Paolo VI Catechesi 7765

Mercoledì, 7 luglio 1965

7765

Diletti Figli e Figlie,

Sembra a noi occasione felice quella che voi Ci offrite con la visita alla tomba di San Pietro per ripetere una parola esortatrice dell’Apostolo stesso: «Siate santi in tutta la vostra condotta: In omni conversatione sancti sitis» (
1P 1,15). Vogliamo supporre che ciascuno di voi - di voi sacerdoti, specialmente; di voi religiosi; di voi militanti in associazioni cattoliche - troverà naturale che il Papa ripeta una tale parola; l’esortazione alla santità della vita è la sintesi più semplice e più alta del magistero pastorale; è la conclusione teorica ed il principio pratico del messaggio evangelico applicato alla nostra vita; è l’esigenza indeclinabile per chi voglia davvero ascoltare con fedeltà e seguire con coerenza l’invito della religione cristiana a fondare sul Vangelo la propria concezione della vita e a fissare nel rapporto soprannaturale con Dio il cardine della propria condotta. Ecco perché il Papa, con tutti i buoni maestri di spirito, ripete: sancti sitis, siate santi.

Volendo discorrere su questa elementare, ma somma raccomandazione, potremmo chiederci due cose: quale sia il significato della parola «santità» nel linguaggio dell’Apostolo, che ce la propone; e, senza approfondire quanto la questione meriterebbe, possiamo dire semplicemente che tale significato è fecondo di non poche spiegazioni: può intendersi come uno stato di integrità, derivato dalla grazia, che autorizza a chiamare «santi» tutti i battezzati, fedeli alla loro vocazione cristiana; e può invece riferirsi ad una attitudine morale, tesa ad una perfezione, sempre in fieri, sempre progrediente verso una conformità al volere di Dio, anzi alla stessa santità di Dio: «Siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48), dice Gesù; e San Paolo aggiunge: «Siate imitatori di Dio, come figli carissimi» (Ep 5,1); per cui religione e santità diventano - insegna Maestro Tommaso (II-II 81,8) - la stessa cosa, solo concettualmente distinte. Il che sembra autorizzarci a pensare la santità, sì, come cosa altissima, ma nello stesso tempo, per un cristiano, sempre doverosa e possibile.

L’esortazione perciò, che vi rivolgiamo, non è fuori luogo, non è iperbolica; e non è anacronistica rispetto allo stile di vita, che il costume moderno impone a tutti; la santità non è cosa né di pochi privilegiati, né di cristiani dei tempi antichi; è sempre di moda; vogliamo dire è sempre programma attuale ed impegnativo per chiunque voglia chiamarsi seguace di Cristo.

E qui potremmo enunciare la Nostra seconda domanda che riguarda le ragioni, che suggeriscono il richiamo alla esortazione apostolica: siate santi! E tacendo le ragioni intrinseche (vi abbiamo tuttavia accennato) ne indichiamo alcune, rapidamente, estrinseche, cioè suggerite da certe condizioni spirituali proprie del nostro tempo.

E sono chiare. È palese a tutti che oggi si vive in un periodo di profonde trasformazioni di pensiero e di costume; ed è perciò spiegabile come siano spesso messe in questione certe norme tradizionali, che facevano buona, ordinata, santa la condotta di chi le praticava. Spiegabile, ma non lodevole, non approvabile, se non con grande studio e cautela, e sempre secondo la guida di chi ha scienza ed autorità per dettare legge del vivere cristiano.

Oggi, pur troppo, si assiste ad un rilassamento nell’osservanza dei precetti, che la Chiesa ha finora proposto per la santificazione e per la dignità morale dei suoi figli. Uno spirito di critica e perfino di indocilità e di ribellione mette in questione norme sacrosante della vita cristiana, del comportamento ecclesiastico, della perfezione religiosa. Si parla di «liberazione», si fa dell’uomo il centro di ogni culto, si indulge a criteri naturalistici, si priva la coscienza della luce dei precetti morali, si altera la nozione di peccato, si impugna l’obbedienza e le si contesta la sua funzione costituzionale nell’ordinamento della comunità ecclesiale, si accettano forme e gusti di azione, di pensiero, di divertimento, che fanno del cristiano non più il forte e austero discepolo di Gesù Cristo, ma il gregario della mentalità e della moda corrente, l’amico del mondo, che invece d’essere chiamato alla concezione cristiana della vita è riuscito a piegare il cristiano al fascino e al giogo del suo esigente e volubile pensiero. Non certo così noi dobbiamo concepire «l’aggiornamento», a cui il Concilio ci invita: non per svigorire la tempra morale del cattolico moderno è da concepirsi questo «aggiornamento», ma piuttosto per crescere le sue energie e per rendere più coscienti e più operanti agli impegni, che una concezione genuina della vita cristiana e convalidata dal magistero della Chiesa ripropone al suo spirito.

E ciò tanto più dobbiamo tenere presente se vogliamo che davvero il cristianesimo, quale la Chiesa cattolica interpreta e vive, abbia funzione di luce, di unità, di rigenerazione, di prosperità, di pace, di salvezza nel mondo moderno. Chi non sa che solo un cristianesimo autentico merita d’essere vissuto, e che, solo se vissuto in pienezza, esso acquista virtù di salute per la nostra umanità? Il che significa che di santi ha bisogno la Chiesa ed ha bisogno il mondo; e che pertanto la Nostra umile esortazione: siate santi! merita che voi la accogliate e la ripensiate; e merita che Noi la accompagniamo con la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 14 luglio 1965

14765

Diletti Figli e Figlie!

Tema di queste brevi parole, che vogliono collegare l’udienza, subito finita, al filo di qualche pensiero meritevole di durare nella memoria e nella riflessione, è anche questa volta una delle impressioni più comuni, solite a sorgere nell’animo del visitatore, specialmente se questi è forestiero, o assiste per la prima volta all’incontro, che stiamo insieme godendo.

Quale impressione? L’impressione d’entrare in un ambiente estremamente disciplinato, assai esigente, dominato da un sistema complesso e intangibile d’autorità. Come quando un visitatore estraneo entra in un grande stabilimento moderno si sente meravigliato, intimidito, quasi sopraffatto dalle strutture e dal fervore ordinatissimo dell’attività, che lo circondano, così qui spesso il visitatore, pellegrino o turista che sia, avverte d’essere entrato in una specie di campo magnetico, attraversato da potenti correnti invisibili, che, senza togliergli la sua autonomia. personale, senza soffocare la sua libertà, anzi invitandola piuttosto e stimolandola a cosciente e spontaneo consenso, lo colloca in un ordine superiore, tutto pervaso da leggi ben chiare, alcune delle quali indiscutibili e inflessibili, quelle divine, e governato da autorità a cui è dovere obbedire.

Questa impressione d’autorità è resa più viva qui, al centro della Chiesa cattolica dove tutti i poteri gerarchici sono collegati, e dove il grado delle potestà ecclesiastiche è più alto. Donde possono sorgere due altre impressioni, fra loro contrarie: quella di contentezza e di sicurezza, propria di coloro che hanno la fortuna di essere e di apprezzare la comunione in cui vivono, d’appartenere cioè come membra vive ed organiche del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa: qui meglio se ne avverte la compagine unitaria ed universale; qui si riconosce la sua funzionalità stabilita da Cristo, mediante la quale il fratello prescelto è reso strumento e canale dei doni divini per il fratello. L’altra impressione invece è di timore e di diffidenza, quasi che questo ordinamento gerarchico ed autoritario venga ad umiliare la personalità del gregario, e sia invenzione umana contraria all’eguaglianza fraterna, che deriva pur essa dalla dottrina del Vangelo.

Oggi poi tutti sanno come questo stato d’animo ostile al principio d’autorità sia molto diffuso, non solo nella società temporale, ma si manifesti in diversi settori della stessa vita cattolica. L’obbedienza, cioè il riconoscimento cordiale e pratico dell’autorità, è messa continuamente in questione, come contraria allo sviluppo della persona umana, come indegna di esseri liberi, maturi e adulti, come metodicamente sbagliata, quasi creasse spiriti deboli e passivi, e perpetuasse nei tempi moderni criteri sorpassati di rapporti sociali. Vi è chi pensa essere meritorio affrontare il rischio della disobbedienza liberatrice, ed essere giuoco lodevole mettere l’autorità di fronte al fatto compiuto. E non mancano persone di ingegno che, forse senza dirlo apertamente, si illudono che si possa essere eccellenti, o almeno sufficienti cattolici rivendicando per sé un’assoluta autonomia di pensiero e d’azione, sottraendosi a qualsiasi rapporto, non solo di subordinazione, ma altresì di rispetto e di colleganza con chi nella Chiesa riveste funzioni di responsabilità e di direzione.

Quanto vasto sarebbe oggi, purtroppo, il campo di simili rilievi! Ma non intendiamo ora dire parole amare e polemiche. Come non intendiamo fare l’apologia della autorità. Voi, del resto, ne conoscete bene i titoli evangelici, da cui essa deriva; e sapete come essa vuol essere servizio di carità e di salvezza, non altro.

Per limitarci all’analisi della impressione sopra accennata d’essere giunti nel regno dell’autorità, risponderemo sinteticamente ad alcune domande, che ci sembrano sgorgare da quella stessa impressione. Ecco: è esatta tale impressione? Sì, è esatta. Qui l’autorità della Chiesa ha l’espressione più piena e più autentica. Ma ricordate: è difficile farsi un concetto esatto dell’autorità, di quella ecclesiastica specialmente. L’esperienza e la storia ce ne offrono delle immagini non sempre fedeli, non sempre felici. Bisogna approfondire l’idea della autorità della Chiesa, purificarla da forme che non le sono essenziali (anche se in date circostanze le sono state legittime, come il potere temporale, ad esempio), e ricondurla al suo originario e cristiano criterio.

Ci sentiamo domandare: non è servizio l’autorità della Chiesa? Certamente; lo dicevamo poc’anzi; Gesù l’ha detto: «Chi è superiore, diventi servitore» (
Lc 22,26). Ma anche qui occorre intendere bene il pensiero del Maestro. Quale servizio è domandato a chi riveste funzioni di guida e di direzione? Un servizio che deve sottostare a coloro che sono serviti e deve essere responsabile di fronte ad essi? No; un servizio a vantaggio dei fratelli, ma non a loro soggetto; un servizio a cui Cristo affidò non uno strumento servile, ma un segno di padronanza, le Chiavi, cioè le potestà del regno dei cieli; e servizio responsabile solo davanti a Dio: «Qui autem iudicat me Dominus est», dice di sé San Paolo: chi solo mi può giudicare è il Signore (1Co 4,4).

Ma allora qual è l’immagine, che rappresenta il Superiore-servitore, non puramente mediatore fra la pluralità dei pareri della comunità, non puramente amministratore dei suoi immediati interessi, non soltanto testimonio della Parola di Dio; né tanto meno capo dispotico e insensibile alla dignità, ai bisogni e alle capacità dei fedeli, sia considerati come singoli, che collettivamente? Voi la ricordate questa immagine, piena di autorità e di dignità e insieme piena di bontà e di spirito di sacrificio: è quella del Pastore, che Cristo a se stesso attribuì (Jn 10,11), e in Pietro con triplice precetto, volle si realizzasse (Jn 21,16 ss.). L’autorità nella Chiesa è pastorale.

E ancora voi Ci chiederete: ma dunque un’autorità, così qualificata e destinata a fare dell’umanità un gregge solo (Jn 10,16), dovrà tutti livellare e tutto uniformare, secondo un solo tipo concreto di fedeltà religiosa? Vi risponderemo con una parola di San Gregorio Magno: «In una fide, nihil officit sanctae Ecclesiae consuetudo diversa»; quando la fede è unica, non nuoce alla Chiesa la diversità delle consuetudini! (Ep. lib. I, 43; P.L. 77, 497). L’unità nella Chiesa non è uniformità, se non di fede e di carità.

E basti ora così a tema di tanta ampiezza e gravità! Ma non senza che Noi, a Cui la Provvidenza ha voluto affidare la somma autorità nella Chiesa, non vi confidiamo fugacemente quanto siano pesanti queste chiavi, derivate dalle mani di Pietro alle Nostre deboli mani, quanto gravi a portare, quanto più gravi a manovrare!

Perciò, Figli e Figlie carissimi, abbiate compassione e comprensione di quanti fungono da Sacerdote, da Maestro o da Pastore nella Chiesa di Dio (cfr. He 13,17); non vi pesi l’obbedienza e la collaborazione; vi rendano piuttosto fieri e lieti di giovare all’incremento del regno di Dio, e vi facciano partecipi dei suoi doni e dei suoi meriti; dei quali ora vuol essere pegno la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 21 luglio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Voi venite a cercarCi, a visitarci, a salutarci anche in questa residenza estiva dei Papi, la quale vorrebbe essere campestre, solitaria e remota dall’Urbe, e offrire al suo ospite un periodo di raccoglimento e di riposo; ed eccola invasa da comitive intere, che ora i facili mezzi di trasporto portano alla Nostra presenza, quasi a meglio dimostrare un desiderio, un proposito, che non ammette di essere deluso: voi volete vedere il Papa ed avere la Sua benedizione.

La vostra visita Ci è perciò tanto più cara e significativa; e, invece di turbare il corso dei Nostri silenziosi pensieri, vi apporta uno stimolo, vi intreccia un tema non difforme da quello che interessa ora la Nostra interiore riflessione. La vostra decisa volontà di ottenere questo incontro solleva una spontanea domanda: perché? perché siete venuti? Vogliamo credere che la puntualità ad un itinerario turistico prestabilito, o la fedeltà abituale ad un atto di devozione al Papa secondo programmi convenzionali non bastino a spiegare l’intima ragione di codesta visita, sempre speciale, sempre singolare. Non è semplice curiosità di un’esotica esperienza, o puro conformismo alla prassi cattolica che vi ha qua condotti: sotto l’aspirazione di vedere il Papa v’è un desiderio, forse inespresso, più profondo; vi è una timida ricerca, quasi la speranza d’una scoperta, il bisogno d’un’esperienza spirituale, un tentativo di esplorare fuori di sé ciò che si vorrebbe trovare dentro di sé: una luce religiosa. Chi è il Papa? non è il Vicario di Cristo? sarà forse possibile scorgere, non tanto nelle sue sembianze - che non possono che deludere l’aspettativa d’una visione sensibile -, ma nel ministero, che in Lui si pèrsonifica, il mistero d’una particolare presenza - quella della continuità storica, quella dell’autenticità rappresentativa, quella delle potestà di Gesù stesso, operanti il suo magistero, il suo sacerdozio, il suo regale e pastorale governo -, d’una particolare presenza, diciamo, di Cristo? vedere il Papa non porta forse a intravedere il Signore?

Ricordate l’episodio del Vangelo, innestato nella narrazione dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme? «Vi erano, scrive San Giovanni (12, 20-21), alcuni Gentili, di quelli che erano venuti ad adorare Dio nella festa (di Pasqua). Questi si accostarono a Filippo, . . . e lo pregavano dicendo: . . . desideriamo di vedere Gesù. Filippo andò e lo disse ad Andrea; e Andrea e Filippo lo dissero a Gesù».

Così pensiamo che sia, così auguriamo che sia il vostro vero e profondo desiderio in questo momento: vedere Gesù. Cioè cercare il Signore. Cioè oltrepassare lo schermo della scena sensibile e del quadro umano, e tentare la ricerca, implorare l’incontro con Colui, che la Chiesa, sacramento di Cristo, ha il prodigioso potere non solo di ricordare, non solo di rappresentare, ma sotto certi aspetti di attualizzare; ed ha la sublime fortuna di annunciare, con le parole di Marta evangelica: «È qui il Maestro, e ti chiama» (
Jn 11,28).

Vogliamo cioè che l’udienza abbia valore religioso. Vogliamo che offra occasione di cercare e di trovare il Signore. Vogliamo che s’inserisca nella rumorosa e distraente esperienza dei vostri viaggi, delle vostre occupazioni, delle vostre esteriori obbligazioni come un fatto strano e luminoso, come un’incalzante questione, come un gioioso momento spirituale, sollevando la tremenda, persistente domanda: dov’è il Signore? dove l’anima mia lo può trovare? e offrendo a tali domande, che costituiscono il nucleo fondamentale del problema religioso, la consolante risposta: il Signore è vicino; il Signore è reperibile; cercalo nella Chiesa; non ti scandalizzare (cfr. Mt 11,6), se ti offre il sentiero per arrivare a Lui in chi è incaricato qui in terra di perpetuare la sua missione; e trovato il sentiero, osa percorrerlo fino a Cristo, fino a Dio! (cfr. 1Co 3,23).

Ecco: a questa spirituale ascensione vi esorta e vi accompagna la Nostra Apostolica Benedizione.

Infine Sua Santità rivolge parole di augurio e di incoraggiamento ai novelli Sacerdoti Sloveni (in francese).

Per eletti gruppi di sacerdoti

Dobbiamo una parola speciale ai Reverendi Delegati Vescovi dell’Azione Cattolica Italiana, partecipanti al Convegno annuale di preghiera e di studio, e che sono qui presenti. La loro partecipazione a questo Convegno Ci dà prova dell’effettivo interesse, che essi pongono nel compimento del mandato loro affidato dai loro rispettivi Vescovi; e tanto basta perché Noi di ciò li ringraziamo. Abbiamo sempre la convinzione che l’Azione Cattolica sia necessaria per i bisogni spirituali e sociali del nostro tempo, ed abbiamo la fiducia ch’essa abbia valida capacità di corrispondervi con provvidenziale efficacia, sempre che essa segua davvero la direzione dei Pastori diocesani, abbia davvero volontà e coscienza di collaborare con l’opera della Gerarchia, e davvero operi con unità di intenti e di metodi.

La funzione pertanto dei Delegati Vescovili assume importanza sempre più rilevante e sempre più esigente di dedizione, di studio, di assiduità e di genialità. Gran cosa è oggi l’organizzazione; la socialità moderna vi trova la sua caratteristica espressione, e lo spirito comunitario cristiano vi circola a suo agio rendendo agili e spontanee, piene di umanità e di carità le forme in cui l’organizzazione si realizza. Ma bisogna che abbia chi la promuova, la sorregga, la diriga, la penetri di bontà e di autorità; e questo è il vostro compito, bravi e generosi Delegati Vescovili; e affinché la vostra fatica sia pari alle speranze della Chiesa ed ai bisogni dei nostri fedeli, di cuore vi benediciamo.

Ecco poi il bel gruppo dei Neo-Assistenti Provinciali e Diocesani delle ACLI con un gruppo di Missionari Assistenti ACLI agli Emigrati. Non può ad essi mancare la Nostra ,benedizione e la Nostra esortazione: l’ufficio loro affidato è fra quelli più delicati e più importanti del ministero pastorale nella società moderna. Si tratta di portare al mondo del lavoro la testimonianza, non tanto verbale, quanto vissuta, dell’interesse sincero che la Chiesa nutre per le categorie lavoratrici; si tratta di studiare e penetrare la psicologia del Lavoratore per restituire a lui quella formazione religiosa e morale che gli assicuri i benefici d’una vita spirituale sua propria; si tratta di scoprire nella tematica propria del lavoro strumentalizzato scientificamente e tecnicamente i germi della sua possibile elevazione interiore e di fecondarli con la luce e la grazia del Vangelo. Sappiamo le difficoltà d’un tale ministero; ma ne conosciamo anche la fecondità, che il cuore stesso del Lavoratore, se fraternamente avvicinato ed assistito, sa di svelare con inattesa prontezza e ricchezza. Esortiamo pertanto questi cari Assistenti a consacrare al loro ministero le cure più vigili e generose, e facciamo voti che lo sforzo di condurre a Cristo e alla Chiesa il mondo del lavoro sia coronato da felice successo. Li incarichiamo poi di recare ai loro assistiti il Nostro sempre memore e cordiale saluto.

Una speciale benedizione diamo parimente ai Sacerdoti che si preparano a partire per l’America Latina, dopo aver terminato il corso di preparazione, promosso appunto per predisporli al nuovo ministero. È noto ormai il Nostro vivissimo interesse per le sorti religiose e morali dell’America Latina; ed è facile perciò immaginare con quale compiacenza, con quale speranza accompagniamo questi Sacerdoti nel loro viaggio apostolico, tutti paternamente benedicendoli.

Alle Dirigenti diocesane della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, partecipanti al corso di studio e di aggiornamento, porgiamo un particolare saluto. Tutto quello che questo ramo di Azione Cattolica Ci presenta interessa moltissimo la Nostra attenzione, ben sapendo come lo spirito, i propositi, i programmi, i metodi di questa grande e valida organizzazione siano di ciò meritevoli, e come l’attività della Gioventù Femminile di Azione Cattolica si dimostri sempre valida e provvida nel campo della formazione religiosa e morale e come sia sempre guidata dall’ansia d’essere altrettanto fedele ai suoi principii ispiratori, che sono quelli della vita cattolica concepita nella sua pienezza e nella sua profondità, quanto aderente ai bisogni ed ai gusti, sempre nuovi e mutevoli, del mondo giovanile moderno.

Diciamo perciò alle brave e valorose dirigenti diocesane il Nostro plauso e il Nostro incoraggiamento. Raccomandiamo loro d’essere unite, coraggiose, e fiduciose anche delle forme organizzative, che danno consistenza, significato ed efficacia all’azione intrapresa; come raccomandiamo di non fare della pur necessaria cura organizzativa lo scopo finale della loro attività; questa ha da essere mezzo forte ed ordinato, sì, ma rivolto ai fini spirituali, morali, pedagogici che devono soprattutto interessare ogni lavoro apostolico. Così raccomandiamo ed ammiriamo gli approfondimenti concettuali e i perfezionamenti tematici e verbali di codesta attività; ma vorremmo che ciò non fosse in danno della semplicità e dell’essenzialità di un’opera, che non deve terminare in un gergo difficile di concetti e di termini, accessibile solo alle iniziate, ma deve conservarsi sempre trasparente e giovanile, fissa alla sostanza umana e cristiana della vita, di cui ogni socia possa avere facile nozione e diretta esperienza.

Sempre fiduciosi nel felice intuito psicologico e pedagogico della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, e sempre invocando sulle sue schiere la protezione della Madonna, salutiamo le ottime Dirigenti, qui presenti, i loro Assistenti ecclesiastici e i loro Maestri, e di cuore tutte le benediciamo.





Mercoledì, 28 luglio 1965

28765

Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita, Noi lo sappiamo, nasconde una tacita e filiale aspirazione, quella di scoprire qualche cosa dei pensieri del Papa. Sappiamo anche che non è difficile al vostro buon senso cattolico rintracciare molti Nostri pensieri, molti Nostri desideri. Se Noi infatti vi chiedessimo: provate a indovinare che cosa ora occupa maggiormente il Nostro animo, voi tutti forse rispondereste: il Concilio! la prossima quarta sessione del Concilio ecumenico vaticano secondo. Proprio così. Lo abbiamo Noi stessi annunciato la scorsa settimana, al Nostro arrivo a Castel Gandolfo. E non può essere altrimenti. Queste grandi riunioni mondiali del Concilio costituiscono avvenimenti molto importanti, sia per la vita della Chiesa, sia indirettamente per quella del mondo; tanto per oggi, e quanto ancor più per domani. La quantità e la natura dei temi da trattare, la loro gravità e complessità, non che il fatto che con questa Sessione si concluderà ufficialmente il Concilio e si apriranno i suoi immensi problemi successivi, riempiono il Nostro spirito di grande attenzione e di trepidante sollecitudine; ed è facile supporre l’impegno da Noi a ciò reclamato.

E Noi lasciamo che la vostra filiale curiosità Ci legga nel cuore le cure, lo studio, le apprensioni, le speranze d’un tale pensiero, sapete perché? per due ragioni.

La prima, tante volte ripetuta in questi anni, si è che il Concilio non dev’essere pensiero esclusivo del Papa e dei Vescovi, ma deve interessare tutto il Popolo di Dio, tutta la Chiesa; in modo assai diverso, ben si comprende, ma con comunione di sentimenti e con solidarietà di atteggiamenti pratici. Per il fatto che la comunità dei fedeli è recettiva delle verità della fede, che il magistero della Chiesa, custode e interprete della Rivelazione divina, le propone, e che poi essa stessa, la comunità dei fedeli, diventa custode e teste delle verità medesime, si produce negli animi dei buoni figli della Chiesa uno stato di attesa, di sospensione, di apertura e di fervore operativo, dal quale dipenderà, poi, in gran parte, il frutto del Concilio. Ed è questo atteggiamento spirituale il più giusto ed il più alto, che, tanto chi ha voce responsabile nel Concilio, come chi tale voce deve ascoltare e far propria, possa offrire al felice esito del Concilio, perché rende più facile e più feconda l’azione misteriosa dello Spirito Santo, nella guida, nell’animazione e nella santificazione del Corpo mistico di Cristo, ch’e la Chiesa, che siamo noi, quando siamo debitamente uniti a Cristo medesimo. Bisogna mettersi in stato di vigilanza spirituale, se vogliamo che il Concilio raggiunga i suoi fini e diventi un momento rinnovatore e decisivo della vita della Chiesa. Vigilanza, che vuol dire attenzione, vuol dire conoscenza, vuol dire fiducia. Vuol dire tensione, umiltà, capacità di accettare e di godere delle novità, che il Concilio ci può recare.

Non diremmo che sia altrettanto sintonizzato con la spiritualità del Concilio l’atteggiamento di coloro che prendono occasione dai problemi ch’esso solleva, e dalle discussioni ch’esso genera per eccitare in sé e in altri uno spirito d’inquietudine e di riformismo radicale, tanto nel campo dottrinale, che in quello disciplinare, come se il Concilio fosse l’occasione propizia per mettere in questione dogmi e leggi, che la Chiesa ha iscritto nelle tavole della sua fedeltà a Cristo Signore; e come se esso autorizzasse ogni privato giudizio a demolire il patrimonio della Chiesa di tutte le acquisizioni che la sua lunga storia e la sua convalidata esperienza le hanno procurato nel corso dei secoli. Vorrebbero forse che la Chiesa tornasse bambina, dimenticando che Gesù ha paragonato il regno dei cieli ad un minuscolo seme che deve crescere e diventare pianta frondosa (
Mt 13,31), e che ha preannunciato lo sviluppo per opera del Paraclito della dottrina da lui insegnata (Jn 14,26 e, Jn 16,13)? vorrebbero che, per essere autentica, la vera Chiesa si contentasse di ciò ch’essi definiscono essenziale? si riducesse cioè a puro scheletro e rinunciasse ad essere corpo vivo, crescente ed operante, non ipotetico e idealizzato, ma reale ed umano nella vissuta esperienza della storia?

Così pure, per un altro verso, non diremo che siano buoni interpreti dell’ortodossia coloro che diffidano delle deliberazioni conciliari e che si riservano di accettare soltanto quelle che essi giudicano valide, quasi che sia lecito dubitare della loro autorità, e che l’ossequio alla parola del Concilio possa fermarsi là dove non esige alcun adattamento della propria mentalità, e dove si limita a confermarne la stabilità.

Non si pensa abbastanza che, quando la Chiesa Maestra tiene cattedra, bisogna tutti diventare discepoli.

Comprendete allora meglio anche la seconda ragione, per cui Noi siamo lieti di avere voi, quali rappresentanti di tutti i figli buoni e fedeli della santa Chiesa, partecipi delle Nostre apprensioni e delle Nostre speranze relativamente al Concilio; siamo lieti, perché come voi siete con Noi «in tribulatione patientes», siate anche «oratione instantes», come esorta San Paolo (Rm 12,12). Sì, bisogna riprendere, più fervorosi che mai, a pregare; a pregare per il buon esito del Concilio; ed è questa una collaborazione preziosa, che ogni fedele può offrire; e che Noi a ricordo di questo breve incontro, di cuore vi raccomandiamo: pregare per il Concilio.

Lo farete? Sicuri che, si, lo farete, vi ringraziamo e vi benediciamo.

La dignità della scuola

Merita un particolare saluto, merita un plauso il folto gruppo dei partecipanti al corso estivo biennale di pedagogia. catechistica per gli Insegnanti di Religione nelle scuole medie e per i dirigenti diocesani delle attività catechistiche, promosso dall’Istituto Superiore di Pedagogia del Pontificio Ateneo Salesiano di Roma e avente sede al Centro Internazionale Pio XII di Rocca di Papa.

Ecco un’iniziativa che raccoglie la Nostra speciale compiacenza ed il Nostro sincero incoraggiamento: innanzi tutto per le autorità da cui trae origine ed impulso: e cioè la Sacra Congregazione del Concilio unitamente alla Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi ed alla Conferenza Episcopale Italiana; i quali alti organi ecclesiastici hanno trovato nel menzionato Istituto superiore di Pedagogia il degno strumento per realizzare l’iniziativa medesima; siamo Noi stessi obbligati a quanti hanno ideato, favorito, organizzato la provvida impresa, alla quale non possiamo non augurare l’esito più felice.

Essa Ci sembra rispondere a bisogni ed a scopi degni del più vivo interesse. La preparazione degli Insegnanti di Religione nelle scuole, la loro qualificazione - come oggi si dice -, il loro perfezionamento sono finalità alle quali si sente interessato, per eminente responsabilità, il Nostro ministero di maestro e di pastore; ed alle quali sono state rivolte in questi ultimi decenni studi, aspirazioni, esperimenti, tentativi, attività che documentano come la Chiesa non sia stata insensibile al dovere e alla fortuna di offrire alla Scuola italiana un insegnamento religioso conforme alla dignità della Scuola stessa, all’eccellenza della materia insegnata ed ai bisogni della gioventù. Ma il compito è tale che non si fa torto ad alcuno, se dobbiamo riconoscere essere tuttora necessario dedicarvi cure nuove, più ampie, più sistematiche, più esigenti, e più pertinenti.

L’insegnamento religioso scolastico deve fare nuovi progressi, specialmente nell’attitudine di coloro che hanno la ventura di poterlo e di doverlo impartire. Lo esige, per non dir altro, la difficoltà stessa che tale insegnamento presenta. Non è da tutti saper insegnare come si conviene una Religione, come la nostra, straordinariamente ricca di storia, di dottrina, di rapporti con la vita; una Religione anzi che giustamente pretende d’identificarsi con la vita, nel senso di costituire le più intime, le più autorevoli, le più efficaci, le più benefiche, le più feconde ragioni informatrici dello spirito che le apre, come a soffro vitale, gioiosamente l’accesso. Un vero insegnamento religioso non è il semplice studio d’un libro, non è la semplice esposizione della materia, non è un comune esercizio scolastico; anche se sobrio e delicatamente sensibile alle peculiari esigenze dell’ambiente in cui si svolge, l’insegnamento religioso deve tradurre qualche cosa della sua natura di messaggio della salvezza, qualche cosa della sua spirituale sicurezza, qualche cosa della sua incomparabile umanità, qualche cosa della sua ineffabile verità. Esige una speciale «ars docendi», una speciale pedagogia; a possedere la quale non basta la comune informazione, spesso approssimativa ed empirica, che può avere qualsiasi sacerdote o religioso, o qualsiasi laico religiosamente istruito. Troppi elementi culturali, didattici e soprattutto morali sono necessari per dare al maestro di Religione il prestigio e l’efficacia che lo devono qualificare: non vi è forse pericolo che, mancando di tali specifici requisiti, l’insegnamento della Religione riesca non solo infruttuoso, ma talvolta perfino nocivo? Il maestro di Religione è un testimone; guai se non lo fosse con i carismi del sapere, della virtù e anche dell’abilità didattica, i quali devono conferire virtù persuasiva alla sua parola, anzi alla sua stessa presenza nella Scuola!

Sono cose conosciute e ripetute. Ma non mai abbastanza, finché non sia formata una profonda coscienza della missione del maestro di Religione, non si sia formata una categoria di Insegnanti veramente competenti e votati a così alto e delicato ministero. Perciò è chiaro il merito dell’iniziativa che convoca ad un corso di vera pedagogia persone valenti, volonterose e già informate della «problematica» in questione, quali voi siete, ottimi e cari Insegnanti di Religione; ed è comprensibile l’augurio, pieno di trepidanti speranze, accompagnato da affettuose preghiere, che Noi formuliamo per il fortunato e fecondo successo del corso medesimo. Convalideremo poi questi voti con la Nostra Benedizione Apostolica.

Gli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI

Accogliamo con piacere il gruppo numeroso e valoroso degli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI, chiamati a Roma per celebrare nel loro XV Convegno il ventesimo anniversario dell’istituzione delle ACLI stesse, cioè delle Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani.

L’anniversario inviterebbe a rifare la storia dell’istituzione, a fare il bilancio, a ricordare le persone e le imprese meritevoli di memoria e di riconoscenza, inviterebbe a riesaminare a fondo le ragioni, i programmi, le esperienze, le situazioni di tale ben noto movimento dei nostri Lavoratori. Non basta il tempo, non è propizio il momento per così ampia visione; pensiamo che essa sarà oggetto delle lezioni e delle discussioni del Convegno, dove voci esperte ed autorevoli vorranno certamente illustrare fatti e problemi di tanto interesse, e dove ciascuno dei presenti non è impreparato a portare la riflessione a quei punti essenziali e critici, che possono convalidare l’esperienza goduta e sofferta, e ispirare nuovi propositi per il nuovo cammino che le ACLI si apprestano a continuare con vigorosa volontà e con serena fiducia in Dio.

Noi ora vi incoraggiamo e benediciamo. E Ci limitiamo a confortare i cari e bravi Sacerdoti, che il mandato dei rispettivi Vescovi consacra a cotesto genere di ministero. Ben conosciamo le difficoltà che lo circondano. Conosciamo le critiche non sempre benevole e obbiettive, che ne mettono in discussione i risultati (a che giova questo apostolato?), ovvero che lo mettono a confronto, per svalutarlo, con quello della consueta vita pastorale, o che infine lo giudicano nocivo alla stessa causa ch’esso vorrebbe servire, la causa del senso cristiano nel mondo del lavoro.

Noi invece vogliamo riconoscere il bene compiuto dagli Assistenti Ecclesiastici delle ACLI; Noi riconosciamo come apostolica la vostra missione; essa non è un’evasione dalla fatica pastorale, a cui è votata la vita del Sacerdote; se la natura di tale missione obbliga il Sacerdote ad un ministero «d’ambiente», che lo porta fuori dei normali recinti del culto, non è per questo difforme dalle finalità essenziali della «cura d’anime», che fanno grande e sacra la funzione del Prete; anzi la rivolge e la stende là dove più difficile ne è l’esercizio, più urgente il bisogno, più meritorio lo zelo. Aver compreso l’importanza e l’ampiezza dei problemi del mondo del lavoro, l’aver capito che la nostra società trova in esso l’espressione caratteristica e maggiormente influente non solo nel campo economico e sociale, ma altresì e sommamente, nel campo morale e religioso, l’aver accettato di fiancheggiare il grande sforzo di elevazione della fatica umana nelle sue profonde e legittime aspirazioni, l’aver compreso che senza l’infusione di forze spirituali, quali solo il cristianesimo può dare, tale sforzo può essere meno efficace, meno nobile, meno buono, e l’aver sognato di non limitare l’ascensione del Lavoratore al livello delle sempre insufficienti e insoddisfacenti realtà temporali, ma di farla progredire più in alto, al grado di una vera e compiuta umanità, giusta, libera, onesta, religiosa, cristiana in una parola, tutto questo non solo giustifica il ministero del Sacerdote in mezzo al popolo lavoratore, ma lo fa grandeggiare di sapienza civile, di virtù coraggiosa, di carità pastorale, di sacrificio cristiano.

Perciò Noi vi incoraggiamo, diletti Sacerdoti, a perseverare nel compito, che vi è affidato; con due sole raccomandazioni: quella di non stancarvi mai; e quella di amare molto il Lavoratore. Amarlo vuol dire essergli vicino, vuol dire capirlo e studiarlo, vuol dire stimarlo, ammonirlo e difenderlo, vuol dire saper cavare dal suo cuore, spesso chiuso ed esacerbato, ma sempre vivo, e in fondo ancora tanto capace di bene, le risorse magnifiche del senso della giustizia, del desiderio della pace, dell’amicizia, dell’amore e della fede. Coraggio: avete con voi la Nostra benedizione; portatela ai vostri, ai Nostri Lavoratori.






Paolo VI Catechesi 7765