Paolo VI Catechesi 61163

Mercoledì, 6 novembre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci è molto gradita, come quella di fedeli, che Noi non solo riceviamo volentieri, ma che ammettiamo alla partecipazione dei sentimenti e dei pensieri, che occupano il Nostro animo in questi giorni, e che hanno due sorgenti principali, a voi pure ben note: il Concilio Ecumenico e la celebrazione del quarto Centenario della istituzione dei Seminari. Voi potete comprendere quanto interesse abbiano per Noi temi di così grande importanza: essi riempiono il Nostro animo di sollecitudini, di speranze, e di preghiere; essi riguardano la vita della Chiesa nei suoi aspetti fondamentali.

Ed è questa considerazione che Ci mette sulle labbra una paterna questione: sono questi pure i vostri pensieri? Venendo a Roma e visitando il Papa, non sorge nei vostri animi il pensiero che anche voi dovete, in qualche forma, interessarvi ai grandi problemi della Chiesa?

Noi vorremmo che questa Udienza ricordasse a ciascuno di voi questo dovere, questa fortuna: anch’io devo interessarmi della vita della Chiesa; anch’io devo sapere quali sono le questioni che la riguardano, quali le sue necessità, le sue difficoltà, le sue sofferenze e le sue consolazioni.

Vi sono molti cattolici che vivono nella Chiesa senza nemmeno pensare alla loro appartenenza alla Chiesa stessa, al Corpo mistico di Cristo, e senza riflettere che essi dovrebbero sentire in se stessi ogni dolore e ogni gioia della Chiesa. Dice S. Paolo: noi formiamo un corpo solo «e tutti siamo imbevuti di unico spirito . . . se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono con esso, e se ha benessere un membro, tutte le altre membra godono con esso» (
1Co 12,13-26).

Se il Concilio avrà fra gli altri risultati positivi anche quello di accrescere la coscienza ecclesiale dei cattolici, avrà ottenuto uno dei migliori suoi frutti. E questo frutto, figli carissimi, deve maturare in ogni fedele, in ciascuno di voi perciò, che venendo a Roma ed ascoltando la voce del Papa vi sentite esortare così: Nessuno deve essere estraneo alla vita della Chiesa. Ogni cristiano può e deve avere conoscenza dei suoi grandi problemi. Ognuno deve sapere che il Signore lo ha chiamato ad avere un posto nella Chiesa, ciascuno deve rispondere ad una sua vocazione, ciascuno deve sentirsi in comunione con la grande, universale famiglia di Cristo. Bisogna che la nostra formazione cattolica allarghi d’intorno a noi gli orizzonti: dobbiamo vedere la scena del mondo come il campo di Dio, dove anche noi dobbiamo operare.

La conoscenza dei problemi della Chiesa e la preghiera per la loro felice soluzione darà ampiezza e darà merito alla vostra vita spirituale; ed è ciò che Noi desideriamo per voi, come ricordo e frutto di questa Udienza, dando a ciascuno di voi la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 13 novembre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

Noi vi diremo con quali sentimenti riceviamo la vostra visita. Innanzi tutto: con grande letizia. Ed ogni circostanza di questa Udienza la produce e la accresce: il vostro numero! Quanto Ci fa piacere la vostra moltitudine! Essa Ci ricorda una parola della Sacra Scrittura: «Il popolo che è qui riunito l’ho visto con grande gioia» (
1Ch 29,17). E Ci fa pensare che davvero la Chiesa è una grande famiglia ! Così la vostra provenienza: voi venite da tante parti diverse, e Ci portate la testimonianza della fede delle regioni più varie; e venite da lontano, affrontando spese e disagi del viaggio per incontrarvi con Noi: come non potremmo rallegrarci della vostra premurosa e filiale bontà? Come non sentire il conforto della vostra presenza, così piena di entusiasmo spirituale? Ma soprattutto il fatto che voi siete cristiani, che voi siete cattolici, Ci riempie di gaudio: voi Ci siete fratelli, voi Ci siete figli, voi siete a Noi uniti dalla comunione della fede e della grazia, voi siete con Noi in quel regno della carità di Cristo, che non può non dare segno di sé, nelle vostre anime, se non con la letizia e con la pace, che sono i primi frutti della grazia, come ripete S. Paolo: gratia et gaudium, gratia et pax.

Ed ecco allora nel Nostro spirito un altro sentimento: di riconoscenza. Di riconoscenza per codesta visita, a Noi tanto cara, e per quanto essa Ci lascia capire: chi viene dal Papa, viene per testimoniargli devozione, affezione, fedeltà. Non sono questi i vostri pensieri in questo momento? E se tali sono, non dobbiamo Noi, carissimi Figli e Figlie, esservene obbligati? E non possiamo Noi supporre che la vostra venuta mette nelle vostre anime nuove preghiere per il Papa, per la Chiesa, per il mondo? E cotesto vostro dono di preghiere e di amore filiale è parimente per Noi motivo di gratitudine.

E così succede in Noi un altro sentimento, tanto grande e tanto ricco, che non possiamo esprimerlo in poche parole: è la Nostra affezione per voi. Vorremmo che ciascuno di voi fosse assicurato di questa Nostra affezione: essa è piena di desideri, come quella d’un padre, per il vostro bene. Vorremmo che questo incontro col successore di S. Pietro fortificasse in voi la fede in Gesù Cristo, vorremmo che crescesse in voi la gioia di appartenere alla sua Chiesa, vorremmo che sorgessero in voi nuovi propositi di vita cattolica, vorremmo che voi diventaste bravi e fervorosi nel dare sempre buona testimonianza del vostro carattere cristiano, vorremmo specialmente - e ne faremo motivo di preghiera al Signore - che molte, molte grazie divine avessero a riempire le vostre anime, a consolarle, a santificarle, a guidarle nei sentieri della vita con la serenità e la felicità, che solo il Signore sa dare.

Vedete quanto è grande e fecondo di voti e di speranze il Nostro affetto per voi! Vogliate averne ricordo; e ve ne sia pegno la Benedizione Apostolica, che di cuore impartiamo a ciascuno di voi.



Mercoledì, 20 novembre 1963

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Diletti Figli e Figlie,

La vostra presenza e il vostro saluto Ci fanno pensare ad una parola dell’Apostolo Paolo. Egli scrive che tre anni dopo la sua conversione volle andare a Gerusalemme per «videre Petrum» (
Ga 1,18), per conoscere e per consultare l’Apostolo Pietro; e questa visita dovette avere una grande importanza «per l’orientamento spirituale di Paolo» (Ricciotti).

Anche voi, carissimi figli e figlie, come tanti altri pellegrini, ed ora come tutti i Vescovi del mondo riuniti in Concilio, siete venuti a Roma e siete arrivati qua per «videre Petrum», per vedere S. Pietro, il Principe degli Apostoli, il fondamento della Chiesa, il suo capo visibile, il Vicario di Cristo, nella persona, ultima e minima, del Suo successore. Siete qua giunti per vedere il Papa, per poter dire che lo avete conosciuto ed ascoltato, e per essere da lui confortati e benedetti.

Questo incontro perciò, anche se tanto breve, ha un’importanza particolare, che voi farete bene ad esplorare e a ricordare. Qual è il valore di codesta visita al Papa? è soltanto la soddisfazione d’una curiosità turistica? No; Noi pensiamo di leggere nei vostri animi se diciamo che per voi questa visita ha un significato speciale; è così un atto di riflessione sulla forma storica ed umana, con cui si presenta al mondo ed a voi la religione cattolica. La nostra religione si presenta come una società, spirituale e visibile, divina e umana, che vive e sopravvive da venti secoli, composta indistintamente da chiunque vi voglia entrare, di qualsiasi razza o nazione, di qualsiasi condizione sociale (cfr. Col 3,11) e dove tutti sono fratelli e tutti uniti, ma dove esiste un’organizzazione, una Gerarchia, da Cristo stesso istituita, nella quale in primo luogo sono gli Apostoli (cfr. 1Co 12,28), cioè i Vescovi, e alla loro testa Pietro, cioè il Papa. E voi, venendo a visitare il Papa, prendete coscienza di questa società, a cui voi stessi appartenete, e che si chiama la Chiesa, la quale è tutta fondata sulla pietra, posta da Gesù stesso, sul Papa.

È una riflessione semplice, ma assai importante e interessante; anche perché essa si trasforma subito in un atto di ammirazione, di accettazione, di adesione, di gioia; cioè in un atto di fede. Questa Udienza, sì, è una professione di fede!

Comprendete allora, figli e figlie, come questo momento possa essere benefico per tutta la vostra vita. Voi qui fate atto di adesione filiale e sincera al Papa e alla Chiesa. Cotesto atto implica un altro atto, che deve orientare tutta la vostra vita: è la scelta della maniera cattolica di pensare e di agire; la fede diventa fedeltà! Non solo: una certa inquietudine sorge nelle anime di chi, davanti al Papa, propone a se stesso la fedeltà come programma della propria vita; e cioè il bisogno e il desiderio di estendere ad altri, a tutti se fosse possibile, la fortuna, che voi possedete, di essere fedeli cattolici; nasce cioè lo stimolo interiore alla testimonianza cristiana, all’apostolato. La fede accende la carità!

Vedete che cosa può significare quest’ora per la vostra anima: vedere il Papa, credere nella Chiesa e nella sua autorità, promettere fedeltà alla concezione cattolica della vita, e dare alla carità il suo principio e la sua energia!

È questa perciò un’ora grande e bella, che Noi vogliamo rendere stabile e feconda nei vostri cuori, con la Nostra preghiera e con la Nostra Benedizione.



Mercoledì, 27 novembre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

A Noi sembra di leggere nei vostri cuori, in questo momento, così pieno di significati spirituali e così aperto alle più spontanee e filiali espressioni; e Noi indoviniamo che due sentimenti principali riempiono i vostri animi: il primo, è un sentimento di devozione a Cristo e alla sua Chiesa, e si manifesta nel vostro omaggio cordiale al Vicario di Cristo e al Capo della Chiesa, cioè al Papa; il secondo, è un sentimento di desiderio d’ottenere la sua benedizione, e di sperimentare così qualche cosa della bontà divina a vostro riguardo.

Ebbene, per cotesto primo sentimento di devozione Noi vi elogiamo e vi ringraziamo. Non è alla Nostra umile persona che si ferma il vostro omaggio; è al Signore che risale, è a lui che si esprime con atti di fede e di amore; è alla sua Chiesa ch’esso manifesta la sua ferma e lieta adesione. Noi non possiamo non essere felici che tale profondo e complesso sentimento trovi in questa Udienza uno stimolo vivo e originale, e venga così a occupare le vostre anime di nuova e buona ricchezza interiore, riaccenda il vostro fervore religioso e accresca in voi la coscienza di quella fortuna, che il Signore vi ha concessa, d’essere cristiani, d’essere cattolici. Se la visita al Papa mette in voi questi grandi e gaudiosi pensieri, dobbiamo definirla un momento di luce, che Noi stessi auguriamo sia orientatore per tutta la vostra vita.

Quanto poi al secondo sentimento, quello che vi fa desiderare la Nostra benedizione, Noi siamo lietissimi di potervi dire che Noi vi corrispondiamo con tutto il cuore. Vorremmo potervi spiegare che cosa sia una benedizione: S. Ambrogio la definisce il votivo conferimento di una santificazione e di grazie particolari (cfr. De Patriarchis 11, 6); cioè una invocazione qualificata per rendere sacra una persona o una cosa, e per ottenerle da Dio qualche speciale favore. Ed è ciò che vogliamo fare Noi oggi a vostro riguardo. Noi volentieri impegniamo il Nostro ministero pontificio, pregando Iddio che voglia colmare, innanzi tutto, le vostre persone della sua grazia; e, come dice l’Apostolo, «vi dia Spirito di sapienza e di luce, nella piena conoscenza di Lui e siano illuminati gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza Egli vi ha chiamati» (
Ep 1,17-18); cioè le vostre anime siano rivestite «con ogni benedizione spirituale, celeste, in Cristo» (ib. 3).

E poi questa invocazione si estenderà a favore delle persone che vi sono care, affinché sia vivo e santo l’amore che a loro vi uni-sce e anche su di loro sia diffusa la benevolenza e la protezione divina. Così vogliamo benedire le vostre famiglie, le vostre parrocchie e le vostre diocesi; così la vostra nazione, e così gli ambienti in cui si svolge la vostra attività: le case, le scuole, gli uffici, le aziende, le caserme, gli ospedali, le chiese, dove voi ritornerete; ed ancora vogliamo mettere sotto l’effusione della bontà divina le categorie di persone che di essa hanno maggiore bisogno: i bambini, la gioventù, i lavoratori, i poveri, i sofferenti, tutti.

E finalmente intendiamo benedire gli oggetti di devozione che portate voi, affinché anch’essi siano sacri ed abbiano virtù di ottenervi nuovi benefici dalla divina misericordia. Siate quindi sicuri che non mancherà alla conclusione di questo incontro la Nostra larga e paterna Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 4 dicembre 1963

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Abbiamo tutti ascoltato questa mattina - incomincia il Santo Padre - con grande devozione e, c’è da ritenere, con non poco profitto, la bellissima orazione con cui il Signor Cardinale Urbani, Patriarca di Venezia, ci ha intrattenuti sull’alto tema del Concilio di Trento, in una cornice che non poteva essere più imponente di quella presentata dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

E già mentre l’oratore illustrava la storica ricorrenza, Sua Santità ha pensato come assai difficilmente potranno vedersi cose più meravigliose, più stupende ed istruttive di quelle che le adunanze conciliari presentano. È un panorama completo di storia, di teologia, di vita umana, di ecumenismo magnifico. Nulla potrà esservi di maggiormente elevato e significativo.

Da ciò la viva letizia del Padre delle anime nel rilevare, adesso, che proprio la città di Trento ha offerto, in modo speciale, l’occasione di prospettare una realtà consolantissima.

Invero è motivo di somma, comune gioia il fatto che la celebrazione del IV centenario della chiusura del Concilio di Trento assuma spiccata solennità. Il ricordo del Santo Padre torna volentieri lontano, di un ventennio, nel passato, e precisamente agli anni 1943-44, quando ricorreva il IV centenario dell’inizio del Concilio medesimo. Egli rivede ancora, nella sua mente, l’incontro che, Sostituto della Segreteria di Stato in quel tempo, Egli ebbe con un benemerito rappresentante delle terre trentine. Era Alcide De Gasperi, allora umile impiegato alla Biblioteca Vaticana, il quale si faceva premura di chiedere: «Che cosa possiamo fare in questo momento, fra le attuali, gravi e angosciose difficoltà, per, celebrare il Concilio di Trento?». La risposta fu, il più possibile, incoraggiante: e alcuni pregevoli articoli del De Gasperi e di altri studiosi apparvero infatti su L’Osservatore Romano. Fu dunque una commemorazione volenterosa, ma dovuta effettuare con certa semplicità e modestia. Ora invece, grazie al Signore, l’epilogo del Concilio Tridentino è rievocato in piena risonanza, con manifestazioni dense di ammaestramenti salutari, sia in rapporto a quel grandissimo evento nella storia della Chiesa, sia per la città che ne fu degna e a giusto titolo lo ricorda, e, infine, per la intera Chiesa, che oggi attende ad ancor più vasto ed universale Concilio.

Trento! I ricordi del Santo Padre vogliono risalire ad anni ancor più remoti. Piccolo fanciullo, Egli, nella propria casa, rimase edificato da alcune buone persone che venivano dal Trentino e che, col loro accento, con il vivace linguaggio veneto, tenevano a dichiarare con aria di ben comprensibile fierezza: Trento, città cattolica!

Che Trento sia città cattolica ed offra a Roma e al mondo la sua celebrazione faustissima, è circostanza veramente di intensa letizia per tutti: lo è per i cattolici di Roma e per i trentini stessi. Trento, in questa celebrazione, si dimostra cattolica non soltanto per il titolo della sua professione di coerenza, di fedeltà al patrimonio della religione, ma anche nel senso della irradiazione universale, poiché - ben lo sappiamo - il Concilio di Trento ha superato i precedenti Concili nell’arricchire splendidamente gli annali della Chiesa, della civiltà, degli studi, dell’autentico benessere nel mondo intero.

Dopo avere accennato al recente Congresso storico, che nella illustre città si è svolto e alla udienza poco prima accordata al Cardinale Urbani, Legato Pontificio per le imminenti giornate rievocatrici, Sua Santità ha ripreso il tema delle celebrazioni.

Esso ci è caro - Egli ha detto - perché questa parola celebrare ha un significato molto denso. Vuol dire, anzitutto, conoscere la nostra storia, le diverse fasi del Concilio di Trento; ciò costituisce un grande beneficio culturale e un motivo assai fecondo per ogni genere di ricerche.

Celebrare, inoltre, significa rivivere; e questo sembra molto opportuno per i tempi nostri, poiché una sorgente, lontana da noi quattro secoli, continua ad offrirci limpidi e adeguati ausili per il nostro pensiero e per la nostra attività religiosa. Celebrare, infine, vuol dire profondere la ricchezza di dottrina del Concilio di Trento, sempre degna della massima considerazione, sempre attuale. Non si tratta di una semplice memoria del passato, ma di qualcosa che si tramanda e che, ai giorni nostri, rappresenta valido baluardo e difesa in senso cristiano e cattolico.

Dobbiamo essere felici che la storia non si sia fermata, ma prosegua in questa provvidenziale vitalità; e non solo proponga il ricordo dell’incomparabile evento, ma serva a rendere operanti i punti essenziali del Concilio di Trento: ortodossia della fede; riforma dei costumi; preparazione e zelo per lanciare un ponte ai fratelli separati.

L’Augusto Pontefice ha sottolineato i possibili raffronti fra il Concilio Tridentino e il Vaticano II, ora in pieno svolgimento e che mira a chiarezza e a vigore di impegni per dirimere le confusioni di idee e le minacce derivanti dai molteplici errori del nostro tempo. La Chiesa promuove opera di rinnovamento. Essa presenta agli uomini la divina Legge, la Redenzione; e desidera che, in tutti i suoi figli, la vita abbia carattere di autenticità, testimonianza e forza di convinzione per gli altri. Non desisteremo mai dall’aprire le braccia ai fratelli lontani. Un tale fervido apostolato non deve aver soste; è ininterrotto dal Concilio di Trento ai successivi lavori del nostro Vaticano II. Da Paolo III a Paolo VI - ben lo si può dire in virtù della evidente assistenza divina - la via luminosa della fede si dispiega e giunge ad ogni auspicata, eccelsa mèta.

Sua Santità conclude esprimendo il desiderio che l’opportuna iniziativa della celebrazione del Concilio di Trento rechi, anzitutto, un suo vantaggio locale. Lavorino i trentini, figli di nobile e forte regione, a far rivivere ed accogliere la eredità del grande Concilio, sia per confermare in se stessi una fede da offrire in esempio a tutte le diocesi della cattolicità, sia per divenire ognor più generosi alfieri, rappresentanti della perenne, coerente adesione all’insegnamento del Salvatore. Possano quei diletti figli, per primi, avvertire i risultati di tanto dono. Lungi dall’essere legati solo al passato, occorre sentirsi, oggi più che mai, sospinti ad una perfetta dignità di vita cristiana; e perciò conseguire, come quel Concilio già indicava, la concordia, la pace, la prosperità e la benedizione su la propria terra, su tutte le genti.



Mercoledì, 11 dicembre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

Questa udienza, pare a Noi, raccoglie gli echi spirituali del Concilio Ecumenico, che, una settimana fa, chiudeva qui solennemente la sua seconda sessione.

E l’eco principale qual è? È quello che ci porta la voce della Costituzione sulla Sacra Liturgia. Ne sentirete parlare ancora e molto. Intanto noi ascoltiamo la parola di questa grande assemblea dei Pastori della Chiesa cattolica, che ci dice: primo dovere, prima riforma, primo annuncio al mondo: bisogna pregare bene!

Avete mai sentito l’accusa fatta alla Chiesa cattolica di dare primaria importanza alle sue leggi canoniche, alla sua autorità visibile, alla sua organizzazione esteriore e terrena, in confronto della vita interiore e propriamente spirituale e religiosa? Se sì, ecco una bella risposta, che difende la Chiesa e dice la realtà della sua vita: l’autorità della Chiesa, nella sua più solenne espressione, ha dato, anche questa volta, l’importanza prima e superiore a tutte le altre manifestazioni possibili dell’organismo ecclesiastico, alla preghiera, cioè al colloquio con Dio, all’attività propriamente religiosa e spirituale, alla sua vita interiore nell’atto di comunicare, mediante Cristo ed il suo Sacerdozio, con il mondo divino.

Vedete: autorità e spirito, come si corrispondono, come l’una serve all’altro nella realtà religiosa della Chiesa! Non si oppongono, non si escludono; ché anzi l’autorità della Chiesa, il Sacerdozio nel suo magistero e nel suo ministero, altro non fa che alimentare e dirigere la spiritualità vera dei fedeli, per corrispondere, secondo la parola di Gesù, al desiderio del Padre celeste, che cerca veri adoratori che lo adorino «in spirito e verità» (cfr.
Jn 4,23).

Questo insegnamento, che risulta dal Concilio, può essere salutare e benefico anche per voi tutti; e ne potete fare il ricordo di questo incontro col Papa. Che cosa, infatti, vi dice e vi ripete il Papa, se non quello che l’esempio del Concilio ci insegna? pregate, pregate bene, pregate con la Chiesa; pregate col suo Sacerdozio, che nella santa Liturgia ha il potere di rappresentare Cristo in mezzo al popolo fedele, anzi di renderlo misteriosamente presente ed operante.

E questa raccomandazione, che vale sempre, è ora più opportuna, mentre ci prepariamo al Natale: pregate bene, pregate per la Chiesa, per incontrare il Signore. Chi può dire quante grazie può portare un Natale bene celebrato? quante buone ispirazioni, quante nuove energie di virtù cristiane, quante grazie divine?

E con l’esortazione a bene pregare, derivata dal Concilio e suggerita dal prossimo Natale, vi sarà il Nostro augurio migliore per ciascuno di voi: che Cristo possa in voi rinascere e rivivere, e riempire le vostre anime, le vostre case, le vostre rispettive comunità, civili o religiose, della sua grazia e della sua pace.

Questo sia: con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 18 dicembre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

Vi salutiamo tutti di gran cuore, con quella vivacità di sentimenti e di voti, che la prossima festa del Santo Natale mette nell’animo Nostro. La vostra venuta Ci sembra pervasa dallo spirito di questa santa ricorrenza, e accresce in Noi la compiacenza della vostra visita, come se fosse quella di figli che cercano e gustano la gioia di trovarsi nella casa paterna e sono contenti di godere un momento di spirituale intimità.

E così per Noi, che nel pensiero della festività natalizia sentiamo più vivi i vincoli di carità che ci uniscono tutti a Cristo Signore, e che in Lui ci stringono nella parentela spirituale che fa di voi tutti Nostri fratelli nella fede e nella carità, e Nostri figli nella santa famiglia della Chiesa.

Il Natale viene perciò a farci meglio comprendere la comunione di sentimenti e di grazie della vita cattolica; ed in questa comunione Noi vi esprimiamo i Nostri migliori auguri per la prossima dolcissima festa.

Ci pare tanto prezioso questo momento, che ne profittiamo per aggiungere ai Nostri voti alcune paterne esortazioni per la migliore celebrazione del vostro Natale. Sono esortazioni molto ovvie, ma forse non vi farà dispiacere ascoltarle dalla Nostra voce.

Il vostro Natale: vogliate, innanzi tutto, celebrarlo religiosamente. Sembrerebbe superflua e quasi offensiva una simile raccomandazione, se non si sapesse che la Festa per eccellenza cristiana, quella della nascita di Gesù Cristo nel mondo, quella dell’Incarnazione del Verbo di Dio, viene a subire, al tempo nostro e in una società come quella che ci circonda, sempre più profana e insensibile al senso ed al valore delle feste cristiane, tante alterazioni, alcune puramente esteriori e comprensibili, altre più profondamente rivolte a dare al Natale altre forme, che non quelle pie e sacre dei suoi riti religiosi, del suo presepio, dei suoi pensieri umili e sublimi relativi a tanto mistero. Voi procurate che il vostro Natale sia religioso, dicevamo; vi trovi tutti presenti di persona e di spirito alle sacre funzioni; e vi imprima nell’anima pensieri e propositi degni di cristiani che celebrano il primo, commovente incontro con Gesù, fatto piccolo e povero per essere nostro fratello, nostro esempio e nostro Salvatore.

Poi: conservate al vostro Natale il suo carattere di festa domestica. Gesù, nascendo al mondo, ha santificato la vita umana, nella sua prima età, l’infanzia; ha santificato la famiglia, la maternità specialmente; ha santificato la casa umana, il nido degli affetti naturali più cari e più comuni; ha santificato la nostra vita qual è, nei suoi affetti, nelle sue vicende, nelle sue prove, nei suoi lavori, nei suoi terreni e poi nei suoi celesti destini. Fate di godere il vostro Natale, per quanto possibile, con i vostri cari, date loro il dono della vostra affezione, della vostra fedeltà a quella famiglia da cui avete ricevuto l’esistenza e certo con essa l’iniziazione cristiana e l’educazione. Portate, a nome Nostro, ai vostri focolari un saluto speciale, un augurio speciale, una benedizione speciale, proprio nello spirito familiare del Santo Natale.

E infine: vi raccomandiamo il ricordo dei Poveri. Sappiamo che questo ricordo è molto diffuso; e ne siamo lietissimi. La beneficenza natalizia è tuttora un segno di bontà cristiana e di civiltà. Anche voi, ne siamo sicuri, nel giorno in cui adoriamo il Signore fatto povero per amor nostro, vi ricorderete con premura spontanea e gentile di coloro che hanno bisogno di aiuto. I bisogni sono tanti, e non farete fatica a individuare quelli che vi sono vicini, o che sono a vostra portata; e Noi fin d’ora vi lodiamo della carità che, in occasione del Natale, voi certamente praticherete. Due raccomandazioni complementari, se mai, aggiungiamo alla principale; che la vostra carità comporti qualche sacrificio, qualche rinuncia ed abbia così il valore ed il merito delle cose che costano; e che la compiate, la vostra carità, per amore del Signore: questo è il motivo che le dà una dignità superiore ed un titolo alla ricompensa divina.

Così il Natale sarà bello veramente, e vi meriterà molti favori da Gesù, nel nome del Quale vi diamo a tutti la Nostra Apostolica Benedizione.





MISSIONE PERSONALE ATTIVA DEL GIORNALISTA CATTOLICO Domenica 22 settembre 1963

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L'omaggio al Santo Padre degli iscritti alla Unione Cattolica Stampa Italiana è di quelli che, per la provenienza e l'entusiasmo di fede con cui sono espressi, restano indelebili perchè accompagnati da salde, permanenti risoluzioni.

E da rilevare subito, in questa circostanza, l'affabilità dimostrata dal Supremo Pastore; la sua conoscenza profonda della professione giornalistica, dei meriti insigni che possono, anzi devono ornarla; dei pericoli gravi per mancanza di ossequio alla verità e di rispetto per il prossimo; delle difficoltà non lievi che circostanze e passioni possono mutare in risultati disastrosi.

La riuscitissima udienza si svolge domenica 22 settembre 1963 nell'aula della Benedizione: presenti i partecipanti al convegno nazionale dell'Unione Cattolica della Stampa Italiana (U.C.S.I.), iniziatosi sabato 21 settembre a Bolsena, nel VII centenario del Miracolo eucaristico.

Con i giornalisti sono il Consulente Ecclesiastico dell'U.C.S.I. Mons. Fausto Vallainc, il Presidente Dott. Raimondo Manzini, Direttore de L'Osservatore Romano, con i vice Direttori e il Consiglio Nazionale dell'Unione. Presenti altresi numerosi direttori di quotidiani e riviste cattoliche; il Direttore della Radio Vaticana Padre Stefanizzi; autorevoli rappresentanti della cultura, dell'arte, del giornalismo.

AFFABILE SALUTO

Parlare a Giornalisti! c'è di che tremare: i Giornalisti sono i professionisti della parola, sono gli esperti, gli artisti, i profeti della parola! Si puo riferire ad essi cio che Cicerone dice dell'oratore " omnia novit "; il giornalista sa tutto; la virtualità del suo pensiero e del suo linguaggio è tale da mettere in imbarazzo chiunque osi colloquiare con lui, anche se l'interlocutore ha una sua parola grave e densa da proferire; la quale pero, a confronto di quella agile, duttile, felice del giornalista, resta timida e stentata e quasi dubbiosa di venire alle labbra.

Parlare a Giornalisti! c'è di che temere: essi sono pronti ed abilissimi a carpire una parola, un'allusione, una frase, e a trovarvi dentro cento significati; e ad attribuirvi quello che essi vogliono; la loro curiosità e' una rete tesa, in cui l'incauto che vi si appressa, candido ed ingenuo, cade facilmente, assalito da questioni inattese, da domande compromettenti, da giudizi imprevisti, liberi ed audaci, talvolta inesatti e spietati.

Parlare ai Giornalisti! c'è di che supporre cio essere superfluo :essi sanno tutto, dicevamo; essi non cambiano certo parere: essi si considerano semplicemente dei trasmettitori delle parole altrui e dei fatti che non li riguardano; si puo sospettare ch'essi siano, in fondo, un po' scettici, quasi indifferenti, troppo scaltriti nel classificare le opinioni altrui per subirne l'influsso e per dare a cio ché ascoltano altro peso che quello professionale, l'interesse cioè per il loro giornale e non per la loro anima.

DUPLICE CONSIDERAZIONE

Queste sono le prime reazioni interiori, che sorgono anche nel Nostro animo all'invito che questo incontro ed altri simili pongono ad un colloquio con Giornalisti. Occorrerebbe almeno tempo e modo per distendere qualche pensiero ordinato e meditato; cio che in questo momento non Ci è dato di fare. Le prime reazioni, dicevamo; perchè altre subito succedono che prevalgono vittoriosamente con una duplice considerazione. La prima: ma vi è mai pubblico più importante a cui rivolgere la parola di quello che alla parola dà la risonanza, dà le ali della stampa? Vi è mai pubblico più attento, più avido, più idoneo a tutto comprendere, a tutto raccogliere, a tutto divulgare? Non è il colloquio con i Giornalisti il più interessante, il più redditizio, il più degno d'essere accolto e servito?

La seconda considerazione poi Ci rende non solo solleciti, ma felici di rispondere al dialogo offerto: sono Giornalisti cattolici! Sono figli, altrettanto abili che fedeli, i quali non altro maggiormente ambiscono che ascoltare una parola del Papa per farla propria e per diffonderla ad altri, con un'attenzione, un'esattezza, una premura, una bontà, che non sarebbe possibile trovare in alcun altro ceto di uditori.

E allora: cari Giornalisti cattolici italiani, vi diciamo subito la Nostra compiacenza nel ricevervi, la Nostra soddisfazione nel conoscere qual è stato il vostro Convegno di Bolsena, la Nostra ammirazione per la saggezza delle vostre relazioni, la Nostra fiducia nella vostra Unione, la Nostra speranza nei vostri programmi, la Nostra altissima valutazione della vostra funzione tanto nel campo della nostra società, quanto in quello propriamente cattolico.

IMPORTANZA E DIGNITA DELLA STAMPA CATTOLICA

Il che equivale a dire che avremmo non una, ma cento cose da dirvi; non penuria, ma sovrabbondanza di argomenti da trattare con voi; e tanto è il Nostro desiderio di aprire a voi il Nostro animo su i problemi della stampa cattolica, che non temeremmo di ripetere cose già dette e già note, di far Nostri pensieri e propositi vostri, di rischiare perfino di annoiarvi, ritornando su temi tante volte e da tante voci autorevoli già esposti e trattati, tanto in Noi è viva e quasi tormentosa la coscienza dell'importanza e dell'urgenza, della dignità e della bellezza con cui oggi si presentano le questioni relative alla stampa cattolica. Il troppo, non il poco, Ci impedisce in questa occasione d'entrare nel vivo dei vostri argomenti.

Ci limitiamo ad un rilievo, che Ci sembra doveroso e promettente. E cioè: Ci è stato offerto, poco fa, un bellissimo volume, per le mani di Padre Francesco Farusi, interprete ed esecutore del caro e valente Presidente della vostra Unione Cattolica della Stampa Italiana, il Nostro Raimondo Manzini; vogliamo dire: " l'Annuario "per il 1963 dell'Unione stessa. Conosciamo altri volumi del genere; quello, ad esempio, stampato nel 1936, dal titolo " Arma veritatis ", in seguito alla mostra della Stampa cattolica, organizzata qui, nella Città del Vaticano, promotore il Conte Dalla Torre ed auspice il Papa Pio XI, di venerata memoria. Quel volume, per chi non lo sapesse, fu compilato con grande cura da Alcide De Gasperi, allora umile e silenzioso addetto alla Biblioteca Vaticana. Ma questo nuovo volume, che intitolandosi " Annuario " promette altre sue future edizioni, Ci sembra originale e moderno, e cosi ricco di temi e di notizie circa la Stampa cattolica italiana, da suscitare, in chiunque , un senso di ammirazione per cosi ampia, utile ed accurata compilazione, e un senso di consolazione per il quadro complesso e confortante, ch'esso offre della Stampa cattolica medesima. Dobbiamo compiacerCi con l'Unione della Stampa cattolica per cosi ricca ed obbiettiva documentazione, e dobbiamo trarne buoni auspici per la sua vitalità e per la sua funzionalità.

NECESSARIO RIFIORIMENTO

Nonostante tale confortante documentazione, anzi proprio in virtù di cio ch'essa ci dimostra e ci promette, pensiamo che la Stampa cattolica abbia bisogno di nuovi impulsi, di nuovi progressi, di nuova efficienza. Vecchio e ricorrente discorso, a cui il volume citato offre stimolo a nuova ripresa, e offre speranza di nuovi e positivi risultati. Sta bene; Dio voglia che sia cosi! La Stampa cattolica deve rifiorire in nuovi ed ampli sviluppi!

Salgono percio dal cuore, quasi impetuosi e familiari, i voti che subito vogliamo Noi stessi esprimere per l'incremento della Stampa cattolica in Italia. Vorremmo infatti che la sua voce fosse più forte! intendiamo dire: vorremmo che ogni possibile perfezionamento tecnico e redazionale le fosse concesso, che una diffusione più larga, più sistematica, più costante, più da tutti sostenuta corrispondesse nel pubblico italiano, fra i cattolici specialmente, allo sforzo già degno di fiducia e di appoggio che la Stampa cattolica sta oggi compiendo. Vorremmo che la sua voce fosse più concorde! Alludiamo specialmente alla stampa quotidiana e periodica. Non già che sia desiderabile una imposta uniformità di parola; ma una più sostanziale e spontanea conformità di giudizio concorrerebbe a dar maggior credito alla Stampa cattolica e a conferirle maggior incidenza sulla pubblica opinione, non che a tenere i suoi lettori più convinti della bontà delle idee e degli atteggiamenti a loro proposti, e a renderli più solidali e coerenti nei loro confronti con la vita pubblica. E vorremmo infine la sua voce sempre squillante di timbro cristiano. Già lo è, ed è sua gloria, sua caratteristica, sua ragion d'essere; e cosi sempre limpida e schietta rimanga! Nè deve per questo un giornale limitarsi a dare notizie e commenti d'indole religiosa, nè deve accentuare artificiosamente il suo carattere confessionale ed apologetico, a scapito della sua primaria funzione informativa; ma sempre esso dovrà penetrare di saggezza cristiana ogni sua parola, e sempre mirare all'effetto che il lettore deve dedurre dalla lettura del suo giornale: un effetto tonificante il suo senso spirituale e morale, e il suo modo sano e forte di sentire e di volere. Non di rado i Giornalisti d'altre e non sane idee sono, sotto questo aspetto, a vantaggio delle loro tesi più avveduti e combattivi di noi. Non indarno il giornalista è maestro e guida del suo lettore: ricordatelo!

"MEDIAZIONE" E "MISSIONE"

Cosi che, carissimi e bravissimi Giornalisti cattolici, Noi Ci permettiamo d'integrare il significato della parola che avete messo al centro delle relazioni e delle discussioni del vostro Convegno, la parola " mediazione "; la quale voi avete attribuito giustamente alla vostra funzione, che si colloca fra la verità e la pubblica opinione. E vero: voi siete in mezzo fra la verità ed il pensiero della gente, dei vostri lettori; e naturalmente siete in mezzo per trasfondere la verità nell'opinione pubblica. Ora una tale funzione, esercitata con l'amore - e certo in molti di voi per l'amore - alla verità da un lato e al lettore dall'altro, compiuta con vigore e rigore di spirito, e a servizio non solo di quella fuggevole e fenomenica verità, ch'è l'accelerato succedersi dell' umana vicenda, la nostra cronaca effimera e muta, quasi fotografata e proiettata sul pubblico, ma di quella verità altresi, che rimane, perchè divina, ed illumina, come sole sospeso nel cielo, a nostro gaudio e a nostra salvezza, la scena del mondo, una tale funzione, diciamo, non è solo mediazione - strumentale, passiva, impersonale -; ma missione: attiva, apostolica e quanto mai personale e meritoria. E siccome cosi è la funzione vostra, mediazione e missione, ben di cuore la incoraggiamo e la benediciamo.

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Una parola vogliamo aggiungere per gli Insegnanti e per gli Alunni della Scuola permanente per l'Apostolato dei Laici della cara e fiorente Diocesi di Verona.

Diamo al suo ottimo e veneratissimo Vescovo Mons. Giuseppe Carraro, qui presente, un devoto e speciale saluto, e lo vogliamo elogiare per la felice iniziativa di questa Scuola: essa risponde ad una necessità che i nostri tempi, tanto bisognosi di testimonianza cristiana, vengono ogni giorno maggiormente documentando, e che la Chiesa, appunto in questi anni della sua meditazione sopra se stessa, meditazione che il Concilio farà propria, viene riscoprendo come una sua essenziale caratteristica, e cosi profonda e generale da riguardare non soltanto il clero, ma anche i fedeli, anche quei Laici a cui la coscienza della loro vocazione cristiana svela e spinge questo dovere dell'apostolato, dell'apologia della verità cattolica, della diffusione del pensiero e del costume cristiano.

Dobbiamo percio incoraggiare promotori ed alunni di questa Scuola, augurare ogni felice successo, auspicare ch'essa trovi, come già avviene, imitatori e seguaci in altre Diocesi; e vogliamo, percio, riservarle una speciale benedizione.




Paolo VI Catechesi 61163