Paolo VI Catechesi 17468

Mercoledì, 17 aprile 1968 ALLELUIA! ATTO DI FEDE E DI VITTORIA

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Diletti Figli e Figlie,

Noi vi saluteremo con l’esclamazione caratteristica della liturgia pasquale: Alleluia! che vuol dire: lode a Dio! È un grido religioso, che ci viene da un antichissimo uso ebraico, registrato nella Sacra Scrittura, e diventato abituale nel linguaggio liturgico della Chiesa per esprimere la gioia di lodare il Signore, specialmente nel tempo pasquale. È diventato una acclamazione di giubilo, che più intende esprimere un vivace sentimento di letizia, che una parola avente un senso determinato (cfr. S. Agost., In PS 99, P.L. 37, 1272); come dicessimo, in linguaggio moderno: evviva! hurrah! hoch!

Ma per noi questo Alleluia! conserva il suo duplice significato originario: di lode e di gioia, l’una e l’altra riferita al Signore ed erompente dall’anima piena, ad un tempo, di entusiasmo religioso e di gaudio spirituale. E Noi, accogliendo oggi la vostra visita, facciamo Nostra l’esultanza commossa della Chiesa, e vi salutiamo con la sua piissima voce: Alleluia! alleluia! E ciò facciamo con una duplice intenzione. La prima, di mettervi tutti in comunione di spirito con l’anima della Chiesa, inebriata dalla celebrazione del mistero pasquale. Possiamo dimenticare questo avvenimento, che fa a noi ricordare e in noi rivivere la risurrezione di Cristo? la sua vittoria sulla morte? la sua promessa, già in via d’iniziazione mediante la virtù e il significato sacramentale del battesimo, che anche noi un giorno risorgeremo? possiamo dimenticare che sul fatto prodigioso, reale e soprannaturale insieme, della risurrezione di Nostro Signore, si fonda la nostra fede, la nostra certezza che Gesù è il Salvatore del mondo, il nostro impegno a fare della nostra vita una testimonianza, che appunto cristiana si chiama? Non possiamo dimenticare. Anzi dobbiamo ricordare, celebrare, inneggiare, perché Cristo è risorto, e perché dalla sua risurrezione è scaturita la Chiesa, a cui lo Spirito Santo conferirà i carismi vivificanti di Cristo, da diffondere nella umanità, altrettanto avida di vivere, di sopravvivere, quanto consapevole della sua mortalità e cieca sul suo destino ultraterreno. E tutto questo diciamo con un’acclamazione convenzionale: Alleluia! atto di fede, di fiducia, di gaudio, di vittoria, che in sé riassume una somma di verità, di pensieri, di sentimenti.


LA SALVEZZA MERITATACI DAL RISORTO GARANZIA DI FELICITÀ

L’altra intenzione, che mette per voi sulle Nostre labbra l’Alleluia pasquale, è quella di ricordarvi che la vita cristiana non può essere senza gioia. Se lo svolgimento della vita cristiana comprende altre note, altre lezioni che quella della gioia (comprende la croce, la rinuncia, la mortificazione, il pentimento, il dolore, il sacrificio, ecc.), non è però mai priva d’un conforto, d’una consolazione profonda, d’un gaudio, che non dovrebbero mai mancare, e non mancano mai quando le nostre anime sono in grazia di Dio. Quando Dio è con noi possiamo forse essere del tutto tristi? possiamo essere amari e disperati? No: la gioia di Dio dev’essere sempre, almeno in fondo, una prerogativa dell’anima cristiana.

Uno scrittore cattolico moderno osserva: «Ho conosciuto giovani di famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro genitori: “è duro essere cattolici!”, e la risposta era: “oh, sì! è duro! privazioni dappertutto! è una religione triste!”». Ci si ricorda la famosa apostrofe di Nietzsche, che rimproverava ai cristiani di pretendere d’essere dei «salvati, e di averne così poco il comportamento» (J. Leclercq, Croire en J. C., p. 21).

Sì, noi cristiani dovremmo sentirci non più infelici degli altri, perché abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo, ch’Egli porta con noi e che perciò Egli definisce: «soave e leggero» (
Mt 11,30); ma più felici, appunto perché abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza, che Cristo ci ha meritato, e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo.


ATTINGERE SERENA SUPERIORITÀ SPIRITUALE DALLA GIOIA DI CRISTO

Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica, per guardare il panorama del mondo e della vita con gioioso stupore e per godere di quanto l’esistenza ci riserva, anche delle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il cristiano sa trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell’esperienza; ed egli sa che «tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio» (cfr. Rm 8,28). Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore sicurezza, che lasci altri intravedere donde egli attinge tale serena superiorità spirituale: dalla gioia di Cristo.

Oggi questo atteggiamento di lieto vigore dell’animo si va fortunatamente diffondendo fra i cristiani moderni; essi sono più disinvolti e più allegri d’un tempo; e sta bene. Ma così sia ad una condizione che li preservi dal decadere in un naturalismo gaudente, subito facile a diventare pagano e illusorio; e la condizione si è che bisogna derivare dalla fede, e non tanto da fortunate contingenze del benessere temporale, la propria gioia interiore e la propria esteriore serenità. Cristo è la nostra felicità. Ripetiamo a suo onore e a nostro conforto: Alleluia!

Con la Nostra Apostolica Benedizione.




Giovedì, 25 aprile 1968 CATTOLICI TUTTI UNITI DALLA MEDESIMA FEDE E DALLA MEDESIMA CARITÀ

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci riempie di gaudio e di speranza. Possiamo far Nostre le parole, che servono di titolo alla celebre Costituzione conciliare: Gaudium et spes. Di gaudio, perché vi vediamo così numerosi: oggi la basilica di San Pietro non basta a contenere i Nostri visitatori, così che siamo obbligati a suddividerli in tre Udienze distinte; questa affluenza è per Noi motivo di gioia; vediamo in essa quasi un riflesso biblico: «Tutti costoro si sono raccolti d’intorno a te, Gerusalemme . . . . i tuoi figli verranno da lontano e le tue figlie sorgeranno da ogni lato. Allora guarderai, e per l’affluire della gente resterà meravigliato e si allargherà il tuo cuore . . .» (
Is 60,4-5). E qualche cosa che supera il fenomeno turistico è evidente in questa concentrazione non facile, non comoda, che nulla vi offre, se non la grata consapevolezza d’essere qui, cioè al centro non solo geografico della Chiesa, ma al punto canonico, storico e visibile, spirituale e mistico della sua prodigiosa e commovente unità; qui dove è la tomba dell’Apostolo, che Cristo pose a fondamento della sua misteriosa costruzione, la Chiesa; qui dove è così bello incontrarsi con gente d’ogni paese, e sapersi tutti fratelli, tutti fedeli, tutti uniti dalla medesima fede e dalla medesima carità, cioè tutti cattolici. E questa scena non è casuale, non è comandata, ma da voi spontaneamente voluta, e non già per dare o vedere spettacolo, ma per pregare, per avere una parola e una benedizione da Noi, che non mai come in questa e altre simili circostanze sentiamo la pochezza della Nostra umana persona e la grandezza della Nostra qualifica di Vicario di Cristo.

DARE ALLA CHIESA UN ATTESTATO DI FILIALE ADESIONE

Gaudio perciò, gaudio grande Ci procurate; e non mai stanchi di ammirare la visione dei Nostri pellegrini e dei Nostri visitatori, rendiamo grazie al Signore con le parole di Davide: «Il popolo ch’è qui io l’ho visto con grande gioia offrire a Te i suoi doni» (1 Par. 29, 17): i doni della sua fede e della sua pietà.

E col gaudio la speranza: la speranza che codesta presenza valga molte cose per la causa del regno di Dio, cioè quella di Cristo, della sua Chiesa e delle vostre stesse persone. Vi diremo una parola che deve farvi pensare: abbiamo bisogno di voi ! Siete certo qua venuti per fare atto di fede, per dare alla Chiesa un attestato della vostra filiale adesione, per confermare i vostri propositi di vita cristiana. Ebbene, di codesti doni spirituali Noi abbiamo bisogno. Della vostra risvegliata coscienza cattolica, della vostra fedeltà alla santa Chiesa di Dio. Questo sembra ovvio, e già scontato dalla devozione religiosa e dalla sincerità di sentimenti che qua vi conduce; ed è questa la Nostra speranza a vostro riguardo.

Perché, voi sapete, l’ora storica e spirituale, che la Chiesa sta attraversando, specialmente in alcuni Paesi, non è serena; e ciò è per i Pastori della Chiesa e per Noi motivo di viva apprensione e talora di grande amarezza. E ciò non solo perché tutto il mondo moderno va staccandosi dal senso di Dio, tutto preso com’è dalla ricchezza delle sue conquiste nel campo scientifico e tecnico; non già che queste esigano «la morte di Dio», come qualcuno ha detto con infelice espressione; esigano cioè una mentalità atea e lontana da ogni religione; tali progressi caratteristici del mondo moderno esigerebbero piuttosto un più alto, più penetrante, più adorante senso di Dio, una religione più pura e più viva, sui fastigi del sapere umano; non solo, diciamo, per questa pratica apostasia religiosa tanto diffusa, ma anche e, per rapporto alla sensibilità di chi ha responsabilità nella Chiesa, specialmente per l’inquietudine che turba alcuni settori dello stesso mondo cattolico.


AGGIORNAMENTO E RINNOVAMENTO, NON EVERSIONE

Non è cosa ignota. Dopo il Concilio la Chiesa ha goduto, e sta tuttora godendo, d’un grande e magnifico risveglio, che a Noi per primi piace riconoscere e favorire; ma la Chiesa ha anche sofferto e soffre ancora per un turbine di idee e di fatti, che non sono certo secondo lo Spirito buono e non promettono quel rinnovamento vitale, che il Concilio ha promesso e promosso. Un’idea a doppio effetto si è fatta strada anche in certi ambienti cattolici: l’idea del cambiamento, che ha preso il posto per alcuni dell’idea dell’aggiornamento, presagito da Papa Giovanni di venerata memoria, attribuendo così, contro l’evidenza e contro la giustizia, a quel fedelissimo Pastore della Chiesa criteri non più innovatori, ma talvolta perfino eversivi dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa stessa.

Vi sono molte cose che possono essere corrette e modificate nella vita cattolica, molte dottrine che possono essere approfondite, integrate ed esposte in termini meglio comprensibili, molte norme che possono essere semplificate e meglio adattate ai bisogni del nostro tempo; ma due cose specialmente non possono essere messe in discussione: le verità della fede, autorevolmente sancite dalla tradizione e dal magistero ecclesiastico, e le leggi costituzionali della Chiesa, con la conseguente obbedienza al ministero di governo pastorale, che Cristo ha stabilito e che la saggezza della Chiesa ha sviluppato ed esteso nelle varie membra del corpo mistico e visibile della Chiesa medesima, a guida ed a conforto della multiforme compagine del Popolo di Dio. Perciò: rinnovamento, sì; cambiamento arbitrario, no. Storia sempre viva e nuova della Chiesa, sì; storicismo dissolvitore dell’impegno dogmatico tradizionale, no; integrazione teologica secondo gli insegnamenti del Concilio, sì; teologia conforme a libere teorie soggettive, spesso mutuate a fonti avversarie, no; Chiesa aperta alla carità ecumenica, al dialogo responsabile, e al riconoscimento dei valori cristiani presso i fratelli separati, si; irenismo rinunciatario alle verità della fede, ovvero proclive ad uniformarsi a certi principii negativi, che hanno favorito il distacco di tanti fratelli cristiani dal centro dell’unità della comunione cattolica, no; libertà religiosa per tutti nell’ambito della società civile, sì, come pure libertà di adesione personale alla religione secondo la scelta meditata della propria coscienza, sì; libertà di coscienza, come criterio di verità religiosa, non suffragata dalla autenticità d’un insegnamento serio e autorizzato, no; e così via.

IL PAPA CHIEDE DISCERNIMENTO E FEDELTÀ

Perciò, figli carissimi, la Chiesa ha bisogno oggi del vostro discernimento e della vostra fedeltà. Ed è questa la speranza, che Ci porta, con grande Nostra consolazione, la vostra visita. La Chiesa ha bisogno della lucidità di spirito dei suoi figli; ha bisogno della loro amorosa e ferma fedeltà. Ci portate voi, carissimi, questa chiarezza di idee in ordine al rinnovamento della vita della Chiesa? Ci portate il grande, il prezioso, il carissimo dono della vostra fedeltà? Noi lo speriamo paternamente.

E perciò, con l’animo pieno di gaudio e di speranza, tutti di grande cuore vi benediciamo.


Mercoledì, 8 maggio 1968 PER ONORARE IL «MYSTERIUM FIDEI» E PER L'EFFICIENZA GERARCHICA E COMUNITARIA NELL'AMERICA LATINA

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Diletti Figli e Figlie!

Quest'oggi avremo per tema del settimanale discorso ai Nostri visitatori l’annuncio d’un Nostro viaggio che, a Dio piacendo, Ci porterà a Bogotà, in Colombia, nel prossimo agosto, per assistere alla conclusione del Congresso Eucaristico internazionale, che sarà colà celebrato e sarà presieduto, com’è stato già pubblicato, dal Nostro Legato «a latere», il Cardinale Lercaro; e per aprire subito dopo la Conferenza generale dei Vescovi dell’America Latina. Un viaggio, come ormai è Nostro costume, molto rapido, in aereo, e molto breve, di due o tre giorni. Si tratta di due grandi avvenimenti, propri della vita della Chiesa; in onore, il primo, del «Mysterium fidei», dell’Eucaristia cioè, che, riproducendo il sacrificio redentore di Cristo, realizza la sua sacramentale presenza, e, nello stesso tempo, come ci ricorda il Concilio, significa e celebra l’unità della Chiesa (cfr. Unit. redint.
UR 2); in favore, il secondo, della efficienza gerarchica e comunitaria della Chiesa stessa nei territori vasti e vari dell’America Latina. Due avvenimenti religiosi ed ecclesiali di eccezionale importanza, ai quali Ci sembra non possa mancare la Nostra umile, ma personale presenza, oggi, che i moderni prodigiosi mezzi di trasporto la rendono possibile. Dobbiamo anche notare che inviti ufficiali dei Nostri Fratelli nell’Episcopato e dei Nostri Figli nella comunione della fede e della carità hanno amabilmente costretto il tradizionale riserbo del Papa a non allontanarsi dalla sua sede; e che simultanei inviti pressanti e cortesi delle Autorità civili Ci aprono il cammino e Ci consentono il soggiorno in quel Paese ospitale ed amico, ch’è la Colombia. E per vero dire una lunga serie di Paesi dell’America Latina hanno a Noi rivolto calorose ed autorevoli chiamate ad una Nostra visita, in occasione di questo primo viaggio d’un Papa in quel continente; ma che purtroppo, con Nostro sincero rammarico e con viva sensibilità della cortesia di tali inviti, non potremo materialmente soddisfare, se non con spirituale e riconoscente adesione.


LE VIE DEL MONDO APERTE AL MINISTERO DEL PAPA

Questo Nostro nuovo viaggio offre motivo di qualche interesse per i cercatori di notizie e per gli osservatori degli avvenimenti esteriori; ma per Noi costituisce un fatto singolare nella vicenda storica contemporanea e futura della Chiesa; ed è per questa ragione che lo proponiamo a qualche vostra spirituale riflessione.

La prima riflessione ripete quella provocata dalle Nostre precedenti peregrinazioni: il Papa viaggia. Che vuol dire? Vuol dire, innanzi tutto, una sua riacquistata libertà di movimenti, che può essere iscritta in attivo delle sue presenti condizioni storiche e politiche; vuol dire ancora che la mobilità propria del costume moderno si insinua anche nelle abitudini piuttosto statiche della vita pontificia, non del tutto estranea perciò ai ritmi delle presenti fluttuazioni umane; e vuol dire, ed è ciò che più importa, che le vie del mondo sono aperte, anche logisticamente, al ministero del Papa: questo è molto significativo ed importante, e forse, con l’andar del tempo, potrà produrre notevoli cambiamenti nell’esercizio pratico del suo ufficio apostolico: già ne avvertiamo i sintomi nel moltiplicarsi degli inviti, che Ci provengono da ogni parte del mondo, non certo a profitto della regolarità e dell’intensità del Nostro lavoro in sede romana. L’avvenire risponderà. Ma fin d’ora la semplice ipotesi d’una maggiore facilità di spostamenti locali della persona e dell’attività del Papa lascia intravedere una più intensa eventuale circolazione di carità nella Chiesa, resa possibile da un fenomeno di maggiore evidenza della sua unità e della sua cattolicità.


LA FEDE DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA NELLA TRIPLICE VIRTÙ SANTIFICATRICE DELL'EUCARISTIA

Ma lasciamo questi sogni, o presagi che siano. E fermiamo la Nostra riflessione sul Congresso Eucaristico internazionale, al quale Ci proponiamo di partecipare. Non è la solennità esteriore che colà Ci attira, sebbene anch’essa abbia un suo altissimo valore, sia per l’intenzione cultuale che la suscita, sia per l’edificazione corale, che intende produrre nella folla partecipante al Congresso. È l’affermazione del Mistero eucaristico che colà Ci attira; una affermazione che vorrebbe essere, se possibile, universale; e che, in ogni modo vuole consolidare fortemente ed esprimere, in forma inequivocabile, la fede di tutta la santa Chiesa cattolica nella triplice virtù santificatrice dell’Eucaristia: la memoria, che dev’essere in noi incancellabile e palpitante, della passione redentrice di Cristo; il prodigio reale della presenza sacramentale di Cristo, che vive, convive con la sua Chiesa, la fiancheggia, la sostiene, l’alimenta, la compagina a sé, la unisce, la caratterizza, la sublima, la inebria; il preludio escatologico, infine, la promessa cioè della parusia ed il pegno propri dell’Eucaristia, del finale e sfolgorante ritorno di Cristo al termine della storia presente dell’umanità (cfr. nella Liturgia: O sacrum convivium, ecc.; VONIER, La chiave della dottrina eucaristica, p. 31).

AUGURIO DI PACE E PROSPERITÀ CRISTIANA PER L'IMMENSO MONDO LATINO-AMERICANO

Questo C’interessa, a conferma odierna della dottrina eucaristica, dottrina capitale nella Chiesa, nei confronti della inettitudine, della ambiguità, degli errori, di cui soffre qualche parte della generazione nostra rispetto al Mistero centrale dei nostri altari. Il Congresso Eucaristico rimette sulle labbra Nostre e di quanti saranno nella nostra comunione la professione di Pietro: «Signore, e a chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna» (Jn 6,69).

E C’interessa che questa affermazione religiosa si celebri in quell’America Latina, che Ci è carissima; per la sua professione cattolica, per la grande schiera dei suoi Vescovi, per il risveglio di carità sociale che anima i buoni cattolici di quel continente, per i bisogni spirituali di quelle popolazioni, per i mirabili sforzi pastorali oggi colà operanti, per le folle di poveri, di umile gente, che attendono una nuova e provvida giustizia civile, per la pace e la prosperità cristiana di quell’immenso mondo Latino-Americano, al quale va fin d’ora il Nostro saluto e la Nostra Benedizione.



LA «BIBLIOTECA DI AUTORI CRISTIANI» DELLA SPAGNA

Señor Obispo, Señores:

Agradecemos vivamente las expresiones que acabamos de escuchar cuyo significado concuerda con el espíritu y la trayectoria que la Biblioteca de Autores Cristianos ha seguido en estos veinticinco años de existencia,

¿Quién no conoce a la BAC, ramo cargado de frutos que se entronca en ese árbol vetusto y vigoroso de la Editorial Católica? ¿Cómo no recordar al gran promotor, el querido Cardenal Angel Herrera Oria? En diversas ocasiones habéis recibido de la Santa Sede y de Nuestra persona pruebas de estima y de gratitud. Queremos hoy reiterarlas, poniendo de relieve algunos de vuestros méritos.

Habéis contribuído a la difusión de la cultura católica, principalmente de la Palabra de Dios y de la doctrina de la Iglesia, con vuestras publicaciones que han permitido a numerosos sacerdotes y fieles poseer unas fuentes preciosas de estudio y de predicación.

Los éxitos del pasado no han adormecido vuestras iniciativas sino que han sido estímulo, bien lo sabemos, para tender hacia otras metas, de aspecto cultural y religioso, en consonancia con las exigencias de los tiempos, enriqueciendo muchos de los volúmenes, en su contenido o en su forma, con el interés de la actualidad.

¿Por qué no destacar también que, de este modo, habéis dado un testimonio concreto de cómo los seglares pueden y deben ejercer un apostolado que «brota de la esencia misma de su vocación cristiana»? (Decreto

Apostolicam actuositatem AA 1). Vuestra presencia aquí indica una de las características de ese apostolado: la adhesión, el respeto y el amor con que servís a la Iglesia.

Os felicitamos cordialmente. Os agradecemos el generoso obsequio que ponéis a Nuestra disposición. Os alentamos a proseguir con renovado entusiasmo, mientras Nos complacemos en otorgaros una especial Bendición Apostólica, extensiva a la gran familia de la Biblioteca de Autores Cristianos y de la Editorial Católica.




Mercoledì, 15 maggio 1968 L'AZIONE D'OGNI FEDELE PER LA VITA E LO SVILUPPO DELLA CHIESA

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Diletti Figli e Figlie!

La presenza di tanti visitatori, tra i quali Ci piace avvertire belle e care schiere giovanili, Ci porta grande consolazione e Ci conforta a supporre che quanti qui siete abbiate compreso l’affermazione del recente Concilio, che vuole «rendere più intensa l’attività apostolica del Popolo di Dio» (Ap. act.
AA 1), e che attende anche dai Laici, come membri vivi del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, il contributo d’una viva e personale collaborazione sia alla missione salvifica della Chiesa (cfr. Lumen gentium LG 33), sia all’instaurazione dell’ordine temporale secondo il disegno di Dio (cfr. Ap. act. AA 5). Questa affermazione non è per se stessa una novità, perché scaturisce dalla natura stessa della vocazione cristiana; ma è stata messa in tale evidenza dal Concilio, e intimata con tale autorità e ripetuta con tanta insistenza, da costituire per il cristiano cosciente una questione nuova, quella cioè dell’attività che ogni cristiano deve apportare alla vitalità e allo sviluppo della Chiesa.

Per Noi, in questo momento d’incontro spirituale ed ecclesiale, la questione si traduce in una domanda, alla quale Noi pensiamo, con paterna fiducia, che voi tutti vogliate dare risposta positiva. Questi visitatori, Noi ci chiediamo, hanno compreso ciò che la Chiesa del secolo ventesimo chiede da loro? Sono essi veramente i fedeli del Popolo di Dio? Ci sono essi veramente amici? Ci vogliono aiutare a conservare e a diffondere il senso cristiano nella vita moderna? Qual è il loro vero atteggiamento verso la Chiesa? Un atteggiamento passivo e inconsapevole, o attivo e cosciente? Son essi qui per una visita puramente occasionale, ovvero per rinnovare e rinfrancare la loro fede in Cristo e la loro adesione alla Chiesa? Sono qui come curiosi turisti, o come figli desiderosi di sperimentare qualche cosa della virtù segreta che fa di essi degli autentici seguaci di Cristo, degli attenti discepoli del Vangelo, anzi degli apostoli?


A TUTTI SI RIVOLGE L'INVITO DI SAN PAOLO: «NON DOMANDO LE VOSTRE COSE, DOMANDO VOI STESSI»

Noi crediamo che sì. Se Noi, ad esempio, vi dicessimo più distesamente ciò che la Chiesa pensa oggi di voi, di ciascuno di voi, accettereste il suo giudizio come una definizione impegnativa? LimitiamoCi a dire: la Chiesa vi pensa come cristiani veri, chiamati a quella forma di amore a Cristo e alla sua Chiesa, la quale si esplica nell’azione, o, come ora comunemente si dice, nell’apostolato. Siete disposti, siete disponibili a professare questa forma di amore? L’azione, l’apostolato? La prospettiva dell’azione, dell’apostolato spaventa molti. Chi mai si sente idoneo ad agire per il nome di Cristo? Quanti si mettono sulle difese, quando si chiede loro qualche offerta, qualche loro cosa; quale resistenza farebbero, se con la Chiesa Noi ripetessimo le parole di San Paolo: «Non domando le vostre cose, domando voi stessi»? (2Co 12,14).

È comprensibile. Ma fate attenzione. È ancora San Paolo che offre la soluzione alla nostra perplessità dinanzi alla vocazione all’apostolato, cioè alla funzionalità del cristiano inserito nella comunità ecclesiale, egli c’insegna la diversità, la pluralità delle forme, mediante le quali un cristiano può cooperare al bene generale della causa di Cristo, sempre insistendo sull’immagine del corpo, in cui molte sono le membra, differenti le singole loro funzioni, unico il bene del corpo, così variamente organizzato (1Co 12,12 ss.). Il Concilio, parlando dei Laici, raccoglie questo insegnamento, e per chiarezza didattica lo semplifica affermando che due sono i campi in cui può esercitarsi il loro apostolato multiforme, un campo interno nella Chiesa e un campo esterno (cfr. Ap. act. AA 9-10). Questa elementare divisione è molto importante, perché toglie molte esitazioni e consente l’esplicazione delle varie attitudini, secondo il temperamento e la preparazione, che ognuno può offrire alla collaborazione apostolica.

OCCORRE ADESIONE TOTALE, SINCERA, OPERANTE, FIDATA

E qui, fermando ora l’attenzione sulla collaborazione apostolica all’interno della Chiesa, dovremo osservare che questo campo è aperto a tutti, mentre l’altro campo, quello esteriore, non sempre a tutti è praticamente accessibile. Ciascuno infatti, d’ogni età e d’ogni condizione, può e deve offrire il suo contributo d’amore attivo a Cristo e alla sua Chiesa, aderendo di sua volontà ad una, o a più delle tante forme d’attività, che alimentano il fervore, la spiritualità, l’efficacia, la compagine organizzativa della comunità riunita autenticamente intorno al nome di Cristo, cioè della Chiesa.

Importante innanzi tutto è scoprire il carattere comunitario, organizzato, non solo ideale e spirituale, ma visibile, concreto, istituzionale (come ora si dice), della Chiesa; e dare a questa Chiesa sociale, che riflette e perpetua il mistero dell’Incarnazione, e che, umana qual è, non è senza i suoi limiti e i suoi difetti, la propria fedele e cordiale adesione. Questo è il primo apostolato. Chieda ciascuno a se stesso quale sia il grado di questa sua adesione: totale o parziale, sincero o ambiguo, amoroso o dispettoso, operante o inerte, stabile o intermittente, fidato o infido, eccetera. E chieda anche se egli abbia un concetto esatto di quella primigenia espressione della comunità cristiana, che è la Parrocchia, la sua Parrocchia; e se per questo organismo ecclesiastico, prima fonte autorizzata e responsabile della Parola di Dio e della grazia di Cristo, egli, da buon fedele, faccia qualche cosa, non foss’altro con l’affezione, la frequenza, l’aiuto.


LA GRANDE ASSEMBLEA SPIRITUALE DELLA PARROCCHIA

Questo è un secondo grado di apostolato, a cui nessuno è inabile, e a cui nessuno dovrebbe sottrarsi. Se noi riuscissimo a dare alla istituzione parrocchiale la sua pienezza di preghiera e di carità, di organizzazione e di solidarietà, di coscienza ecclesiale e di esercizio benefico e pedagogico, noi avremmo già compiuto opera grande, moderna e ottima d’apostolato. E qui si vede come tutti possono collaborare; e, cosa meravigliosa, i più piccoli sono i primi a dare alla Parrocchia il suo profondo senso apostolico: i ragazzi che frequentano le scuole di catechismo, o d’altro, che vi hanno un oratorio, - questa magnifica istituzione polivalente: pedagogica, ricreativa, religiosa, sociale -, o che s’inseriscono in apposite associazioni e rallegrano le feste della comunità, compiono opera anch’essi d’apostolato interno, di alta qualità e di grande merito.


UN CENTRO ELETTISSIMO: LA FAMIGLIA CRISTIANA

Che diremo dei Poveri, che onorano della loro pazienza e che accettano l’umile pane del Parroco; non dànno forse alla Chiesa l’aureola apostolica della carità? Che diremo dei Malati, che dalla Parrocchia accettano amicizia ed assistenza, dei Disoccupati, dei bisognosi in genere, che, accordando a questo centro di carità, impari certamente a rispondere a tutti in modo adeguato, la loro fiducia, fanno a loro modo l’apologia migliore della Chiesa di Cristo, Chiesa dei Poveri?

Il tema dell’apostolato interno alla Chiesa non avrebbe più fine se volessimo ricordare l’apparato organizzativo, di cui oggi dispone la comunità cattolica: dall’apostolato della preghiera all’Azione Cattolica, specialmente alle associazioni d’ogni specie, come quelle degli Esploratori Cattolici, alle biblioteche parrocchiali, alle Società di San Vincenzo, ai gruppi sportivi, e così via. Chi dà nome, opera, obolo, preghiera e cuore a queste molteplici forme di buona e qualificata attività, compie opera d’apostolato degnissima. Vorremmo parlarvi della Famiglia cristiana, concepita e organizzata come comunità d’amore cristiano, d’educazione umana e religiosa, di testimonianza morale e spirituale, per farne l’altissimo elogio, ch’essa ha meritato dal Concilio, proprio come focolare d’apostolato (cfr. Apost. act. AA 11 AA 30; etc.). Ma qui basti l’averne fatto menzione, per illustrare con un irrecusabile argomento la semplice tesi di queste parole: tutti siamo chiamati oggi all’apostolato, voi Laici con esortazioni speciali; e tutti, almeno in qualche forma e misura nell’interno della Chiesa, lo possiamo, lo dobbiamo. Ed a ciò vi assista la Nostra Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 22 maggio 1968 MULTIFORME ATTIVITÀ ALL'INTERNO DELLA CHIESA

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Diletti Figli e Figlie!

Noi Vi dobbiamo ancora parlare dell’apostolato, cioè della missione propria della Chiesa, e perciò di tutti coloro che alla Chiesa appartengono, rispetto alla salute del mondo, cioè di tutti gli uomini. La Chiesa, che è al tempo stesso il mezzo e lo scopo dell’apostolato, si pone, specialmente dopo gli insegnamenti che il Concilio ci ha dati sulla natura e sulla missione della Chiesa stessa, questo problema come primario; non lo possiamo dimenticare. Molti cristiani hanno ancora un concetto troppo individualista della loro religione; la Chiesa viva li richiama non solo al senso comunitario proprio della società dei credenti e dei seguaci di Cristo, ma altresì all’indole e all’obbligazione diffusiva della vocazione cristiana risultanti dal battesimo e dalla partecipazione della vita storica, sociale e dinamica del Popolo di Dio. Avremmo ancora molte cose da dire sull’attività che ogni fedele deve prestare all’interno della comunità ecclesiale; i bisogni, ch’essa denuncia continuamente, i servizi di cui essa abbisogna per rendere degna, autentica, efficiente la sua compagine, la pluralità di forme d’azione consentite in seno alla famiglia dei credenti, il suo dovere di ringiovanirsi continuamente, sia traendo dal proprio genio apostolico nuove espressioni d’attività benefica alla propria e all’altrui salute, sia cercando di valersi dei mezzi moderni efficaci alla diffusione delle idee e alla formazione degli animi, darebbero materia di parlare di tante attività apostoliche, che attendono sempre dai buoni figli della Chiesa gli operai della sua pratica e effettiva costruzione, tanto nel campo della vita propriamente religiosa, come l’insegnamento della religione, gli esercizi ed i ritiri spirituali, l’apostolato della sofferenza, la propaganda missionaria, l’azione liturgica, l’educazione al canto sacro . . . . come in molti altri campi, primo tra essi la scuola cattolica, e con essa la stampa cattolica, la letteratura e la cultura cattolica, la carità nelle sue cento forme di assistenza, di cura sanitaria e di beneficenza, l’arte cristiana, la promozione sociale delle classi meno abbienti, per arrivare anche alle forme, che per sé si potrebbero dire profane, come il turismo, lo sport, lo spettacolo, il credito, ecc. se non venissero anch’esse spiritualizzate e poste al servizio, più o meno diretto, del regno di Dio, della formazione delle anime, della carità; in una parola, della vita stessa della Chiesa.

Tutta questa attività, che oggi assurge alla dignità e al merito dell’apostolato, si suole classificare, almeno per il suo fine principale, interna alla Chiesa medesima.


LA UNIVERSALE MISSIONE DI «SALE DELLA TERRA» E «LUCE DEL MONDO»

Ma all’esterno? la cittadinanza ecclesiale segna il confine dell’attività apostolica, ovvero l’azione della Chiesa va anche al di là d l e proprio perimetro sociale? è una religione ecclesiastica la Chiesa, un «ghetto» privilegiato, o è un disegno universale, cattolico? Nessun dubbio nella risposta: l’azione della Chiesa trascende il suo proprio preciso confine istituzionale; essa deve arrivare alla società intera; deve perciò tradursi in apostolato esterno; tutti lo sanno. Perché la Chiesa non è istituita solo per se stessa; non è una società chiusa; Cristo le ha aperto tutte le vie del mondo; San Paolo rappresenta l’apostolo «delle Genti», colui che intenzionalmente e effettivamente ha posto il mondo intero come oggetto dell’apostolato cristiano; e la Chiesa dei nostri tempi, quella del Concilio in modo esplicito e categorico, si è non solo definita missionaria, ma si è proclamata al servizio del mondo, di questo nostro mondo, a cui tutti apparteniamo, e di cui tutti avvertiamo il disinteresse, la distanza, l’indifferenza, l’ostilità verso il mondo religioso in genere, e verso quello cristiano e cattolico in specie.

Forse non tutti hanno avvertito l’aspetto paradossale e drammatico della posizione assunta dalla Chiesa cattolica a riguardo del mondo, proprio nell’ora in cui il mondo, nelle parole o nei fatti, dichiara di non aver bisogno di lei, anzi di considerarla istituzione storicamente e culturalmente sorpassata, per di più ingombrante e nociva. Il laicismo, cioè il proposito di fare a meno di Dio, è la formula oggi di moda. La sufficienza del mondo a risolvere da sé i suoi problemi, a generare un umanesimo proprio, a darsi il proprio equilibrio, la propria morale, la propria interpretazione dei destini dell’uomo, della sua storia e della sua civiltà, si afferma oggi con caratteri così sicuri e perentori da rendere paradossale, per non dire vano e anacronistico l’inserimento della Chiesa nel processo della vita moderna. Donde forme di radicale opposizione alla Chiesa, diffuse in varie Nazioni, e soprattutto in vari settori del pensiero e della politica: la Chiesa, si dice, non c’entra. L’ateismo poi si afferma come la forma religiosa, cioè assoluta, se così si può dire, del laicismo. E proprio di fronte a questo stato di cose, la Chiesa, con l’audacia, che si potrebbe dire ingenua, se non fosse ispirata, si presenta al mondo, badate bene, come apostolica, cioè intenzionalmente determinata a esercitare la sua missione di «sale della terra», di «luce del mondo» (
Mt 5,14-15).

Figli carissimi, bisogna prendere coscienza di questa posizione militante, quasi temeraria, in cui oggi la Chiesa tutti ci pone. Quando ella limitava la sua predicazione ai suoi figli di separarsi dal mondo, usava parole moleste (come sempre è la concezione liberatrice del cristianesimo dall’esclusivo godimento del regno della terra), ma usava, in fondo, parole più facili; ora ella integra, evangelicamente, la sua predicazione, e ci esorta ad essere apostolicamente nel mondo e nello stesso tempo non del mondo (cfr. Jn 17,15); ciò ch’è più difficile, com’è più difficile ad un medico vivere fra ammalati, per guarirli, senza contrarre le loro malattie; o ad un amministratore maneggiare denaro altrui senza indebita appropriazione; cioè per ciascuno di noi essere in mezzo alla nostra società, qual è, piena di seduzione e spesso di corruzione, amandola molto e servendola con dedizione, senza essere assimilati alla sua mentalità, alla sua profanità, alla sua immoralità. L’apostolato pastorale sa bene queste norme basilari dei suoi contatti con la vita secolare.


PROFONDA DISTINZIONE TRA LAICITÀ E LAICISMO

Ma i Laici, come si devono comportare? La domanda esigerebbe non una, ma molte risposte differenziate. Contentiamoci per ora di una osservazione generale e preliminare: la Chiesa odierna, quella della Costituzione Gaudium et Spes, non teme riconoscere i «valori» del mondo profano; non teme di affermare quello che Pio XII, Nostro predecessore di venerata memoria, già apertamente riconosceva, e cioè una «legittima sana laicità dello Stato», come «uno dei principi della dottrina cattolica» (A.A.S., 1958, p. 220); così la Chiesa oggi distingue fra laicità, cioè fra la sfera propria delle realtà temporali, che si reggono con principi propri e con relativa autonomia derivante dalle esigenze intrinseche di tali realtà - scientifiche, tecniche, amministrative, politiche, ecc. -, e il laicismo, che dicevamo l’esclusione dell’ordinamento umano dai riferimenti morali e globalmente umani, che postulano rapporti imprescrittibili con la religione. E perciò la Chiesa, mentre riconosce ai Laici, a quelli che vivono nella sfera secolare, cioè senza uffici di ministero religioso, il diritto di svolgere liberamente e validamente la loro attività naturale e profana, non li abbandona, là dove la loro attività si ripercuote nelle loro coscienze; cioè non li lascia senza il duplice lume dei principi e dei fini, che devono orientare e sorreggere la vita umana in quanto tale. Ed è lo sguardo lucido e docile a questo duplice lume, che può fare della vita secolare, dell’attività profana, un tipo degno di osservazione e di imitazione; un apostolato cioè, che traspare, in esempio specialmente, dallo stile morale e spirituale della condotta del Laico cattolico, e che lo guida ad un costante tentativo di imprimere anche alla sua attività temporale una dignità, una rettitudine, una onestà, un’intenzione di dovere e di servizio, un orientamento, insomma, che vi fa, quasi tacitamente, risplendere un ordine superiore, quello voluto da Dio anche nella sfera delle realtà temporali. Il Laico cosciente e fedele offre così la sua testimonianza cristiana; la sua probità è il suo silenzioso messaggio; è il suo servizio all’ordine temporale e al bene comune, al quale tale ordine dev’essere rivolto; è il suo apostolato. L’autonomia della sfera temporale è sottratta alla competenza della Chiesa («date a Cesare . . .» ricordate?); non è, come ironicamente si dice, clericalizzata; ma nello stesso tempo non è avulsa dall’armonia con le esigenze superiori e complesse della visione integrale dell’uomo e dei suoi superiori destini.


CON ARDORE E RISPETTO IL CRISTIANO DIFFONDE IL REGNO DI DIO

Discorrere di queste cose è delicato e senza fine; ma oggi tanto se ne parla, che nessuno è del tutto ignaro di questa conclamata distinzione del sacro e del profano; mentre molti non sanno quale equilibrio, quale rapporto, quale mutuo ausilio possano risultare da un loro reciproco e riguardoso riconoscimento; e quale temperanza, quale discrezione, quale rispetto all’altrui libertà, e insieme quale ardore di bene, quale provvido aiuto possa apportare il cristiano, che varcando il confine ecclesiale esce nel mondo con intenzione di dilatarvi la luce del regno di Dio.

Vada a quel coraggioso cristiano, con tutti voi, la Nostra Benedizione Apostolica.





Paolo VI Catechesi 17468