Noi ora seguiremo il fluire gioioso di questo breve cantico, aperto da tre imperativi che sono appunto un invito alla felicità: «rallegratevi», «esultate», «sfavillate di gioia» (cfr Is 66,10). È questo un filo luminoso che percorre spesso le ultime pagine del Libro di Isaia: gli afflitti di Sion sono allietati, incoronati, coperti di «olio di letizia» (Is 61,3); il profeta stesso «gioisce pienamente nel Signore, la sua anima esulta in Dio» (Is 66,10); «come gioisce lo sposo per la sposa, così Dio gioirà» per il suo popolo (Is 62,5). Nella pagina precedente a quella che ora è oggetto del nostro canto e della nostra preghiera è il Signore stesso a partecipare alla felicità di Israele che sta per rinascere come nazione: «Si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo» (Is 66,18-19).

2. La sorgente e la ragione di questa esultanza interiore è nella ritrovata vitalità di Gerusalemme, risorta dalle ceneri della rovina, che era piombata su di essa allorché le armate babilonesi la demolirono. Si parla, infatti, del suo «lutto» (Is 66,10) ormai lasciato alle spalle.

Come accade spesso in varie culture, la città è rappresentata con immagini femminili, anzi materne. Quando una città è in pace, è simile a un grembo protetto e sicuro; anzi, è come una madre che allatta i suoi figli con abbondanza e tenerezza (cfr Is 66,11). In questa luce, la realtà che la Bibbia chiama, con un’espressione femminile, «la figlia di Sion», cioè Gerusalemme, ritorna ad essere una città-madre che accoglie, nutre e delizia i suoi figli, cioè i suoi abitanti. Su questa scena di vita e di tenerezza scende poi la parola del Signore che ha il tono di una benedizione (cfr Is 66,12-14).

3. Dio ricorre ad altre immagini legate alla fecondità: parla, infatti, di fiumi e torrenti, cioè di acque che simboleggiano la vita, il rigoglio della vegetazione, la prosperità della terra e dei suoi abitanti (cfr Is 66,12). La prosperità di Gerusalemme, la sua «pace» (shalom), dono generoso di Dio, assicurerà ai suoi bimbi una esistenza circondata di tenerezza materna: «saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati» (ibid. Is 66,12) e questa tenerezza materna sarà tenerezza di Dio stesso: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13). Così il Signore adopera la metafora materna per descrivere il suo amore per le sue creature.

Anche prima nel Libro di Isaia si legge un passo che attribuisce a Dio un profilo materno: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15). Nel nostro Cantico le parole del Signore rivolte a Gerusalemme finiscono riprendendo il tema della vitalità interiore, espresso con un’altra immagine di fertilità e di energia: quella dell’erba fresca, immagine applicata alle ossa, per indicare il vigore del corpo e dell’esistenza (cfr Is 66,14).

4. È facile a questo punto, di fronte alla città-madre, allargare il nostro sguardo fino a raggiungere il profilo della Chiesa, vergine e madre feconda. Concludiamo la nostra meditazione sulla Gerusalemme rinata con una riflessione di sant’Ambrogio, desunta dalla sua opera Le vergini: «La santa Chiesa è immacolata nella sua unione maritale: feconda per i suoi parti, è vergine per la sua castità, benché madre per i figli che genera. Noi siamo dunque partoriti da una vergine, che ha concepito non per opera di uomo ma per opera dello Spirito. Siamo dunque partoriti da una vergine non tra dolori fisici, ma tra il giubilo degli angeli. Ci nutre una vergine non con il latte del corpo, ma con quello di cui parla l’Apostolo, quando dice di aver allattato la debole età dell’adolescente popolo di Dio.

Quale donna sposata ha più figli della santa Chiesa? È vergine per la santità che riceve nei sacramenti ed è madre di popoli. La sua fecondità è attestata anche dalla Scrittura che dice: "Sono più numerosi i figli dell’abbandonata di colei che ha marito" (Is 54,1 Ga 4,27), la nostra madre non ha marito, ma ha uno sposo, perché tanto la Chiesa nei popoli quanto l’anima nei singoli - immuni da qualsiasi infedeltà, feconde nella vita dello spirito - senza che venga meno il pudore, si sposano con il Verbo di Dio come con uno sposo eterno» (I,31: Saemo 14/1, PP 132-133).

Saluti:
Saluti in varie lingue:


Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli ungheresi arrivati da Budapest e Pusztaszabolcs.

Di cuore imparto a voi ed alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!



Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini slovacchi; in particolare ai membri dell’Organizzazione „Slovenský Orol", venuti a Roma da Bratislava in bicicletta.

Vi ringrazio per questo incontro segno di unità con il Successore di San Pietro.

Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi e ai vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!


Traduzione italiana del saluto in lingua slovena:

Saluto il coro giovanile della Parrocchia dei SS. Cirillo e Metodio a Maribor.

Il pellegrinaggio alla Sede apostolica di San Pietro rafforzi e approfondisca la fede, la speranza e la carità. La Madre celeste Maria, che voi Sloveni tanto amate e onorate, indirizzi a Cristo tutto il vostro impegno giovanile.

A voi, al vostro parroco e a tutti i vostri famigliari la mia speciale Benedizione Apostolica.



Traduzione italiana del saluto in lingua lituana:

Saluto con gioia i pellegrini lituani!

Ogni tempo è tempo di grazia per chi confida in Dio. Siate costanti nella preghiera per essere forti nel mantenere salda la vostra speranza nel Signore!

Di cuore prego per tutti voi e vi benedico!

Sia lodato Gesù Cristo!



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i miei connazionali qui presenti.

Oggi ricorre, nella liturgia, la Memoria della Beata Vergine del Monte Carmelo. Questa memoria è particolarmente cara a tutti i devoti della Madonna del Carmine. Pure io, fin dalla mia giovinezza, porto al mio collo lo Scapolare della Vergine e mi rifugio con fiducia sotto il mantello della Beata Vergine Maria, Madre di Gesù.

Auguro che lo Scapolare sia per tutti, particolarmente per i suoi fedeli che lo portano, aiuto e difesa nei pericoli, sigillo della pace e segno della tutela di Maria.

Sia lodato Gesù Cristo.

*****


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Francescane del Cuore di Gesù, che stanno tenendo la loro Assemblea Generale. Care Sorelle, benedico di cuore i vostri lavori affinché - come dice il tema assembleare - possiate ripartire da Cristo con fede orante, speranza ferma, amore operoso.

Saluto inoltre il pellegrinaggio della Famiglia carmelitana e il gruppo di bambini Sahrawi, ospiti dell’Associazione Jaima Sahrawi di Reggio Emilia.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli.

L’odierna memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo mi offre l’opportunità di indicarvi Maria Santissima come modello a cui fare costante riferimento, per trovare nei suoi esempi ispirazione e guida sicura. Vi esorto ad invocarla sempre: sarà per voi motivo di conforto e di speranza.







Castel Gandolfo - Mercoledì, 23 luglio 2003

Salmo 146 : Potenza e bontà del Signore - Lodi giovedì 4a settimana

(Lettura: Ps 146,1 Ps 146,4-7 Ps 146,11)

1. Il Salmo ora cantato è la prima parte di una composizione che comprende anche il successivo Salmo 147 e che l’originale ebraico ha conservato nella sua unità. Sono state l’antica versione greca e quella latina a dividere il canto in due Salmi distinti.

Il Salmo incomincia con un invito a lodare Dio e poi elenca una lunga serie di motivi di lode, tutti espressi al presente. Si tratta di attività di Dio considerate come caratteristiche e sempre attuali; sono però di generi molto diversi: alcune riguardano gli interventi di Dio nell’esistenza umana (cfr Ps 146,3 Ps 146,6 Ps 146,11) e in particolare a favore di Gerusalemme e di Israele (cfr Ps 146,2); altre riguardano l’universo creato (cfr Ps 146,4) e più specialmente la terra con la sua vegetazione e gli animali (cfr Ps 146,8-9).

Dicendo, alla fine, di chi il Signore si compiace, il Salmo ci invita a un duplice atteggiamento: di timore religioso e di fiducia (cfr Ps 146,11). Noi non siamo abbandonati a noi stessi o alle energie cosmiche, ma siamo sempre nelle mani del Signore per il suo progetto di salvezza.

2. Dopo l’invito festoso alla lode (cfr Ps 146,1), il Salmo si dispiega in due movimenti poetici e spirituali. Nel primo (cfr Ps 146,2-6) si introduce innanzitutto l’azione storica di Dio, sotto l’immagine di un costruttore che sta riedificando Gerusalemme tornata alla vita dopo l’esilio babilonese (cfr Ps 146,2). Ma questo grande artefice, che è il Signore, si rivela anche come un padre che si china sulle ferite interiori e fisiche, presenti nel suo popolo umiliato e oppresso (cfr Ps 146,3).

Lasciamo spazio a sant’Agostino che, nell’Esposizione del Salmo 146 tenuta a Cartagine nel 412, così commentava la frase: «Il Signore risana chi ha il cuore spezzato»: «Chi non spezza il cuore non viene risanato… Chi sono coloro che spezzano il cuore? Gli umili. E coloro che non lo spezzano? I superbi. Comunque, il cuore spezzato, viene guarito, il cuore gonfio d’orgoglio viene abbattuto. Anzi, con probabilità, se viene abbattuto è proprio affinché, una volta spezzato, possa essere raddrizzato, possa essere guarito… "Egli risana quelli che hanno il cuore spezzato, e fascia le loro fratture"… In altre parole risana gli umili di cuore, coloro che confessano, che si puniscono, che si giudicano con severità per poter esperimentare la sua misericordia. Ecco chi risana. La perfetta salute sarà però raggiunta al termine del presente stato mortale, quando il nostro essere corruttibile si sarà rivestito d’incorruttibilità e il nostro essere mortale si sarà rivestito d’immortalità» (5-8: Esposizioni sui Salmi, IV, Roma 1977, PP 772-779).

3. Ma l’opera di Dio non si manifesta soltanto curando il suo popolo dalle sofferenze. Egli, che circonda di tenerezza e premura i poveri, si erge come giudice severo nei confronti degli empi (cfr Ps 146,6). Il Signore della storia non è indifferente davanti all’imperversare dei prepotenti che credono di essere gli unici arbitri delle vicende umane: Dio abbassa nella polvere della terra coloro che sfidano il cielo con la loro superbia (cfr 1S 2,7-8 Lc 1,51-53).

L’azione di Dio, però, non si esaurisce nella sua signoria sulla storia; egli è anche il re del creato, l’universo intero risponde al suo appello di Creatore. Egli può non solo numerare tutta la sterminata serie delle stelle, ma è in grado di attribuire a ciascuna di esse il nome, definendone quindi la natura e le caratteristiche (cfr Ps 146,4).

Cantava già il profeta Isaia: «Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato quegli astri? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e li chiama tutti per nome» (Is 40,26). Gli «eserciti» del Signore sono, dunque, le stelle. Il profeta Baruc continuava così: «Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: "Eccoci!" e brillano di gioia per colui che le ha create» (Is 3,34-35).

4. Dopo un nuovo invito gioioso alla lode (cfr Ps 146,7), ecco aprirsi il secondo movimento del Salmo 146 (cfr Ps 146,7-11). Di scena è ancora l’azione creatrice di Dio nel cosmo. In un paesaggio spesso arido com’è quello orientale, il primo segno dell’amore divino è la pioggia che feconda la terra (cfr Ps 146,8). Per questa via il Creatore imbandisce una mensa per gli animali. Anzi, egli si preoccupa di dare cibo anche ai più piccoli viventi, come i nati del corvo che gridano per la fame (cfr Ps 146,9). Gesù ci inviterà a guardare «gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre celeste li nutre» (Mt 6,26 cfr anche Lc 12,24 con l’esplicito riferimento ai «corvi»).

Ma ancora una volta l’attenzione si sposta dalla creazione all’esistenza umana. E così il Salmo si conclude mostrando il Signore che si china su chi è giusto e umile (cfr Ps 146,10-11), come già si era dichiarato nella prima parte dell’inno (cfr Ps 146,6). Attraverso due simboli di potenza, il cavallo e la gamba dell’uomo in corsa, si delinea l’atteggiamento divino che non si lascia conquistare o intimorire dalla forza. Ancora una volta, la logica del Signore ignora l’orgoglio e l’arroganza del potere, ma si schiera dalla parte di chi è fedele e «spera nella sua grazia» (Ps 146,11), cioè si abbandona alla guida di Dio nel suo agire e nel suo pensare, nel suo progettare e nel suo stesso vivere quotidiano.

Tra costoro anche l’orante deve collocarsi, fondando la sua speranza nella grazia del Signore, certo di essere avvolto dal manto dell’amore divino: «L’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame… In lui gioisce il nostro cuore e confidiamo nel suo santo nome» (Ps 32,18-19 Ps 32,21).

Saluti:

Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca:

Di cuore do il benvenuto al gruppo dei pellegrini slovacchi da Dunajská Streda.

Cari pellegrini, è il tempo delle ferie e delle vacanze. Sfruttate questo periodo per il riposo e per ritemprare le forze del corpo e dello spirito.

Volentieri benedico.



Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Rivolgo un saluto cordiale ai fedeli ungheresi arrivati da Nyíregyháza.

Di cuore imparto a voi ed alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!


Traduzione italiana del saluto in lingua bulgara:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini bulgari, provenienti dalla parrocchia di San Michele Arcangelo nella città di Rakovski. Carissimi, la visita a Roma vi confermi nella fede e nella testimonianza del Vangelo. Con affetto vi benedico insieme con tutti i vostri cari.



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i miei connazionali qui presenti e i diversi gruppi di pellegrini. Saluto soprattutto i giovani e i bambini: il gruppo di danza proveniente da Rzeszow e il gruppo dei bambini membri del movimento "Luce e Vita" da Warka e Aleksandrow Kujawski. Sono veramente felice per la vostra presenza qui a Castel Gandolfo.

Affido a Maria, Madre di Dio il tempo delle vostre vacanze. In questo tempo di riposo riprendete le forze per il lavoro che vi attende. A tutti coloro che non possono partire per le vacanze auguro serenità e gioia fra i loro amici e nelle loro famiglie.

Anche nel tempo del riposo dobbiamo ricordarci di Dio, ecco perché il Salmo meditato oggi, nella catechesi, ci fa pregare così: "Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia" (Ps 146,11).

*****


Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare agli organizzatori del Festival folkloristico che ha luogo in questi giorni a Cori, e lo estendo ai gruppi partecipanti, provenienti da diversi Paesi.

Sono lieto poi di accogliere i Religiosi Scolopi riuniti per il Capitolo Generale. Carissimi, vi ringrazio per la testimonianza e il servizio che il vostro Ordine rende alla Chiesa e alla società. Affido i frutti dell’Assemblea capitolare all’intercessione di Maria Santissima e di san Giuseppe Calasanzio, vostro fondatore.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, approfittate del tempo estivo per approfondire il vostro rapporto personale con Cristo. Per voi giovani Egli sia guida, per voi ammalati conforto, per voi sposi vincolo di amore.






Castel Gandolfo, Mercoledì, 30 luglio 2003

Salmo 50 : Pietà di me, o Signore - Lodi Venerdì 4a settimana

(Lettura: Ps 50,3-4 Ps 50,15 Ps 50,17-19)

1. È la quarta volta che ascoltiamo, durante queste nostre riflessioni sulla Liturgia delle Lodi, la proclamazione del Salmo 50, il celebre Miserere. Esso, infatti, è riproposto nel venerdì di ogni settimana, perché divenga un’oasi di meditazione, dove scoprire il male che si annida nella coscienza ed invocare dal Signore purificazione e perdono. Come confessa, infatti, il Salmista in un’altra supplica, «nessun vivente davanti a te è giusto», o Signore (Ps 142,2). Nel Libro di Giobbe si legge: «Come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato di donna? Ecco, la luna stessa manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi: quanto meno l’uomo, questo verme, l’essere umano, questo bruco!» (Ps 25,4-6).

Frasi forti e drammatiche, che vogliono mostrare in tutta serietà e gravità il limite e la fragilità della creatura umana, la sua capacità perversa di seminare male e violenza, impurità e menzogna. Tuttavia, il messaggio di speranza del Miserere, che il Salterio pone sulle labbra di Davide, peccatore convertito, è questo: Dio può «cancellare, lavare, mondare» la colpa confessata con cuore contrito (cfr Ps 50,2-3). Dice il Signore attraverso la voce di Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana» (Is 1,18).

2. Ci fermeremo questa volta brevemente sulla finale del Salmo 50, una finale piena di speranza perché l’orante è consapevole di essere stato perdonato da Dio (cfr Ps 50,17-21). Ormai la sua bocca sta per proclamare al mondo la lode del Signore, attestando in tal modo la gioia che sperimenta l’anima purificata dal male e perciò liberata dal rimorso (cfr Ps 50,17).

L’orante testimonia in modo netto un’altra convinzione, connettendosi all’insegnamento reiterato dei profeti (cfr Is 1,10-17 Am 5,21-25 Os 6,6): il sacrificio più gradito che sale al Signore come profumo e fragranza soave (cfr Gn 8,21) non è l’olocausto di tori e di agnelli ma piuttosto il «cuore affranto e umiliato» (Ps 50,19).

L’Imitazione di Cristo, testo tanto caro alla tradizione spirituale cristiana, ripete lo stesso ammonimento del Salmista: «L’umile contrizione dei peccati è per te il sacrificio gradito, un profumo molto più soave del fumo dell’incenso… Là si purifica e si lava ogni iniquità» (III, 52,4).

3. Il Salmo si conclude in modo inaspettato con una prospettiva completamente diversa, che sembra persino contraddittoria (cfr Ps 50,20-21). Dall’ultima supplica di un singolo peccatore si passa a una preghiera per la ricostruzione di tutta la città di Gerusalemme, il che ci trasporta dall’epoca di Davide a quella della distruzione della città, secoli dopo. D’altra parte, dopo aver espresso nel (Ps 50,18) il rifiuto divino delle immolazioni di animali, il Salmo annuncia nel (Ps 50,21) che Dio gradirà queste stesse immolazioni.

È chiaro che questo passo finale è un’aggiunta posteriore, fatta nel tempo dell’esilio, che vuole, in un certo senso, correggere o almeno completare la prospettiva del Salmo davidico. E questo su due punti: da una parte, non si è voluto che tutto il Salmo si restringesse a una preghiera individuale; bisognava pensare anche alla situazione pietosa di tutta la città. Dall’altra parte, si è voluto ridimensionare il rifiuto divino dei sacrifici rituali; questo rifiuto non poteva essere né completo né definitivo, perché si trattava di un culto prescritto da Dio stesso nella Torah. Chi ha completato il Salmo ha avuto una intuizione valida: ha capito la necessità in cui si trovano i peccatori, la necessità di una mediazione sacrificale. I peccatori non sono in grado di purificarsi da soli; non bastano buoni sentimenti. Ci vuole una mediazione esterna efficace. Il Nuovo Testamento rivelerà il senso pieno di questa intuizione, mostrando che con l’offerta della sua vita, Cristo ha effettuato una mediazione sacrificale perfetta.

4. Nelle sue Omelie su Ezechiele san Gregorio Magno ha colto bene la differenza di prospettiva che esiste tra i vv. 19 e 21 del Miserere. Egli ne propone una interpretazione, che possiamo anche accogliere, concludendo così la nostra riflessione. San Gregorio applica il v. 19, che parla di spirito contrito, all’esistenza terrena della Chiesa e il v. 21, che parla di olocausto, alla Chiesa nel cielo.

Ecco le parole di quel grande Pontefice: «La santa Chiesa ha due vite: una che conduce nel tempo, l’altra che riceve in eterno; una con cui fatica in terra, l’altra che viene ricompensata in cielo; una con cui raccoglie i meriti, l’altra che ormai gode dei meriti raccolti. E nell’una e nell’altra vita offre il sacrificio: qui il sacrificio della compunzione e lassù il sacrificio di lode. Del primo sacrificio è detto: "Uno spirito contrito è sacrificio a Dio" (Ps 50,19); del secondo sta scritto: "Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione" (Ps 50,21)… In entrambi si offrono le carni, perché qui l’oblazione della carne è la mortificazione del corpo, lassù l’oblazione della carne è la gloria della risurrezione nella lode a Dio. Lassù si offrirà la carne come in olocausto, allorché trasformata nella incorruttibilità eterna, non ci sarà più nessun conflitto e niente di mortale, perché perdurerà tutta intera accesa di amore per lui, nella lode senza fine» (Omelie su Ezechiele/2, Roma 1993, p. 271).

Saluti:


Traduzione italiana del saluto in lingua croata:

Cari Professori e Studenti del Liceo di Banja Luka, vi saluto cordialmente. Benvenuti!

Conservando nel cuore i bellissimi ricordi della mia recente Visita pastorale alla Diocesi di Banja Luka, durante la quale ho proclamato beato il vostro grande concittadino Ivan Merz, che per otto anni frequentò il vostro liceo, vi affido tutti alla sua intercessione, affinché vi assista nella scelta degli autentici valori umani e religiosi per essere in grado di costruire una società fondata sulla verità, sulla giustizia e sul rispetto della dignità di ogni essere umano.

Su ciascuno di voi e sulla vostra Patria, la Bosnia ed Erzegovina, invoco la benedizione di Dio.



Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i pellegrini ungheresi arrivati da Eger e Nyíregyháza.

Per l’intercessione dei santi ungheresi imparto di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!



Traduzione italiana del saluto in lingua lituana:

Rivolgo il mio cordiale benvenuto ai pellegrini lituani!

Il Signore vi invita ad ascoltare con fiducia la sua Parola, la quale ispira e dà forza alla nostra fede. Prego per voi, perché siate sempre docili discepoli di Cristo. Vi accompagni tutti la mia benedizione!

Sia lodato Gesù Cristo!



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i miei connazionali.

È la quarta volta, che durante le catechesi del mercoledì, meditiamo il Salmo del Miserere.

Questo Salmo viene recitato durante la preghiera delle Lodi ogni venerdì, quando ricordiamo la passione e la morte di Gesù sulla Croce.

In questa preghiera chiediamo a Dio il perdono dei nostri peccati e la Sua misericordia: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia, nel tuo grande amore cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato" (Ps 50,3-4).

Chiedo che Dio doni a ciascuno di noi il vero pentimento e la sincera confessione dei nostri peccati tutte le volte che ci accostiamo al sacramento della penitenza: "Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi" (Ps 50,19).

*****


Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo parrocchiale di San Mauro Abate in Aci Castello, che incoraggio a trovare nel Vangelo la forza per superare con speranza anche le situazioni più difficili. Saluto inoltre i fedeli della parrocchia di San Pietro Martire in Jesi, insieme con i bambini bielorussi loro ospiti.

Sono lieto poi di accogliere tre gruppi di Religiosi in occasione dei Capitoli Generali dei loro Istituti: gli Oblati di Maria Vergine, le Suore di Santa Marta e le Religiose Riparatrici del Sacro Cuore. Per voi, carissimi Fratelli e Sorelle, e per le vostre Famiglie religiose assicuro un particolare ricordo nella preghiera.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Vi invito, cari giovani, a dedicare parte delle vacanze estive ad esperienze significative di solidarietà. A voi, cari malati, auguro di trarre beneficio da questo tempo di riposo. E voi, cari sposi novelli, possiate gustare nelle ferie la serenità della vostra unione.



                                               



Agosto 2003


Castel Gandolfo, Festa della Trasfigurazione del Signore, Mercoledì, 6 agosto 2003

XXV anniversario della morte del Papa PaoloVI

1. Cento anni fa, il 4 agosto del 1903, veniva eletto il mio predecessore san Pio X. Nato a Riese, piccolo centro delle Prealpi venete, in una terra rimasta profondamente cristiana, Giuseppe Sarto trascorse tutta la vita, sino alla sua elezione a Papa, nel Veneto. Saluto con affetto il folto gruppo di pellegrini proveniente da Treviso, che, accompagnati dal loro Vescovo, sono venuti per rendere omaggio alla memoria del loro illustre conterraneo.

La vostra presenza, carissimi Fratelli e Sorelle, mi offre l’opportunità di porre in rilievo il ruolo importante che questo Successore di Pietro ha avuto nella storia della Chiesa e dell’umanità all’inizio del secolo XX. Elevandolo agli onori degli altari, il 29 maggio del 1954, Anno Mariano, Pio XII lo definì "invitto campione della Chiesa e Santo provvidenziale dei nostri tempi", la cui opera ebbe "l’aspetto di una lotta impegnata da un gigante in difesa di un inestimabile tesoro: l’unità interiore della Chiesa nel suo intimo fondamento: la fede" (Acta Apostolicae Sedis XLVI (1954), 308). Continui a vegliare sulla Chiesa questo santo Pontefice, che ci ha lasciato un esempio di totale fedeltà a Cristo e di amore appassionato per la sua Chiesa.

2. Di un altro grande Papa vorrei fare memoria. Oggi, infatti, si compiono 25 anni da quel 6 agosto del 1978, quando in questa residenza di Castel Gandolfo, si spegneva il servo di Dio Papa Paolo VI.Era la sera del giorno, in cui la Chiesa celebra il mistero luminoso della Trasfigurazione di Cristo, "sole senza tramonto" (Inno liturgico). Era Domenica, Pasqua settimanale, Giorno del Signore e del dono dello Spirito (cfr Lett. ap. Dies Domini, 19).

Sulla figura di Paolo VI ho avuto già modo di soffermarmi durante una recente Udienza generale, in occasione del quarantesimo anniversario della sua elezione a Vescovo di Roma. Oggi, nel luogo stesso in cui egli concluse la giornata terrena, desidero idealmente riascoltare insieme con voi, carissimi Fratelli e Sorelle, il suo testamento spirituale, quella parola ultima e suprema che fu appunto il suo morire.

Nell’ultima Udienza generale a quattro giorni dalla morte, mercoledì 2 agosto, aveva parlato ai pellegrini della fede, quale forza e luce della Chiesa (cfr Insegnamenti di Paolo VI, XVI 1978, p. 586). E nel testo preparato per l’Angelus del 6 agosto, che non poté pronunciare, volgendo lo sguardo al Cristo trasfigurato aveva scritto: "Quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo "partecipi della natura divina" (2P 1,4)" (ivi, p. 588).

3. Paolo VI avvertiva l’importanza di commisurare i gesti e le scelte di ogni giorno al "grande passaggio" al quale si andava via via preparando. Ne è prova quanto scriveva, ad esempio, nel Pensiero alla morte. Vi leggiamo, tra l’altro, un’espressione che fa pensare proprio alla festa di oggi, la Trasfigurazione: "Ecco - scriveva - mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce ... In questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa [del mondo] è un riverbero, è un riflesso della prima ed unica Luce ... un invito alla visione dell’invisibile Sole, quem nemo vidit umquam (cfr Jo 1,18): unigenitus Filius, qui est in sinu Patris, Ipse enarravit. Così sia, così sia" (2P 1,24-25).

Per i credenti la morte è come l’"amen" finale della loro esistenza terrena. Così è stato certamente per il servo di Dio Paolo VI, che nel "grande passaggio" rese manifesta la sua più alta professione di fede. Egli che, alla chiusura dell’Anno della Fede, aveva proclamato con solennità il "Credo del Popolo di Dio", lo sigillò con l’ultimo personalissimo "amen", quale coronamento di un impegno per Cristo che aveva dato senso a tutta la sua vita.

4. "La luce della fede non conosca tramonto". Così cantiamo in un inno liturgico. Oggi rendiamo grazie a Dio, perché queste parole si sono realizzate in questo amato mio Predecessore. A distanza di venticinque anni dalla sua dipartita, sempre più fulgida ci appare la sua alta statura di maestro e difensore della fede in un’ora drammatica della storia della Chiesa e del mondo. Ripensando a ciò che egli stesso scrisse a proposito della nostra epoca, che cioè in essa hanno credito più i testimoni che i maestri (cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41), con devota riconoscenza lo vogliamo ricordare quale autentico testimone di Cristo Signore, innamorato della Chiesa e sempre attento a scrutare i segni dei tempi nella cultura contemporanea.

Possa ogni membro del Popolo di Dio - e, vorrei dire, ogni uomo e ogni donna di buona volontà - onorare la sua venerata memoria con l’impegno di una sincera e costante ricerca della verità. Quella verità che risplende in pienezza sul volto di Cristo, e che la Vergine Maria, come amava ricordare Paolo VI, ci aiuta a meglio comprendere e vivere con la sua materna e sollecita intercessione.

Saluti:

Traduzione italiana del saluto in lingua rumena:

Saluto e benedico i pellegrini romeni qui presenti.



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i miei connazionali qui presenti. Soprattutto saluto i partecipanti al IV Pellegrinaggio dei Ciclisti provenienti da tutta la Polonia che sono partiti dalla lontana città di Rzeszów.

Oggi ricordiamo due grandi Papi che furono i miei predecessori sulla Cattedra di Pietro: San Pio X e il Servo di Dio Papa Paolo VI. Il primo, San Pio X, fu il Papa dell’Eucaristia e venne eletto al Soglio pontificio 100 anni fa, il 4 agosto. Il secondo, il Servo di Dio Paolo VI, fu il Papa del Concilio Vaticano II e proprio 25 anni fa, qui a Castel Gandolfo, il 6 agosto, venne chiamato dal Signore all’incontro con Lui per ricevere il premio del "servo buono e fedele".

Entrambi, ciascuno con il proprio carisma, furono Papi che si impegnarono per il rinnovamento della Chiesa.

Sia lodato Gesù Cristo. E il Signore vi benedica tutti.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti all’Incontro Estivo per Seminaristi di varie diocesi italiane e i fedeli di Cologno al Serio.

Un saluto rivolgo ai fedeli presenti nella Piazza di Castel Gandolfo, che non hanno trovato posto in questo Cortile.

Saluto infine voi, cari giovani, malati e sposi novelli ed auguro che la luce del Cristo trasfigurato, che oggi contempliamo, illumini la vostra esistenza e vi riempia il cuore della gioia che si fonda sulla speranza cristiana.







Catechesi 79-2005 9703