Paolo VI Catechesi 27967

Mercoledì, 27 settembre 1967

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Venerati Fratelli e Figli dilettissimi!

Vi accogliamo con grande e commossa benevolenza, in questo incontro a Noi e a voi tanto gradito, e vi ringraziamo dei sentimenti di unanime affetto e di filiale devozione, che la vostra fervida presenza Ci attesta. Salutiamo tutti i gruppi di pellegrini, venuti anche da molto lontano, per ravvivare la loro fede presso le tombe degli Apostoli e dei Martiri.

La fede! È questo il ricordo che vi lasciamo di questa Udienza, affinché vi accompagni sempre, e specialmente quando, ritornati alle vostre case, riprenderete il comune lavoro, l'onere della vostra fatica quotidiana. La fede sia la luce che brilla ai vostri occhi, sia il conforto delle vostre giornate, sia la molla segreta che muove alla generosità e all'eroismo. Si usa parlare talvolta di «grigiore» della vita quotidiana, e molte espressioni della moderna narrativa o dello spettacolo sembrano esasperarne e incupirne le tinte. Ma per l'uomo che ha fede, la vita non è grigia, anche se è talora monotona, pesante, dura, piena di responsabilità. Perché? Ma perché appunto c'è la fede, perché si è posto Dio al centro dei pensieri e dei giudizi, delle decisioni e delle abitudini, e perciò si è nella luce, nella gioia, nella pace, che nulla può togliere: infatti, come dice S. Paolo «quel Dio che aveva detto "Risplenda dalle tenebre la luce", è colui che la fece risplendere anche nei nostri cuori, per irradiare la conoscenza della gloria di Dio, che brilla sul volto di Cristo» (
2Co 4,6).

Cosi risplenda la luce di Dio in voi, in quest'Anno della Fede: è il Nostro augurio più pieno. E mentre vi invitiamo ad accompagnare con la vostra preghiera l'avvenimento che sta per iniziare qui a Roma, quando i rappresentanti dell'Episcopato di tutto il mondo si riuniranno con Noi attorno alla Tomba di Pietro per dare inizio ai lavori del Synodus Episcoporum, di cuore vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, che estendiamo a tutte le persone a voi care.

Rivolgendosi in modo speciale ai pellegrini del Portogallo, il Santo Padre aggiunge:

Queridos filhos de Portugal,

Viestes a Roma, ao Vaticano, à Casa do Papa, para trazer ao Vigário de Cristo o vosso agradecimento filial e devoto por termos ido a Fátima, corno peregrino da paz.

Com afecto, acolhemos vossa peregrinação, apreciamos vossos sentimentos e aproveitamos este novo ensejo para manifestar-vos pessoalmente Nossa paterna gratidão pela calorosa acolhida que tivemos em Portugal, quando da Nossa peregrinação a Fátima.

Que Nossa Senhora de Fátima vos guie, vos proteja e vos abençoe!


Mercoledì, 11 ottobre 1967

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra vita coincide con la festa della Maternità di Maria Santissima, festa istituita dal Nostro Predecessore Papa Pio XI, nel 1931, per commemorare e per celebrare il XV centenario del Concilio Ecumenico di Efeso, nel quale fu riconosciuto e proclamato il titolo di Madre di Dio, Theotókos, alla Madonna; e coincide altresì con il quinto anniversario dalla apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, inaugurato appunto in questo giorno da Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria. L'una e l'altra ricorrenza invitano il nostro pensiero a venerare in modo particolare la Madonna e ad affidare alla sua materna tutela la santa Chiesa, che onorando in Maria la Madre di Cristo, esalta la sua divina Maternità, per il fatto che Cristo era non solo uomo, ma Dio, Figlio di Dio, e nello stesso tempo confessa una Maternità spirituale di Maria verso di noi, verso il Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa.

Vi esortiamo perciò, Figli carissimi, a ricordare questi misteri della Madonna, a comprendere perché la dottrina e la pietà cattolica tributano a Lei un particolare culto, e ad avere per Lei una filiale e cordiale devozione. Bisogna che Maria Santissima abbia sempre un posto speciale nella nostra professione religiosa, quello che appunto Le compete nel disegno divino della nostra Redenzione, non certo in competizione con quello di Cristo, ma da quello di Cristo completamente dipendente e derivato e a quello di Cristo mirabilmente associato.

Questa verità ci autorizza, ben lo sappiamo, a ricorrere alla intercessione di Maria, come a quella d'una madre altrettanto buona che potente presso la sorgente d'ogni grazia, cioè presso Cristo Figlio suo e nostro Salvatore. La pregheremo perciò la Madonna per tutte le nostre necessità spirituali, e non escluse - come avvenne alle nozze di Cana - anche quelle nostre temporali, collegate con le prime.

L'udienza presente unirà alle vostre la Nostra orazione, affinché la Madonna Santissima vi ottenga dal Signore tutti i favori di cui avete desiderio e bisogno; per voi, proprio per ciascuno di voi, per i vostri cari, presenti e assenti, per le vostre famiglie, le vostre associazioni, le vostre parrocchie e diocesi e comunità, le vostre rispettive Nazioni. La Madonna, dal Cielo, cioè in Dio, può tutto e tutti vedere, e tutti proteggere e beneficare.

E voi, in questo incontro familiare, unite alla Nostra preghiera la vostra, per la santa Chiesa, a Noi affidata, che sopra ogni cosa Ci è nel cuore; per i Fratelli cristiani ancora da noi separati, per la pace nel mondo. Che Maria, vedendoci così uniti in questo prezioso istante spirituale, ci esaudisca: «Monstra Te esse Matrem», Le diciamo; ci si dimostri Madre; e tutti ci assista.


Mercoledì, 18 ottobre 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Sapete certamente anche voi che in questi giorni, a Roma, si conclude il III Congresso mondiale per l'Apostolato dei Laici, che costituisce un avvenimento importante nella vita della Chiesa in questo periodo Post-conciliare, che deve segnare una fase di rinnovamento del cattolicesimo. Per essere un avvenimento celebrato da Laici e per i Laici interessa tutti i movimenti, associazioni, attività del Laicato cattolico in seno alla Chiesa, e interessa nello stesso tempo, almeno indirettamente, tutti i Fedeli, che compongono la comunità ecclesiale; interessa pertanto anche voi, carissimi visitatori, che, venendo oggi a questo incontro con Noi, Ci trovate occupati, nel cuore e nell'opera, al buon esito di questo tanto significativo Congresso.

Ebbene, Noi vogliamo che anche voi, quasi profittando della vostra presenza nella Città Eterna mentre tale Congresso si svolge, aveste a raccogliere qualche beneficio. Un beneficio, che può essere vostro anche se non partecipate al Congresso per l'Apostolato dei Laici, è la lezione, ch'esso dà a tutti i Laici-Fedeli membri della Chiesa, una lezione che i documenti conciliari, che tanta apologia fanno del Laicato cattolico, autorevolmente ripetono; e cioè ogni Laico deve essere un perfetto cristiano. I Laici non sono cristiani di secondo ordine, di dubbia fedeltà alla Chiesa e di scadente osservanza degli impegni sacrosanti del loro battesimo; anche essi sono chiamati alla perfezione cristiana, all'amore di Dio e del prossimo, alla santità; una santità confacente al loro genere di vita nel mondo, secolare come si dice, ma non per questo tepida e transigente verso le debolezze umane e le tentazioni del secolo; una santità che tende alla pienezza della carità e dell'imitazione di Cristo.

Questo ci dicono i Nostri figli e fratelli vostri del Laicato riuniti a Congresso; ed alla prima lezione un'altra ne aggiungono; e questa proprio loro caratteristica; e cioè essi ricordano a tutti i Laici, che vogliono vivere realmente la loro vocazione cristiana, che non basta essere cattolici: di nome, di abitudine, di professione, di appartenenza tradizionale e sociologica alla Chiesa; bisogna essere cattolici operanti, cattolici militanti, cattolici apostoli. La qual cosa, come subito ci si accorge riflettendo, è di estrema importanza, di grande complessità e di urgente attualità; anche perché investe ogni singolo fedele.

Non vi diciamo di più. Pensiamo che voi conosciate queste cose. Ma siamo felici che Ci sia offerta occasione per ricordarle a voi, Figli carissimi, e di dare a questa Udienza significato particolare con l'invito che da quelle due lezioni ci viene: occorre essere cattolici autentici e cattolici operosi! È, ancor più che raccomandazione, questa l'intenzione Nostra per voi, con la quale tutti e di cuore vi benediciamo.

Dopo il Discorso all'intera udienza il Santo Padre saluta i pellegrini giunti dall'estero.

Ai pellegrini olandesi Sua Santità rivolge il seguente augurale saluto:

(in francese...)

Aan Ü allen, bemende zonen en dochters, Onze beste wensen en de Apostolische Zegen.

Infine l'Augusto Pontefice si rivolge nei seguenti cordialissimi termini al grande pellegrinaggio di Berlino.

Ein besonderer Gruss gilt heute auch den Pilgern aus dem Bistum Berlin, die mit ihrem Bischof, Kardinal Bengsch, an der Spitze, zu Ehren ihrer Schutz-Patronin Sankt Hedwig nach Rom und Viterbo wallfahren.

Liebe Berliner! Wir freuen Uns über eure Treue. Bleibt allzeit fest im Glauben und verliert nie die Hoffnung. Betet zu eurer grossen Heiligen, auf dass ihre Fürbitte den Frieden erwirke, die Wölker verbinde, und euch allen eine Zukunft in der Einheit der Liebe Christi schenke. Dazu erteilen wir euch, geliebte Sohne und Tochter, von Herzen den Apostolischen Segen.



Mercoledì, 25 ottobre 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Quando noi abbiamo la fortuna d'incontrarci con fedeli premurosi e devoti, quali voi siete, sempre sorge nel Nostro animo il pensiero reso abituale ed insistente dal Concilio Ecumenico e dal recente Congresso dell'apostolato dei Laici, il pensiero cioè circa la vostra vocazione all'apostolato. Non vi può essere, è stato detto, un fedele sincero e cosciente che non sia interessato alla causa del Vangelo nel mondo, all'attività e alla missione della Chiesa, alla salvezza degli uomini che lo circondano; ogni rapporto umano, in questa concezione della economia della Redenzione, tende a concorrere a questo disegno divino, tende a diventare testimonianza e collaborazione con l'apostolato della Chiesa. Se così è, e davvero è così, Noi Ci domandiamo, incontrando i Nostri figli che con la loro visita Ci professano la loro fedeltà e Ci dimostrano il loro buon volere, Ci domandiamo se essi sono entrati in questo ordine di idee, da cui la Chiesa deve attingere il suo rinnovamento e deve trovare le risorse per il superamento delle difficoltà che l'età nostra oppone alla vita cristiana.

Se Noi ora diciamo a voi, ad alta voce, questo Nostro segreto interrogante pensiero, vuol dire che Noi speriamo che la vostra risposta sia senz'altro quella positiva e coraggiosa del sì alla chiamata che la Chiesa rivolge ad ogni autentico suo figlio: sì, noi vogliamo superare il momento di indifferenza, di timidezza, d'inettitudine, che preme su ciascuno spirito, e vogliamo dare all'apostolato della Chiesa viva e moderna il nostro contributo. È così? Certamente, Figli carissimi, deve essere così! È il Nostro invito, il Nostro augurio, la Nostra esortazione.

E perché ognuno di voi abbia da ciò occasione per riflettere come fare e che cosa fare, Ci limiteremo a ricordarvi che l'apostolato, a cui siete chiamati, può esprimersi in due forme fondamentali : una individuale, l'altra collettiva. Chiunque, anche da solo, può fare qualche cosa per il regno di Dio, secondo il proprio genio e le proprie possibilità. «Una forma particolare di apostolato individuale, dice il Concilio . . ., è la testimonianza di tutta la vita laicale promanante dalla fede, dalla speranza e dalla carità» (Ap. actuos.,
AA 16). È il modo ben noto dell'esempio, del buon esempio. Almeno questo apostolato ciascuno lo può dare, se vuole; e lo deve dare. Ogni convinto cristiano deve irradiare d'intorno a sé una parola vissuta, quella dello stile del suo pensiero e della sua maniera di agire; ognuno deve in qualche modo impressionare nel bene gli altri e l'ambiente in cui vive con la rettitudine della propria condotta, con l'osservanza della norma cristiana, con l'espressione della sua mentalità derivante da Cristo la sua ispirazione chiara, semplice, lineare, in una parola, esemplare.

In un mondo, in cui i cattivi esempi, gli scandali, gli oltraggi alla onestà del pensiero e del costume traboccano, procuri ognuno di diffondere l'esempio della coerenza cristiana e cerchi d'immunizzare se stesso dal contagio dei disordini intellettuali e morali che minaccia la società e d'infondere nel vivere sociale stesso qualche tonico incitamento al bene.

Ecco il primo apostolato. A voi lo raccomandiamo di cuore. mentre tutti vi benediciamo.

Pellegrini di varie nazioni



Mercoledì, 27 dicembre 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Sappiate tutti d'essere da Noi accolti con grande compiacenza; tutti vi salutiamo, tutti vi benediciamo. Questa Udienza generale, che il Signore Ci concede ora di riprendere, diventa sempre più una parte importante e quasi preponderante del Nostro ministero apostolico: ciò che un tempo aveva carattere occasionale e complementare nell'attività del Papa assume sempre più carattere abituale ed essenziale del suo servizio al centro della Chiesa di Dio. I contatti con i fedeli di tutto il mondo si fanno più frequenti e più impegnativi; e se ciò apporta qualche aumento al Nostro lavoro, ne accresce tuttavia l'irradiazione e, se a Dio piace, la fecondità. Consideriamo una benedizione questo sviluppo di rapporti diretti col Popolo di Dio, e Ci proponiamo di corrispondervi con tutto il Nostro impegno pastorale. Salutiamo ed accogliamo perciò voi, carissimi visitatori, con cuore felice e aperto, con riconoscenza paterna per la vostra venuta, con desiderio vivissimo di rimandarvi contenti e pensosi di questo breve, ma significativo incontro.

Dobbiamo anche significarvi che la visita di tanti cari figli risveglia nel Nostro spirito la riflessione su gli aspetti nuovi, che il recente Concilio ha voluto considerare e mettere in luce esponendo la sua dottrina sul Popolo di Dio, del quale tutti quanti siamo nella Chiesa facciamo parte (cf. Lumen Gentium, n. 32), e dando quella sul Laicato per illustrare le prerogative che gli debbono essere riconosciute, e che possono essere riassunte in due capitoli, nei quali può contenersi la cosiddetta «teologia dei Laici»: il posto cioè che essi occupano nella Chiesa di Dio, e l'attività ecclesiale ed apostolica a cui essi, oggi specialmente, sono chiamati.

Come certo voi ben sapete, queste prerogative hanno avuto amplissimi riconoscimenti nei vari documenti del Concilio; e Noi non possiamo dimenticarli, quando abbiamo, come oggi, la fortuna d'un breve colloquio con figli fedeli che si stringono d'intorno a Noi. Ed avviene allora che tutto quanto il Concilio ha detto sulla dignità dei cristiani, sui doni che lo Spirito Santo loro concede, sulla loro vocazione alla perfezione, viene alla Nostra memoria; e pare a Noi che l'udienza s'illumini di luce soprannaturale e si riempia di spirituale fervore, Qui Noi dovremmo dire ciò che Noi pensiamo di voi, con gaudio, con meraviglia, con riconoscenza al Signore, vedendo in ciascuno di voi un figlio di Dio, un fratello di Cristo, un essere abitato dallo Spirito Santo, un chiamato alla santità e alla salvezza, e ravvisando in questa semplice riunione un'immagine della Chiesa, dell'unità e della carità che fonde in un solo mistico Corpo di Cristo, quanti possono a buon diritto gloriarsi del nome cristiano. L'udienza allora, piuttosto che consistere in una Nostra presentazione a voi, diventa per Noi un tema di meditazione offerto da voi alla Nostra attenzione, per la fraternità e per la paternità, che a voi Ci unisce, e che voi, venendo a trovarci, risvegliate nel Nostro spirito.

Ed in questa corrente di pensieri, che voi, Figli carissimi, in Noi risvegliate, uno prevale, che è quello della vostra funzionalità nella Chiesa di Dio. Tema dominante e ricorrente nelle Udienze era quello della devozione al Papa, motivo principale della venuta nella Sua dimora, e della risposta che il Papa dava a tale atto filiale. Ora un altro tema si aggiunge al primo; ed è quello, dicevamo, della funzionalità, cioè dell'attività, della missione, del servizio, che i nostri visitatori esercitano nella comunità ecclesiale. Questa avvertenza è ovvia a riguardo di chi, con il proprio abito e con la propria professione, mette in evidenza tale funzionalità; a riguardo vostro specialmente, Sacerdoti e Religiosi, che già vi presentate come membra operanti nella Chiesa. Ma essa si estende, dopo il Concilio, a tutti i visitatori, con una segreta domanda: voi che cosa fate nella Chiesa, per la Chiesa? Cioè per la sua missione, per il regno di Dio, per la salvezza vostra e dei vostri fratelli nella società, in cui vi trovate? Siete operosi, siete apostoli?

Perché è da ricordare il grande principio, riaffermato dal Concilio, e già - Noi ricordiamo - enunciato dal Nostro grande Predecessore Pio XI, di venerata memoria: «la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all'apostolato» (Apost. actuos.
AA 2). «Nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa - prosegue il Concilio - tutto il corpo, secondo l'energia propria ad ogni singolo membro contribuisce alla crescita del corpo stesso» (cf. Ep 14,16). Grande principio, dicevamo, dalla cui applicazione deve scaturire il rinnovamento e l'espansione della Chiesa. Bellissima, ma tremenda verità, specialmente per voi, Laici, che siete onorati dalla riaffermazione di questo criterio costituzionale ecclesiastico: nessuno è inutile, nessuno può essere del tutto passivo, nessuno può rimanere inerte e insensibile nella vita della Chiesa; tutti e ciascuno devono fare qualche cosa per essa al duplice scopo per cui essa è istituita: la salvezza delle anime (oltre che la gloria di Dio, primissimo scopo), e il bene, anche temporale, della società, in ordine sempre ai principi cristiani. Si tratta d'un diritto e d'un dovere nello stesso tempo: ogni Laico cattolico, ogni figlio fedele della Chiesa, può e deve essere operante in seno alla Chiesa stessa. Pensateci bene. Questo principio dell'apostolato dei Laici, di tutti i Laici fedeli alla Chiesa, può avere grandi conseguenze, nelle singole ani,me, nelle comunità parrocchiali, nella società, nel mondo. Ancora è radicata nella mentalità di molta gente, anche fra quelli che «vanno in chiesa», la falsa persuasione di non avere responsabilità alcuna verso di essa: «io non c'entro», dicono molti; «io non voglio noie e obblighi particolari; voglio restare libero, con le mie idee e con le mie azioni». Non sia così.

Ebbene, Figli carissimi, sia in voi il ricordo di questa Udienza come il richiamo che il Papa, con i documenti del Concilio alla mano, rivolge a voi tutti: amate la Chiesa, siate con lei, fate qualche cosa per lei, siate cristiani autentici, lieti e fieri d'essere associati, mediante la Chiesa, alla missione salvatrice di Cristo nel mondo.

Che la Nostra Benedizione fecondi in voi questi pensieri.

Infine, il Santo Padre saluta il gruppo degli Studenti delle nazioni africane Congo, Burundi e Rwanda nei seguenti cordialissimi termini.

Nous adressons Nos souhaits de paternelle bienvenue aux religieuses et laïques du Congo-Kinshasa, du Rwanda et du Burundi, qui viennent d'accomplir un stage de perfectionnement de six mois en Europe avant de faire retour dans leurs pays respectifs où elles seront appelées à assumer d'importantes responsabilités dans l'enseignement.

Vous connaissez, chères filles, l'affection que Nous éprouvons pour votre grand et noble continent. Nous avons eu l'occasion de le manifester récemment dans Notre message Africae terrarum. Aussi est-ce bien volontiers que Nous vous encourageons à travailler de toutes vos forces à l'éducation humaine et chrétienne des enfants et des jeunes qui vous seront confiés. Que la grâce du Seigneur et Notre Bénédiction de Père vous accompagnent toujours et partout!





Mercoledì, 3 gennaio 1968 CONVEGNO DI STUDIO SU TEMA FONDAMENTALE

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Diletti Figli e Figlie!

Questa udienza generale è caratterizzata in modo speciale dalla presenza dei Laureati Cattolici partecipanti al loro XXX Congresso Nazionale; e Noi non possiamo non essere felici di accogliere la schiera, così cospicua per numero e per qualità, d’un Movimento, che Ci è molto caro, per averne seguito lo sviluppo fino dalle origini e per averne osservato la perseverante e coerente attività, con cordiale compiacenza ed ammirazione, specialmente a riguardo della fedeltà ai principi informatori, a riguardo della singolare compattezza delle sue file, nonostante la sua eterogenea e mutevole composizione e la scioltezza della sua compagine organizzativa, ed a riguardo infine della sempre vigilante apertura alle questioni vitali della cultura nel rapido e spesso vorticoso corso del pensiero moderno. Un saluto a tutti i dirigenti e a tutti i componenti del Movimento, specialmente all’illustre Presidente, il chiarissimo Professore Gabrio Lombardi, all’Assistente Ecclesiastico Centrale Mons. Emilio Guano e al Vice Assistente Mons. Clemente Ciattaglia, e a quanti con loro condividono la responsabilità e il merito del Movimento stesso; doppiamente lieti di ravvisare fra gli intervenuti volti d’amici del tempo che fu, e volti di nuovi aderenti a cui diamo di cuore il Nostro «benvenuto».

Sarebbe Nostro piacere interloquire con le trattazioni e con le discussioni che qualificano cotesto XXX Congresso, essendo esso impegnato allo studio d’un tema da Noi meditato e in qualche misura illustrato in questo periodo, il tema del «senso cristiano della pace»; ma preferiamo lasciare ai maestri da voi scelti la parola in proposito, senza interferire con la Nostra, già abbastanza, Noi pensiamo, a voi nota circa argomento di tanta importanza e di tanta utilità, riservandoCi di trarre profitto Noi stessi dalle vostre riflessioni, che al solo sguardo dato al programma ed ai nomi degli oratori, pregustiamo come utili e sagge. Abbiate a tale riguardo l’espressione della Nostra compiacenza e della Nostra riconoscenza.


UN DOVERE PARTICOLARMENTE CARO ALLA CHIESA

La vostra visita, cari Laureati Cattolici, alimenta in Noi un altro ordine di pensieri, del tutto diverso, ma a voi non estraneo, e a quanti partecipano a questa Udienza di non difficile e non superflua considerazione. Ordine di pensieri non nuovo, né peregrino, ma anch’esso assai importante, e reso di grande attualità dal recente Concilio e dal recentissime Congresso circa l’apostolato dei Laici. Si, vi diremo semplicemente che questo tema dell’attività del Laicato qualificato in seno alla Chiesa e al duplice vantaggio della Chiesa stessa e della società temporale moderna interessa profondamente il Nostro spirito e Ci persuade essere dovere del Nostro ministero apostolico farne assiduamente oggetto di pensiero e di parola.

Se la Chiesa, nelle discussioni e nei documenti conclusivi del Concilio, ha tanto parlato della definizione e della funzione del Laicato in mezzo al Popolo di Dio, cioè in mezzo alla Chiesa stessa, è segno che su questo tema siamo tutti impegnati a porre particolare attenzione. La Chiesa del Concilio, nei suoi insegnamenti sui Laici, non ha soltanto esposto una dottrina meritevole d’essere posta in migliore luce, non ha soltanto fatto la sintesi delle idee e dei fatti, che, da oltre un secolo, hanno interessato la vita cattolica in ordine al Laicato e vi ha dato conclusioni assai autorevoli e positive, ma ha dimostrato di porre la sua fiducia circa il rinnovamento della coscienza e dell’efficienza della sua missione nel nostro tempo proprio nell’apostolato dei «fedeli Laici», dichiarando apertamente che «le circostanze odierne richiedono assolutamente che il loro apostolato sia più intenso e più esteso» (Ap. actuos., n. 1). Cosa ormai nota, ma non ancora penetrata sufficientemente nella convinzione pratica di molti cristiani.


SVILUPPARE IL MERITORIO CAMMINO

Ora, Ci piace riconoscere, a questo riguardo, che tale principio, che tale canone della vita moderna della Chiesa era già acquisito in Italia, come in altri Paesi, quasi programma non già da discutere, ma da applicare; e possiamo ascrivere a merito vostro, Laureati Cattolici, non meno che di altri movimenti ed altre organizzazioni del campo cattolico, l’avere anticipato i tempi; voi siete il compimento «ante litteram» d’un voto del Concilio, e da codesta fortunata coincidenza della vostra modesta ma sincera formola di presenza e di azione nella comunità ecclesiale con quella amplissima, ma sostanzialmente identica proposta dal Concilio, voi dovete trarre tante confortanti conclusioni, non per invanire la vostra sorte, ma per sentirvi nuovamente e fortemente obbligati a proseguire umilmente e tenacemente nel vostro lavoro in tutte le sue varie esigenze e manifestazioni: da quelle che riguardano la serietà e l’interiorità della vostra professione religiosa, a quelle altre concernenti la passione, non spenta col conseguimento della laurea, ma sempre accesa, come possibile, per lo studio, per la ricerca scientifica, per il progressivo aggiornamento della vostra cultura, per il rigore intellettuale e morale della vostra professione; non che a quelle rivolte alla testimonianza e alla diffusione del pensiero cattolico e alla capacità d’attrazione al senso cristiano della vita in mezzo ai colleghi e agli ambienti tra cui si svolge la vostra attività profana.


AMICI NELLA FEDE, NEL PENSIERO, NELL’AZIONE

Cose note anche queste; notissime a voi che ne fate oggetto di continua riflessione, e - ciò che più conta - di virile osservanza. E non aggiungeremo, fra i tanti pensieri che affiorano alla Nostra mente a questo riguardo, che un’osservazione, a Nostro avviso, preziosa circa il vostro apostolato, confortata anch’essa dagli insegnamenti conciliari ed estensibile, in forme similari, ad altri campi della vita cattolica. Ed è questa: voi siete nella migliore condizione di esercitare l’apostolato nelle sue due forme fondamentali, la forma individuale e la forma collettiva. Ognuno di voi può, e in certo senso deve, essere penetrato dal desiderio della diffusione, per via di esempio, di consiglio, di azione, del senso cristiano, come dicevamo, della vita; ognuno ha un suo modo personale e originale di professare la sua fede e la sua relativa concezione del mondo; ognuno può essere apostolo secondo il suo genio e le sue possibilità, e lo è di fatto se è cosciente ed operante in lui quella particolare tensione diffusiva che è propria dell’apostolato.

E poi insieme, collettivamente, voi potete operare ed operate, cominciando dalla risonanza che la vostra unione non può non avere sull’opinione pubblica, e coltivando quella forma elementare ma fecondissima di ricchezza spirituale ch’è l’amicizia. Siate uniti, siate fra voi amici e già sarete apostoli. Amici veri, diciamo; amici nella fede, amici nel pensiero e nell’azione, amici fedeli, amici della scuola di Igino Righetti e di tanti come lui che ci hanno fatti buoni e forti e felici con la loro amicizia.

Ed è questo il voto che Noi esprimiamo a voi, carissimi amici e figli Nostri, e lo convalidiamo con la Nostra Apostolica Benedizione.





Mercoledì, 10 gennaio 1968

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Diletti Figli e Figlie!

Un pensiero ricorrente si offre alla breve esortazione con la quale vorremmo dare all’udienza generale un contenuto dottrinale, per quanto familiare e modesto, ma degno di ricordo e di riflessione, ed il pensiero è quello dell’esaltazione che il Concilio ha fatto d’ogni singolo membro della santa Chiesa, d’ogni fedele, donde è risultata la dignità e la missione che competono al cristiano, in quanto tale, e perciò anche al semplice laico. Questa stupenda dottrina merita d’essere capita e meditata; essa porta alle sorgenti del mistero della Chiesa, fa riflettere sulla natura e sulla vocazione del Popolo di Dio, e deve alimentare in profondità la coscienza d’ogni fedele e può dare anche al laico, cioè al semplice cristiano, non rivestito di potestà ecclesiastica, né appartenente allo stato religioso, un senso vivo della sua pienezza spirituale e del suo impegno apostolico rispetto alla comunità ecclesiale (cfr. Prima Romana Synodus, n. 208 e ss.; Lumen Gentium c .

Vorremmo che questi insegnamenti diventassero familiari a ciascuno di voi. Ogni fedele, e, diciamo ora, ogni laico dovrebbe rendersi conto della propria definizione e della propria funzione nel quadro del disegno divino della salvezza (cfr. Rahner, XX siècle, p. 125, ss.). Basti a Noi ora, in questa Nostra elementare conversazione, richiamare alla vostra considerazione una parola, che ha molta fortuna nel discorso spirituale moderno, la parola «testimonianza». È una bella parola, molto densa di significato apparentata con quell’altra, più grave e specifica, che suona «apostolato», di cui la testimonianza sembra essere una forma subalterna, ma assai estesa, che va dalla semplice professione cristiana, silenziosa e passiva, fino al vertice supremo, che si chiama martirio e che significa appunto testimonianza. Questo già dice come il termine, oggi tanto usato, di testimonianza nascosta, anzi manifesti molti aspetti della mentalità cristiana; dei quali aspetti accenniamo solo ad alcuni, tanto per dare tema con questo Nostro colloquio a vostre successive esplorazioni mentali.

Un primo aspetto: che cosa significa testimonianza? Lo dicano i giuristi: è la dichiarazione con cui si attesta che una cosa è vera. Presa in questo senso si può dire che tutto il nostro sapere, (salvo quello che noi stessi abbiamo direttamente scoperto o verificato), riposa sulla testimonianza altrui: così la scienza, così la storia. Nel senso che ora ci interessa la testimonianza è la trasmissione del messaggio cristiano; una trasmissione per via di esempio, per via di parola, per via di opere, per via di vita vissuta, di sacrificio in omaggio alla verità posseduta come valore; valore superiore al proprio stesso benessere e talvolta alla propria stessa incolumità. È una verità professata, con intenzione di comunicarla ad altri. Il che suppone tre cose fondamentali: la convinzione propria, personale dapprima; il che esige, a sua volta, una coscienza istruita e convinta: quale testimonianza cristiana può dare chi non ha sufficiente cognizione di Cristo? Chi non vive della sua parola e della sua grazia? La testimonianza non è una semplice professione esteriore, convenzionale; non è un mestiere abituale; è una voce della propria coscienza, è un frutto di vita interiore, è nel suo caso migliore (assicurato al discepolo fedele) il dono d’una ispirazione, che sorge limpida e imperiosa dal fondo dell’anima (cfr.
Mt 10,19). Ed è un atto di maturità e di coraggio, al quale il cristiano dovrebbe essere sempre preparato; ce lo insegna San Pietro: dovete essere «sempre pronti a dar soddisfazione a chiunque vi chieda ragione della speranza, ch’è in voi» (1P 3,15).

La seconda cosa fondamentale, riguardante la testimonianza cristiana, è la funzione ch’essa esercita nell’economia religiosa cristiana: questa economia, cioè questo disegno, questo piano che regge tutto il sistema dei nostri rapporti con Dio e con Cristo, si fonda sulla testimonianza. Una testimonianza a catena, come altra volta dicemmo (cfr. Messaggio per la Giornata Missionaria): Cristo è il primo, grande testimonio, di Dio, Verbo lui stesso di Dio, il maestro, che domanda fede nella sua Persona, nella sua parola, nella sua missione. Poi vengono gli Apostoli, i testimoni oculari e auricolari; ricordate l’incisiva parola dell’evangelista Giovanni: «Vidimus et testamur» (1Jn 1,2), noi abbiamo veduto e lo attestiamo. E S. Agostino, che commenta: «Deus testes habere voluit homines», Dio ha voluto avere uomini per testimoni (In EP ad Parthos, P. L. 35, 1979). L’avere detto Gesù congedandosi dai suoi apostoli: «eritis mihi testes», voi mi sarete testimoni (Ac 1,8).

Le citazioni si potrebbero moltiplicare; e tutte concludono nel mettere in evidenza che il nostro rapporto col fatto cristiano, con la verità rivelata deriva dall’adesione ad una testimonianza, ad un magistero, che arriva alle nostre anime in concomitanza parallela con un’altra testimonianza, invisibile questa e irriducibile ad un linguaggio adeguato ma non senza relazione normalmente a forme precostituite, i sacramenti, quella dello Spirito Santo, «che dà testimonianza al nostro spirito» (Rm 8,16), come c’insegna S. Paolo.

E questo c’insegna finalmente una terza cosa: il fine della testimonianza. A che cosa tende; e nella pratica nostra, a che cosa deve tendere: a produrre la fede. Il testimonio è un operatore di fede. Il Concilio ne parla continuamente (cfr. Lumen Gentium LG 10-12 Ad Gentes AGD 21 etc.). La testimonianza cristiana è il servizio alla verità che Cristo ha lasciato al mondo; è la trasmissione di questa eredità di salvezza.

Ora la conclusione, Figli carissimi, è questa: «il Laico - il fedele cristiano - è per essenza un testimonio. Il suo stato è quello della testimonianza» (Guitton). Non è maestro qualificato, non è ministro sacerdotale. È teste di ciò che la Chiesa insegna e che lo Spirito Santo gli fa accettare e in certo modo sperimentare, vivere. Ma quale grande missione quella d’essere testimoni di Cristo! Ciascuno di voi lo può e lo deve essere!

A ciò vi conforta la Nostra Apostolica Benedizione.




Paolo VI Catechesi 27967