Paolo VI Catechesi 28126

Mercoledì, 28 dicembre 1966 - L’ISPIRATA DECISIONE DI S. FRANCESCO D’ASSISI

28126
Diletti Figli e Figlie!

Il primo biografo di S. Francesco d’Assisi, fra Tommaso da Celano, in Abruzzo, narra, al capitolo XXX della prima vita da lui scritta del Santo (1228), per ordine di Papa Gregorio IX, l’origine del Presepio, cioè della rappresentazione scenica della nascita di nostro Signore Gesù Cristo, secondo il Vangelo di San Luca, con l’aggiunta convenzionale del bue e dell’asinello (Isaia, 1, 3, vi ha dato occasione, e S. Ambrogio, con altri, la ricorda nella sua Expositio Evang. Luc.
Lc 2,42 PL Lc 15,32). Scrive fra Tommaso che il supremo proposito di S. Francesco era quello di osservare in tutto e sempre il santo Vangelo. «Specialmente, egli scrive, l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione gli erano presenti alla memoria, così che raramente voleva pensare ad altro. Va ricordato a questo proposito e celebrato con riverenza quanto egli fece, tre anni prima di morire, presso il paese che si chiama Greccio, per il giorno di Natale del Signor nostro Gesù Cristo (cioè nel 1223). Viveva da quelle parti un certo Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, che il beato Francesco amava particolarmente, poiché, essendo quegli nobile e assai stimato trascurava la nobiltà del sangue e ambiva solo la nobiltà dello spirito. Il beato Francesco, come faceva spesso, circa quindici giorni prima del Natale lo fece chiamare e gli disse: Se hai piacere che celebriamo a Greccio questa festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico. Voglio infatti celebrare la memoria di quel Bambino, che nacque a Betlem, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si trovava per la mancanza di quanto occorre ad un neonato; come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno, vicino al buone e all’asinello. Ciò udito, quell’uomo buono e pio se ne andò in fretta e preparò nel luogo indicato tutto ciò che il Santo aveva detto» (Vita prima, c. 30, Analecta Franciscana, X, p. 63).

Questa è l’origine del nostro presepio.


«ANDIAMO A VEDERE».

Ed ora che questa popolare rappresentazione della storia evangelica è nella mente di tutti, viene spontaneo riflettere come il Signore volle farsi conoscere e come il primo dovere che noi uomini abbiamo verso questo misterioso Fratello venuto in mezzo a noi è di conoscerlo. La prima conoscenza è quella sensibile, quella che San Francesco volle concedere a sé e agli altri con la composizione del presepio, quella di contemplare in qualche modo con gli occhi del corpo, «utcumque corporis oculis pervidere». Ed è una forma naturalissima di conoscenza, che Cristo volle concedere a quei fortunati, i quali poterono avvicinarlo durante la sua vita temporale, «in illo tempore», in quel tempo, come ci istruisce la lettura evangelica della santa Messa; ed è una forma desideratissima, che tutti vorremmo godere, ed i Santi più di tutti. Ricordate che cosa dicono i pastori, dopo l’annuncio dell’Angelo: «Andiamo a vedere»? (Lc 2,15) e il desiderio dei Gentili, presenti all’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme: «Vogliamo vedere Gesù»? (Jn 12,21). E la testimonianza degli Apostoli: «. . . quello che abbiamo veduto con gli occhi nostri, quello che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato . . .»? (1Jn 1,1). Era il desiderio dell’Apostolo Tommaso: «Se non vedo . . . . se non tocco . . . . io non credo» (Jn 20,25).

Ma questa conoscenza sensibile ha avuto la sua funzione iniziale, parziale e passeggera per dare certezza concreta, positiva, storica a coloro che avrebbero poi avuto la missione di predicare la testimonianza circa la realtà umana e prodigiosa di Gesù, e di suscitare quella nuova forma di conoscenza, sulla quale è fondato tutto l’edificio religioso stabilito da Cristo: la fede. Fu Lui ad ammonirci: «Beati coloro che avranno creduto, senza avere veduto» (Jn 20,29). «Per fede, scrive S. Paolo, noi camminiamo non per visione» (2Co 5,7).

Ma sta il fatto che la venuta di Cristo nel mondo genera per noi il problema e di dovere di conoscerlo. Come conoscerlo? Ecco la domanda che ciascuno deve porre a se stesso: conosco io Gesù Cristo? Lo conosco davvero? Lo conosco abbastanza? Come posso conoscerlo meglio? Nessuno è in grado di rispondere in modo soddisfacente a questi interrogativi, non solo perché la conoscenza di Cristo pone tali problemi e nasconde tali profondità, che solo l’ignoranza, non l’intelligenza, può dirsi paga d’una qualsiasi nozione su Cristo; ma anche perché ogni nuovo grado di conoscenza che di Lui acquistiamo, invece di calmare il desiderio della conoscenza di Cristo, vieppiù lo risveglia: l’esperienza degli studiosi, e ancor più quella dei Santi, lo dice.


LA DOVEROSA COSTANTE RICERCA DI GESÙ

Allora, Figli carissimi, bisogna che ci mettiamo alla ricerca di Gesù, cioè allo studio di quanto possiamo sapere su di Lui; ed ecco che ritorna a noi l’immagine del presepio, cioè il ricordo del racconto evangelico. La prima conoscenza, che dovremo avere di Cristo, è quella documentata dai Vangeli. Se non abbiamo avuto la fortuna della conoscenza diretta e sensibile del Signore, dobbiamo cercar di avere una conoscenza storica, una memoria sicura di Lui, dando la dovuta importanza alla forma umana, con cui il Verbo di Dio si è rivelato.

E qui, subito, grandi discussioni, grandi difficoltà, grandi incantesimi di studi e di interpretazioni, che tentano diminuire il valore storico dei Vangeli stessi, specialmente quelli che si riferiscono alla nascita di Gesù e alla sua infanzia. Accenniamo appena a questa svalutazione del contenuto storico delle mirabili pagine evangeliche, affinché sappiate difendere, con lo studio e con la fede, la consolante sicurezza che quelle pagine non sono invenzione della fantasia popolare, ma dicono la verità. «Gli apostoli - scrive chi se ne intende, il Card. Bea - hanno un autentico interesse storico. Non si tratta evidentemente di un interesse storico nel senso della storiografia greco-latina, cioè della storia ragionata e cronologicamente ordinata, che sia fine a se stessa, bensì di un interesse agli avvenimenti passati come tali e dell’intenzione di riferire e tramandare fedelmente fatti e detti passati.


NUTRIRE LA FEDE CON LA LETTURA DEL VANGELO

Ne è una riprova il concetto stesso di «testimone», «testimonianza», «testimoniare», che nelle sue varie forme ricorre nel Nuovo Testamento più di 150 volte (La storicità dei Vang. sin., in Civ. Catt., 1964; II, 417-436 e 526-545). Né altrimenti l’autorità del Concilio si è pronunciata: «Gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce, o anche in iscritto, alcune altre sintetizzando, altre spiegando con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù con sincerità e verità» (Dei Verbum DV 19).

Rassicurati così, i fedeli devono dedicarsi innanzi tutto con devota passione alla lettura e allo studio delle fonti scritturali, che ci parlano di Gesù. La fede dev’essere nutrita di questa sacra dottrina. Se abbiamo bene celebrato il Natale, se ci siamo soffermati anche noi, con sapiente semplicità, davanti al presepio, dobbiamo noi pure desiderare quella «eminente scienza di Gesù Cristo» (Ph 3,8), che San Paolo anteponeva ad ogni altra cosa.

Conoscere Gesù Cristo: questa è oggi la Nostra esortazione, Figli carissimi, con la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 4 gennaio 1967

40167
Diletti Figli e Figlie!

Non possiamo in questa nostra breve meditazione dell'udienza generale scostarci dal grande tema di stagione, quello natalizio, tanto più che ci avviciniamo ad un'altra solennità relativa alla venuta di Cristo nel mondo, l'Epifania, la quale, come ognuno sa, commemora e celebra la manifestazione di Cristo (cf. August. Serm. 202; P.L. 38, 1033). Come già il Natale, l'Epifania ci chiama alla conoscenza di Cristo; ad una conoscenza non soltanto relativa al fatto storico della nascita del Signore, ma più profonda, più essenziale e più misteriosa; ad una conoscenza che mette in fermento gli animi di chi la accoglie, e anche di chi, avendone qualche nozione, volontariamente la respinge; è la conoscenza teologale, nella quale si compie un facile, ma complesso processo conoscitivo, che termina all'atto di fede.

Non di questo parleremo! oggi a voi; troppo avremmo da dire; ma Ci basti ancora richiamare la vostra riflessione sopra il grande dovere, che scaturisce dal fatto storico e reale dell'Incarnazione, per ogni intelligenza umana, quello di studiare quel fatto, di considerarlo, di vederlo irradiare nel mondo - nel mondo delle anime specialmente - la sua luce, riservata e sorprendente ad un tempo.

Bisogna innanzi tutto avvicinarsi a Cristo, e riconoscere chi Lui è. È questo il tema centrale, su cui è tessuto il Vangelo. Tema ancor oggi, ed oggi più che mai, presente alla coscienza dell'umanità che pensa, che studia, che soffre, e che intravede essere in Gesù Cristo nascosto un qualche segreto, che attira e intimidisce e disturba, che sembra tutto spiegare ed essere impossibile: discussioni appassionate c sconcertanti sono tuttora accese sulla famosa domanda che Gesù stesso presentò su Se medesimo ai suoi discepoli: «Che ne pensa la gente del Figlio dell'uomo?» (
Mt 16,13). Chi è Gesù? Qui sulla tomba di S. Pietro, è bello ricordare la grande, la vera, la luminosa risposta, che risuona ancora nella sua autentica e testuale verità: «Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio vivente» (ibid. Mt 16,16). Ed è bello anche ricordare come questa risposta, che costituirà la prerogativa di Pietro nei secoli, è frutto d'una rivelazione; una rivelazione universale per sé, ma che solo agli umili, a chi accetterà d'essere discepolo d'una scienza, autenticamente divina, superiore a quella umana, sarà elargita, «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra - dirà un giorno Gesù, in un momento sublime della sua conversazione con Dio e tra noi - perché hai nascosto queste cose ai dotti ed ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Ed è bello ancora rammentare come la meditazione prolungata nel tempo, vogliamo dire la dottrina teologica della Chiesa su Cristo, abbia avuto dai Successori di Pietro, in comunione con la Chiesa d'Oriente e d'Occidente, la sua formulazione piena e sicura; così che, Figli carissimi, dovete pensare quale momento importante sia per voi trovarvi localmente, e certo anche spiritualmente, nel punto prospettico migliore, e in un certo senso unico (perché garante d'ogni altra visuale ortodossa), per conoscere Cristo. Qui è la sua Epifania centrale. La fede e di conseguenza l'amore a Cristo, la contemplazione del suo volto, mite ed umile, deliziosamente umano, immensamente grave e raccolto in un'interiorità che parla d'infinito, infinitamente perciò adorabile ed amabile, dovrebbero qui avere per tutti la loro prima scuola, la loro palestra, la loro fontana.

Vi ricorderete? Dobbiamo conoscere Cristo nella sua realtà, umana e divina, nella teologia cristologica, che la Chiesa cattolica custodisce e diffonde di Lui. E troverete allora come sia vera l'affermazione d'uno studioso contemporaneo, il quale dimostra come Cristo non possa essere presentato agIi uomini del nostro tempo, se non mediante la Chiesa, e come essi non dicano sì a Lui, se non dicendo sì alla Chiesa (Volk).

E questo sì, che voi certamente qui pronunciate oggi con vigore e con gaudio, questo atto di adesione cosciente alla Chiesa, madre e maestra, è accolto con immensa compiacenza da Noi, e da Noi avvalorato con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 11 gennaio 1967

11167

Diletti Figli e Figlie!

Voi che venite a visitare il Papa, con devozione filiale e con animo aperto, sentite certamente premere nelle vostre menti una quantità di domande, di curiosità, di reminiscenze d'ogni genere, storiche, artistiche, religiose; e se cercate di individuare quale sia la questione più importante, che qui si ridesta, trovate che è la questione della fede. Se ascoltate la voce, che sale dalle vostre coscienze, sentite risonare la voce stessa di Gesù, quando interrogava Marta del Vangelo: «Credis hoc?»; credi tu tutto questo? (
Jn 11,26). Viene alla memoria l'episodio dell'incontro di Dante con S. Pietro, nel canto XXIV del «Paradiso», quando l'Apostolo chiede al poeta pellegrino celeste: «Di', buon cristiano, fatti manifesto: fede che è?» (vv. 52-53). La fede infatti qui subisce una specie d'interrogatorio circa la adesione a quanto qui è proclamato: ecco qui il successore di S. Pietro: lo credo io? ecco qui la voce del Signore, che è dall'Apostolo ripetuta, spiegata, applicata, difesa; ecco qui il magistero della Chiesa, che siede sulla sua cattedra più autorevole, e che esercita una delle sue supreme funzioni, quella d'insegnare, non una scienza qualunque, ma la Parola di Dio; e d'insegnarla in nome di Cristo, d'interpretarla e di custodirla nel suo genuino significato, e, se occorre, in modo infallibile, in certi casi speciali e in certe forme solenni.

CONSOLANTE FIDUCIA NELL'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA

È importante esplorare l'impressione spirituale suscitata a questo riguardo nel visitatore del Papa. L'impressione spirituale più comune - la vostra, Noi pensiamo - è quella caratteristica del fedele cattolico rispetto al magistero della Chiesa, cioè quella d'una consolante fiducia. Il fedele cattolico sa che il Signore ha dato agli Apostoli un mandato e una autorità d'insegnare ciò che Lui stesso aveva insegnato; li ha incaricati d'essere i trasmettitori della sua Parola; egli sa che questa Parola è collegata col piano della salvezza: l'accoglienza di tale Parola, cioè la fede, è condizione fondamentale per essere ammessi alle fortune del regno di Dio; egli sa ancora che questa trasmissione avviene mediante una misteriosa ed efficace assistenza dello Spirito Santo, Colui che insegna agli Apostoli e alla Chiesa «ogni verità» (Jn 16,13) relativa ai nostri rapporti soprannaturali con Dio; e sa che tale trasmissione si compie con quella fedeltà rigorosa e garante dell'univoco e stabile senso del messaggio divino, che si chiama tradizione. Sa cioé d'essere davanti ad un'istituzione misteriosa e meravigliosa della Bontà divina, che mediante questo apparato umano e gerarchico ha voluto che la Rivelazione fosse accolta, custodita, diffusa nell'umanità. Siamo sempre davanti all'idea generale del disegno di Dio, cioè quella che la sua gratuita e soprannaturale comunicazione con gli uomini deve avere gli uomini per collaboratori, per strumenti, per segni della sua carità.

ECO FEDELE E INTERPRETE SICURA DELLA PAROLA DIVINA

A coloro, che hanno sofferto vicende spirituali d'ogni genere per raggiungere la certezza obiettiva della fede, l'incontro col magistero ecclesiastico dà effettivamente un senso di riconoscenza a Dio, a Cristo, per aver affidato il suo salutare messaggio ad un organo inequivocabile e vivo, ad un servizio qualificato; cioè ad una voce autorizzata, non rivelatrice in realtà di nuove verità, non superiore alla sacra Scrittura, (sebbene essa sia sgorgata dal magistero profetico ed apostolico), ma eco subordinata e fedele e interprete sicura della Parola divina. E, con la riconoscenza, la pace, la luce, il desiderio di ben meditare e di più sapere sul fondamento d'una dottrina (altrettanto indiscutibile, quanto feconda.

Noi auguriamo che questa sia anche la vostra spirituale esperienza in questo incontro con la sede principale del magistero ecclesiastico. È così per tutti? Purtroppo no. Oggi da qualcuno dentro la Chiesa, da tanti che le sono sì e no fedeli, e da molti che le sono intorno, ma estranei, si guarda con riserva, con diffidenza al magistero ecclesiastico. Al magistero ecclesiastico si vorrebbe più che altro riconoscere oggi da alcuni l'ufficio di confermare la «credenza infallibile della comunione dei fedeli»; ed a questi si vorrebbe da altri, seguaci delle dottrine negatrici del magistero ecclesiastico, riconoscere la capacità d'interpretare liberamente, secondo il proprio intuito, che facilmente si pretende ispirato, la Sacra Scrittura. La fede così diventa apparentemente facile, perché ciascuno se la modella come meglio vuole, ma perde la sua autenticità, la sua sicurezza, la sua vera verità, e perciò la sua urgenza d'essere ad altri comunicata; diventa un'opinione personale.

UN'AUTORITÀ ESERCITATA NEL NOME DI GESÙ CRISTO

«Il soggettivismo dei moderni - scrive un teologo contemporaneo - ha obbligato a insistere sul fatto che questa obiettività del dato rivelato e tradizionale si troverebbe ridotta a niente, se fosse in potere di chi che sia di attribuirle il senso ch'egli giudica buono, e non in potere del corpo stesso (la Chiesa) al quale e per il quale la Parola divina è stata data, e specialmente, nell'interno di esso, ai membri responsabili del tutto, in virtù del loro mandato apostolico» (Bouyer).

Il Concilio ecumenico ha nuovamente proferito una autorevole parola, antica quanto la Chiesa, a questo proposito: «L'ufficio d'interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta, o trasmessa, è affidato al solo magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo».

Voi vedete, Figli carissimi, quanto sia formidabile l'ufficio affidato al magistero ecclesiastico, e quanto abbia bisogno della preghiera, della docilità, della conversazione, del consiglio anche e della fiducia dei fedeli, affinché sia rettamente e utilmente esercitato. Noi vi chiediamo perciò di pregare per il Papa, il Quale di ricambio prega per voi e vi benedice.


Mercoledì, 18 gennaio 1967

18167

Diletti Figli e Figlie!

Possiamo noi dimenticare che oggi si apre quella settimana di preghiere, che intendono disporre gli animi ed ottenere dal Signore la ricomposizione di tutti i Cristiani nell'unica Chiesa di Cristo? Possiamo noi non ricordare in questa ricorrenza che questa «ricomposizione dell'unità da promuoversi fra tutti i Cristiani è (stato) uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico vaticano secondo» (Unitatis redintegratio, 1)? E possiamo noi essere insensibili al coro di preghiere, che da tanti fervorosi figli della santa Chiesa cattolica, da tante comunità di fedeli pii e coscienti, da tante assemblee di credenti, adunati espressamente dall'invito a speciale orazione per il ristabilimento dell'unità cristiana in un'unica Chiesa, in questi giorni si leva con voci così sincere, con sentimenti così intimi e buoni, con carità così retta, così larga, in tutte le parti del mondo, da farci supporre che il soffio dello Spirito Santo la riempie? E potremmo noi non avvertire che a questo coro altri cori rispondono, di voci oranti, vogliamo credere non meno ardenti e sincere, dalle varie Chiese e comunità ecclesiali, dolorosamente da noi distinte, ma realmente con noi aderenti alla fede cristiana dell'identico battesimo, rigeneratore nel nome della santissima Trinità? Rispondono, lontane o vicine che siano, e salgono al cielo per fondersi lassù, in Cristo, in un concento unitario ed univoco,, che tuttora manca qui in terra. A noi interessa ascoltare questa pluralità di voci, che trovano in Cristo una loro armonia; e a noi, più che ad ogni altro, urge l'obbligo cordiale d'innalzare la nostra invocazione al Signore, affinché l'unità di quanti in Lui credono si celebri e si compia, secondo il suo voto supremo, anche in questa Chiesa, pellegrina nel tempo, per la sua gloria e per la pace e la salvezza dell'umanità.

IL MOVIMENTO SPIRITUALE DELL'ECUMENISMO

Perciò, Figli carissimi, ancora una volta vi esortiamo a pregare, specialmente in questi prossimi giorni, per la reintegrazione di tutti i Cristiani nell'unità della Chiesa. Fareste ottima cosa, se rileggeste, in questa occasione, il su citato decreto circa l'Ecumenismo, promulgato dal Concilio; è un testo di grande importanza, nel quale all'affermazione dei principii dottrinali, ai quali deve attenersi il rinnovato e grande sforzo per la riconciliazione di tutti i Cristiani, sono unite norme pratiche piene di sapienza e di carità. L'Ecumenismo oggi è da tutti ben visto; dobbiamo in ciò ravvisare un favore divino. «Il Signore, dice il Concilio . . . . ha incominciato in questi ultimi tempi a effondere con maggiore abbondanza nei Cristiani fra loro separati l'interiore ravvedimento e il desiderio dell'unione» (ibid. 1). E dobbiamo perciò assecondare questo movimento spirituale, quanto meglio è possibile.

Entreremo così nella migliore comprensione del mistero della Chiesa, e vedremo sorgere in noi la crescente persuasione che l'Ecumenismo suppone ed esige un'autentica adesione a Cristo. È un problema di fedeltà. Di fedeltà alla sua parola, alla sua carità, all'eredità da Lui lasciata, alla comunione da Lui iniziata e organizzata, alla sua Chiesa. Questa semplice considerazione ci fa vedere come l'Ecumenismo sia una causa di prima grandezza, ma assai complessa e delicata, non solo per le questioni storiche, ch'esso solleva e che ora preferiamo lasciare agli studiosi, ma specialmente per le questioni essenziali, che si riferiscono all'unità, che deve insieme compaginare i Cristiani (cf.
Ep 4,3-6), e che ci portano a concludere, con S. Agostino, che «la carità cristiana non si può custodire se non nell'unità della Chiesa» (Contra litt. Petiliani, 11, 77; P.L. 43, 312).

FEDELTÀ E COERENZA ALLA VOCAZIONE CRISTIANA

L'Ecumenismo non è semplicismo, non è irenismo superficiale e incurante delle intrinseche istanze della verità religiosa. «Niente è più alieno dall'Ecumenismo, dice il Concilio, quanto quel falso irenismo, dal quale viene a soffrire la purezza della dottrina cattolica, e viene oscurato il suo senso genuino e preciso» (ibid. 11). L'avvicinamento dei Fratelli disuniti, mentre deve farsi con grande rispetto e grande comprensione dei valori veramente cristiani ch'essi possiedono e col desiderio anche di apprendere da loro ciò che di vero e di buono possono darci, non deve avvenire a scapito dell'integrità della fede cattolica e della nostra disciplina ecclesiale, e non deve essere guidato dalla facile critica alle cose nostre per essere altrettanto facilmente disposto al mimetismo delle cose altrui, anche se buone e rispettabili.

E poi ricordiamo, sempre docili agli insegnamenti conciliari, che Ecumenismo vero ed efficace non v'è senza un rinnovamento spirituale e morale, interiore ed esteriore, di chi si interessa al ,movimento verso l'unità dei Cristiani. Anche sotto questo aspetto pratico l'Ecumenismo si profila come un problema di fedeltà, di coerenza alla vocazione cristiana (cf. ibid. 6). Preghiamo perciò e risvegliamo la nostra coscienza di veri figli della Chiesa santa e cattolica; e avremo bene partecipato all'Ottavario per l'unità dei cristiani e contribuito degnamente alla causa dell'Ecumenismo.

SALUTO CORDIALE A TUTTI I FRATELLI SEPARATI

E unitevi a Noi, Figli carissimi raccolti intorno alla Nostra umile persona e al Nostro altissimo ufficio, unitevi oggi a Noi mentre tutti vi benediciamo, per mandare un riverente e cordiale saluto a tutti i nostri Fratelli cristiani, tuttora divisi dalla perfetta comunione dell'unico ovile di Cristo, della quale noi pensiamo d'esser eredi, custodi, promotori. Sì, un saluto, quale il Signore Ci fa salire dal cuore, in quest'ora storica, trepida e feconda per il cristianesimo; un saluto, pieno di rispetto, di speranza, di affezione. Noi sappiamo che il Nostro apostolico ministero, posto al centro della Chiesta, è, per quasi tutti questi Fratelli, uno degli ostacoli principali alla loro ricomposizione nell'unità della Chiesa, pur così voluta da Cristo; sappiamo d'essere, al di fuori del cerchio cattolico, spesso accusati in molti modi. Oh, non tentiamo ora una Nostra giustificazione, quale crediamo poter fare, sempre nel nome di Cristo Signore; ma osiamo soltanto mandare a tutti i Fratelli separati, di buona volontà, un beneaugurante pensiero, con una semplice, umile e sincera parola: nolite timere! Non abbiate paura di Chi sa di portare con sé un'autentica rappresentanza di Cristo, di Chi vuol riconoscere e onorare i vostri valori cristiani, di Chi vi invita al dialogo e alla pace, di Chi col gesto di .Pietro vi saluta e vi benedice.

L'ASSISTENZA RELIGIOSA NEGLI OSPEDALI

Salutiamo con particolare considerazione i Religiosi Cappuccini che esercitano il loro ministero spirituale negli Ospedali Italiani. Sappiamo che sono convenuti a Roma, per una riunione nazionale, allo scopo di studiare insieme, con la partecipazione del Nostro Cardinale Vicario e sotto la guida di esperti maestri, le varie e gravi questioni riguardanti l'assistenza pastorale negli Ospedali, secondo i documenti conciliari.

Ci compiacciamo vivamente di questa provvida iniziativa, sia per l'ossequio tributato agli insegnamenti ed allo spirito del Concilio ecumenico, il quale deve fare sentire il suo benefico influsso rinnovatore in ogni settore della vita religiosa, sia per l'interesse dedicato a cotesto campo importantissimo del ministero pastorale, come quello che si rivolge ai malati, sofferenti spesso non meno nelle membra fisiche, che negli animi loro, e tanto più degni di assidue e discrete, delicate, sapienti cure spirituali quanto più desiderosi e disponibili a riguardo d'un avvicinamento di carità e di grazia.

Come è noto, l'assistenza religiosa ospedaliera è campo che va difeso con grande prudenza e grande chiarezza; tocca uno dei diritti spirituali più sacrosanti; e merita d'essere coltivato con particolare bontà e con esperta arte pastorale. È un campo assai fecondo per il sacro ministero, ma esposto a osservazioni e pericoli, che richiedono in chi vi è addetto molto tatto, molta gentilezza, molta umiltà ed insieme molta premura e affettuosa iniziativa. Esige riguardi per l'ambiente, per le Amministrazioni, per il Corpo sanitario specialmente, e poi cordiale sollecitudine per le Suore, se ancora i nostri Ospedali hanno la fortuna di averle, per tutta la schiera degli Infermieri e delle Infermiere e degli Inservienti.

Vogliamo sperare che il vostro spirito francescano faccia prodigi di zelo e di bravura in cotesto regno del dolore, della scienza e della bontà. Lo auguriamo di cuore. E mentre vi incarichiamo di portare il Nostro saluto a tutti i vostri Ospedali e a quanti accolgono ed aiutano il vostro ministero, diamo a voi ed ai vostri assistiti una particolare benedizione.




Mercoledì, 1° febbraio 1967

10267

Diletti Figli e Figlie!

Il periodo di tempo, cioè di culto e di meditazione, che la liturgia della Chiesa dedica al mistero del Natale, sta per terminare. Con la festa della Purificazione domani si chiude il ciclo natalizio; e noi, prima di passare alla considerazione di un altro tema, sostiamo ancora un momento sul pensiero, che già ha offerto a queste nostre udienze settimanali motivo di qualche semplice, ma importante considerazione: il pensiero della conoscenza, che dobbiamo avere di quel Gesù, del quale abbiamo celebrato con tanto gaudio e tanto onore la natività. Dobbiamo conoscerlo; conoscerlo meglio; non basta un ricordo convenzionale; non basta un culto nominale; dobbiamo renderci conto circa la sua vera, profonda, misteriosa Entità, circa il significato della sua apparizione nel mondo e nella storia, circa la sua missione nel quadro dell'umanità, circa il rapporto che intercede tra Lui e noi; e così via. Non avremo mai finito di sondare il mistero della sua Personalità (una Persona, quella del Verbo di Dio, vivente nelle due essenze di Gesù, la natura divina e la natura umana); non avremo mai finito di ascoltarlo, come Maestro, di imitarlo, come esempio, di amarlo, come Salvatore, eccetera; non avremo mai finito di scoprire la sua attualità, la sua importanza per tutte le vere e grandi questioni del nostro tempo; non avremo mai finito di sentir nascere in noi, con esperienza spirituale unica, il desiderio, il tormento, la speranza di poterlo alla fine vedere, incontrarci con Lui, e di capire e di gustare, fino alla suprema felicità, ch'Egli è la nostra Vita, nuova e vera, la nostra salvezza.

CRISTO MEDIATORE FRA DIO E L'UOMO

Adesso, quasi per prendere congedo da questo ordine di riflessioni, o forse meglio: per dare a queste stesse riflessioni un nuovo incremento, vi invitiamo a salutare Gesù, nostro Signore, come mediatore fra due altre conoscenze. che a Lui si collegano e che da Lui partono in due diverse direzioni. Gesù, diciamo, è mediatore fra Dio e l'uomo (1 Tim. 2, 5); Gesu è Rivelatore, aggiungiamo, di Dio e dell'uomo. Se vogliamo veramente conoscere Dio, dobbiamo rivolgerci a Gesù; se vogliamo conoscere veramente l'uomo, ancora dobbiamo chiederlo a Lui. Da Gesù parte la via che sale alla vera conoscenza del Padre celeste, e dell'intima infinita Vita di Dio, la Santissima Trinità; da Gesù parte la via che discende alla vera conoscenza dell'umanità, al mistero dell'uomo, della sua natura, del suo destino.

Noi non facciamo ora né una predica, né una lezione; solo diamo a voi questa duplice importantissima e interessantissima indicazione, affinché incontrandovi col Papa, con Colui che indegnamente e umilmente qui vi rappresenta Gesù Cristo, voli abbiate la sensazione d'essere giunti ad una specie di bivio: di qui parte la strada per la scienza e lo studio di Dio; di qui parte l'altra strada per la scienza e lo studio dell'uomo.

NELLA PATERNITÀ DIVINA IL PRINCIPIO SUPREMO DELLA FRATERNITÀ UMANA

Che Gesù non sia soltanto il Rivelatore di Se stesso (la grande capitale questione del Vangelo: «Chi è il Figlio dell'uomo?»,
Mt 16,13. «Tu, chi sei?», Jn 8,25), ma altresì il Rivelatore di Dio, si sa (cf. Mt 11,27); ma ciò che oggi interessa gli studiosi è l'osservare che Gesù rivela Dio in Gesù stesso; chi vede Lui (io dice Gesù stesso), vede il Padre (cf. Jn 14,9); Egli, due volte asserisce S. Paolo, «è l'immagine di Dio» (2Co 4,4 Col 1,15; cf. Feuillet: Le Christ Sagesse de Dieu, p. 113 ss.); forse che non dobbiamo andare oltre nella nostra ricerca di Dio, e che dobbiamo rinunciare alla pretesa di mirare alla trascendenza di Dio, con tutto ciò che di sacro, di teologico, di mistico, d'ineffabile essa porta con sé, per fermarci alla visione del volto umano del Signore e alla coscienza del nostro comune destino con Lui? Questa è una delle nuove tentazioni, che può far cadere la fede, contraddire alla Parola programmatica di Cristo (cf. Jn 1,18 Jn 16,25 etc.), soffocare il senso della verità del Dio vivente, dissacrare la Chiesa, e spegnere alla fine la vita cristiana, negare il suo segreto, la sua forza, ch'è l'incontro di Dio-Amore con l'uomo bisognoso di salvezza. Nella Paternità di Dio sta il principio supremo della fraternità umana; se, per cercare l'umanità, perdessimo la fede e la grazia della Paternità divina, perderemmo insieme la ragione prima di chiamare fratelli gli uomini. No; bisogna ricordare che Cristo è la via che ci introduce nel mondo divino, così com'è la via che si apre sugli orizzonti della vita umana; l'una e l'altra si toccano e si comunicano all'incontro, che S. Agostino ha più volte descritto nelle due famose parole: miseria e misericordia (cf. Enar. in Ps. 32; P.L. 36, 287; cf. Congar: Jésus Christ, 1).

Tutto questo ci dice quanto lo studio di Cristo ci deve interessare e appassionare; e come, avendo incontrato Cristo nella celebrazione commemorativa del suo Natale, noi non potremo più staccare da Lui gli occhi dei nostri spiriti. Così sia, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì delle Ceneri, 8 febbraio 1967 «MEMENTO, HOMO . . .»

8267

Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita cade in un giorno specialissimo, in questo «: Mercoledì delle Ceneri», con cui si apre la Quaresima, quel periodo tanto denso di vita spirituale ed ascetica che ci prepara alla celebrazione del mistero della nostra Redenzione, cioè alla Pasqua del Signore e nostra. Esiste su questo tema una immensa letteratura documentaria e commentaria, che costituisce una delle fonti più ricche e più interessanti circa la spiritualità cristiana. Questa fonte riserva tanche ai nostri giorni la sua autorevole testimonianza, registrata dal Concilio Ecumenico, il quale, in tre punti della ormai celebre Costituzione sulla Sacra Liturgia, ci parla della Quaresima; eccone uno: «Il duplice carattere della Quaresima, che, soprattutto mediante il ricordo ovvero la preparazione del Battesimo, e mediante la penitenza, dispone i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale con l'ascolto più frequente della parola di Dio e la preghiera più intensa, sia posto in maggiore evidenza tanto nella liturgia, quanto nella catechesi liturgica» (n. 109). Dunque: rivolgendo oggi il nostro pensiero non facciamo dell'erudizione archeologica, oppure una rievocazione anacronistica; facciamo una professione fedele ed autentica di vita religiosa, attuale e moderna, quale la Chiesa attende da noi tutti.

Troppo vi sarebbe da dire. Noi Ci fermiamo ora ad una considerazione introduttiva, che giudichiamo importante e applicabile non solo alla Quaresima, ma a tutto lo svolgimento del ciclo liturgico; e cioè vi invitiamo a riflettere sulla relazione che il tempo, specialmente considerato nel suo corso annuale, ha con un duplice ordine di realtà degnissime della nostra massima attenzione: il nostro personale destino e la storia della Redenzione.

SAPIENZA DELLA CHIESA PER ELEVARE LA FAMIGLIA UMANA

Che il nostro destino sia legato al passare del tempo ciascuno lo sa: il tempo misura la durata della nostra vita presente, condiziona ogni nostra azione, e con la vicenda dei suoi giorni, delle sue notti, delle sue stagioni segna il ritmo della nostra cronaca e della nostra storia, svolge la nostra esperienza e ci porta a dare alle cose un loro valore, estremamente vile, quando si pensa che il tempo tutto divora, ed estremamente prezioso, quando si pensa che nel tempo si prepara e si decide la nostra sorte nella vita futura. È questa meditazione sul tempo una delle più facili e delle più difficili; e finisce sempre per mettere un certo disagio nello spirito. Voi, Studenti, allenati agli studi scolastici, vi ricordate il respiro affannoso di quel famoso verso di Orazio: «Postume, Postume, labuntur anni»! Postumo, un amico del poeta, è da questi richiamato alla fatale realtà: «gli anni se ne vanno»! Ed è il richiamo, che oggi la Chiesa con crudo, ma positivo linguaggio, a tutti ricorda: «Memento, homo»: «ricordati, uomo, che sei polvere, e che in polvere ritornerai». Perché tanto spietato realismo? Perché tanto radicale pessimismo? Non è bella la vita? Perché metterci la disperazione nel cuore?

La Chiesa non ricorre a questo triste ammonimento per mettere la disperazione o lo spavento nel cuore dei suoi fedeli; ma per mettervi la sapienza, consapevole della nostra natura, e avvertita della necessità di ricercare se vi sia un senso della vita, che comprenda e superi la vaniti e la fatalità, che pesano sopra l'umanità; e il senso lo trova e lo insegna nella meravigliosa venuta di Dio, l'eterno, nel tempo, cioè nella storia di Cristo, Verbo di Dio fatto Uomo per la nostra salvezza: una storia ch'ella, la Chiesa, non si stancherà di ripetere e di congiungere con la nostra storia, di celebrarla cioè con quelle rievocazioni, le quali non sono soltanto commemorative, ma misteriosamente continuative, della vita di Cristo, e che si chiamano, per eccellenza; le feste liturgiche.

«ECCO ORA . . . IL GIORNO DELLA SALVEZZA»

Ecco dunque quello che volevamo ricordarvi: la Chiesta apre quest'oggi un periodo estremamente istruttivo e salutare; è questo il «tempus acceptabile» ; ascoltiamo la voce di San Paolo, che la Chiesa fa propria in questa sua primavera spirituale (perché tale è la Quaresima): «Come cooperatori (di Cristo) noi vi esortiamo . . . a che voi non riceviate invano la grazia di Dio. Poiché Egli dice: nel tempo propizio ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho recato aiuto: ecco ora il tempo favorevole, ecco il giorno della salvezza» (
2Co 6,2).

A voi, giovani, specialmente, che allietate con la vostra presenza questa cerimonia grave e profetica, con cui s'inizia il tempo quaresimale, Noi vogliamo ripetere che la vita cristiana è la verità! Voi avete partecipato al Concorso «Veritas»: Noi siamo felici di ciò, e vediamo in codesta partecipazione un segno della vostra intelligente e generosa intuizione circa la concezione religiosa e cristiana della vita; ve ne diamo sincero elogio; e vi ripetiamo: è la verità. La verità austera e grave, che non illude sulle nostre cose effimere e sull'inesorabile voracità del tempo, ma che insieme insegna e conduce dove la Verità e la Vita coincidono, a Cristo Signore; nel Nome del Quale tutti di cuore vi benediciamo.




Paolo VI Catechesi 28126