Paolo VI Catechesi 50264

Mercredi 5 février 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Il saluto, che precede la Nostra Benedizione, è pieno di affettuose intenzioni, per voi, per la vostra santificazione e per la vostra felicità, e per il compimento di ogni vostro buon desiderio, per ogni vostra migliore consolazione. Il Signore sa che queste Nostre intenzioni salgono a lui come preghiere, per trovare efficacia nella sua misericordiosa bontà.

Ma una di queste intenzioni merita da Noi particolare menzione; e riguarda il desiderio che Noi abbiamo di lasciare nei vostri animi un’impressione felice di questa breve, ma grande e bella Udienza. Non che a Noi importi di fissare la vostra mente e il vostro ricordo sulla Nostra piccola persona; no questo. Ci preme piuttosto che voi riportiate un concetto esatto e luminoso del vostro incontro col Papa.

E allora ritorna al Nostro spirito la domanda, ,che certamente, in questo momento, è nei vostri pensieri; chi è il Papa? Noi crediamo che voi state formulando interiormente una risposta, che è meno semplice e meno facile di quanto può sembrare a prima vista. Chi è il Papa? Vi preghiamo, come dicevamo, di non fermare la vostra risposta al Nostro nome e cognome originario, che non vi darebbe alcun concetto adeguato, ma di rivolgere il vostro pensiero a quello del Signore, che ha voluto Lui stesso definire la persona di colui che Egli sceglieva come primo dei suoi discepoli, dalla funzione, dalla missione, che il Signore stesso gli conferiva: non si sarebbe più chiamato Simone, figlio di Jona, suo nome nativo, ma Pietro, suo nome d’ufficio; dove è evidente che Gesù dava al suo eletto una virtù particolare, e un ufficio particolare, raffigurati l’una e l’altro nell’immagine della pietra, del sasso, della roccia; e cioè la virtù della fermezza, della stabilità, della solidità, dell’immobilità, dell’indefettibilità, sia nel tempo, che nelle traversie della vita; e l’ufficio di fungere da fondamento, da caposaldo, da sostegno, come Gesù stesso disse, all’ultima cena, a Pietro medesimo: «Conferma i tuoi fratelli» (
Lc 22,32). Pietro doveva essere la base sulla quale tutta la Chiesa del Signore è costruita. Il pensiero del Signore è chiarissimo; ed è ciò che forma la singolarità e la meraviglia del Papato. Per chi ha qualche cognizione, o qualche esperienza della fragilità delle cose umane la parola di Gesù a Pietro appare così nella sua audacia divina, che vince la debolezza umana e sfida la caducità delle costruzioni fondate sulla sabbia del tempo. Un miracolo di equilibrio, di resistenza, di vitalità, che trova la sua spiegazione nella presenza di Cristo nella persona di Pietro!

Questo, Figli carissimi, è ciò che l’incontro del Papa vi deve lasciare nell’anima: l'impressione, anzi lo stupore e la gioia di un incontro con il Vicario di Cristo.

È da ricordare che nella Sacra Scrittura questa figura della pietra è dapprima riferita a Dio, come spesso s’incontra nell’antico Testamento; poi è riferita al Messia, a Gesù medesimo, la pietra d’angolo (Mt 21,42). S. Pietro stesso lo ricorda nella sua prima lettera, chiamando Cristo pietra viva e angolare (1P 2,4-6), ma poi da Gesù la figura della pietra è attribuita al primo degli apostoli. S. Leone Magno dice bene: Gesù volle che Pietro portasse il nome che definiva Lui stesso, Gesù: id quod Ipse erat voluit (Petrum) nominari (Ep. X, 1; P.L. 54, 629).

Cioè una meditazione sul disegno di Dio, sul pensiero di Cristo, sulla funzione del suo Vicario deve nascere dell’udienza del Papa, per comprendere e confermare la nostra comune vocazione di cattolici, di figli della Chiesa, di uomini che conoscono e vivono il grande piano di salvezza, offerto al mondo dalla divina bontà.

Ed è ciò che Noi desideriamo per il vostro bene spirituale in questo momento, non certo, dicevamo, per far l’apologia di Noi stessi, a cui si conviene anche un altro nome, quello di «servo dei servi di Dio»; ma per far l’apologia dei disegni divini e per auspicare che essi siano luce e salvezza per voi.

Con questi voti di cuore diamo a tutti la Nostra Benedizione Apostolica.





Mercoledì delle Ceneri, 12 febbraio 1964

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita giunge a Noi in un giorno particolare, che non può non conferirle il suo spirito: il giorno è quello detto, nel rito romano, delle Ceneri, col quale si apre il periodo di intensa preparazione alla grande solennità della Pasqua, e cioè il periodo quaresimale.

Desiderosi, come siamo, di dare ai riti della Chiesa la loro pienezza di significato e di efficacia, specialmente ora, dopo che il Concilio ecumenico ha sancito la Costituzione sulla sacra Liturgia, non possiamo separare la preghiera dalla, vita, e, in questo momento, non possiamo tacere con voi il ricordo di questa odierna cerimonia della imposizione delle ceneri sulle nostre teste con gesto e con parola che vogliono essere molto impressionanti, quasi terribili.

Tale cerimonia sembra qualificare l’aspetto più grave della nostra religione, e da molti ritenuto il più vero, anzi l’unico: l’aspetto penitenziale, l’aspetto triste, severo, pessimista. Ed è quello che allontana tanti animi dalla fede e dalla Chiesa, giovani specialmente e figli del nostro tempo, che aspirano alla gioia, alla bellezza, al godimento della vita. Il cristianesimo è la religione della croce, la Chiesa è la maestra della mortificazione. Tutto ciò non è conforme allo spirito moderno, che aspira alla felicità.

Ebbene, voi, che venite a visitarci, e che con questa vostra presenza Ci dite di voler essere discepoli fedeli della Chiesa, voi sapete che questo aspetto penitenziale della vita cristiana è profondamente saggio, e perciò degno d’essere da Noi compreso ed accettato. Esso è innanzi tutto francamente realista.

Esso conosce ciò che di miserabile e di tragico nasconde il volto della nostra vita. Quando la Chiesa ci parla della precarietà della nostra esistenza terrena, fa propria la esperienza più comune e più evidente della nostra, presente condizione, e fa proprio il duro e crudo, ma inconfutabile linguaggio dei filosofi pessimisti: che cosa è il tempo, se non una corsa alla morte? e che cosa sono i beni di questa terra se non «vanità di vanità»?

Così, quando la Chiesa fa l’analisi del nostro mondo interiore, è altrettanto sincera, ed anche più di quanti hanno esplorato il fondo della coscienza umana e vi hanno scoperto molti torbidi movimenti, molte ridicole velleità, molte perverse intenzioni. Gli studiosi moderni hanno superato gli antichi nel dare un ben triste quadro dei «caratteri» umani, studiati nella loro interna psicologia; e la spietata e spesso malvagia sincerità di questi ben noti studiosi ha fatto scuola nel nostro tempo; ma la sincerità dell’esame di coscienza insegnato dall’ascetica cristiana, e la visione profonda, si dovrebbe per sé dire irreparabile, delle reali condizioni dell’uomo, ferito dal peccato originale, insegnata dall’antropologia cristiana, non sono state né eguagliate, né vanificate. La dottrina della Chiesa non nasconde, non attenua la miseria della povera argilla umana; la conosce, la insegna, la ricorda alla nostra cecità e alla nostra vanità: «Ricordati, uomo, che sei cenere; ed in cenere ritornerai».

Ma dove la scienza terrena si arresta al traguardo della disperazione e della morte, la lezione della nostra dottrina, voi sapete, non finisce, anzi prosegue animosa; essa aggiunge due altri capitoli, che il mondo giudica paradossali, incomprensibili; e sono invece luce magnifica per il cristiano. Il primo è il capitolo della mortificazione: quasi non bastassero, dirà il profano, i malanni inevitabili, che affliggono l’umanità, la scuola del Vangelo vi aggiunge i malanni volontari dell’ascetica e della penitenza. Anzi, della penitenza, corporale o spirituale che sia, una parola tremenda di Cristo fa obbligo a tutti: «Se non farete penitenza, tutti perirete . . .» (
Lc 13,5). Non si potrà dire, come si legge in libri del nostro tempo, che il cristianesimo è fatto per le anime deboli, e che per recare loro conforto le incanta e le infiacchisce. No, il cristianesimo è una palestra di energia morale, è una scuola di autodominio, è un’iniziazione al coraggio e all’eroismo, proprio perché non teme di educare l’uomo alla temperanza, al controllo di sé, alla generosità e alla rinuncia, al sacrificio; e perché sa ed insegna che l’uomo vero e perfetto, l’uomo puro e forte, l’uomo capace di agire e di amare è un alunno della disciplina di Cristo, la disciplina della Croce.

Ed è così che la dottrina della Chiesa aggiunge l’ultimo capitolo alla sua lezione sulla miseria umana e sulla mortificazione cristiana, proclamando che questa è rimedio di quella; ed entrambe sono risolubili in una vittoria del bene sul male, della felicità sul dolore, della santità sul peccato, della vita sulla morte. È questo l’epilogo del grande dramma della Redenzione, che appunto noi celebreremo nella prossima Pasqua; e può e dev’essere, Figli carissimi, l’epilogo felice nostro, nel tempo e oltre il tempo, nella eternità.

Così vi diciamo a ricordo di questa udienza nel primo giorno di Quaresima, esortando ciascuno di voi a questo programma di pensieri, e di preghiere e di azioni forti e sante, con la Nostra Apostolica Benedizione.

Al monastero di Tor de’ Specchi

Sua Santità rileva, anzitutto, che questa è la prima delle comunità religiose che Egli visita da quando ha assunto l’Ufficio Apostolico. Tale primato vuol dire subito la stima che il Papa ha di un cenacolo così insigne nella storia religiosa di Roma, e del fervore di pietà che vi si conserva.

Egli, quindi, vuole esprimere alle Religiose il suo saluto e manifestare compiacenza nel sentirsi circondato da anime profondamente fedeli e legate non soltanto alla Chiesa, ma alla Sede Apostolica. Le Oblate sono a ciò indotte dalla loro tradizione, e da solida formazione spirituale. Piace, quindi, al Santo Padre di salutare l’intera Comunità, chi la dirige, chi la assiste e chi la compone e, può anche dire, chi la comporrà, augurando che altre anime possano venire, sorelle vicino a loro, ad onorare il Signore e a tener viva la fiaccola della virtù e della pietà cristiana in questo domicilio di santità e di fedeltà.

Un pensiero potrebbe venire quando si visitano le case della pietà cristiana, lontane dalle vanità del mondo, e dalla conversazione comune, e cioè, i monasteri, i conventi, le comunità religiose. Alcuni, entrando in queste isole tranquille del silenzio e della preghiera, potrebbero supporre che mentre al di fuori è intensa la vita, . si moltiplicano le attività di lavoro e le iniziative, le comunità oranti non appartengano alla realtà della vita vissuta, mentre anche la Chiesa promuove, specialmente oggi, altre manifestazioni; si ponga mente all’attività missionaria, alla scuoia, agli ospedali, alle varie forme di apostolato in mezzo a questa nostra febbrile e movimentata società.

Invece basta un istante di riflessione per convincersi che le Religiose non solo appartengono alla Chiesa, ma al cuore della Chiesa; non solo non sono avulse o indifferenti, ma sono al centro della più alta operosità. Prima di tutto con i grandi titoli della loro storia, con la tradizione. Infatti si potrebbe descrivere molto della vita, - e quale vita! - della Chiesa Romana, andando a sfogliare i loro annali e trovando in essi nomi grandi di Papi, di cardinali, di uomini politici illustri che hanno tessuto la storia esteriore ed augusta della Città eterna. Si può inoltre trovare, come qui avviene, anche il sedimento, anzi il cumulo di tradizioni gloriose, di pietà tranquille e raccolte, con le sante, le beate, tutte le anime rette, che in questo cenobio si sono preparate al paradiso. Ed anche ciò direbbe che questa è la Chiesa, perché questo è il giardino centrale delle virtù più autentiche: la povertà, la carità, la purezza, il distacco, l’abnegazione, il Vangelo vissuto.

Poi vi è un altro vincolo che unisce le Oblate alla Chiesa: proprio ad esso il Papa farà appello per sentirle ancora più vicine al Suo Ministero e per trasformarle da premurose figliuole e sorelle in collaboratrici del Suo apostolato, cioè le inviterà a pregare, a comprendere il momento grande, faticoso, ma anche così pieno di speranze, che la Chiesa attraversa.

Il loro animo deve essere come specchio che riflette in sé l’epoca storica della Chiesa anche nel suo aspetto esteriore, e la fa propria per confortarla con ininterrotte implorazioni al Signore, con i sacrifici, la penitenza, l’olocausto della propria vita affinché la Chiesa sia grande, forte, conosciuta, vittoriosa e porti ovunque la sua luce; affinché l’umanità divenga, per decoro e civiltà, quale il Signore la vuole.

Il Papa ricorda altresì alle Religiose che esse, spose del Signore, possono davvero riverberare sulla Chiesa una personale santità, e far sì che la Chiesa possa sempre presentare i fiori del valido impegno. Una circolazione di pensieri, di sentimenti, di propositi, di dolore, anche, e di fiducia deve unirci alla vita della Chiesa, ma non soltanto a quella storica e passata. Bisogna essere tesi verso le mete supreme, e le Oblate di S. Francesca Romana con il fervore, le preci, la comunione con Cristo benedetto possono davvero essere collaboratrici ed apostole; coloro, in una parola, che ottengono da Dio quanto, forse, le attività esteriori di chi lavora nel mondo non riesce a conseguire.

Il Santo Padre conclude esortando le Oblate ad essere sempre più unite alla Chiesa, devote a tanta Madre, fedeli alla Santa Sede e a ricordare sempre, nella preghiera, - così come il Papa farà per loro -, Chi adesso, nel nome del Signore, tutte le benedice.





Mercoledì, 26 febbraio 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Vorremmo avere una parola speciale per ogni gruppo, anzi per ogni persona, e dire a ciascuno come il Nostro animo sia aperto alla comprensione, alla stima, all’affezione per ciascuno di voi.

Che cosa non vorremmo dire, ad esempio, al gruppo, così numeroso e così importante, dei Vigili del Fuoco? Vorremmo che essi sapessero che Noi apprezziamo tale loro qualifica, sappiamo quale dura e coraggiosa preparazione essa richiede, sappiamo quale forza d’animo, quale prontezza, quale audacia essa infonda a chi la fa propria, e sappiamo quali provvidenziali servizi la loro specialità renda alla società in circostanze estremamente pericolose. Mentre manifestiamo a questi cari e valorosi figliuoli la Nostra ammirazione ed il Nostro incoraggiamento, e mentre esprimiamo ai Superiori, agli Istruttori, e a tutti gli appartenenti, alunni o addetti che siano, al glorioso Corpo dei Vigili del Fuoco il Nostro rispettoso e cordiale saluto, Ci sia concesso augurare... che la loro bravura non abbia mai occasione di esercitarsi; o se avvenga che essa debba essere impiegata, contro la furia del fuoco o dell’acqua, il loro valore meriti a loro stessi ed a quanti si rivolge la loro opera, perfetta incolumità!

E che dovremmo dire ai cari e bravi Vincitori del Concorso «Veritas» della Diocesi di Anagni? La Nostra compiacenza vivissima! Il concorso «Veritas» Ci sembra mettere in evidenza le migliori prerogative della nostra gioventù studentesca: la loro intelligenza per le questioni più alte, più ardue, più utili alla vita, la loro sensibilità per i bisogni spirituali del nostro tempo; la loro capacità di sostenere spontaneamente l’allenamento d’una fatica scolastica, per sé facoltativa; la loro magnifica attitudine a studiare insieme e a dare alle proprie convinzioni religiose e morali un’espressione chiara, forte e comunitaria.

Non si può a meno di dire: bravi! a questi figliuoli e di assicurarli d’una Nostra particolare memoria nella preghiera.

Così agli altri, a tutti gli altri, vorremmo avere tempo e modo di qualche particolare conversazione. Ma se ciò non è ora a Noi consentito, daremo a tutti un’esortazione, che il periodo liturgico presente, cioè la Quaresima, Ci mette nel cuore. Sì, la Quaresima offre l’espressione che Ci sembra appropriata a questo momento: che cosa deve dire il Papa a coloro che lo avvicinano durante questa speciale stagione spirituale? Deve dire questo, a Noi sembra: figliuoli, pregate! pregate un po’ di più! cercate di pregare bene! procurate di unirvi alla preghiera della Chiesa, la quale, in questo periodo di preparazione pasquale, moltiplica le sue orazioni e dà ad esse un’esplicazione di riti e di formule ricchissima e bellissima!

Vi confideremo a questo proposito un piccolo, ma significativo episodio, che proprio ieri Ci riempì l’animo di gaudio e di ammirazione. Un signore, molto saggio e molto importante, che in questi anni successivi alla guerra ha ricoperto cariche di grande rilievo e di grande responsabilità, ormai anziano e pensoso della vasta e complicata esperienza accumulata nella sua lunga vita professionale e politica, Ci diceva, quasi cavando dal fondo dell’anima le sue parole: «Santità, sa che cosa, dopo tutto e sopra tutto, ci appare più importante nella vita d’un uomo? La preghiera! Sì, la preghiera». Possiamo fare tesoro di una così aperta e preziosa testimonianza, che conferma l’insegnamento, ricevuto dal Signore, che la Chiesa in questi giorni va ripetendo: «Oportet semper orare et non deficere», bisogna sempre pregare e non smettere mai (
Lc 18,1).

Vi sia di ricordo di quest’udienza l’aver raccolto dalla voce del Papa un così alto e così importante precetto del Signore, quello dell’orazione. Sapete come il Concilio ecumenico ha dato il suo primo pensiero e la sua costituzione proprio per l’orazione. Vediamo se essa può rianimarsi nelle nostre anime! Sarà fortuna per esse, e lo sarà per quanto e quanti abbiamo cari al mondo. Ed è il voto, che a voi consegniamo, avvalorandolo con la Nostra Apostolica Benedizione.





Mercoledì, 4 marzo 1964

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Diletti Figli e Figlie,

In questo breve colloquio, che l’udienza Ci offre con persone, che la più parte non conosciamo, ma che pensiamo a Noi vicine, non solo con la loro presenza fisica, ma altresì col loro animo, col loro cuore, Noi andiamo cercando di leggere nei loro pensieri, e di trovarne uno che Ci metta, un istante almeno, in piena comunicazione spirituale con loro.

E uno dei pensieri, che Ci sembra poter leggere negli spiriti dei Nostri visitatori, è questo: il Papa, ecco il successore dell’Apostolo Pietro. Donde la vostra meraviglia e la vostra devozione. Cioè voi andate pensando a questa derivazione, storica e mistica, che voi giustamente ammirate nell’ultimo ed umile successore del pescatore Simone, da Cristo chiamato Pietro; e state riflettendo come tale derivazione mette davanti ai vostri occhi il carattere apostolico della Chiesa e del Pontificato Romano, la nota famosa dell’apostolicità, ch’è una delle meraviglie, per cui la Chiesa si dimostra visibilmente qual è, istituzione divina.

Ma questa volta Noi vorremmo invitare il vostro pensiero a sostare non tanto sopra questa nota caratteristica della Chiesa, qui più che altrove evidente, quanto sul fatto che Pietro è Apostolo, cioè l’inviato, il messaggero, il missionario, il diffusore, l’araldo, il testimonio, l’ambasciatore qualificato di Cristo e del suo Vangelo.

Il fatto cioè che Pietro è apostolo ci fa pensare, da un lato, all’apostolicità della Chiesa, e dall’altro all’apostolato che è nella Chiesa. E voi, che avete, in questo momento, in questa udienza, lo stimolo a riconoscere il fatto straordinario e meraviglioso della missione apostolica, la quale deriva niente meno che dal Padre celeste (ricordate le parole di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, così Io mando voi»?
Jn 20,21), dovete avvertire la natura e lo scopo del fatto stesso, cioè la diffusione del messaggio di Gesù, diffusione che chiamiamo apostolato.

Perché vi diciamo questo? Perché questo aspetto della missione di Pietro riguarda anche voi ! Non si può avvicinare l’Apostolo Pietro senza sentirsi colpiti, e quasi coinvolti, dalla missione, che il Signore gli ha affidata. E ciò per due capi: il primo è quello della destinazione di quella missione. A chi è destinata? A voi, sì, anche a voi che Ci siete davanti! Per il fatto stesso che voi visitate il Papa siete investiti dell’annuncio evangelico, che emana da lui; e cioè il vostro carattere di figli, di fedeli, di cristiani, di cattolici viene, in un certo senso, illuminato dalla presenza dell’Apostolo, chiamato dal Signore, insieme con gli altri Apostoli, «luce del mondo» (Mt 5,14). E qui allora sorgerebbe la domanda, che ciascuno di voi può porre a se stesso: sono io davvero un figlio fedele, un discepolo sincero, un seguace fervoroso?

L’altro capo non è meno interessante; ed è quello che mostra come l’apostolato si estende, si deve estendere a ciascuno di voi. L’apostolato, nella sua espressione somma ed autentica, è compito del Papa, dei Vescovi, e, in unione con loro, dei Sacerdoti, dei Religiosi, dei Missionari; ma non esclusivamente. Voi sapete. come oggi non solo l’invito, ma l’obbligo dell’apostolato tocca ogni cristiano, veramente fedele. L’apostolato, anche se non è ufficiale, anche se non è organizzato, è ufficio di ogni vero seguace di Cristo. La prova è semplice: non si può essere veri cristiani, senza la carità; non si può vivere la carità, senza amare il prossimo, i fratelli, gli altri.

E vorremmo allora che l’udienza del Papa svegliasse in ciascuna delle vostre anime il senso dell’apostolato, a cui ognuno, nella forma corrispondente alle proprie condizioni concrete, è chiamato. Diverse le forme, ma eguale il senso di responsabilità, che tutti ci deve animare, verso gli altri; eguale la persuasione, che in ogni stato ciascuno può e deve dare testimonianza cristiana e confortare nel prossimo l’adesione a Cristo. Un cristiano indifferente al bene altrui in ordine a questa vitale e indispensabile adesione, non sarebbe un vero cristiano. Un cristiano egoista è una contraddizione in termini. Questo ci insegnò Gesù, questo ci insegnò l’apostolo Pietro, questo c’insegnerà più chiaramente il Concilio, e questo vi ricorda e vi ripete ora il Papa, cercando di render persuasiva la parola con la Sua Apostolica Benedizione.

* * * *

Salutiamo con particolare riguardo e viva affezione i Signori Professori, e gli Alunni, insieme con la loro Signorina Preside Professoressa Giuseppina Farres, della Scuola Media Statale di Roma «Enrico Fermi». Il Nostro piacere nel ricevere una visita tanto gradita è accresciuto dal fatto di sapere che questi Insegnanti e questi Studenti salgono a questa udienza dalla Basilica di S. Pietro, dove essi hanno soddisfatto il precetto pasquale, con libera e sincera professione della loro fede cattolica e con intimo proposito di volervi attingere la diritta e forte ispirazione della loro vita. Signori Professori e cari Studenti, vi accogliamo con immenso gaudio! Ammiriamo nella vostra presenza, qualificata da codesti atti e sentimenti religiosi, uno dei fatti più significativi e più consolanti di questa nostra società contemporanea, così varia e spesso così strana nelle sue espressioni spirituali, e specialmente vi ravvisiamo uno dei fatti più luminosi, più belli e più promettenti della nostra scuola, come quello che dimostra l’adesione, non già stanca e consuetudinaria, ma cosciente e vivace, di Maestri e di Allievi a Cristo, il Maestro, la Luce, la Vita dell’umanità; e vi scorgiamo la fedeltà a quella Chiesa cattolica, che reca nei secoli, e attualizza, qui ed oggi, in questa vostra e Nostra Roma fatidica, il messaggio di verità e di grazia del Vangelo di Cristo.

Figli carissimi ! Siate benedetti per cotesto magnifico atto religioso e morale: esso dice l’apertura della vostra intelligenza ai valori dello spirito; esso testimonia la sincerità morale che vuole guidare la vostra vita. Dovete comprendere l’importanza di cotesto momento di pienezza spirituale: esso immette nelle vostre singole esistenze quel principio di vita divina, che chiamiamo la Grazia, da cui ognuno di voi deriva dignità e forza e gioia e speranza a livello soprannaturale, e per cui ognuno di voi è iniziato ad una nuova e sublime esperienza: quella della conoscenza interiore di Cristo. Vi auguriamo che la vita vi riservi una sempre migliore e più profonda esplorazione dell’incontro, semplice e misterioso, che avete oggi celebrato, e di cui portate a Noi, felicissimi di accoglierlo, l’annuncio filiale.

(Alle Suore della Sapienza il Santo Padre indirizza una speciale parola)

Nous désirons adresser un mot de particulière bienvenue et de paternel encouragement aux Filles de la Sagesse, qui viennent de tenir, aux portes de Rome, leur Chapitre Général.

Nous savons, chères Filles, tout le bien que vous faites en de nombreux Pays, au service des enfants, des pauvres et des malades.

Soyez-en remerciées et félicitées! De tout coeur Nous vous exhortons à poursuivre ces belles activités, dans la fidélité à l’esprit de votre admirable Fondateur, Saint Louis-Marie Grignion de Montfort, dans la collaboration joyeuse avec les autres familles religieuses qui se dévouent à l’apostolat de l’Eglise, et en accueillant de bonne grâce, à l’occasion, les adaptations suggérées par la nécessité des temps et des lieux.

Dans ces sentiments Nous vous accordons, en gage de Notre paternelle bienveillance pour vous et pour toute la Congrégation des Filles de la Sagesse, une large bénédiction Apostolique.





Mercoledì, 25 marzo 1964

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L'udienza, che abbiamo il piacere di aprire, in questo mercoledì santo, Ci fa incontrare una grande folla di pellegrini e di visitatori, tra i quali i gruppi di Studenti sono i più numerosi e certamente i più fervorosi. Agli Studenti pertanto, venuti a questo incontro, rivolgiamo specialmente il Nostro saluto. Siate i benvenuti, figli carissimi, e sappiate tutti, sappia ognuno, che il Papa accoglie gli Studenti delle varie Scuole, qui rappresentate, con paterna predilezione. La Nostra affettuosa accoglienza si rivolge anche ai loro rispettivi Direttori e Insegnanti, la cui missione educativa e scolastica valutiamo alla luce di Dio come altissima e degnissima d’ogni migliore incoraggiamento. Naturalmente il Nostro saluto si estende con eguale affetto anche a tutti gli altri gruppi, ai presenti tutti, qua venuti in attesa di qualche spirituale conforto: siate tutti, diletti Figli e Figlie, e voi pure visitatori, viaggiatori e turisti di passaggio, cordialmente salutati e benedetti.

Ci sentiamo obbligati a fare speciale menzione della schiera dei cinquecento Studenti di Mondovì, guidati dal loro venerato e zelante Arcivescovo-Vescovo Monsignore Carlo Maccari, al quale porgiamo l’espressione della Nostra compiacenza per questa sua prima visita a Roma dopo il suo ingresso nella bella diocesi piemontese, e Ci piace assicurarlo che a Roma, dove egli ha tanto operato, la sua memoria è sempre viva ed onorata, e dove la sua predilezione per l’apostolato studentesco diede tali prove da indurre a credere che dura tuttora e trova nel presente pellegrinaggio una sua fedele e promettente conferma. Facciamo voti che tale provvido ministero, tanto conforme alla missione del Pastore e del Maestro, e sempre guidato dalla luce saggia ed amorosa della pedagogia cattolica, valga ad ottenere a lui, come a quanti si dedicano alla assistenza alla gioventù studiosa, le più grandi e consolanti soddisfazioni, e valga a meritare agli Studenti e alla Scuola nostra la fortuna delle più alte e delle più sincere espressioni della vita giovanile, buona, sana, intelligente e cristiana.

Vorremmo profittare di questo breve momento per fissare negli animi di quanti sono presenti un ricordo spirituale benefico e, anche in futuro, operante.

Ebbene, altro non può riguardare questo pensiero di ricordo che la Pasqua imminente. Noi vorremmo esortare voi tutti a profittare della vostra presenza a Roma durante questa massima festa cristiana per meglio penetrare nello spirito della grande celebrazione liturgica e per meglio partecipare ai sentimenti, ai riti, alle grazie dei misteri della nostra Redenzione. Non vi sia distrazione, ma istruzione ed attrazione l’interesse del viaggio; non si fermi il vostro sguardo sulla scena esteriore delle cose nuove, belle e grandi che vedete; ma cerchi il vostro animo di far concorrere la visione di Roma, le meraviglie e le emozioni del suo volto singolare e misterioso, ad una più intima comprensione della Pasqua cattolica. Da turisti, diventate pellegrini; e da pellegrini, fedeli attenti e devoti. Roma; che vi conduce al Papa, vi faccia anche arrivare a Cristo. È il Papa che a Lui vi dirige! Pensate che la nostra religione ebbe qui, a Roma, l’espressione del rito che noi da secoli pratichiamo, e che è il più diffuso nel mondo: il rito romano. Qui si può meglio intendere non solo l’origine, ma lo spirito della liturgia. Se, ad esempio, andate a visitare il battistero di S. Giovanni in Laterano, che risale a Costantino e che fu costruito, un secolo dopo, da Papa Sisto III, potrete leggere sull’architrave dell’edificio ottagonale la famosa iscrizione sulla teologia del battesimo, nella quale, tra l’altro, si dice: «Questo è il fonte della vita, che scorre per tutto il mondo, e che trae la sua sorgente dalla passione di Cristo» (cfr. Duchesne, Liber Pont., 1, 236).

Vi auguriamo cioè che la Pasqua romana vi sia propizia per alti pensieri e per grandi propositi; essa vi faccia accostare i sacramenti pasquali con maggiore adesione alla loro santificante e beatificante efficacia; e sigilli in voi la memoria di sante e confortanti impressioni di fede e di pietà.

Vi daremo a questo fine il Nostro paterno augurio di buona Pasqua, e lo muniremo della Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 1 aprile 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Abbiamo, come vedete, un’udienza assai numerosa e composta da molti gruppi di diversa provenienza. Noi diamo a tutti un paterno saluto, a tutti un eguale augurio, che la Pasqua, ora celebrata, rende particolarmente vivo e pieno di spirituali intenzioni. Noi chiediamo al Signore che la vostra venuta a Roma, in questa grande festa cristiana, segni nelle vostre anime ricordi benefici ed impressioni profonde.

Noi accenniamo semplicemente ad una di queste impressioni, che è caratteristica a questo incontro di fedeli d’origine diversa intorno ad unico centro di fede comune e di comune carità; è cioè la visione, resa evidente dall’affluenza di tanti pellegrini, delle due note distintive della Chiesa: la sua unità (non la vedete, non la sentite, non la gustate questa unita nell’udienza stessa che stiamo svolgendo? non siete tutti della stessa fede? non siete tutti fratelli d’una stessa famiglia, e figli d’uno stesso Padre comune? e non è bella, non è meravigliosa questa unità, non esteriore, ma interiore; non interessata, ma amorosa; non costretta, ma libera; non occasionale e passeggera, ma stabile e ferma?).

E poi la cattolicità della Chiesa, cioè la sua universalità.

La Chiesa è una casa dove tutta l’umanità è invitata ad entrare; e voi venendo a Roma, nella casa del Papa, siete in casa vostra. Vedete come unità e cattolicità si corrispondono? vedete come qui si realizzano? É uno spettacolo, che non deve essere guardato soltanto dal di fuori, ma capito dal di dentro, cioè nei principii che lo rendono possibile e meraviglioso.

Vi ricorderemo una parola di San Paolo, che qui sembra echeggiare e realizzarsi: «Sforzatevi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace; (voi formate) un corpo solo, un solo spirito...; uno è il Signore, una la fede, uno il battesimo; uno Iddio e padre di tutti, colui che è sopra tutti, e per tutti, e in tutti» (
Ep 4,3-5). Così S. Paolo. E la sua parola, qui, a Roma, nella città di S. Pietro, si direbbe che si è fissata e si è incisa nella pietra; .se andate a visitare il battistero di S. Giovanni in Laterano, che, come sapete, è la Chiesa cattedrale di Roma e la prima Chiesa del mondo per la sua autorità, potrete leggere nella famosa iscrizione dell’architrave, queste parole: «nulla renascentium est distantia, quos facit unum, unus fons, unus Spiritus, una fides . . .»; e cioè: «non esiste alcuna distanza fra coloro che sono resi una cosa sola da uno stesso fonte battesimale, da uno stesso Spirito, da una stessa fede» (cfr. Duchesne, Liber Pont. 1, 236).

Portate con voi da Roma questo ricordo: della Chiesa una, della Chiesa universale, cioè cattolica. Oggi che tanto si parla, a causa del Concilio ecumenico, di queste prerogative della Chiesa, fondata da Cristo, della sua unità e della sua ecumenicità, cercate di apprezzarle profondamente, come il disegno divino nella storia umana, e come l’impegno umano a rendere conforme al disegno divino la nostra vita. Pregate per la Chiesa. Confermate alla Chiesa l’adesione dei vostri cuori. Chiedete al Signore che ci dia la grazia di riabbracciare nella stessa fede e nella stessa carità, i fratelli cristiani separati, e di poter diffondere nel mondo, per tutti, il Vangelo di Gesù Cristo.

Noi siamo sicuri che voi accogliete di buon grado queste Nostre esortazioni, e Noi ne confermiamo la memoria ed il merito nelle vostre anime con la Nostra Apostolica Benedizione.






Paolo VI Catechesi 50264