Paolo VI Catechesi 29125

Mercoledì, 29 dicembre 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Ancora, ed ancora per lungo tempo, sarà tema dei Nostri incontri con i visitatori, che a quest’udienza settimanale Ci recano la testimonianza dell’adesione dei figli fedeli alla vita della Chiesa, sarà tema il Concilio testé concluso; e ciò faremo non tanto per illustrarne la memoria quanto per continuarne l’efficacia. È stato detto, e lo ripetiamo, che la validità pratica del Concilio, spirituale e pastorale, si misura nel periodo successivo alla sua celebrazione, perché tale validità dipende dalla applicazione effettiva e concreta degli insegnamenti emanati dal Concilio stesso. È perciò importante che nell’ambito ecclesiale, nei nuclei specialménte dei fedeli più fedeli, del Clero e dei Religiosi, dei Cattolici coscienti ed impegnati, rimanga la persuasione che il Concilio è tuttora operante; anzi, che esso diventa operante dopo la sua chiusura.

Questo stato d’animo è stato definito «lo spirito del Concilio». L’espressione è molto alta e bella; ma esige d’essere precisata per non diventare vaga e feconda di idee approssimative e fors’anche pericolose.

Che cosa s’intende per «spirito del Concilio»?

Non è in questa sede, né con poche parole che se ne può fare una analisi adeguata, né identificare i riferimenti storici e spirituali caratteristici di tale spirito. Contentiamoci di fermarci, in questo momento, ad alcuni aspetti descrittivi; ad uno, almeno, dell’animazione ideale e morale, che può utilmente derivare nel Popolo di Dio dalla celebrazione d’un Concilio, di questo secondo Concilio Ecumenico Vaticano in modo speciale.

Il primo aspetto dello spirito del Concilio è il fervore. È chiaro. A tale primissimo scopo mirava il Concilio, a infondere cioè nel Popolo di Dio risveglio, consapevolezza, buon volere, devozione, zelo, propositi nuovi, speranze nuove, attività nuove, energia spirituale, fuoco. Ricordiamo le parole di Papa Giovanni: «La Chiesa, illuminata dalla luce di questo Concilio, sarà ricolma di spirituali ricchezze, com’è Nostra fiducia, e traendo da esso vigore di nuove energie, potrà guardare verso l’avvenire» (Discorsi, 1962, p. 581). È, questo fervore, congenito con la vocazione della vita cristiana; ed è il segreto della sua perenne vivacità; ricordiamo la parola di Gesù: «Sono venuto a portare fuoco sulla terra, e che cosa desidero se non che si accenda?» (
Lc 12,49); e quella di San Paolo, che raccomanda ai primi fedeli di essere «spiritu ferventes», fervorosi nello spirito (Rm 12,11); ed il seguito di tutta l’educazione cristiana, che squalifica la tepidezza (cfr. Ap 3,16), e che tende a mettere l’anima in uno stato di tensione permanente, in un’intensità di fede e di carità, in un entusiasmo sempre ardente e fiducioso, in uno sforzo continuo di crescente perfezione, in un anelito di comunione con Cristo e di risoluta volontà di seguirlo e di servirlo, così che il dottore del fervore spirituale, San Basilio Magno, maestro all’Oriente e all’Occidente, definirà fervoroso «colui che con ardente alacrità d’animo e con insaziabile desiderio e indefessa cura compie la volontà di Dio nella carità di Gesù Cristo nostro Signore» (Regulae, 259; P.G. 31, 1255).

E che la Chiesa abbia, ancor più che bisogno, desiderio di ritrovare il suo caratteristico fervore lo dimostrano, da un lato, i tanti e più vari fenomeni della sua vita contemporanea, e dall’altro la decadenza di tante forme di cristianesimo, pervase e corrose dalle correnti profane e pagane e negatrici della vita moderna. Un desiderio di autenticità, di generosità, di perfezione e di santità percorre tutta la compagine del Popolo di Dio, per una risvegliata coscienza della sua vocazione e per un più vivo istinto di difesa dall’invadenza dello spirito del tempo ed anche per un risorto ardimento apostolico di infondere nel mondo moderno, qual è, il fermento salutare del messaggio evangelico. La Chiesa Post-conciliare entra in uno stato di fervore, se coerente al genio del Concilio, se fedele all’ispirazione del Signore, se docile alle sue proprie leggi. Ed è a questo fervore che Noi vi invitiamo, cari Nostri Visitatori: a rendervi persuasi della sua necessità e della sua tempestività; a farvi riflettere come un tale fatto spirituale riguardi non solo la Chiesa come comunità, ma il singolo fedele altresì, come membro vivo e responsabile nel Corpo mistico di Cristo; a infondervi quella fiducia e quell’alacrità, che, deve distinguere il periodo, che stiamo iniziando, come una stagione primaverile della cristianità. Invito e presagio che accompagniamo con la Nostra Benedizione Apostolica.

I consulenti ecclesiastici dell’Unione Insegnanti Medi

Nell'udienza generale odierna abbiamo una serie di gruppi ben degni d’essere da Noi ricevuti con speciale avvertenza e di ricevere da Noi un particolare incoraggiamento.

Il primo di questi gruppi ragguardevoli è quello dei Sacerdoti Consulenti Ecclesiastici dell’Unione Cattolica Insegnanti Medi, riuniti a convegno nazionale. Li salutiamo molto volentieri, e diciamo loro la Nostra compiacenza per il fatto che essi siano rappresentanti di buona parte delle sedi provinciali italiane e che siano regolarmente investiti dell’incarico che qui li qualifica; come pure siamo lieti di vedere che procedono uniti, cercando di specializzarsi nella conoscenza delle persone e dei problemi, che attendono dal loro ministero un’assistenza tutta particolare. L’ufficio loro affidato, quello di fungere da consulenti d’una fra le maggiori associazioni specializzate del campo cattolico, quella degli Insegnanti delle Scuole Medie, è fra i più delicati ed i più urgenti nel settore dell’apostolato moderno al nostro Laicato, e riveste oggi, come loro ben sanno, un’importanza di grande rilievo: a fiancheggiare infatti gli Insegnanti delle Scuole Medie, per loro dare conforto religioso e consulenza morale e spirituale è missione assai lodevole, per sostenere nell’Insegnante la coscienza cristiana della sua professione, non lasciando che si impoverisca nel qualunquismo o nel laicismo di chi si limita al puro esercizio del suo compito didattico, ma cercando di sostenere tale coscienza con i grandi ideali cristiani e con i conforti spirituali della vita religiosa, ideali e conforti che fanno dell’Insegnante un campione della missione scolastica, un padre, un esempio, un allenatore, una guida dell’adolescente, che avverte essere il suo Professore non solo un bravo professionista, ma un uomo completo, a cui la fede infonde un’animazione didattica particolare, uno stile di pensiero e di vita, un amico che merita stima e fiducia. Non è dubbio che il Consulente ecclesiastico può esercitare questo influsso animatore sugli Insegnanti: può essere maestro dei maestri, se davvero li stima, li tiene vicini, li ascolta, s’interessa ai loro problemi, e se, soprattutto li sa introdurre nella scienza e nella pratica della fede, stabilendo così quel rapporto fra magistero religioso e magistero scolastico ch’è fra gli sviluppi più fecondi e più interessanti della vita spirituale e culturale. Ai bravi Sacerdoti, che a tale compito sono chiamati, i Nostri voti migliori e la Nostra Benedizione.




Mercoledì, 5 gennaio 1966

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Diletti Figli e Figlie!

Potremo far Nostro, per questo familiare colloquio, un verso dantesco: «Io dico seguitando . . .» (Inf. 8, 1). Seguitiamo oggi infatti un pensiero, enunciato nell’ultima udienza generale, molto ovvio e comune, un pensiero riflesso sopra il Concilio ecumenico testé concluso; un pensiero che nasce dalla domanda: qual è lo spirito, che il Concilio trasmette alla Chiesa? Per spirito qui intendiamo mentalità, principio di pensiero e d’azione, animazione, e cioè forma, attitudine, stile dell’anima, direzione del cuore, che di per sé appartiene all’ambito proprio della psicologia umana, ma che, nell’ordine della grazia, può ben essere anche pervaso dalla azione dello Spirito Santo. E dicevamo che lo spirito del Concilio deve definirsi da un carattere di accresciuto fervore religioso, morale e anche, se volete, sentimentale. Oggi Ci pare di dover rilevare un altro carattere generale dello spirito del Concilio, ed è quello comunitario. La Chiesa esce dal Concilio animata da un cresciuto spirito comunitario, da una maggiore carità, quella carità che rende fratelli i fedeli, che porta all’unione, all’amicizia, che assume aspetti sociali positivi, di concordia e di solidarietà.

Cioè la Chiesa, a Concilio finito, porta più viva con sé la coscienza della sua misteriosa e meravigliosa unità, fusa con la coscienza della sua vocazione universale, cioè della sua cattolicità. Di queste due note distintive della Chiesa, unità e cattolicità, il Concilio ha dato ai partecipanti, dentro e fuori dell’aula, una duplice esperienza:. interiore dapprima; la Chiesa in Concilio ha perfezionato la coscienza di quelle due note, e le ha riscontrate ancora una volta essere proprietà essenziali, costitutive, profonde, irrinunciabili, conferite da Cristo a quell’umanità, a quel Popolo di Dio, a quel Corpo storico e mistico, ch’Egli chiamava a partecipare della sua stessa vita e a compiere nel mondo e nel tempo la sua stessa missione. L’altra esperienza è stata esteriore, visibile, sperimentale, risultante dall’incontro dei Pastori della Chiesa, provenienti da ogni angolo della terra intorno al loro centro e al loro Capo, e destinati a diffondere in ogni angolo della terra il Vangelo di Cristo. Esperienza meditata stabile e teologica la prima, vissuta passeggera e umana la seconda; ed entrambe trasmesse a tutta la Chiesa, che si è sentita, forse come non mai, una sola famiglia, una sola cosa in Cristo.

E questo risultato di coscienza comunitaria non è stato occasionale e preterintenzionale, ma è stato uno degli insegnamenti, e quindi degli scopi, ripetuti in tutti i Decreti conciliari. Le prove non mancano. Ad esempio: una delle note salienti e ripetute della Costituzione sulla Sacra Liturgia non è forse la partecipazione comunitaria di tutti i fedeli alle celebrazioni del culto divino? E la Costituzione principale del Concilio, quella sulla Chiesa, non afferma con voce solenne che: «piacque a Dio santificare e salvare gli uomini non a uno a uno, prescindendo da qualsiasi mutua connessione, ma volle sostituirli in un popolo, che Lo conoscesse nella verità e a Lui santamente servisse» (n. 9) Le pagine di questa Costituzione sul Popolo di Dio sono serto fra le più belle della dottrina cattolica e della letteratura religiosa: nessun cristiano istruito le dovrà ignorare. Ad esse fanno seguito quella sulla Costituzione gerarchica della Chiesa, dove ancora il carattere comunitario della Chiesa stessa trova una nuova illustrazione in quella «collegialità» dell’Episcopato, che, portando nuovo suffragio alla funzione unica del Successore di San Pietro, rivela quale solidale e suprema autorità abbia nella Chiesa l’Episcopato stesso, preso nel suo insieme e costituendo un ordine, un corpo, quel Collegio, cioè, di successori degli Apostoli, che «in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del Popolo di Dio, e, in quanto riunito sotto un solo Capo, esprime l’unità del gregge di Cristo» (n. 22).

Meriterà uno studio la nota comunitaria ricorrente nei documenti conciliari; e tale studio confermerà l’aspetto veramente ecclesiale, e cioè comunitario, che deve distinguere la società dei credenti in Cristo. È interessante notare come, da un lato, la religione cattolica mette in sempre migliore evidenza ed in più alto onore la personalità d’ogni singolo uomo (altro insegnamento caratteristico del nostro Concilio); e dall’altro lato afferma essere indispensabile per ogni fedele l’univoca adesione alla medesima fede, ed essere costitutiva della realtà ecclesiale l’appartenenza qualificata alla medesima comunione di culto e di carità.

Così che coltiverà lo spirito del Concilio chi cercherà di infondere nella vita cattolica maggiore coesione, maggiore fraternità, maggiore carità. Tutto quanto diminuisce o offende il senso comunitario è fuori della linea che il Concilio ha tracciato per il rinnovamento e per la dilatazione della Chiesa: i particolarismi, i separatismi, i preziosismi, gli egoismi, che talvolta s’insinuano anche negli animi o nei cenacoli di distinti cattolici, ovvero la noia e il disinteresse verso i fratelli, vicini o lontani che siano, dovrebbero cedere, dopo il Concilio, a quello spirito di maggiore carità fraterna, che Cristo ha voluto sia distintivo dei suoi discepoli.

Ecco perché raccomandiamo a voi, come a tutti quanti Ci ascoltano, di far proprio lo spirito comunitario del Concilio, con la Nostra Apostolica Benedizione.

Nella Clinica Pediatrica di Roma

All'omaggio del Direttore della Clinica pediatrica Sua Santità risponde con affabili parole.

Egli dovrebbe fare un elenco interminabile di persone alle quali ricambiare il saluto e rinnovare la gratitudine già espressa alle autorità iniziando la sua visita.

Desidera però ripetere al Rettore riconoscenza ed apprezzamento per l’elevatezza dei sentimenti espressi; e salutare i medici confermando la sua grande stima per loro che hanno scelto come missione quella di curare le sofferenze.

Vorrebbe poter dire ad ognuno di loro anche una sola parola di lode e di ringraziamento per la missione, di altissimo valore umano e sociale, che svolgono; e sottolineare e confortare la coscienza della loro alta professione, della loro dignità. Grande scelta è stata da essi compiuta e il Papa, oltre che dal piano umano, anche da quello religioso, spirituale, che è ancor più elevato, in unione al suo elogio e alla sua benedizione intende far discendere su di loro il ringraziamento e la benedizione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Paolo VI accenna poi ai motivi che, tra i tanti inviti, tra le tante domande pervenutegli, lo hanno indotto a scegliere, per recarvisi nel giorno così caro e benedetto, dell’infanzia, proprio quella clinica. Si fa presto a sentire ed a cedere all’attrattiva dell’infanzia; il mondo dei bambini così pieno di poesia non lascia indifferenti al proprio incanto; ed ecco dunque il Papa a dividere con i suoi piccoli amici la gioia di un incontro.

La clinica pediatrica è un luogo di cura, di tenerezza ed anche di affanno; nel cuore di molti sarà sorto un interrogativo sul mistero del dolore, e soprattutto sul mistero del dolore innocente. Perché, perché è permesso?

La risposta a questo interrogativo angoscioso il Papa l’addita in una sfera superiore; è il campo proprio della scienza di Dio che discopre delle zone di realtà nascoste e che solo può dare una risposta.

Il Signore, innocente, ha subito il supplizio e la morte di croce: è proprio il dolore innocente che salva, e che ha salvato noi; i bambini che soffrono sono su una via regale; il dolore, nelle mani di Dio, ha il potere di riparare, di salvare: ecco inestimabili valori verso i quali dirigere le nostre cure.

L’Augusto Pontefice mostra poi ai bambini l’artistico presepio che ha loro portato in dono e li invita ad essere sempre buoni e, a conferma dei loro propositi, fa con essi il Segno della Croce e recita il Gloria Patri in italiano.


Mercoledì, 12 gennaio 1966

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Diletti Figli e Figlie!

La vita della Chiesa è dominata dal Concilio ecumenico, che è stato concluso nel dicembre scorso. E non è solo il ricordo d’un avvenimento così raro e così grande, che deve tenere impegnati gli animi nostri; il ricordo si riferisce ad un fatto passato; la memoria lo raccoglie, la storia lo registra, la tradizione lo conserva; ma tutto questo processo riguarda un momento finito, un avvenimento trascorso. Invece il Concilio lascia qualche cosa dopo di sé, che dura e che continua ad agire. Il Concilio è come una sorgente, dalla quale scaturisce un fiume; la sorgente può essere lontana, la corrente del fiume ci segue. Si può dire che il Concilio lascia alla Chiesa, che lo ha celebrato, se stesso. Il Concilio non ci obbliga tanto a guardare indietro, all’atto della sua celebrazione; ma ci obbliga a guardare all’eredità che esso ci ha lasciata, e che è presente e durerà per l’avvenire. Qual è questa eredità?

L’eredità del Concilio è costituita dai documenti che sono stati promulgati nei vari momenti conclusivi delle sue discussioni e delle sue deliberazioni; questi documenti sono di diversa natura; e cioè sono Costituzioni (quattro), sono Decreti (nove) e sono Dichiarazioni (tre); ma tutti insieme formano un corpo di dottrine e di leggi, che deve dare alla Chiesa quel rinnovamento per cui il Concilio è stato promosso. Conoscere, studiare, applicare questi documenti è il dovere ed è la fortuna del periodo post-conciliare.

Bisogna fare attenzione: gli insegnamenti del Concilio non costituiscono un sistema organico e completo della dottrina cattolica; questa è assai più ampia, come tutti sanno, e non è messa in dubbio dal Concilio o sostanzialmente modificata; ché anzi il Concilio la conferma, la illustra, la difende e la sviluppa con autorevolissima apologia, piena di sapienza, di vigore e di fiducia. Ed è questo aspetto dottrinale del Concilio, che dobbiamo in primo luogo notare per l’onore della Parola di Dio, che rimane univoca e perenne, come luce che non si spegne, e per il conforto delle nostre anime, che dalla voce franca e solenne del Concilio sperimentano quale provvidenziale ufficio sia stato affidato da Cristo al magistero vivo della Chiesa per custodire, per difendere, per interpretare il «deposito della fede» (cfr. Humani generis, A.A.S., 1960, p. 567). Non dobbiamo staccare gli insegnamenti del Concilio dal patrimonio dottrinale della Chiesa, sì bene vedere come in esso si inseriscano, come ad esso siano coerenti, e come ad esso apportino testimonianza, incremento, spiegazione, applicazione. Allora anche le «novità» dottrinali, o normative del Concilio appariscono nelle loro giuste proporzioni, non creano obbiezioni verso la fedeltà della Chiesa alla sua funzione didascalica, e acquistano quel vero significato, che la fa risplendere di luce superiore.

Perciò il Concilio aiuti i fedeli, maestri o discepoli che siano, a superare quegli stati d’animo - di negazione, d’indifferenza, di dubbio, di soggettivismo, ecc. - che sono contrari alla purezza e alla fortezza della fede. Esso è un grande atto del magistero ecclesiastico; e chi aderisce al Concilio riconosce ed onora con ciò il magistero della Chiesa; e fu questa la prima idea che mosse Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, a convocare il Concilio, come Egli ben disse inaugurandolo: «ut iterum magisterium ecclesiasticum . . . affirmaretur»; «fu nostro proposito, così si esprimeva, nell’indire questa grandissima assemblea, di riaffermare il magistero ecclesiastico» (A.A.S. 1962, p. 786). «Ciò che più importa al Concilio ecumenico, Egli continuava, è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia più efficacemente custodito ed esposto» (ibid. p. 790).

Non sarebbe perciò nel vero chi pensasse che il Concilio rappresenti un distacco, una rottura, ovvero, come qualcuno pensa, una liberazione dall’insegnamento tradizionale della Chiesa, oppure autorizzi e promuova un facile conformismo alla mentalità del nostro tempo, in ciò ch’essa ha di effimero e di negativo piuttosto che di sicuro e di scientifico, ovvero conceda a chiunque di dare il valore e l’espressione che crede alle verità della fede. Il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici, invita a ricercare e ad approfondire le scienze religiose ma non priva il pensiero cristiano del suo rigore speculativo, e non consente che nella scuola filosofica, teologica e scritturale della Chiesa entri l’arbitrio, l’incertezza, la servilità, la desolazione, che caratterizzano tante forme del pensiero religioso moderno, quand’è privo dell’assistenza del magistero ecclesiastico.

Vi è chi si domanda quale sia l’autorità, la qualificazione teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico. E la risposta è nota per chi ricorda la dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964: dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e così palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli, secondo la mente del Concilio circa la natura e gli scopi dei singoli documenti.

Dobbiamo entrare nello spirito di questi criteri basilari del magistero ecclesiastico, e accrescere nei nostri animi la fiducia nella guida della Chiesa sui sentieri sicuri della fede e della vita cristiana. Se questo faranno i buoni cattolici, i bravi figli della Chiesa e specialmente gli studiosi, i teologi, i maestri, i diffusori della Parola di Dio, non che gli studenti e i ricercatori stessi della dottrina autentica scaturita dai Vangelo e professata dalla Chiesa, è da sperare che la fede e con essa la vita cristiana ed anche quella civile avranno grande ristoro, quello appunto che deriva dalla verità che salva. Perché davvero lo «Spirito del Concilio» vuol essere Spirito di verità (
Jn 16,13).

Che la Nostra Benedizione vi aiuti a comprendere tale Spirito e a farlo vostro.


Mercoledì, 19 gennaio 1966

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Diletti Figli e Figlie!

In queste elementari riflessioni, che l’udienza generale settimanale Ci offre occasione e stimolo di fare sopra il Concilio Vaticano II, testé concluso, Ci domandiamo quali siano stati i caratteri più evidenti del suo spirito, dei principi animatori cioè che lo hanno promosso, pervaso e guidato, così da imprimergli un aspetto dottrinale e morale, che lo distingue e lo definisce, e che nella storia ventura lo farà ricordare. E la celebrazione in corso della settimana per l’unione di tutti i Cristiani nell’unica Chiesa fondata da Cristo Ci suggerisce essere stato il carattere ecumenico una delle principali note del Concilio stesso, non solo perché ecumenico è stato chiamato dalla nomenclatura canonica, che tale lo designò a causa della convocazione e della presenza dell’Episcopato cattolico di tutto il mondo, ma anche perché il Concilio fu mosso dalla intenzione di appianare la via alla ricomposizione nell’unico gregge di Cristo ai moltissimi cristiani tuttora separati sia fra di loro che dalla nostra comunione; e questa intenzione si qualifica ora ecumenica, come quella dei vari movimenti chiamati ecumenici, che specialmente in questo nostro secolo, fuori dell’ambito della Chiesa cattolica, furono rivolti alla riconciliazione delle tante confessioni cristiane fra loro divise.

Si deve ricordare, a questo proposito, la speranza che diede coraggio al Papa Giovanni XXIII, di venerata memoria, nella convocazione del Concilio Ecumenico. Egli scriveva nella sua Enciclica «Aeterna Dei»: «. . . è appunto allo scopo di rendere la Chiesa più idonea ad assolvere ai tempi nostri la (sua) eccelsa missione (di vedere tutte le genti entrare nella via della verità, della carità e della pace), che Ci siamo proposti di convocare il secondo Concilio Ecumenico Vaticano, nella fiducia che la solenne adunanza della Gerarchia cattolica, non solo rafforzerà i vincoli di unità nella fede, nel culto e nel regime, che sono le prerogative della vera Chiesa, ma attirerà altresì lo sguardo di innumerevoli credenti in Cristo e li inviterà a raccogliersi intorno “al grande Pastore del gregge” (Haebr. 13, 20) Gesù Cristo, che ne ha affidato a Pietro la perenne custodia» (A.A.S. 1961, p. 799).

E possiamo ben dire che questo spirito ecumenico, che tende a dilatare il cuore della Chiesa cattolica oltre i quadri della sua effettiva comunione gerarchica per dargli la dimensione universale del disegno di Dio e della carità di Cristo, questo spirito ha pervaso il Concilio: l’ecumenicità potenziale ha riempito e commosso l’ecumenicità concreta della Chiesa riunita a Concilio; un’ansia di universalità le ha ispirato parole stupende sul «Popolo di Dio», le ha acceso in seno un fuoco missionario, irradiante in ogni documento conciliare; le ha suggerito accenti di umiltà, di perdono, di comprensione, di ricerca per tutti i Cristiani; non solo, ma altresì parole riguardose e amorose per i seguaci di religioni non cristiane (cfr. Card. Marella, Il Concilio sulla via dei popoli non cristiani); anzi parole per il mondo; sì, per il mondo profano, quale oggi è, la Chiesa ha avuto messaggi desiderosi di valicare ogni distanza, di vincere ogni ostacolo: «In tutta la terra si è diffusa la loro voce» (
Rm 10,18).

Due fatti conciliari sono poi chiarissimi per dimostrare lo spirito ecumenico del grande Sinodo: la presenza alle assemblee conciliari di molti Osservatori, rappresentanti di varie Chiese separate e di diverse Comunità cristiane: presenza, che non vedevamo da secoli, presenza esemplare e commovente, presenza stimolante nei Padri conciliari pensieri di ripensamento, di riguardo, di affezione, quali da tanto tempo non erano stati espressi; presenza, che Ci sembrò riempire gli animi degli assistenti di sollecitudini, di doveri, e di speranza: lo spirito ecumenico. L’altro fatto è il Decreto «de Oecumenismo»; un documento cioè che chiarisce la dottrina su tale importantissimo tema, espone i principi dell’ecumenismo cattolico, indica i modi per esercitarlo degnamente, e delinea le relazioni esistenti fra la Chiesa cattolica e i Fratelli separati predisponendo l’instaurazione d’un nuovo dialogo sincero e cordiale con loro.

Cose che tutti sappiamo oramai, ma che tutti dobbiamo riprendere in considerazione. Non sono cose passate, non sono cose d’altrui interesse; sono cose nostre, che riguardano non solo i Pastori della Chiesa, ma i Fedeli altresì, e che impongono, ancor prima d’un accostamento ai Fratelli separati, un rinnovamento personale e collettivo di vita cristiana. Dice il Decreto «de Oecumenismo» citato: «Nell’azione ecumenica occorre senza dubbio che i Fedeli cattolici si interessino dei Fratelli separati, pregando per loro, conversando con loro, movendo i primi passi verso di loro. Ma soprattutto essi devono ben considerare con animo attento e sincero ciò che nella stessa Famiglia cattolica è da rinnovare e da fare, affinché la sua vita renda più fedelmente e più chiaramente testimonianza della dottrina e dei precetti derivati da Cristo, tramite gli Apostoli» (n. 4).

Ora Noi vorremmo invitarvi a riflettere quale sia l’atteggiamento da tenere a riguardo di questo ecumenismo, di cui ora tanto si parla, e di cui la settimana per l’unità ci fornisce informazioni ed esortazioni abbondanti.

Perché l’atteggiamento in questione è molteplice. Vi è un atteggiamento d’indifferenza e di disinteresse, motivato spesso dalla scarsa cognizione delle questioni e dalla loro complessità. Diremo semplicemente a questo riguardo: bisogna conoscere, bisogna istruirsi; non è più lecito ignorare una questione di tanta importanza e di tanta attualità.

Un altro atteggiamento eccede invece in entusiasmo e in semplicismo, quasi che il contatto con i Fratelli separati sia facile e senza pericolo, e quasi che basti non dare importanza alle questioni dottrinali e disciplinari per stabilire subito la concordia e la collaborazione. È un atteggiamento sbagliato, perché può essere fonte di illusioni e di delusioni, di debolezze e di conformismi, punto giovevoli alla causa del vero ecumenismo.

Vi è poi l’atteggiamento dei diffidenti e degli scettici; alcuni temono che l’ecumenismo comporti una critica e una revisione alle verità della fede, una disistima della tradizione cattolica e del magistero, un conformismo alle altrui concezioni religiose a scapito delle proprie; altri temono che sia vano sperare nella ricomposizione effettiva d’un’unica credenza religiosa e d’una sola e vera comunione ecclesiale; troppe cose ci dividono, essi dicono, dai Fratelli separati, troppo tempo è passato dalla rottura ormai insanabile; non si devono attendere i miracoli che sarebbero necessari per una vera riconciliazione. Atteggiamento suggerito da serie ragioni, ma anche esso sbagliato: perché non è secondo lo spirito dei tempi, secondo i bisogni del mondo; e soprattutto non è secondo il volere di Cristo. Il Concilio è solenne su questo punto!

E allora l’atteggiamento buono è quello di assecondare la linea direttiva, che, in pratica, la Chiesa ci propone e con buone norme ci prescrive. Ma questa fiducia nella guida della Chiesa sulla via dell’ecumenismo suppone ed esige un fatto psicologico, complesso e difficile, se volete, ma che Noi riassumeremo in una parola ben nota e ben sacra: suppone l’amore. Bisogna amare davvero per far progredire, nell’integrità della dottrina, l’ecumenismo. Ed è con questo proposito d’amore in Cristo che Noi mandiamo, oggi, il Nostro saluto a tutti i Fratelli separati e che voi, figli carissimi, di cuore benediciamo.


Mercoledì, 26 gennaio 1966

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Diletti Figli e Figlie,

Ai visitatori, che vi hanno preceduti nelle udienze generali di queste ultime settimane, Noi abbiamo proposto di farsi una idea generale del Concilio Ecumenico, terminato da poco, di darne una definizione morale e riferibile agli animi di quei figli della Chiesa, che le vogliono essere veramente fedeli, e riferibile altresì a quegli osservatori, che sanno scoprire il significato degli avvenimenti, e ne vedono, per così dire, l’anima, lo spirito. Abbiamo allora indagato sommariamente lo spirito del Concilio, e Ci sembra di averne potuto indicare alcuni caratteri salienti, che dicono essere stato animato il Concilio da uno spirito di fervore e di rinnovamento, da uno spirito comunitario, da uno spirito apostolico, pastorale, missionario ed ecumenico, da uno spirito di verità e di fedeltà alla dottrina religiosa della Chiesa. Vi sarebbero molti altri aspetti da considerare, che ci direbbero quale spirito di libertà abbia soffiato nel Concilio, quale di modernità, quale di interesse per i Laici e per le realtà temporali, e così via. A Noi sembrò dover osservare, alla fine del Concilio, quale ne era stato lo spirito propriamente religioso, e donde esso era scaturito per un fatto così solennemente religioso, come vuole essere un Concilio Ecumenico. Su questo punto Noi vorremmo che ciascuno di voi cercasse di continuare la riflessione, e domandasse a se stesso: quale aiuto ha portato il Concilio alla mia fede, alla mia preghiera, alla mia ricerca di Dio, alla mia vita spirituale?

E la domanda si può estendere al mondo, alla società del nostro tempo, così portata a dimenticarsi di Dio e a trascurare l’osservanza religiosa; un invito è certamente arrivato al mondo da parte del Concilio per riavvicinare la religione; ma è stato un invito comprensibile? efficace? accettabile? A chi vorrà raccogliere queste interrogazioni e farle sue, per applicarle al Concilio testé celebrato, si apriranno orizzonti vastissimi e interessantissimi, quelli propriamente religiosi del Concilio. Noi confidiamo che vi siano non solo teologi e predicatori, non solo Pastori di anime e studiosi di scienze spirituali, ma persone altresì immerse nella vita profana, uomini e donne intelligenti, che si propongano di accogliere dal grande avvenimento che fu il Concilio qualche insegnamento propriamente religioso, qualche impressione, qualche stimolo, qualche raggio di luce e di conforto.

Non osiamo, in un discorso così breve e così semplice come questo, impartire alcuna lezione su temi di così ampio e profondo contenuto. Faremo appena alcune domande; per esempio: non dice nulla il fatto, il fatto in se stesso, che il Concilio, e quale Concilio, sia stato celebrato in seno alla nostra esperienza storica e sociale? La religione, ci dice, esiste ancora; e come vissuta, come professata, come amata, come goduta!

E abbiamo abbastanza riflesso alla tendenza, palese specialmente nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno (lo Schema XIII) a valorizzare «religiosamente» il mondo della natura, la società umana in quanto tale, l’amore e la famiglia, la cultura ed il lavoro, l’arte e l’economia, la sofferenza e la speranza umana, ecc., non solo per scoprirvi l’opera di Dio, ma la presenza di Dio, l’invito di Dio, la risposta di Dio? Noi siamo stati abituati a porre la religione ai margini dell’esperienza sensibile e della ragione scientifica, confinandola al limite delle nostre cognizioni sull’immensa sfera del mistero della natura, quasi che la religione si fondasse sull’ignoranza delle possibili soluzioni dei problemi oscuri, che un giorno la scienza potrebbe risolvere; ed ecco invece un ritorno dell’istanza religiosa, non tanto dai confini esterni della scienza, nei quali era stata relegata, ma al di sopra del campo scientifico, per scendere nel cuore di esso e per ricavare con antica e nuova sapienza, a sua esaltazione e ad onore dell’umana conoscenza da quanto è, da quanto dice ordine, legge, fine, e bellezza un’apologia di sé, una sua propria necessità, e una sua giovanile capacità di riprendere l’inno della creazione e di tutto illuminare e beatificare. Rinasce, battezzata dalla sapienza evangelica, una religione naturale, che anche i grandi scienziati del tempo nostro non solo non hanno disdegnato di intuire nel cuore delle loro ricerche, ma hanno presagito e riconosciuto. Se così è, Figli carissimi, comprendete voi quale può essere il nuovo cammino del pensiero umano e del progresso scientifico dopo il Concilio?

E se dalla sfera della rivelazione naturale volete passare a quella della Rivelazione soprannaturale, quella della Bibbia, quella della religione positiva, del cristianesimo e della nostra fede, non dirà nulla allo studioso, nulla al semplice fedele la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione? Sulla dottrina della Parola di Dio agli uomini, sulla autorità della Sacra Scrittura, sull’esortazione a ritornare allo studio, alla meditazione, al convito spirituale del Libro divino? Quale ricchezza di vita religiosa, quale rinnovamento, quale avvicinamento ai Fratelli separati, che alla Bibbia sono stati tanto legati, quale riconoscenza al magistero ecclesiastico che la Parola divina custodisce e dispensa, può inondare le nostre anime, e quale nuova primavera spirituale può fiorire nel nostro arido secolo?

Ecco il valore religioso del Concilio! Il quale per di più nella sua prima e magnifica Costituzione, quella sulla Sacra Liturgia, ha compiuto un atto di fede e di pietà, che deve penetrare tutta la mentalità religiosa della Chiesa, e deve riaccendere in lei - diciamo principalmente nel popolo di Dio, nei fedeli tutti - un senso di presenza e di comunione con Cristo, nello Spirito Santo, tale da ravvivare magnificamente le attitudini religiose dell’uomo moderno, e da rimettere nel suo cuore e sulle sue labbra la insuperabile e inebriante preghiera evangelica: «Padre nostro, che sei nei cieli . . .». Pensate, Figli carissimi, pensate allo spirito religioso del Concilio; e dite poi a voi stessi se il vento di Pentecoste non viene, soave o impetuoso che sia, a invadere le anime vostre. Questo vento, questo Spirito Santo vuole invocare su di voi la Nostra Benedizione Apostolica.



Paolo VI Catechesi 29125