Paolo VI Catechesi 26565

Mercoledì, 26 maggio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Non possiamo dimenticare che oggi è la vigilia della festa della Ascensione di Nostro Signore al cielo, e cioè che noi abbiamo il dovere di preparare le nostre anime alla celebrazione di questo mistero, il quale trasferisce il nostro culto a Gesù Cristo dalla scena terrestre, che il Vangelo ci descrive, a quella celeste, dove il nostro sguardo si perde dietro le tracce luminose, che Egli ci ha lasciato del suo raggiante cammino, e che le ultime pagine del Nuovo Testamento ci fanno intravedere in immagini simboliche e profetiche, che esaltano e confondono le nostre menti tuttora inette alle visioni del regno dei cieli.

Dobbiamo ricordare, primo, che Cristo ora «siede alla destra del Padre»; cioè in uno stato di vita nuova, piena, gloriosa, potente; cioè al vertice trascendente delle gerarchie delle creature fisiche e spirituali, «al di sopra di ogni titolo che si possa dare, - come scrive San Paolo -, non solo nell’età presente, ma anche nella futura» (
Ep 1,21); infatti Egli ora dispiega in cielo tutta la maestà del suo essere: «Egli è l’immagine dell’invisibile Iddio, il primogenito d’ogni creazione, giacché in Lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra; le cose visibili e le invisibili . . . Tutto per mezzo di Lui ed in vista di Lui fu creato; ed Egli è avanti a tutto, e tutto in Lui sussiste, ed è il Capo del corpo (mistico) ossia della Chiesa. Egli è il principio e il primo dei risorti da morte, affinché in ogni cosa Egli tenga il primato . . .» (Col 1,15-18). È il Cristo glorioso, il Cristo Signore e centro del cosmo, l’Alfa e l’omega dell’universo, in cui sfolgora la conclusione dell’Incarnazione (cfr. Cath. Rom. 1, 7, 4). Sebbene una tale condizione di vita superi la nostra intelligenza e la nostra immaginazione (cfr. 1Co 2,9), non dobbiamo stancarci mai di pensare a Cristo Signore, quale Egli ora è; dobbiamo lasciarci abbagliare della sua luce e ognuno di noi diventare un po’ «contento ne’ pensier contemplativi» (cfr. Dante, Par. 21, 117).

E allora dobbiamo ricordare una seconda cosa, fondamentale per la vita cristiana; e cioè: noi dobbiamo fissare pensiero e cuore là, dove è Cristo, oltre i confini della vita presente, e donde Egli un giorno, l’ultimo giorno della storia temporale dell’umanità, ritornerà, vincitore, giudice, instauratore d’un nuovo regno di vita e di felicità. L’asse della nostra concezione della vita dev’essere rivolto là, a quel termine trascendente e supremo, nel suo cardine finale, che è appunto il Cristo glorioso. Voi sapete come oggi si chiama questo modo di concepire la vita presente: escatologico, cioè finale, ultimo. A differenza della mentalità dell’uomo privo della luce della fede, il quale cerca in questo mondo il senso della vita e la sua felicità, la mentalità del cristiano trasferisce al di là della scena presente il traguardo dei suoi desideri, e si considera viandante in questo mondo. Di speranza si vive: il cristiano pone la sua speranza là, dove non fallisce; e verso questo mondo presente egli si sente vincolato da molti doveri, ma da nessuna definitiva speranza: il cuore del cristiano è già vicino a Cristo e pregusta il gaudio di quell’incontro finale con Lui.

Ed ecco un terzo pensiero, che la recente Costituzione conciliare sulla Chiesa mette in luminosa evidenza (LG 48-49): è la Chiesa che c’insegna il significato vero della vita e ci dà i mezzi per conseguirla nella sua pienezza. È la «Ecclesia peregrinans» che così ci guida e ci salva.

Voi non ignorate queste verità; ma a Noi piace annunciarle qui, ed a voi, affinché ascoltandole sulla tomba di San Pietro, ripetute dal suo ultimo e umile Successore, ne possiate gustare la forza meravigliosa, e possiate ricordare sempre meglio quanto esse devono penetrare nei nostri pensieri è determinare la nostra condotta.

Su questo tema si svolge grande parte dell’educazione e della predicazione cristiana. Potete immaginare quante cose sarebbero allora da dire su questo disegno della vita, il quale, facendo arco sull’oscuro abisso della morte, fissa in Cristo il suo termine, il suo fondamento, la sua proiezione risolutiva e felice. Basti a Noi, oggi, raccomandarvi, proprio con la voce di San Pietro, che abbiate a riflettere «quali conviene che voi siate, nel santo vivere e nella pietà, aspettando e correndo incontro alla venuta del giorno del Signore» (2P 3,11-12). E osservate: nella dottrina del Nuovo Testamento circa la risoluzione finale dei nostri destini non soltanto il corso della nostra vita mortale ci porta verso l’incontro con Cristo, ma Cristo stesso viene verso di noi: come il padrone che ritorna nella notte a casa sua e incontra i suoi servitori nella attesa e nella veglia; come lo sposo, ancora nella notte, che va incontro alla sposa. Diremo allora tutto in una semplice parola, che le anime aperte comprenderanno: abbiate il desiderio di Cristo! Il desiderio profondo di vederlo, d’incontrarlo e di viverlo pienamente ed eternamente. Il desiderio del Cristo glorioso: ecco la lampada dei nostri passi nel cammino della vita. Il desiderio del Cristo totale: ecco il conforto ad ogni nostra stanchezza, il sostegno d’ogni nostra speranza.

Il desiderio di Cristo: così ve lo accenda Egli nei cuori, come per voi auspica la Nostra Benedizione Apostolica.

A Missionari in partenza per l’Africa (in francese)



Mercoledì, 2 giugno 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Sapete che cosa viene alla Nostra mente a causa di queste udienze generali? Viene alla Nostra mente il desiderio di leggere nelle vostre anime le impressioni che vi sorgono dentro, proprio a causa dell’udienza stessa. A Noi pare d’indovinare alcuni vostri pensieri; e Ci sembra conforme alla semplicità e alla schiettezza dell’incontro spirituale, che desideriamo avere con voi, il farne oggetto del Nostro breve discorso.

Vediamo se riusciamo a comprenderci. Noi crediamo che una delle vostre impressioni spontanee in ciascuno di voi sia questa: perché sono qui? Si fa cioè cosciente in ciascuno di voi la ragione della vostra presenza. Ciascuno di voi può subito rispondere: sono qui per vedere il Papa. Certamente. Ma perché, Noi chiediamo, volete vedere il Papa? E a questa domanda, anch’essa del tutto ovvia e immediata, la risposta non è per tutti uguale. Per intenderci facilmente diremo che vi sono tre modi di rispondere. Cioè qualcuno dice a se stesso: io sono qui come un estraneo, come un semplice visitatore, come un osservatore, come un turista, un curioso, uno che assiste, per conoscere, per vedere, ma che rimane forestiero e staccato, senza personale partecipazione all’intensità spirituale di questo momento e di questa atmosfera. Qualche altro invece risponde a se stesso: sono qui perché mi piace. Qui vi sono tante belle cose da vedere, da sentire, da pensare; sono qui da amico; amico, ad esempio, dell’arte, amico della storia, amico dello spettacolo, che qui posso osservare e godere. La partecipazione, in questo caso, è ancora più cordiale e sincera, ma parziale; aderisce a qualche aspetto di questo incontro, ma non forse a ciò che più importa: la comunione di fede e di carità, che costituisce l’essenza vera e profonda dell’incontro stesso. E finalmente vi è chi dice a se stesso: io sono qui, perché sono in casa mia, sono in casa del Padre comune, sono figlio della Chiesa e mi trovo qui in piena confidenza, sono qui per sentirmi cattolico cioè unito non solo a tutti quelli che sono presenti di fatto, ma anche a tutti quelli che sono presenti di spirito, a tutti i fedeli che formano una sola famiglia di Cristo, un solo popolo di Dio: è per godere un istante di questa misteriosa pienezza spirituale che sono qui; per sentirmi io pure membro vivo del Corpo mistico di Cristo, nella certezza d’una sola fede, nella gioia di un’identica carità.

Diciamo dunque: qui si può essere come estranei, come amici, come figli.

Fate attenzione: questa classifica, che in questo momento viene in evidenza, che si fa sensibile nei vostri spiriti, vale non soltanto ora e qui; vale sempre per definire le differenti posizioni, che gli animi delle persone del nostro tempo possono assumere rispetto alla Chiesa: vi è chi si considera estraneo, chi si considera amico, chi si considera figlio e membro vivo della comunione cattolica. E osservate ancora come questa triplice divisione riguarda non solo gli animi, ma le cose altresì di cui s’interessano gli uomini di ogni tempo: vi sono cose estranee alla competenza diretta della Chiesa, le cose temporali, le cose di questo mondo e per questo mondo; vi sono cose comuni alla Chiesa e a questo mondo; l’arte, ad esempio, la cultura, la beneficenza, e così via; e vi sono cose che solo la Chiesa possiede ed essa sola può dare: la dottrina del Vangelo, la preghiera liturgica e la grazia sacramentale, la via del Signore e la sua speranza di vita eterna.

E se pensate ancora, vi accorgete che queste diverse cose, che determinano diverse posizioni rispetto alla Chiesa, possono trovarsi, sotto differenti aspetti, nella medesima persona, la quale può essere, al tempo stesso, indipendente, quando si occupa di cose moralmente indifferenti e religiosamente profane; collegata, quando si occupa di cose che appartengono simultaneamente alla sfera profana e alla sfera sacra; e partecipe infine, quando agisce da soggetto fedele alla santa Chiesa.

Accenniamo a questa diversità di rapporti (e non sono solo questi, nella complessa realtà della vita; pensate, ad esempio, ai rapporti delle anime nell’ordine della grazia, quelle lontane, nel peccato o nell’inimicizia; quelle vicine, nell’unione spirituale e nella santità), perché Ci sembra un aspetto interessante, di spontanea coscienza, nel momento in cui Ci troviamo; una specie di esame di coscienza si pronuncia nei vostri spiriti a riguardo delle vostre relazioni con la Chiesa e con Cristo; e poi perché sappiate che Noi, in astratto se non in concreto, conosciamo codesta pluralità di relazioni, e le rispettiamo.

Diremo soltanto la Nostra altrettanto spontanea reazione a codesta varia presentazione spirituale dei Nostri visitatori; ed è quella del Pastore - Dio voglia: del buon Pastore, che conosce il suo gregge ed effonde su di esso una medesima affezione, un eguale interesse, una unica carità. Tutti, tutti qui, Figli e Figlie carissimi, siete accolti con lo stesso cuore; tutti siete per Noi i benvenuti nella dilezione, che il Cuore immenso di Cristo - al cui culto è particolarmente rivolta la devozione di questo mese di giugno - comunica al piccolo Nostro cuore di Pastore e di Padre comune.

Se volessimo proseguire su questo tema potremmo dire qualche mirabile cosa: è la vostra accoglienza, ad esempio, a dosare l’intensità della Nostra pastorale affezione e a qualificarne il tenore; e di più, ricordate che questa Nostra affezione ha misure strane; spesso la distanza l’accresce invece che attenuarla; e spesso chi si crede difeso dalla carità apostolica per la sua indifferenza o per la sua ostilità, è più ricordato e cercato da tale carità; appunto come nel Vangelo del pastore, affannato nella ricerca della pecorella smarrita. Citiamo una voce dei primi secoli cristiani, quella di Tertulliano: «Errat et una pastoris ovicula, sed grex una carior non erat»; si perde anche una sola pecorella del pastore, ma tutto il gregge non era più caro di quella sola (De paenitentia, VIII, P.L., 1, 1353).

Così, Figli e Figlie, quanti qui siete, e quanti a voi giunge l’eco della Nostra umile voce, tutti sappiate che nella carità di Cristo vi portiamo nel cuore, e tutti vi benediciamo nel suo santissimo Nome.



Mercoledì, 9 giugno 1965

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Diletti Figli e Figlie!

La festa di Pentecoste, che abbiamo celebrato la scorsa domenica, riempie ancora di sé il Nostro spirito, e Ci fa pensare come nessun altro luogo al mondo sembra più indicato di questa basilica alla rievocazione del grande prodigio, che diede vita, mediante la discesa dello Spirito Santo, alla Chiesa, al Corpo mistico di Cristo. Gesù aveva già radunato e fondamentalmente organizzato il primo nucleo, da cui la Chiesa risultò e si sviluppò; ma fu la venuta del Paraclito, cioè dello Spirito Santo, a infondere in quel nucleo l’animazione nuova, la carità, la grazia, che gli diede respiro soprannaturale e lo iniziò alla grande missione dell’evangelizzazione e della salute dell’umanità.

Perché questa basilica Ci ricorda il Cenacolo, dove avvenne l’accensione della fiamma vitale, di cui vive la Chiesa? Il ricordo nasce, possiamo dire, dallo stimolo dell’arte del Bernini, che ha saputo mettere al posto d’onore, di maggiore evidenza, nell’abside della basilica, i due simboli, congiuntamente, che più d’ogni altro si riferiscono al mistero di Pentecoste: la colomba, figura biblica dello Spirito Santo, fiammeggiante nella luce dell’abside stessa, come punto terminale di tutto il sacro edificio; e la cattedra monumentale, posta sotto quella luce, quasi ne fosse al tempo stesso la sede, che per prima la riflette. La figurazione plastica, che unisce questi due simboli: dello Spirito Santo e della Gerarchia apostolica, offre un’esatta e profonda concezione teologica: quella dell’azione destinata a continuare, a perpetuare l’opera di Cristo nel mondo, mediante i due fattori, agenti per la salvezza dell’umanità, ben diversi l’uno dall’altro, ma cospiranti al medesimo fine; perché appunto mediante l’azione vivificante e santificante della grazia, primo effetto dello Spirito Santo nelle anime, e mediante il ministero pastorale degli Apostoli e dei loro Successori si compie la salute portata da Cristo sulla terra. Le due «testimonianze», quella dello Spirito e quella dell’apostolato, hanno qui non solo una loro monumentale rappresentazione, ma hanno altresì la loro espressione più caratteristica e più autorevole, perché la tomba qui venerata del Principe degli Apostoli, San Pietro, il protagonista, si può dire, dell’avvenimento inaugurale della vita della Chiesa, Ci fa pensare alla Pentecoste di quel giorno fatidico e alla sua continuità. Pensare è poco: trovare, dobbiamo dire; trovare nella sua perenne e misteriosa realtà, velata, e pur troppo non sempre felicemente, dalle apparenze umane e storiche con cui si presenta, ma qui, sulla pietra che non trema, fedelmente sempre. Come oggi, nell’umiltà di Chi vi parla, ma nella verità del Suo messaggio cristiano.

Perciò, figli carissimi, migliore esortazione oggi per voi non abbiamo che quella di raccogliere l’invito, che pare emanare da questa aula santissima, al culto dello Spirito Santo; alla sua invocazione caratteristica: «Vieni, o Spirito Creatore; vieni, o Spirito Santo»; alla sua ascoltazione; parla lo Spirito nel fondo delle anime, che sanno offrirgli il silenzio per la sua voce dolce e forte, inconfondibile; alla sua ospitalità, cioè alla gelosa custodia della sua presenza nelle anime nostre, quando sono in stato di grazia; alla sua professione, nell’omaggio vissuto e coraggioso alla verità e alla bontà. Questo culto dello Spirito Santo, essenziale alla vita cristiana, come esige, così dimostra un rapporto con la sorgente che ce lo predica e che ce lo rende possibile, mediante il ministero della parola e della grazia; un rapporto cioè con la Chiesa gerarchica, strumento per la santificazione e per la guida di quel Popolo di Dio, a cui tutti vogliamo appartenere ed a cui è data la fortuna dell’animazione ineffabile dello Spirito Santo. E perciò il riconoscimento, l’adesione, l’amore alla santa Chiesa esprime ed alimenta quel culto sovrano.

E sarà appunto in questo luogo benedetto ed in questo momento singolare che voi tutti vorrete confermare la vostra devozione allo Spirito Santo e la vostra fedeltà alla Chiesa, per sentirvi colmi della letizia e della sicurezza d’essere perfettamente cristiani. La Nostra Benedizione Apostolica chiama sopra di voi questi doni celesti!



Mercoledì, 16 giugno 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Tema al breve colloquio di queste udienze generali Ci è offerto dalle impressioni immediate e comuni, che ben conosciamo essere suscitate negli animi dei Nostri visitatori, specialmente al loro primo contatto con Roma religiosa e con questa Basilica. Tra queste impressioni ne consideriamo una, dalla quale può essere determinato il giudizio non solo su tutta la Città, ma altresì sul cattolicesimo romano. L’impressione, che ora Ci interessa, è quella della esteriorità. La grandezza dei monumenti, lo stile barocco di cui molti sono rivestiti, le cerimonie solenni e sontuose, l’importanza data alle divise e alle norme protocollari, tutto sembra richiamare l’attenzione sulle forme appariscenti degli edifici, delle cose, dei costumi. Si direbbe da alcuni che qui si nota un po’ dappertutto un intento di grandezza, di fasto, di proporzioni sensibili, di coreografia, di scenografia: gli occhi si aprono, si meravigliano, s’incantano; ma intanto il cuore si inaridisce; il sentimento religioso specialmente - notano alcuni - perde la sua intimità, la sua profondità, e si disperde nell’esteriorità, che facilmente diventa convenzionale e profana. L’anima moderna, poi, che non possiede più le risonanze interiori dei romantici, né la capacità di cogliere il linguaggio severo e magnanimo delle forme classiche, si sente facilmente estranea a questa scena esteriore, la giudica spesso anacronistica, non si commuove più; osserva, forse si meraviglia e, se ancora è in cerca di vero conforto spirituale, non di rado si confessa delusa dal grande quadro religioso romano.

Non sarà certo così per voi, che vediamo invece compresi della spiritualità di questo momento, e desiderosi non solo di ammirare la scena esteriore che vi circonda, ma di ricavarne qualche buon frutto di sincera e personale vita religiosa. Voi sapete che su questo tema dell’esteriorità della Chiesa cattolica si è tanto parlato, non certo sempre a favore, e non sempre a proposito; e saprete, all’occorrenza, correggere l’impressione di indebita esteriorità, di cui dicevamo, quasi che essa fosse fedele e adeguata definizione sia della religione cattolica, che del genio spirituale della Chiesa di Roma.

Occorrerà innanzi tutto osservare come la manifestazione esteriore del sentimento religioso è non solo legittima, ma doverosa, per la natura stessa dell’uomo, che dai segni esteriori riceve stimolo per la sua attività interiore, e che nei segni esteriori la esprime, dandole pienezza di significato e valore sociale (cfr. S. Th. 2, 2; 81, 7). Così è il linguaggio rispetto al pensiero, così l’arte. E dobbiamo poi ricordare che tutta l’economia divina dell’Incarnazione contiene una provvidenziale intenzione di visibilità, di assunzione di cose create e sensibili per farne segni sacri delle realtà increate e invisibili, e che perciò l’esteriorità religiosa, quando non è superstiziosa e fine a se stessa, serve quasi da veste delle cose divine, rese accessibili alle nostre facoltà conoscitive, e serve a noi quasi tributo terreno offerto alla Maestà celeste.

Certamente l’esteriorità religiosa, come tutte le cose di cui l’uomo si serve, può essere talvolta non bene impiegata, e quasi sempre riflette, nei vari momenti storici, il gusto e la mentalità dei tempi. Perciò noi moderni, raffinati nella valutazione del fenomeno artistico, ascolteremo volentieri le parole della recente Costituzione sulla Sacra Liturgia, la quale, da un lato, difende l’impiego dell’arte, quale degna amica e fedele ancella del culto sacro, dall’altro oggi raccomanda che l’arte adibita al culto stesso si distingua piuttosto per semplice e nobile bellezza, che non per mera sontuosità (cfr. nn. 122-124): la linea prevalga sull’aspetto decorativo, e il significato, il contenuto, come si dice, sulla forma ricercata e sull’estetica convenzionale.

Ma questo, che ben si conforma allo spirito della religione e al gusto del nostro tempo, non toglie che alla magnificenza esteriore di questa Basilica corrisponda, per chi sa cercarla e scoprirla, una magnificenza interiore : nella sua mole stessa ch’è come un solenne atto di fede; nella sua straordinaria ricchezza di figure, di iscrizioni, di simboli; nella sua offerta di segreti rifugi spirituali, fra tutti attraente questo centrale, così detto della «Confessione», dove è nascosta la tomba dell’Apostolo, per la quale la Basilica è costruita. La grandiosità e l’esteriorità, che voi vedete, non sono enfasi vuota; sono un inno solenne, il cui senso profondo ciascuno può e deve cercare. Qui non è solo la religione dei sensi; qui è la voce della bellezza sensibile, che canta quella spirituale; qui è la dovizia parlante dell’arte per l’espressione e per l’introduzione della dovizia silenziosa dello spirito.

E ciò che diciamo di questo eccezionale monumento possiamo dire di Roma cattolica. Vi è chi ha scritto nel secolo scorso un celebre libro sul «profumo di Roma»; altri sulla «Roma del cuore», e così via. Bisogna saper cogliere questo fascino segreto della Città Eterna, anzi della Chiesa cattolica, che sa servirsi, con mirabile, ideale sintesi, delle cose visibili per ascendere a quelle invisibili.

Possa pertanto la vostra visita alla Basilica di Michelangelo sollevare i vostri spiriti alla visione della Chiesa visibile e invisibile, ch’è appunto la «costruzione di Dio» (
1Co 3,9), il mistico edificio che Cristo stesso sta costruendo: «Edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18).

Con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 23 giugno 1965

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All'odierna udienza generale prendono parte gruppi di sacerdoti e religiosi, di varia provenienza e di diversa e specifica attribuzione nel pastorale ministero, che conferiscono all’udienza stessa, nel concerto animato e multiforme degli altri pellegrinaggi qui presenti, una caratteristica singolare e a Noi gratissima. Codesti gruppi reclamano pertanto un particolare accenno, una speciale parola di compiacimento e di elogio, che li additi all’attenzione, alla simpatia, alla gratitudine anche dei carissimi fedeli, che oggi fanno loro corona.

Salutiamo anzitutto i dirigenti dell’ONARMO, e i numerosi Cappellani del lavoro di tutta Italia, partecipanti alla II Settimana di studio sulla Pastorale del mondo del lavoro, promossa dalla benemerita Organizzazione, in collaborazione con gli altri Sodalizi che si dedicano all’apostolato nel mondo del lavoro.

Diletti figli!

La vostra visita Ci procura vera soddisfazione, e ve ne ringraziamo di cuore. È ancora vivo nel Nostro ricordo l’incontro dello scorso anno con voi, incontro vibrante di fede, di letizia, di santo fervore; e Ci fa piacere rilevare il vostro impegno che, sulla scia delle consegne da Noi allora paternamente tracciate, vuol continuare nella ricerca di sempre più efficaci metodi di apostolato, nella non mai stanca preparazione ai vostri compiti, nell’intelligente adeguamento alle ricorrenti necessità e ai problemi della pastorale per i lavoratori.

Abbiamo preso visione con interesse dei temi che, sotto la guida di valorosi specialisti, state approfondendo in questi giorni circa l’argomento centrale della Settimana di studio: «La dinamica dei gruppi e l’apostolato sacerdotale nella comunità di lavoro». L’esiguità del tempo a disposizione non Ci permette di sostare più a lungo, come pur vorremmo, con voi, per cogliere dal tema annunziato qualche particolare indicazione per il vostro delicato, urgente, generoso ministero. Certamente saprà supplire la vostra esperienza e preparazione, unitamente alla parola dei maestri della Settimana.

La Nostra parola vuol sonare oggi ad ampio e commosso incoraggiamento al vostro quotidiano servizio della Chiesa e delle anime. Vogliamo dirvi che il Papa pensa a voi, per quello che fate con tanta abnegazione, non di rado con vero sacrificio, per conferire al mondo del lavoro quell’auspicata impronta cristiana, di cui nello scorso anno vi abbiamo parlato con immensa fiducia.

Ci aspettiamo tanto da voi. Il mondo del lavoro, nel quale siete chiamati a portare la testimonianza del vostro sacerdozio - Pro Christo . . . legatione fungimur, tamquam Deo exhortante per nos (
2Co 5,20) -, il mondo del lavoro, diciamo, ha bisogno della vostra presenza: voi siete in esso il sale della terra, talvolta forse segno di contraddizione; ma i lavoratori han bisogno di scoprire in voi il volto di Cristo, e di trovare la presenza materna della Chiesa. Oh, non certo vogliono vedere in voi l’esperto, il tecnico, o, Dio non voglia, il burocrate, o l’agitatore: ma invece il ministro di Dio, il. fratello, l’amico, il consigliere, che sappia gioire e soffrire con loro, che indichi con parola chiara e scevra da ogni compromesso terreno la direzione esatta per servire Dio e i fratelli. Han bisogno di trovare, insieme con coloro che tutelano le loro aspirazioni, chi li spinga alla generosità dei propri doveri, chi li aiuti a essere strumenti consapevoli, efficienti, dignitosi della elevazione delle proprie famiglie, artefici dell’ordine e del benessere della società.

Noi vi confortiamo a codesta grave e illuminante responsabilità sacerdotale, con l’assicurazione della Nostra benevolenza, con l’aiuto della Nostra preghiera, col pegno, della Nostra Benedizione.

Salutiamo ora il gruppo, anch’esso assai numeroso, degli Assistenti Ecclesiastici dell’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana, i quali partecipano al loro Convegno Nazionale.

Il vostro nome richiama al pensiero immagini fresche e radiose di giovinezza, perché vi dedicate con tanta passione alle dilettissime schiere degli Scouts. Voi siete infatti presenti ai loro incontri, ne alimentate la pietà, orientandola verso le forme nobili e sostanziose della sacra Liturgia, ne assistete l’attività di gruppo, ne dividete le pause serene: sempre a contatto con quel mondo giovanile di attese e di speranze, al quale prodigate i tesori della vostra sacerdotale formazione, della vostra cultura, del vostro zelo.

L’età, che a voi si affida, meritevole delle più gelose attenzioni, vi impone un continuo sforzo di adattamento, di aggiornamento, di comprensione: e per questo vi siete incontrati nel vostro Convegno Nazionale, per il quale vi esprimiamo la Nostra soddisfazione. Continuate, diletti figli, a prodigarvi per i costanti incrementi spirituali e organizzativi della vostra provvida Associazione: il cuore del Papa è con voi e con i vostri Scouts, invocandovi ogni più lieto dono del Cielo.

Un particolare saluto rivolgiamo ora a voi, sacerdoti partecipanti al Corso Nazionale per predicatori di Esercizi Spirituali alle adolescenti e alle giovani, promosso dal Consiglio Centrale della Gioventù Femminile di Azione Cattolica Italiana. La delicatezza del vostro compito, che schiude nel segreto di quelle coscienze in formazione le vie difficili ma luminose del colloquio con Dio e della conoscenza di sé, non Ci trova insensibili alle vostre difficoltà, ai vostri sacrifici, ai vostri problemi di natura psicologica, pedagogica, ascetica, dottrinale. Lasciate che vi diciamo che Ci attendiamo tanto da voi, dalla vostra opera silenziosa, attenta alla voce dello Spirito, ferma nel dirigere e nel consigliare, gioiosa nell’invitare alle ascensioni interiori. Noi siamo certi che le brave giovani di Azione Cattolica trovino in voi le guide sicure e sperimentate per la loro maturazione interiore, e per l’avvio generoso alla vita di apostolato. Siate ringraziati, diletti figli, siate benedetti.

Ed ora eccoCi a voi, sacerdoti di diverse diocesi dell’Emilia e della Romagna, già alunni del Pontificio Seminario Regionale di Bologna, che celebrate il XXV anniversario di ordinazione sacerdotale e di Prima Messa. Vi accogliamo con un ampio augurio, al quale certo si associano i fedeli presenti a questa udienza; e vi esprimiamo la Nostra consolazione nel sapervi impegnati nella quasi totalità al ministero diretto delle anime, nelle vostre parrocchie. Il traguardo raggiunto, mentre è lieta conferma della fecondità che il Signore ha dato al vostro sacerdozio, sia altresì di stimolo per propositi di rinnovata generosità, per un costante progresso nelle vie del Signore, per l’inesausta donazione della vostra vita a Cristo e alla Chiesa.

Ritornando alle vostre parrocchie, portate con voi l’assicurazione che il Papa vi segue nel vostro evangelico lavoro, e abbraccia con un’ampia Benedizione le vostre persone, e le anime a voi affidate.

Il Nostro deferente augurio va infine ai degnissimi Religiosi della Società dell’Apostolato Cattolico, che hanno testé concluso il loro XI Capitolo Generale: salutiamo il Padre Guglielmo Möhler, ancora una volta eletto all’ufficio di Rettore Generale, con gli altri membri del Regime Generale, rappresentanti delle singole Province, sparse in tutto il mondo.

Voi Ci portate il palpito di fede e di amore dei vostri Confratelli, i 2.450 Pallottini, che, proseguendo sulla scia luminosa tracciata da San Vincenzo Pallotti, si prodigano nelle varie opere dell’apostolato sacerdotale e missionario. Siamo grati della vostra devozione generosa, che tanta utilità porta alla Chiesa di Dio. E vi incoraggiamo a proseguire nella vostra generosa fedeltà, che cerca sempre più validi orientamenti per corrispondere alle attese del Concilio Ecumenico Vaticano II.

A voi, come a tutti i gruppi di sacerdoti, a quelli di Bologna, ex Alunni del Seminario Regionale, celebranti il XXV anniversario di ordinazione e a quelli di Udine, Sacerdoti Oblati, che commemorano il XX anniversario della fondazione del loro sodalizio, per opera del compianto Mons. Giuseppe Nogara, i quali stamane hanno allietato questa udienza, l’Apostolica Nostra Benedizione attesti il paterno affetto, con cui vi seguiamo nella preghiera, invocando su di voi, su le persone a voi care, e su le vostre attività di ministero le continue grazie del Signore.

Queridos Sacerdotes del Convictorio Latino Americano «San Pio X».

Después de estos años romanos, en los que habeis enriquecido vuestra formación humana, cultural y espiritual, deseáis con vuestra presencia, para Nos gratísima, testimoniarNos aquí, cabe la Tumba de San Pedro, los sentimientos de devoción y los propósitos de abnegado trabajo que os animan para intensificar y extender el Reinado de Cristo.

Volver desde Roma a América, donde frecuentemente va y se detiene Nuestro pensamiento de solicitud pastoral, donde tan dilatados, luminosos y fecundos campos de apostolado os esperan, comporta una alta y delicada responsabilidad que vuestra seria y profunda conciencia sacerdotal afrontará serenamente. Sed siempre dóciles y fieles a las exigencias de la vocación: imitadores de Cristo, con santidad de vida, con caridad ardiente, servidores del prójimo, magnánimos en la pronta obediencia a vuestros Prelados. Que las inevitables dificultades ministeriales nunca os desalienten y sirvan a intensificar el alma de todo apostolado eficaz: la vida interior, entretejida de plegaria y de sacrificio.

Con estos paternales deseos invocamos sobre cada uno de vosotros, sobre vuestros seres amados, sobre las Diócesis que se beneficiarán de vuestras fatígas sacerdotales, abundantes gracias divinas en prenda de las cuales Nos complacemos en otorgaros la Bendición Apostólica.

Riconoscenza al Signore nei grandi anniversari

Diletti Figli e Figlie!

Siamo oggi obbligati a parlarvi di Noi stessi per causa dell’anniversario - già il secondo! - della Nostra elevazione al Pontificato romano, e per le festività ricorrenti in questi giorni dei Santi, al cui patrocinio è affidata l’umile Nostra esistenza: i Santi Giovanni Battista, Pietro e Paolo.

Ci obbliga a ciò il coro dei voti, che da ogni parte Ci pervengono, e quelli stessi che sarebbe in Noi affettazione non riconoscere nei vostri cuori: la vostra stessa visita, così numerosa e così cordiale Ce ne sembra dare la prova. E prendere la parola su questo tema vuol dire per Noi ringraziare, vuol dire ricambiare: siano tutti ringraziati e benedetti, quanti Ci offrono per queste ricorrenze, che preferiremmo ignorate e lasciate soltanto alla Nostra interiore memoria, i loro buoni e pii, e perciò tanto graditi, auguri.

Ci obbliga ancor più la gratitudine che Noi dobbiamo al Signore per tanti suoi benefici, che assumono nell’evidenza dell’ufficio apostolico a Noi affidato l’aspetto d’un singolare ed eccelso favore. Ne sentiamo confusione, ma ne dobbiamo riconoscere la grandezza; dobbiamo protestare di non avervi alcun merito, ma vi dobbiamo ravvisare un dono immenso della divina bontà. Vengono opportune alle Nostre labbra le parole d’un grande;antico e santo Nostro predecessore, Leone Magno, che, precisamente nell’anniversario della sua elezione al Sommo Pontificato, diceva: «. . . non verecundae, sed ingratae mentis indicium est, beneficia tacere divina; non sarebbe indizio d’animo riservato, ma ingrato, il tacere i benefici divini» (Sermo I; P.L., 54, 141). Siamo perciò grati a Dio, che sceglie le cose che nulla valgono, «ea quae noti sunt», come dice San Paolo (1Co 1,28) per compiere i suoi disegni, affinché il merito ne sia a lui solo riservato. E se a lui solo risale la fonte benefica dell’ufficio, che Ci pone Pastore del gregge di Cristo, a voi tutti, e a quanti del nome cattolico godono l’onore e la fortuna, discende il gaudio di questa celebrazione del ministero apostolico, che Cristo, sola sorgente della nostra salvezza, volle a Pietro per tutta la Chiesa benignamente affidare. Ancora San Leone ha il conio dell’espressione precisa: «Intellegitis . . . honorem celebrari totitu gregis per annua festa pastoris; voi comprendete che nella festa annuale del Pastore si celebra l’onore dell’intero gregge» di Cristo (Sermo IV, P.L., 54, 148).

Pertanto Noi profittiamo di questa pia ricorrenza per dare a voi, ai fratelli nel sacerdozio specialmente qui presenti, e per estendere a tutta la Chiesa in comunione con questa Sede Apostolica, più ampia effusione dei doni, che il Signore ha posti nelle Nostre mani, della fede cioè nella Persona, nella Parola, nella missione salvifica di Cristo Signore; «Resistite fortes in fide», siate resistenti e forti nella fede, ancora una volta ripeteremo con le parole stesse dell’Apostolo Pietro (1P 5,9); della speranza, di cui Gesù, Profeta della vita futura, ci ha fatti mallevadori; della carità, che da Lui proviene, principio, cioè, e ragion d’essere e scopo del Nostro ministero pastorale.

E profitteremo altresì di questa circostanza per raccomandare ancora Noi stessi alle vostre preghiere; per raccomandare la Chiesa tutta, affinché in quest’ora critica per i destini dell’umanità, in quest’ora benedetta e misteriosa del Concilio ecumenico, ci siano chiare e piane le vie del Signore verso la santità del Popolo di Dio, verso l’unità di tutti i Cristiani, verso la prosperità e la pace del mondo. Che la vostra preghiera, Figli carissimi, Ci assista, come agli albori del cristianesimo, nei momenti più incerti e più difficili; ricordate? «Oratio autem fìebat sine intermissione ab ecclesia ad Deum pro eo; si faceva orazione a Dio senza posa per lui» (Ac 12,5). Per lui, cioè per Pietro. Ed ora così sia per il povero suo Successore; che tutti vi ringrazia e vi benedice.




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