Paolo VI Catechesi 25963

Mercoledi 25 settembre 1963

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Cari Figli e Figlie!

La vostra presenza in questa Basilica, per vedere il Papa e per ricevere la Sua benedizione, si collega con una catena di fatti, che meritano di essere meditati per dare a questa Udienza il suo vero significato.

Perchè siete venuti? Per vedere il Papa, dicevamo. E il Papa chi è? E il successore di S. Pietro. E S. Pietro chi era? Era Il pescatore di Galilea, che Gesù chiamo e trasformo in pescatore dell'umanità; Egli lo mise alla testa del gruppo dei dodici discepoli da lui scelti, che poi il Signore istrui e chiamo apostoli, e mando a convertire e a salvare il mondo. Pietro si chiamava prima Simone; ma il Signore volle dargli quel nome simbolico per indicare la missione che Gesù gli affidava, quella d'essere la prima pietra, cioè il fondamento solido e stabile di tutto l'edificio umano-divino, che Gesù voleva costruire e che Egli chiamo la Chiesa, che vuol dire l'assemblea, la moltitudine riunita e incentrata, secondo il pensiero di Cristo, nell'apostolo Pietro.

Voi sapete anche che il pensiero di Cristo si completa con un'altra immagine, quella delle chiavi, cioè dei poteri conferiti dal Signore a Pietro, e con lui anche agli apostoli, che si esercitano qui, in terra, ma hanno il loro effetto in cielo; cioè sono poteri divini. Pensate a queste figure: la rete, le chiavi, la pietra, l'edificazione della Chiesa compiuta da Cristo, architetto e costruttore. Sono figure del catechismo del Signore per farci capire qualche cosa del suo immenso e misterioso disegno, che tuttora è in via di esecuzione.

Ebbene, dov'è ora Pietro? Ecco: voi siete sulla sua tomba, in onore della quale questa grande Basilica fu costruita. Dobbiamo onorare questo luogo come uno dei più celebri e venerandi della terra. Dobbiamo venerare l'apostolo Pietro e dire a lui che noi tutti vogliamo essere sopra di lui costruiti; cioè vogliamo essere a lui uniti mediante la sua stessa fede in Cristo.

Per questo la Nostra Udienza terminerà con la recita del Credo e con la benedizione di S. Pietro, a voi data dall'ultimo suo Successore.




La XVII assemblea della Federazione Istituti dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica (F.I.D.A.E.), dopo alcune adunanze in Roma, si trasferisce in Vaticano, lunedi 30 dicembre 1963, per l'udienza pontificia.

Sono presenti, il Signor Cardinale Giuseppe Pizzardo, Prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi, con il Segretario dello stesso Sacro Dicastero Monsignor Dino Staffa, Arcivescovo tit. di Cesarea di Palestina, e Monsignor Umberto Cameli, Direttore dell'Ufficio Scolastico per l'Italia; il Padre Giuseppe Giampietro S. J., Presidente della F.I.D.A.E., con il Segretario Don Ulrico Marinelli; Monsignor Pasquale Margret, Presidente della XVII assemblea generale; i vice Presidenti della F.I.D.A.E. Monsignor Maggioni, Mons. Codini e Fr. Mansueto SS. CC.; il Segretario alla Presidenza generale, Don Zacchero, e il Segretario dell'assemblea F.I.D.A.E., Padre Michelini, barnabita ed altri dirigenti.

La sua parola, Signor Cardinale, sempre cosi alta ed esperta, e sempre da Noi ascoltata con particolare attenzione e con affettuosa venerazione, e la vostra presenza, diletti figli e figlie, Ci procurano viva soddisfazione. Prima di ogni cosa, amiamo esprimervi il Nostro grato compiacimento, per aver voluto suggellare con questo lietissimo incontro nella casa del Padre Comune la XVII Assemblea Generale della Federazione Istituti dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica, a cui avete partecipato negli scorsi giorni.

Voi confermate cosi il vostro filiale ossequio al magistero della Chiesa, dal quale le vostre Scuole ricevono singolare sostegno ed alto prestigio; voi esprimete con commovente evidenza il vostro proposito di perseverare nella vostra nobilissima missione scolastica, che tanto concorre a quella apostolica; voi dimostrate la vostra fiducia nell'assistenza divina a quanti lavorano con rettitudine coraggiosa per la causa dell'educazione cattolica; e voi attendete dalla Nostra parola e dalla Nostra benedizione il conforto a fatica, che ben sappiamo quanto ardua e delicata, quanto necessaria e meritoria. Siamo percio a voi tutti riconoscenti di questa vostra presenza.

Le vostre operose giornate romane volgono ormai al termine: e siamo certi che esse hanno suscitato nel vostro spirito rinnovati incitamenti al fedele compimento della missione educativa, a voi affidata; hanno acceso nuova luce, e dato nuovi orientamenti alla attività, in cui effondete i vostri talenti di intelligenza, di tatto e di metodo; e soprattutto vi hanno infuso nuovo entusiasmo.

La Nostra parola incitatrice vuole aggiungersi a queste fecondissime acquisizioni, portandovi tutto il plauso, la lode, l'incoraggiamento che meritate. E ne prendiamo lo spunto dalla silenziosa efficacissima lezione, che in questi giorni di santa letizia del tempo di Natale Ci proviene dalla culla di Betlem, parlando essa con penetrante soavità al nostro cuore. Quel Bimbo che apre le mani all'abbraccio dell'umanità intera, ch'è venuto a salvare, è la Sapienza del Padre, il Verbo eterno di Dio, "il solo potente, il Re dei re, e Signore dei dominanti, che ... abita in una luce inaccessibile " (1 Tim
1Tm 6,15-16). Il sacro rispetto dovuto all'infanzia, alla fanciullezza, alla adolescenza, che si forma alla vita, parte per noi principalmente di li, da quella mangiatoia, ove sono innalzati i valori umani autentici e sono rovesciati i tanti altri futili valori correnti; comincia specialmente di li, ove il Figlio di Dio si è fatto piccolo e debole, per insegnare ad amare i piccoli, a rispettarli, a guidarli premurosamente sui sentieri del mondo, vedendo in essi la dignità della loro anima immortale ed il riflesso del volto di Dio.

Quale lezione anche per voi, che fate di questa vocazione la ragion d'essere della vostra vita! E, diciamo, specialmente e in primo luogo per voi, che, in fattiva dipendenza dall'Autorità Ecclesiastica, ne siete i primi collaboratori nella grande, insostituibile opera della educazione - completa sotto l'aspetto intellettuale e morale e religioso - della gioventù. La scuola cattolica trae dalla cosi vera e dalla cosi sublime concezione della vita, che le viene dal Vangelo, il suo ideale e la forza ispiratrice; e percio essa non trascura nessuno degli elementi che compongono la personalità integrale del cristiano. Per questo suo incomparabile umanesimo già merita cittadinanza nella società, e va sostenuta e avvalorata nella sua compagine, nei suoi metodi, nel suo corpo insegnante, come nell'incremento della popolazione scolastica. A questo proposito, non Ci sono ignoti i vostri problemi e le vostre difficoltà, nè ignoriamo quanto voi chiedete all'Autorità dello Stato per la tutela della libera scuola in condizioni di onorata dignità. Vi siamo vicini con l'appoggio della preghiera e dell'interessamento concreto, per quanto sta in Noi: ma lo spirito animatore per la vostra lodevolissima azione a difesa e ad avvaloramento delle scuole cattoliche, l'impulso decisivo, che vi guidi e sostenga sia sempre questo: l'amore cioè a Cristo Figlio di Dio, che voi volete servire, come nel prolungamento della sua umanità fragile e indifesa, in ciascuno dei vostri piccoli, nella loro mente, nel loro cuore, nel ricordo delle sue eterne parole: " Chi accoglie uno di tali fanciulli nel nome mio, accoglie me; e chiunque accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato " (Mc 9,36).

Nel rinnovarvi di tutto cuore l'espressione della Nostra benevolenza, con l'augurio di ogni consolazione per l'attività che si apre col nuovo anno, siamo lieti di avvalorare i Nostri voti con la particolare Benedizione Apostolica, che estendiamo a tutti quanti vi sono cari nei legami della famiglia e della scuola.





Mercoledì, 8 gennaio 1964

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Questa Udienza avviene dopo il Nostro pellegrinaggio in Terra santa, ed è la prima Udienza generale dopo il Nostro ritorno. Veramente il Nostro ritorno è stato di per sé un’Udienza generale al popolo di Roma e a tutte le sue Autorità, un’Udienza non mai prima avvenuta in simili forme e in tale ampiezza; essa costituisce da sé sola un avvenimento d’importanza eccezionale; non mai il Papa ha avuto simile accoglienza e tali acclamazioni dalla cittadinanza romana, non mai il Successore di San Pietro ha sperimentato il vincolo misterioso e felice che lo unisce a Roma, la sua diocesi, la sua città. Non mai Roma s’è mostrata così aperta, così idonea, così spontaneamente cosciente a ricevere e ad assimilare l’umile apostolo, messaggero del Vangelo di Cristo. Non mai il rapporto fra Gerusalemme e Roma è apparso più diretto e più collegato con le sorti spirituali della Chiesa cattolica e della sua missione fra gli uomini.

E dovremmo dire che anche i Nostri incontri con le Autorità e con le popolazioni dei Luoghi Santi non potevano essere più cordiali e più clamorose: con Nostra immensa gioia e immensa meraviglia ci siamo sentiti circondati da così generale, così entusiasta accoglienza, in ogni luogo e in ogni momento della Nostra peregrinazione da dover ascrivere tali effetti a cause superiori a quelle normali; veramente motivi nuovi, estranei e superiori, hanno influito nel felice successo del Nostro viaggio: esso è stato come un colpo d’aratro, che ha smosso un terreno ormai indurito ed inerte, e ha sollevato la coscienza di pensieri e di disegni divini che erano stati sepolti, ma non spenti da una secolare esperienza storica, che ora sembra aprirsi a voci profetiche: forse non mai il passato - quello della S. Scrittura specialmente - è sembrato così presente, nella memoria e nel rispecchiamento di certi semplici, ma splendidi particolari, e così pieno di presagi, così teso verso un avvenire, ignoto ancora, ma intuito come pieno di cose buone e grandi. Anche di questo dobbiamo essere grati al Signore, e riconoscenti pure a coloro che hanno concorso alla buona riuscita del Nostro pellegrinaggio.

E diciamo a voi queste cose, perché siete i primi, a cui Ci è dato aprire il Nostro animo; ed anche perché vorremmo che la riflessione su questo fatto continuasse, e non solamente in Noi, che ne sentiamo il dovere e il bisogno, ma nei buoni fedeli altresì, negli spiriti intelligenti e pensosi che sanno cercare e decifrare «i segni dei tempi», come dice Gesù (
Mt 16,4).

Questa riflessione può essere lunga, e per chi ne conosce i termini, assai feconda e profonda. A voi, in questo familiare incontro, diremo semplicemente quanto sia doveroso e quanto sia benefico, per chi voglia essere veramente cristiano, andare alle sorgenti della propria fede, della propria religione; il ritorno al Vangelo dev’essere un Nostro continuo esercizio di pensiero, di fervore spirituale, di rinnovamento morale, di sensibilità religiosa ed umana. Questo ritorno non esige un viaggio vero e proprio nei luoghi santificati dalla vita del Signore; esige però una sempre premurosa e affettuosa conoscenza della sua «epifania», della sua manifestazione al mondo; esige che diventiamo sempre più discepoli fedeli, attenti e pronti a seguire gli insegnamenti vitali che il Maestro ci ha dati.

E non comporta questo ritorno alle fonti del Vangelo, sia ben chiaro, una sconfessione di quanto la Chiesa ha derivato da Cristo, ma uno sforzo sempre più intenso di avvicinamento della nostra professione cristiana alla sua concezione originaria, ma ricerca di maggiore fedeltà essenziale al pensiero del Signore e di animazione spirituale di quanto lo sviluppo autentico della tradizione ci ha recato, la quale ha prolungato fino a noi il disegno di Dio, che facendosi uomo, si è degnato di rendere possibile la qualificazione cristiana delle più varie manifestazioni umane, purché buone, cioè veramente umane.

Accenniamo a questi pensieri, perché associati al ricordo di questa Udienza, siano per voi fermento d’interiore interesse per la migliore conoscenza di Cristo e per la sua imitazione, sempre nella più fiduciosa fedeltà alla santa Chiesa, ch’è la lunga fronda nata da Cristo, la vera vite, e che nutrita sempre della linfa saliente dalla divina radice è ancor oggi la Chiesa viva, la Chiesa vera.

E lieti di sapere che voi di questa mistica pianta siete non solo rami e foglie, ma fiori e frutti, col voto che sempre, e sempre più, così sia, di cuore vi benediciamo.





Mercoledì, 15 gennaio 1964

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci trova ancora pensosi del Nostro recente pellegrinaggio in Terra Santa; e Noi crediamo che la vostra filiale curiosità voglia leggere nel Nostro animo qualche impressione di quel viaggio memorabile: oggi il Successore di S. Pietro è guardato da voi, come del resto è guardato dal mondo, sotto questo aspetto del pellegrino che ha visitato i Luoghi Santi, dell’apostolo che è ritornato là, donde circa venti secoli fa era partito. Pare il ripetersi della favola di colui che si addormenta in un dato luogo e in dato momento del racconto, e si desta cento anni dopo, e crede trovare il mondo che lo circonda come lo aveva lasciato quando il sonno lo prese, e vede invece che tutto è cambiato, e nessuno egli conosce e nessuno conosce lui che si risveglia.

Ebbene, vi diremo, fra le tante, una delle impressioni di questo Nostro risveglio nella terra di Gesù, dalla quale il Papa, il Vicario di Cristo, era assente da oltre diciannove secoli; e ve la diremo perché a Noi pare che vi possa servire a bene profittare di questa Udienza.

Ma prima dobbiamo notare una cosa stranissima, una cosa che costituisce una delle meraviglie di questo Nostro viaggio singolarissimo; e la meraviglia è questa: d’esserci svegliati in un mondo incomprensibile, e, invece d’essere forestieri e sconosciuti - pensate, dopo tanto tempo trascorso e dopo tanti avvenimenti radicalmente trasformatori -, Noi eravamo colà perfettamente conosciuti; e non solo come il Papa di Roma, ma proprio come Successori di Simone, figlio di Giona, il pescatore di Bethsaida, fratello di Andrea, chiamato Pietro dal Messia Gesù, Capo di quella società religiosa, che si chiama la Chiesa. Si direbbe che Pietro fosse partito di là poco prima, e che fosse aspettato al suo paese per fargli festa a causa della sua acquisita celebrità, e ancor più a causa delle tante ragioni che sempre lo legano a quei luoghi benedetti; e, per colmo di stupore, l’accoglienza a lui fatta, quasi improvvisata, non era promossa soltanto dai fratelli di fede di Pietro, ma anche dai fratelli da secoli da lui separati; e per di più, da musulmani, ed ebrei, tutti gentilissimi e desiderosi di acclamare a quel suo inatteso, ma gradito e naturalissimo ritorno. Sarebbe questo uno degli aspetti del Nostro viaggio ben degno di riflessione, e sarebbe riflessione lunga e complessa; ma non riguarderebbe quell’impressione Nostra, di cui ora vi vogliamo far cenno.

Dunque: Noi andiamo là, nei posti del Vangelo; e subito il Vangelo Ci si presenta spiritualmente d’intorno, come se Gesù ancora fosse lì, davanti a Noi: bambino a Betlemme, adolescente e operaio a Nazareth, maestro e profeta in Galilea, poi a Gerusalemme, come sapete, per il grande dramma della sua Passione e del suo trionfo. Ebbene, qual è l’impressione spontanea, che a tale rievocazione nasce nel cuore? È una specie di confronto: tra Lui, il Maestro divino, e Noi; un bisogno di stabilire, di verificare il rapporto che esiste fra Gesù e il Nostro essere; una domanda, che nasce nell’anima, silenziosa, ma tormentosa: siamo noi dei veri cristiani? si identifica la nostra vita con la Sua, com’era per S. Paolo, che poteva dire di sé: «per me vivere è Cristo» (
Ph 1,21)? si differenzia, e come? si distacca, e perché?

Come potete comprendere, un tale quesito mette nello spirito un interesse vivissimo, anche se solleva qualche inquietudine.

Ebbene: pensate alla Nostra gioia, alla Nostra umiltà nel sentire nascere dentro una prima, trionfante risposta: si, noi siamo cristiani, veramente; dopo tanti secoli, e tanta trasformatrice esperienza storica, siamo ancora come Lui ci fece e ci volle, siamo, per grazia sua, suoi autentici discepoli, anzi noi siamo suoi autentici apostoli, suoi autentici rappresentanti. Non c’è dubbio! Quale prodigio! quale gaudio! quale bellezza! E ciò che, sprofondati nella gratitudine e nell’abbandono, possiamo dire di Noi, ogni cattolico, ognuno di voi, lo potrebbe dire analogamente di sé; sì, questa benedetta madre, ch’è la Chiesa di Cristo, ci genera proprio simili a Lui, suoi fratelli, suoi seguaci, suoi prediletti amici, di Lui viventi, e per Lui! La fede, la grazia, la inserzione nel suo Corpo mistico, realizzano questo portento; e ciascuno di noi può dire, ancora con S. Paolo: «io vivo, ma non più io; vive in me Cristo» (Ga 2,20).

Ringraziamo il Signore di questa realtà. Occorrerebbero qui i pianti di gioia di Pascal per esprimere qualche cosa della impressione che tale ineffabile realtà deve suscitare dentro di noi,

Ma, ahimè!, il confronto non è completo: è vero che fra noi e il Signore esiste una parentela, anzi quasi una mistica identità; siamo: alter Christus; ma questo basta? Non sorge da questa coincidenza mistica con Cristo tanto più forte, - e per fortuna, tanto più facile -, l’obbligo d’una coincidenza morale? cioè d’una imitazione di Cristo nei pensieri, nelle azioni, nei fini della vita, quale Egli ci insegnò? Qui la nostra impressione non può essere soddisfatta e felice, ma è turbata dall’osservazione della nostra difformità dal modello divino, su cui dobbiamo ricalcare la forma della nostra vita. Noi ne sentiamo, al tempo stesso, confusione e fiducia; perché, se è vero che tanto rimane in noi e nella Chiesa ed in ogni anima, anche cristiana, da correggere e da perfezionare per accostarci a quel tipo perfetto di umanità santificata dalla Grazia, che è Gesù Cristo, ne abbiamo almeno il desiderio, il proposito, la preghiera. Non è stato, a questo riguardo, il Nostro viaggio un umile, ma coraggioso atto di buona volontà? E non è il Concilio ecumenico, che stiamo celebrando, uno sforzo per dare a noi, alla Chiesa, al mondo, qualche migliore somiglianza con Gesù benedetto?

Questo discorso, diletti Figli e Figlie, potrebbe continuare a lungo; ma Noi lo fermiamo qui, con una domanda eguale a quella che Noi abbiamo sentito sorgere nel Nostro animo laggiù, nella patria di Gesù e di Pietro; e la domanda nasce anch’essa da un’impressione locale. Voi siete nella casa del Papa, in questo momento. Non sentite dentro di voi spuntare questo interrogativo: Noi, sì, siamo cattolici, siamo cristiani (e avete ben ragione di dirlo, e di ringraziarne il Signore). Potete anche rispondere: siamo dei buoni e fedeli cattolici, siamo dei veri cristiani?

Ciascuno di voi, Noi pensiamo, avvertirà il bisogno di rispondere a se stesso: bisogna ch’io sia migliore cattolico, più fedele, più virtuoso, più coraggioso; bisogna ch’io sia più vero cristiano!

Ed è per confortare questi nuovi sentimenti e questi nuovi propositi, che l'Udienza del Papa genera nei vostri cuori, che vi diamo volentieri la Nostra Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 22 gennaio 1964

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Diletti Figli e Figlie!

L 'udienza del Papa pone quasi tema obbligatorio di pensiero e di parola quello della Chiesa; e non può essere altrimenti, se veramente voi vedete nel Papa il successore dell’ apostolo Pietro, su cui Cristo ha fondato e sta tuttora costruendo il suo grande edificio dell’ umanità redenta, la sua Chiesa. La visita al Papa richiama, per forza di cose, il ricordo di Cristo e l’ immagine della Chiesa; e questi tre termini: Cristo, Pietro, Chiesa, vengono quasi a sovrapporsi nell’ animo del fedele, che assiste all’ udienza, e a formare una sola entità, il «Christus totus», il Cristo integrale di S. Agostino, il quale sembra ripensare la celebre parola del suo maestro, S. Ambrogio: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», dove è Pietro, ivi è la Chiesa.

Questo ordine di pensieri è molto importante e molto fecondo; farete bene a collegarvi il ricordo di questo vostro incontro col Papa; e farà a voi sperimentare un effetto spirituale particolare, che potremmo dire caratteristico della psicologia cattolica, la sicurezza, cioè l’ esperienza interiore d’ essere nella verità, d’ essere fondati sulla parola del Signore, cioè sulla roccia, che non teme alluvioni e frane, e che anche nelle ore di tempesta sostiene la casa, cioè l’ edificio della vita, che vi è stato costruito sopra, «non cecidit fundata enim erat supra petram», non crollò, perché era basata sulla pietra (
Mt 7,25).

Questo senso di sicurezza lo potrete applicare e gustare nella celebrazione dell’ottavario dell’Unità, che stiamo celebrando in questi giorni. Se voi avete l’ intelligenza di questo grande problema della ricomposizione dei cristiani nell’ unità voluta da Cristo, se avete la percezione della sua importanza e della sua maturazione storica, sentirete salire dal fondo della vostra anima una meravigliosa e precisa testimonianza di quella sicurezza cattolica, che vi dirà interiormente: io sono già nell’ unità voluta da Cristo, sono già dentro il suo ovile, perché sono cattolico, perché sono con Pietro. È una grande fortuna, è una grande consolazione; cattolici, sappiate goderla. Fedeli, abbiate coscienza di codesta privilegiata posizione, dovuta certamente, non al merito di alcuno, ma alla bontà di Dio, che a sorte tanto felice ci ha chiamati.

La sicurezza nel possesso dell’unità, già reale, già storicamente e spiritualmente in atto, già nostra, per grazia di Dio, deve tuttavia integrarsi con alcuni altri sentimenti, che i buoni cattolici devono coltivare, e proprio alla scuola di Pietro, alla quale voi in questo momento assistete. E il primo sentimento sembra smentire quello della sicurezza, di cui dicevamo; perché è un sentimento di insicurezza, fondato questo sulla nostra fragilità. Pietro è stabile, quando si fonda su Cristo, cioè sulla fede, di cui è depositario e testimonio; è debole quando si fonda su se stesso, sulla propria natura umana, suscettibile anch’essa delle flessioni proprie «della carne e del sangue» cioè della infermità dell’uomo, in quanto figlio di Adamo. E perciò : un grande senso di umiltà e un grande spirito di fede devono fondersi nell’animo del cattolico credente, il quale, mentre sarà grato al Signore della sua fortunata condizione, non ne menerà vanto giammai, come di merito proprio, o come di fortuna ch’egli non possa, per propria colpa, compromettere. Umiltà e gratitudine, non orgoglio, della sicurezza cattolica.

Ed altro sentimento s’aggiungerà al primo: quello di fraterno interesse per quanti non hanno ancora la nostra fortuna. E voi sapete quanto sia complesso tale interesse, e come sia venuto il tempo di sentirne la spinta interiore: interesse ,per quanto di vero, di buono, di cristiano, di santo posseggono i nostri fratelli cristiani separati; interesse per conoscere il loro modo di pensare e di sentire, e per usare loro ogni possibile riguardo; interesse per chiarire e risolvere le divergenze tuttora esistenti nel campo cristiano circa la ricomposizione dell’unità e per cercarne con umiltà, con pazienza, con fiducia le soluzioni leali, ma buone e punto disonoranti, anzi per tutti onorifiche, se per tutti devono essere conformi al pensiero di Cristo; interesse infine per associare la nostra preghiera a quella di quanti chiedono al Signore il grande dono della fraternità e della pace nell’unità dei cristiani, da Lui tanto solennemente voluta.

Così, diletti Figli e Figlie, dobbiamo sentire, pensare, operare, oggi specialmente quando, come sapete, è piaciuto al Signore darci un presagio, un principio, una promessa di tanto dono; oggi, mentre quanti sono cristiani pregano perché a tutti sia concessa la grazia di vivere nell’unità della Chiesa di Cristo; oggi, ora anzi, che voi avete voluto venire a portare al Papa il vostro omaggio filiale e a ricevere la sua Benedizione.

* * *

Sabemos que hay en el grupo Sacerdotes pertenecientes a diversas nacionalidades, y principalmente de habla espanola: en el Centro Internacional «Pío XII», durante varios meses estudiáis los problemas que se refieren a vuestra formacion ascética y al influjo que ésta ha de tener en la vida de la Comunidad cristiana. Hoy mas que nunca talvez los tiempos piden espíritu de solidaridad, de mutua comprension y ayuda, de coordinacion de fuerzas. Vuestra reunion es ya un ejemplo, un estímulo, un impulso. Sea la palabra del Apóstol Pablo la que os aliente y guíe: «Deus autem patientiae et solatii det vobis idipsum sapere in alterutrum secundum Iesum Christum, ut unanimes, uno ore honorificetis Deum» (Rm 15,6).

Gli alunni dell'Istituto Commerciale «Maffeo Pantaleoni» di Roma

Il fervente entusiasmo dei giovani - che si manifesta in vivaci, sentite acclamazioni - l’Augusto Pontefice risponde con affabile bontà. Da apposito podio Egli conversa per alcuni istanti con l’imponente e significativo gruppo.

Per molti, forse, di quei cari studenti si tratta della prima visita - ed Egli sa che è stata molto bene preparata - al Vaticano. Certo, molto qui c’è da ammirare negli immortali capolavori dell’arte. Basta fissare lo sguardo in quel medesimo ambiente, con i grandi affreschi rievocanti storiche pagine della Chiesa; basta pensare alle vicine Cappelle Paolina e Sistina, che racchiudono quanto di più alto il genio umano ha potuto attingere nella pittura. Ma ciò non sarà se non un percorso, un mezzo per giungere a realtà ben più alta e sublime: la Chiesa, la Religione, Iddio.

La Religione è appunto il vincolo misterioso, ma vivo e vero, che tutti ci unisce al Creatore e Signore dell’universo.

Illuminando lo spirito di ciò che tale altissima realtà ci dimostra e ci insegna, applicando appieno, come si conviene per così eccelso argomento, la intelligenza, dono dello Spirito Santo, si comprende bene che cosa è la Chiesa, chi è il Papa, quali i doveri di fronte alla Redenzione compiuta dal Figlio di Dio, Gesù Signor Nostro; e gli obblighi per ciascun cattolico, nei vari stati di vita e nelle diverse attività a cui è chiamato.

Da così salda e luminosa premessa muove l’augurio del Santo Padre per i giovani ascoltatori. Egli auspica per ognuno un degno coronamento agli studi, una attività professionale, civica, sociale sempre munita e corroborata dall’osservanza dei precetti del Signore; e quindi la vera prosperità.

A tale scopo, come a ricambiare il filiale gesto della visita, Egli terrà presenti tutti e singoli gli alunni di oggi, ottimi cittadini domani, nella sua preghiera, invocando per essi dall’Onnipotente ogni grazia ed aiuto. E di ciò sia pegno la particolare Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 29 gennaio 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Vogliamo credere che questa udienza, questo vostro incontro col Papa susciti nei vostri animi un pensiero caratteristico, tanto comune ma tanto bello, circa il rapporto fra il Papa stesso e la Chiesa, tutta la Chiesa, il famoso pensiero, spesso ripetuto, di S. Ambrogio: Ubi Petrus, ibi Ecclesia, dove è Pietro, ivi è la Chiesa. Voi infatti, fedeli quali siete di Gesù Cristo, che su Pietro ha fondato la sua Chiesa, incontrandovi col Papa pensate alla Chiesa che è in lui concentrata, e vi sentite in questo momento più che mai in comunione con tutti i fratelli di fede, con tutta la comunità universale dei credenti, anzi, per un certo senso con tutto l’umanità. Sì, qui è il centro, qui è il cuore, qui è l’unità della cattolicità.

È cotesto un tema di meditazione molto grande e molto fecondo, il quale vi apre davanti allo spirito il panorama del mondo, visto da questo punto prospettico, fissato dal Signore, per capire il disegno di salvezza di Dio su gli uomini, per capire la storia e la civiltà, per capire l’amore e la pace sulla terra. Potrete ricordare questo impressionante momento per prolungare poi una così inebriante meditazione anche in seguito, fuori di qui.

Ma la vostra filiale devozione, da un lato, e la Nostra paterna affezione, dall’altro, arricchiscono questo momento d’una visione, non diversa dalla prima, ma più interiore, più personale; e cioè voi ora guardate all’umile Nostra persona quasi per leggervi dentro, quasi per scoprirvi i suoi sentimenti e i suoi pensieri, quasi per trovare lì, nel cuore del Papa, tutta la Chiesa e, con la Chiesa, voi stessi. Sì, carissimi figli, codesta non è una pretesa indiscreta, ma è un’aspirazione legittima dei figlioli di casa, di famiglia, all’apertura dell’animo del Padre comune, alla confidenza e alla comunicazione spirituale, propria di una società religiosa, fondata sull’identità di fede e sulla circolazione di carità, quale è la Chiesa cattolica.

Ebbene, che cosa potete voi scorgere nel cuore del Papa? Se avete qualche conoscenza dei discorsi pontifici, avrete notato che assai sovente i Papi, aprendosi a colloquio con i loro fidati interlocutori, rivelano due sentimenti dominanti e ricorrenti: uno di gioia, l’altro di dolore. È questa una duplice nota, che potremmo trovare nel Vangelo stesso, nel cuore del Signore, nelle profondità dei discorsi dell’ultima cena, ad esempio; e poi spesso nelle parole degli Apostoli. Gioia e dolore sono i due poli principali della sensibilità umana ed anche, a livello superiore, dell’esperienza spirituale.

Vi diremo dunque, carissimi Figli, che anche Noi abbiamo riflessa nel cuore la vita della Chiesa in tali sentimenti riassuntivi: quanto gaudio viene a Noi dalla vita della Chiesa di questo periodo! dai grandi avvenimenti, che la fanno così intensa, così importante, così misteriosa, ai Nostri occhi stessi: il Concilio, ad esempio, i movimenti religiosi rivolti verso l’unificazione dei cristiani, l’ardore missionario, il fervore del pensiero e dell’azione cattolica, e aggiungiamo, a vostra lode e a vostro incoraggiamento: la bontà delle anime in grazia di Dio, lo zelo per la sua gloria, la pazienza santificata, e così via, il regno dei cieli, in una parola, che ogni cristiano, ogni uomo di buona volontà racchiude nel cuore; ecco: la Nostra gioia, Noi possiamo dire a voi ciò che S. Paolo scriveva ai suoi carissimi fedeli di Filippi: «Voi siete il nostro gaudio e la nostra corona» (
Ph 4,1). Vi ringraziamo e vi benediciamo per questa consolazione, che la vostra fedeltà cristiana Ci procura.

Ma poi il cuore del Papa, voi potete bene immaginare, è pieno di dolore. Quante amarezze, Figli carissimi, vengono a Noi, ogni giorno, da tutte le parti; e voi potete pensare quali siano, se osservate quante debolezze, quante infedeltà, quante apostasie, quante corruzioni, quante cattiverie siano sempre nel mondo!

Vedete: si potrebbe paragonare questo centro della cattolicità, che chiamiamo il Vaticano, ad uno di quegli apparecchi che registrano le oscillazioni, le scosse, le rovine d’un dato complesso territoriale o meccanico, posto sotto osservazione. A questo manometro centrale, quante tristi segnalazioni giungono ad ogni ora! Sì, pensate al cuore del Papa! Se davvero egli è Padre universale, come può essere indifferente alle tante penose notizie, che la cronaca quotidiana reca con sé? come può sapere delle bestemmie al nome di Dio, delle avversioni alla religione, delle minacce alla pace, delle offese alla giustizia, delle sofferenze dei malati, degli scandali ai bambini, e così via, senza sentirsi colpito da tanti malanni? I dolori dei figli sono i dolori del Padre!

In questi giorni una sofferenza particolare Ci rende tristi e pensosi, causata dalla notizia di atti di terrore, che si stanno compiendo in un giovane e grande paese, a Noi carissimo, il Congo (avente per capitale Léopoldville), disordini e terrori eccitati contro persone e opere, di origine missionaria e non soltanto cattoliche in quella terra, che alle missioni deve quanto di più generoso, di più progredito, di più umano essa possiede: la sua recente e magnifica ascesa alla civiltà moderna e alla libertà nazionale.

È questo per Noi dolore grave, che speriamo presto superato, per l’onore di quella stessa diletta nazione, per la fiducia che non deve venir meno nell’apparato internazionale promotore e garante dell’indipendenza e dello sviluppo dei nuovi Stati, e per il carattere inviolabile, che gli ideali di pace, di libertà, di rispetto ai supremi diritti umani devono rivestire per tutti.

A voi, carissimi Figli, confidiamo in modo particolare questa pena e questa speranza, affinché vogliate onorare la memoria di coloro che sono stati trucidati in questa triste vicenda, consolare con la vostra solidarietà ai Nostri missionari le loro prove e le loro sofferenze, e pregare in modo che l’ordine, la concordia e la pace abbiano a ritornare nel Congo, e a regnare in ogni angolo della terra.

E con questi sentimenti, tutti vi salutiamo e vi benediciamo.




Paolo VI Catechesi 25963