Paolo VI Catechesi 17567

Mercoledì, 17 maggio 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Consentite alla paternità del Nostro ministero di rivolgervi una domanda: come avete celebrato la festa di Pentecoste? avete cercato di meditare come l'avvenimento prodigioso, narrato negli Atti degli Apostoli (c.
Ac 2), sta all'origine della Chiesa, non solo come un fatto storico importante, ma come un principio vitale, come l'inizio della animazione soprannaturale della Chiesa, come la sorgente d'un miracolo permanente, quello dell'infusione dello Spirito Santo negli Apostoli e nei credenti in ordine alla formazione di Cristo nelle loro singole vite e nell'intera comunità, unita ma internamente differenziata e gerarchica, che si chiama la Chiesa? avete pensato che quel fatto continua, si distende nel tempo, si estende sulla terra, là dove arriva la fede e la grazia, e che interessa profondamente ciascuno di voi? avete riflettuto che la effusione dello Spirito Santo è arrivata ad ognuna delle vostre anime, è penetrata nel giro interiore della vostra psicologia e vi ha acceso la vita divina?

LA COMUNICAZIONE DELLO SPIRITO SANTO AI FEDELI

Una delle pagine più misteriose e più meravigliose del nostro catechismo è proprio quella che riguarda la comunicazione dello Spirito Santo ai fedeli, producendo in essi uno stato nuovo, lo stato di grazia con tutto il seguito delle attitudini operative, le virtù infuse, e i doni e i frutti spirituali, di cui quell'animazione divina arricchisce le anime, che hanno l'inestimabile fortuna d'essere invase dall'Amore vivificante e santificante. È pagina difficile, perché tratta di verità, che eccedono la nostra scienza umana e che ordinariamente non sono percepite dalla nostra esperienza, se non per qualche riflesso interiore, che la coscienza avverte, più o meno chiaramente, ma sempre con intimo gaudio e con caratteristico respiro di pace, la pace della coscienza cristiana. Ma è pagina che bisogna conoscere, e che il Concilio ha ripetutamente messo in evidenza. Lo Spirito Santo ha avuto nei documenti del Concilio una posizione d'onore, quella che Gli è dovuta; ci basti qui una sola citazione: «Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cf. Jn 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cf. Ep 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, è una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cf. Jn 4,14 Jn 7,38-39); per Lui il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cf. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1Co 3,16 1Co 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione filiale (cf. Ga 4,6 Rm 8,15-16 Rm 8,26). Egli guida la Chiesa per tutta intera la verità (cf. Jn 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ep 4,11-12 1Co 12,4 Ga 5,22).

COME CUSTODIRE IL «DULCIS HOSPES ANIMAE»

«Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con (Cristo) suo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù "Vieni" (cf. Ap 22,17).

«Così la Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"» (Lumen Gentium, LG 4).

Da questa stupenda sintesi dottrinale noi trarremo due semplici, ma importanti conclusioni. La prima riguarda i rapporti della nostra anima con lo Spirito Santo, il culto cioè che dobbiamo alimentare, nel segreto del cuore e nell'espressione della preghiera, con questo ineffabile «dulcis Hospes animae» , soave ospite dell'anima; un culto che comincia con il senso interiore della sacralità, che ogni cristiano, reso dal battesimo tempio dello Spirito Santo (cf. 1Co 3,16), deve avere di se stesso, con l'affinamento della coscienza, per la quale è «picciol fallo amaro morso» (Purg. 3, 9), e alla quale una cosa preme sopra tutte, l'essere in grazia di Dio, essere vigilante nell'amore e nella fedeltà al Dio presente; e un culto che arriva a riconoscere nello Spirito Santo il principio stesso della preghiera, da Lui derivando a noi la beata possibilità di proferire il nome di Gesù (1Co 12,3), e la mistica sorgente della più commossa orazione (Rm 8,26), e a Lui riconoscendo, come fosse passato sopra la sua Chiesa, il rinnovamento liturgico del tempo nostro (Sacr. Concilium, 43). Fra tutte, la prima devozione nostra dovrebbe essere allo Spirito Santo.

LE GRANDI REALTÀ DELL 'APPARTENENZA ALLA CHIESA

L'altra conclusione riguarda il nostro rapporto con la Chiesa, intesa come società visibile e gerarchica, dogmatica, sacramentale e canonica. Vi è chi è tentato di pensare questo rapporto ecclesiale esteriore come estraneo, come superfluo: come contrario e quasi abusivo, rispetto al rapporto intimo e «carismatico» dell'anima con lo Spirito Santo. Siamo cauti, Figli carissimi, verso questo problema, e vediamo di risolverlo come si deve: la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, non si distingue dalla Chiesa organizzata socialmente, che ci conferisce il nostro titolo di cattolici, che dà alle anime santificate dalla grazia la forma stessa della vita nuova cristiana, e che è lo strumento indispensabile, mediante il quale abbiamo la dottrina, abbiamo i sacramenti, abbiamo la guida che ci portano e ci conservano nella comunione con lo Spirito Santo. Apriamo, sì, la vela dell'anima al vento dello Spirito di Gesù, che soffia dove vuole (Jn 3,8) libero e misterioso; ma non abbandoniamo il timone della nostra barca, il timone del Pescatore apostolico, che ci governa a buon fine. Sia con questi semplici suggerimenti con voi la Nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 24 maggio 1967 «TU SOLO HAI PAROLE DI VITA ETERNA»

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Diletti Figli e Figlie!

Domani è il Corpus Domini, la festa cioè che la Chiesa dedica all'Eucaristia, al sacramento della presenza reale di Cristo e alla rinnovazione rappresentativa, incruenta, del suo sacrificio sulla Croce, mediante la celebrazione commemorativa della Cena del Signore, la Messa cioè, affinché i fedeli ricordino come momento di somma pienezza cristiana il mistero pasquale, e vogliano onorarlo con altissima lode e cerchino di comprenderlo quanto meglio possibile, e ancor più che comprenderlo (impossibile cosa anche per la profondità e la ricchezza delle sue verità, delle sue realtà), cerchino di far proprio l'atto più semplice e più alto, a cui esso tende, la santa comunione, la partecipazione personale alla redenzione di Cristo. È una festa complementare, che si connette al Giovedì Santo, il giorno benedetto della grande Settimana, nel quale Gesù, alla vigilia della sua passione, provvide all'istituzione della santissima Eucaristia, e a perpetuare la possibilità della sua effettiva celebrazione mediante la trasmissione di poteri sacerdotali ai suoi apostoli.

RIVIVERE IL GIOVEDÌ SANTO IN TUTTI I GIORNI DELLA VITA

Si direbbe che la Chiesa ritorna al Giovedì Santo per rendersi conto in modo nuovo e riflesso di quanto da quel giorno doloroso e fortunato le venne in perpetua e vivente eredità. Ella ancora ne vive; bisogna ripensarlo quel giorno, bisogna riviverlo, bisogna imprimere la sua memoria, la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale, perché quello, dicevamo, è un giorno di comunione con la vita immortale. Chi mangia del pane di quella mensa, chi beve di quel vino, tramutati nel Corpo e nel Sangue del vincitore della morte, vivrà in eterno.

A chi sta con la Chiesa tutto questo è ben noto. Ma avviene che nello sforzo rievocatore e celebrativo di queste verità ogni spirito attento ne avverta la singolarità, l'enormità anzi. Qualche cosa di assolutamente straordinario ci è presentato, che eccede ogni misura naturale e concettuale, alla quale siamo abituati. Come mai è possibile questo complesso di fatti, che con un termine solo chiamiamo Eucaristia, e che non sono conformi alle leggi della materia, del tempo, del potere umano, e mettono fra noi, per noi, in atto sacrificale, sotto forma di alimento, quel Gesù del Vangelo, ora in cielo nella gloria del Padre? Come è possibile? «Durus est hic sermo et quis potest eum adire?» (
Jn 6,60): questo è un parlare duro, e chi mai lo può intendere?

IL «MYSTERIUM FIDEI»

Ed ecco allora che ancora una volta, forse la volta decisiva, la fede appare nel suo carattere di condizione indispensabile per entrare nella sfera superiore di tali verità, altrimenti inaccessibili alla nostra naturale comprensione. È la fede, come sappiamo, una forma nuova di conoscenza; una conoscenza fondata non già sull'evidenza diretta, ma sulla testimonianza di chi merita d'essere creduto. E quando si tratta della fede religiosa, di cui stiamo parlando, ancor più che d'una forma nuova di conoscenza, si tratta d'una forza nuova, d'una luce intellettiva nuova, d'una capacità di credere, che solo la grazia di Dio, lo Spirito Santo, può in noi generare. Donde, una volta di più, noi vediamo quale necessità abbiamo della fede, e quale fortuna sia quella di possederla.

E vediamo quale relazione unisca la fede all'Eucaristia.

L'Eucaristia, dicevamo, tende alla comunione di ogni fedele con Cristo, a renderlo partecipe, nella pienezza meravigliosa ma tuttora incompleta, consentita alla nostra vita mortale. Ora la fede è il principio di tale comunione. Faremo cosa saggia a fidarci in tanta sublimità di dottrina di maestro Tommaso, superlativo anche in questo campo della teologia e della pietà; egli scrive che l'efficacia della redenzione (virtus passionis Christi) si comunica a noi mediante due vie: la fede e i sacramenti; ed in modo differente: se mediante la fede, la partecipazione avviene con un atto dell'anima, un atto nostro, personale, interiore; se invece mediante i sacramenti, avviene con l'uso di cose esteriori (cf. III 62,6). E questo indica che la fede «ci rende capaci di ricevere l'azione di Cristo» (Vonier, La chiave della dottrina eucaristica, 16), e che una, nostra intima disposizione è richiesta affinché tale azione sia efficace.

Non indarno l'Eucaristia è detta «Mystesium fidei», mistero di fede; non indarno questa esclamazione si è introdotta nella formola della consacrazione del calice; e sebbene vi siano eruditi che a tale parola ora danno un senso diverso (cf. Botte, Lucchesi), tuttavia oggi nella estimazione comune (cf. De la Taille) essa dice come la fede sia necessaria e sufficiente (sola fides sufficit . . .) alla contemplazione del mistero eucaristico, di cui, come riafferma il Concilio, «la Chiesa continuamente vive e cresce» (Lumen Gentium, LG 26).

«ADORATE AMATE GODETE L'EUCARISTIA»

Figli carissimi, pensate, ripensate, meditate queste sante cose! Adorate, amate, godete l'Eucaristia! Tante voci nuove si sono udite in questi ultimi anni su questo santissimo mistero, e pur troppo non tutte buone, non tutte conformi al pensiero autentico della Chiesa. Noi stessi abbiamo scritto un'Enciclica, intitolata appunto «Mysterium fidei», per avvalorare il vero senso cattolico circa questo sacramento centrale della vita della Chiesa. Tra poco sarà pubblicata un'ampia istruzione, redatta dalla Sacra Congregazione dei Riti e dal Consiglio per l'esecuzione della Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia, circa il retto culto eucaristico. Vedete quanto a Noi preme questa espressione fondamentale della nostra fede cattolica! Siate forti e fedeli nell'aderire, come Pietro, come tutta la Chiesa, a Colui che ci lasciò Se stesso nel mistero eucaristico, e che solo ha parole di vita eterna (Jn 6,68)! A tanto vi conforti la Nostra Benedizione Apostolica.

L'assistenza alle famiglie degli emigranti

Il nostro particolare saluto è dovuto, oggi, ai numerosi partecipanti al quarto Congresso Nazionale dell'Associazione Nazionale Famiglie degli Emigranti, che compie il suo ventesimo anno di vita.

Vorremmo avere maggior tempo a Nostra disposizione, più che non consenta l'odierno incontro, per dirvi la Nostra gratitudine, il Nostro elogio, il Nostro incoraggiamento per quanto avete finora compiuto, e state compiendo a beneficio degli emigranti e delle loro famiglie. Ma siamo lieti di ricevervi nella cornice cosmopolitica di questa Udienza generale: diletti figli e figlie, sono vent'anni che codesta Associazione si prodiga per aiutare i lavoratori, che migrano fuori d'Italia in cerca di una occupazione, non soltanto nei loro problemi personali e di lavoro, preparandoli a inserirsi fruttuosamente nelle varie nazioni ospiti e agevolandoli in ogni modo; ma soprattutto per quanto riguarda i loro nuclei familiari, largheggiando di aiuti, di consigli, di assistenza concreta in caso di necessità gravi e nel disbrigo di pratiche talora lunghe e difficili, sistemando i figli o addestrandoli in vista del congiungimento all'estero del capo-famiglia, preparando l'espatrio dell'intera famiglia, e facendo opera preziosa presso le Autorità nazionali e internazionali perché gli emigranti e i loro, familiari siano trattati umanamente, senza differenze o discriminazioni con gli altri lavoratori del luogo.

E questo è quanto conferisce la sua fisionomia alla vostra Associazione e le dà un valore tutto speciale e meritorio davanti a Dio e davanti alla società: cioè la cura preminente data alla famiglia, per mantenere i collegamenti necessari, favorirne la riunione, e assisterne i membri in condizioni particolarmente delicate, in momenti cruciali, quando è più necessaria una parola di cristiana speranza e un'azione immediata per risolvere situazioni dolorose.

Come dirvi tutta la lode che meritate? Voi avete interpretato una delle sollecitudini più materne e urgenti della Santa Chiesa, e l'avete fatta vostra: già il Nostro Predecessore Pio XII ve ne aveva tributato la sua approvazione, tracciandovi un piano di azione a cui ispirare le vostre iniziative; e quale incoraggiamento, quale onore per voi, sono state le parole, piene di gravi moniti, che il Concilio Ecumenico ha dedicato proprio a questo problema! Ecco quanto è stato detto nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: «Per quanto riguarda i lavoratori che, provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo sviluppo economico . . . . è da eliminare accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti, ed in primo luogo i poteri pubblici, devono accoglierli come persone, e non semplicemente come puri strumenti di produzione, e devono aiutarli perché possano accogliere presso di sé le loro famiglie e procurarsi un alloggio decoroso, nonché favorire la loro integrazione nella vita sociale del popolo o della regione che li accoglie» (n. 66). E nel Decreto sull'Apostolato dei laici è stato anche riaffermato il dovere di mettere «assolutamente al sicuro la convivenza domestica nell'a regolazione dell'emigrazione» (cf. n. 11).

Quale gioia per voi, e quale impulso a rinnovato impegno è stato il trovare consacrati dall'autorità stessa della Chiesa, riunita a Concilio, quei principi, quei programmi, quelle premure, che da vent'anni sono alla base della vostra azione! Da parte Nostra, Noi vi incoraggiamo a perseguire la vostra opera, tanto provvida e benemerita e necessaria e urgente, nella quale batte il cuore stesso della Chiesa. A tanto vi incoraggia la Nostra Apostolica Benedizione, che vi invoca i desiderati aiuti celesti per il costante incremento della diletta Associazione.



Mercoledì, 31 maggio 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Per visitarci voi venite a questa Udienza, per vederci, per sapervi da Noi accolti e benedetti; ma anche, Noi pensiamo, per ascoltare qualche Nostra parola; e codesto desiderio rende per Noi preziosa la vostra visita, anche se non è per Noi lieve difficoltà il soddisfarlo come si deve.

IL SACRO DOVERE DI TRASMETTERE LA DOTTRINA CHE SALVA

Voi venite per ascoltarci: che cosa vi può essere da parte vostra di più gentile, di più filiale; e che cosa vi può essere da parte Nostra di più ambìto, di più fortunato? Perché la Nostra missione, la prima: è quella di parlare, di annunciare quel messaggio di Cristo, del quale siamo depositari e del cui insegnamento siamo maestri responsabili. Che cosa può far maggior piacere ad un maestro, che il vedersi circondato da discepoli avidi di udire la sua voce e d'imparare la sua lezione? Noi qui, carissimi Figli, vi consideriamo, per un momento almeno, tutti Nostri discepoli, e vi ringraziamo del piacere che questo Ci reca.

Perché dovete sapere che Noi, come quanti con Noi, Vescovi, Sacerdoti, Insegnanti, Genitori, hanno il dovere di trasmettere agli altri la dottrina della fede, la dottrina che salva, proviamo grande pena nel vedere come la gente del nostro tempo ben poco si cura di ascoltare la Nostra voce, ben poco le importa dell'istruzione religiosa, tanto che alle volte pare a Noi di parlare al vento. Il turbine della vita moderna tanto attrae e travolge gli uomini d'oggi, tanto li impressiona, li riempie d'immagini, di pensieri, di passioni, di desideri, di godimenti, di movimenti, che essi non hanno tempo né modo, pare, di ascoltare l'annuncio di Cristo; e se qualche cosa di esso hanno ascoltato, a scuola o in chiesa, si tratta per loro di un tema così difficile, così sconnesso, e apparentemente così inutile, che spesso più ne riportano noia, che gioia, più idee strane, che luce di guida per l'anima e per la vita.


LA GRAZIA DELLO SPIRITO SANTO E IL MAGISTERO DELLA CHIESA

E questo, carissimi Figli, costituisce il primo ostacolo a quella fede cristiana, che a Noi preme soprattutto insegnare e diffondere. Ecco pertanto ciò che in questo breve incontro vi diremo per vostro ricordo e per vostro, ammonimento: la fede ha bisogno del maestro. Cioè d'un insegnamento e di uno studio. Se non si riesce a stabilire un rapporto normale e sufficiente tra il maestro della fede e il discepolo, la fede o non nasce o non resiste nel cuore e nella vita del discepolo. Fides ex auditu, la fede deriva dalla ascoltazione, dice l'Apostolo (
Rm 10,17). L'insegnamento religioso è indispensabile; tante volte si ripete questo principio; bisogna prenderlo sul serio.

E qui è bene ricordare il duplice significato della parola «fede»: essa può indicare il sentimento religioso, soggettivo, interiore, l'attitudine cioè dello spirito ad accogliere pensieri, principi, verità religiose; e per noi tale è la virtù della fede, che inizialmente riceviamo col battesimo; e in secondo luogo, essa, la fede, può indicare le dottrine religiose, le cose a cui si presta fede, gli articoli del «Credo», ad esempio. Vi è infatti una fede personale, «credente», e vi è una fede oggettiva, «creduta». Dice bene, con la consueta incisiva chiarezza, San Tommaso: «La fede nasce principalmente per via di infusione; e ciò avviene mediante il battesimo; ma per quanto riguarda la sua determinazione, essa viene mediante l'ascoltazione; e così l'uomo è istruito nella fede dal catechismo» (in 4 Sent. 4, 2, sol. 3, ad 1; cf. ROUSSELOT, Les yeux de la foi, Recherches de Sc. Rel., 1910). Alla fede concorrono due fattori, ben diversi, e diversamente operanti, ma entrambi necessari: lo Spirito Santo, cioè l'azione dello Spirito Santo nell'anima, la grazia con le virtù infuse, tra cui la fede; e il magistero autorizzato da Cristo, e commesso agli Apostoli, ai maestri della fede, al Papa ed ai Vescovi, come riafferma il Concilio, e, come si diceva, alla Chiesa docente, a cui fa eco, come testimonio ispirato, tutto il Popolo di Dio (cf. Lumen Gentium, LG 12 LG 25).

È facile incontrare persone, che dicono d'avere la fede, perché hanno qualche buon sentimento spirituale, o perché da sé (come tanti Fratelli cristiani da noi divisi) cercano nella Sacra Scrittura la Parola di Dio, ma con interpretazione personale, sovente libera e arbitraria, e alla fine con significati diversi e contrastanti; non è più la «una fides» (Ep 4,5), l'unica fede voluta da Cristo e predicata dagli Apostoli. Ed è purtroppo facile incontrare persone dotte e sempre gelose di professarsi cattoliche, che facendo minor conto dell'indispensabile funzione magisteriale della Chiesa, cercano incautamente di adattare le dottrine della fede alla mentalità del mondo moderno, non solo con lo sforzo lodevole di far accogliere e in qualche modo capire tali dottrine, ma con la reticenza, l'alterazione, la negazione altresì di quelle medesime dottrine, secondo le teorie o i gusti delle opinioni oggi correnti. La fede è libera nell'atto che la esprime; non è libera nella formulazione della dottrina che esprime, quando questa è stata autorevolmente definita. Ecco perché Noi profittiamo di questo incontro per ripetere a voi la raccomandazione, che avrete tante volte da altri ascoltata: amate l'istruzione religiosa della Chiesa cattolica, nei suoi dogmi, nelle sue espressioni liturgiche, nei suoi libri d'autorevole insegnamento. Non pensate di avere la fede senza aderire al contenuto della fede, al «Credo», al simbolo della fede (cioè alla sintesi schematica delle verità di fede). Non pensate di ravvivare la vita religiosa, o di avvicinare i lontani, minimizzando o deformando l'insegnamento preciso della Chiesa. Non crediate che la docile adesione a tale insegnamento mortifichi il pensiero, paralizzi la ricerca, chiuda le vie del sapere e del progresso cristiano!

NESSO INSCINDIBILE TRA L'ANNUNCIO DELLE VERITÀ E IL CATECHISMO

Si parla tanto oggi del «Kérygma», cioè l'annuncio delle verità evangeliche portatrici della salvezza cristiana. Sappiate vedere la parentela fra questo annuncio e il catechismo del vostro Parroco, fra la rivelazione divina ed il simbolo della fede; e siate a questa formulazione didattica e liturgica della dottrina della Chiesa gelosamente e gioiosamente attaccati (cf. JUNGMANN, Catechetica, pp. 336-337; ed. Paoline). Ve lo diremo con la parola d'un Santo, incomparabile figura di Vescovo, di Dottore e di Pastore, S. Ambrogio, pronunciata quando egli spiegava, come un buon catechista qualsiasi, il «Credo» ai suoi neofiti: «Nulla dobbiamo togliere, nulla aggiungere. Questo infatti è il simbolo che la Chiesa Romana tiene, dove sedette il primo degli Apostoli e dove trasmise il comune pensiero» (CSEL, 73, Explanatio Symboli, p. 10).

Fecondi in voi, Figli carissimi, queste riflessioni la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 7 giugno 1967

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Diletti Figli e Figlie!

Questo nostro familiare discorso settimanale sulle cose del regno di Dio è oggi interrotto dall'improvviso e sinistro fragore d'una nuova guerra, che ha per teatro il Paese, per noi sacro e diletto, dove Gesù, il nostro Maestro, il Redentore del mondo, nacque, visse, predicò il Vangelo, fondò la sua Chiesa, fu crocifisso e morì vittima per la salvezza dell'umanità; e dove Egli risuscitò, inaugurando la nuova vita, che deve rigenerare gli uomini nel tempo, facendoli buoni e fratelli, e dispiegarsi in pienezza beata nell'eternità.

L'ASSURDA E TREMENDA REALTÀ DELLA GUERRA

Una nuova guerra! Avremmo creduto di non mai più vedere una simile tragedia nella storia presente e futura dei Popoli, dopo le terrificanti (e, a giudizio dei saggi, inutili e assurde) esperienze, che, sempre più gravemente, già ben due volte in questo secolo gli uomini hanno inflitte a se stessi! Non sapevamo che cosa è la guerra? Ci vengono alla memoria le parole di Erasmo, il grande umanista del Cinquecento, incise sulla stele a lui dedicata in un parco dell'Aja: la guerra, amata solo da chi non la conosce. La nostra generazione doveva ben sapere che cosa è la guerra, e che cosa può essere la guerra moderna; ed ecco che pare dimenticata la sua terribile realtà, se ancora si mette fiducia nella sua cieca e micidiale violenza presumendo con essa di mettere ordine e giustizia fra gli uomini.

E da oltre un ventennio si va predicando pace e pace; e questo è il risultato? Oltre il dolore amarissimo di assistere ad un nuovo conflitto, pesa sull'animo la delusione per l'insincerità, o per l'inanità dello sforzo umano verso l'instaurazione della pace nel mondo: parole, propagande, speranze, istituzioni, promesse, statuti, previsioni, nulla vale dunque a distogliere dal cuore degli uomini, e dalla loro politica, il dèmone dell'odio, della violenza, della vendetta, della crudeltà? La cinica definizione antica dell'uomo feroce: «homo homini lupus» resta ancora valida dopo secoli di civiltà e dopo la luminosa aurora dei tempi nuovi?

SALVARE LE VITE UMANE E RIPRENDERE IL DIBATTITO RAGIONEVOLE

Ecco, Figli carissimi: Noi invece non dispereremo mai della pace, perché non vogliamo disperare degli uomini, e perché sempre vogliamo sperare nella ineluttabile, se pur lenta e contrastata, forza del Vangelo, e nell'aiuto misericordioso di Dio.

Non vi attendete che Noi, in questo momento e in questa sede, pronunciamo un qualsiasi giudizio di merito sul conflitto in corso. Una sola parola faremo Nostra fra le più sagge e le più autorevoli, che abbiamo udito in questo frangente sovrastare sopra il dramma ormai scatenato: si sospendano i combattimenti; alla salvaguardia delle vite umane il Nostro pensiero; e poi si riprenda il dibattito delle parole eque e ragionevoli; si dia fiducia agli Istituti promotori dei pacifici rapporti fra le Nazioni; e Dio voglia che Uomini responsabili di grande spirito sappiano vigorosamente orientare gli animi di tutti verso soluzioni equilibrate, nella giustizia e nella concordia, risparmiando all'umanità lo strazio di tante vittime e di tante rovine, non che il disonore d'un nuovo generale conflitto.

Ed un'altra parola aggiungeremo, ripetendo il Nostro vivissimo voto per l'incolumità dei Luoghi Santi; è infatti di sommo interesse per tutti i discendenti della stirpe spirituale di Abramo, ebrei, musulmani. cristiani, che Gerusalemme sia dichiarata città aperta, e, sgombra di ogni operazione militare, rimanga immune dalle causalità belliche, che già la colpiscono e ancor più tanto facilmente la minacciano. Noi ne facciamo implorante appello in nome di tutta la cristianità per ciò trepidante, anzi Ci facciamo a tal fine interpreti di tutta l'umanità civile presso i Governanti delle Nazioni in conflitto e presso i Capi militari degli eserciti combattenti: sia risparmiato a Gerusalemme il regime di guerra, e resti la santa città rifugio agli inermi ed ai feriti, simbolo per tutti di speranza e di pace.

Ma parlando a voi, in questa aula di fraternità cattolica e di cristiana preghiera, più che alle turbate condizioni del mondo esterno, al mondo interno dei vostri spiriti e di quelli, a cui giunge l'eco di questa Nostra religiosa esortazione, rivolgiamo l'attenzione per raccomandare alla vostra carità e alla vostra pietà i due doveri, che crediamo principali in quest'ora angosciosa. Il primo è appunto quello della carità; della carità nel profondo dei cuori, nei sentimenti, nei giudizi, nelle speranze, sembrassero pur queste ingenue e utopistiche.

I DOVERI DELLA CARITÀ E DELLA PREGHIERA

Dobbiamo amare gli uomini, tutti gli uomini quali sono, anche in questa agitata contingenza, ed anche quando il giudizio su di loro fosse di biasimo e di condanna. Non ceda il nostro proposito di ecumenica carità alle facili emozioni delle passioni della pubblica opinione; rimanga in noi, come un sogno profetico, la visione d'una umanità composta in un ordine via via più giusto e più umano; e non lasciamo che il tossico dell'antipatia e dell'odio paralizzi i cuori cristiani, che il recente Concilio ha così fortemente iniziati all'universalità dell'amore. Se lo stato di guerra produce tanto male, fisico e morale, nel mondo, produca per noi tanto più forte proposito di bene e tanto maggiore capacità di desiderarlo e di operarlo.

Ed il secondo dovere, voi lo indovinate, è la preghiera, una preghiera profonda e soave per la riconciliazione degli uomini fra loro; una preghiera forte, pér ottenere il sopravvento del senso della giustizia; una preghiera umile, per meritare la virtù del perdono e della ripresa dei buoni desideri; una preghiera ardente di fede, che meriti il soccorso dell'onnipotenza misericordiosa del Padre celeste. Sarà questo il modo con cui noi tutti possiamo concorrere al ritorno della pace e al progresso verace dell'umanità. Così amate e così pregate, Figli carissimi, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 14 giugno 1967 LA VIA SICURA PER UN'ECCELSA MÈTA

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Diletti Figli e Figlie!

Quale dev'essere in questo periodo successivo al Concilio il pensiero dominante per quanti, Pastori e Fedeli, hanno a cuore la reviviscenza autentica ed operante del messaggio di salvezza, portato nel mondo da Cristo, per la rinnovazione spirituale della sua Chiesa, per la ricomposizione di tutti i Cristiani nella sua effettiva unità e per l'efficacia risanatrice e ispiratrice nel mondo? Alcuni parlano di un adattamento dottrinale dell'insegnamento cattolico secondo certe pretese della mentalità moderna, in modo analogo a quanto ha operato a suo tempo la riforma del secolo XVI; altri parlano invece di cambiamenti delle strutture ecclesiastiche; gli uni e gli altri mettono nelle mutazioni della dottrina, o della costituzione della Chiesa la loro fiducia, non riflettendo forse se questi cambiamenti siano legittimi in una religione, come la nostra, essenzialmente obbligata alla fedeltà, né abbastanza pensano se simili innovazioni non si risolvano in stati di dubbio, di arbitrio, di particolarismo, di debolezza nella Chiesa di Dio, e non di vitalità e di rinnovamento. Per questo Noi crediamo che il dovere dell'ora sia piuttosto quello di scendere alla radice della nostra vita religiosa, al suo principio interiore e originario, alla fede cioè, per cercare di rinvigorirla nella conoscenza dei suoi elementi costitutivi, nella valutazione della sua origine divina, nella coscienza delle sue operazioni interiori, nella coerenza della sua professione esteriore, nel gaudio del suo possesso personale e della sua testimonianza sociale.

COME ACCOGLIERE E ATTUARE L'«ANNO DELLA FEDE»

Per questo, ricorrendo il decimonono centenario del martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, che consideriamo le più forti e più celebri colonne del cristianesimo primitivo, abbiamo proposto alla Chiesa un «Anno della Fede», quasi conseguenza ed esigenza postconciliare.

Dobbiamo confessare che tale Nostra proposta non ignora le grandi difficoltà che l'uomo di oggi incontra circa una sincera e piena adesione alla fede; anzi proprio anche affinché tali difficoltà siano meglio studiate, conosciute, risolte e superate il Nostro invito all'«Anno della Fede» è stato concepito.

È bene rendersi conto, Figli carissimi, che oggi la virtù della fede non è di facile esercizio. Loderemo, proteggeremo quei Nostri Fedeli, dall'animo sereno e semplice, che per una grazia preziosa e speciale, ovvero per certe favorevoli condizioni di età, di educazione, o di ambiente, sono quasi immunizzati dagli ostacoli, che oggi la vita moderna oppone alla fede. Che il Signore protegga e moltiplichi le schiere dei credenti, forti e tranquilli nel possesso della loro fede!

IL VIGORE D'UNA NUOVA PASTORALE

Ma bisogna andare in aiuto di quanti di fronte alla fede si sentono indifferenti, o impediti, o addirittura contrari. Quanti libri sono stati scritti a questo scopo! Ma chi non sa che buona parte della letteratura apologetica di ieri oggi ha diminuito, e fors'anche perduto la sua efficacia? Noi vediamo ora con soddisfazione che una nuova difesa della fede è in via di affermarsi con nuovi studi, nuovi libri, nuovi metodi; e incoraggiamo e benediciamo quanti offrono a questa nuova pastorale della fede il contributo del loro pensiero e della loro opera. Auguriamo anzi che molti pensatori, oratori, maestri, teologi, scrittori e pastori, illuminati dallo Spirito Santo ed aderenti alla buona dottrina, sappiano confortare nella fede il Popolo di Dio.

Sarebbe interessante fare la sintesi delle obiezioni caratteristiche alla fede nel tempo nostro (cf. Daniélou, Foi et ment. contemp., Etudes, 1934, 289-301); ed osservare come molte provengano dalla forma mentis, cioè dalla maniera di usare delle nostre facoltà conoscitive, alla quale la scuola, la scienza, la mentalità moderna, quasi a nostra insaputa, educano i nostri spiriti; e come sempre nuove difficoltà, oggi paurosamente radicali, che tutto mettono in questione, si aggiungono a quelle di ieri. Di tutto oggi si dubita nel mondo del pensiero, e perciò anche della religione; e pare che la mente dell'uomo moderno non trovi riposo se non nella negazione totale, nell'abbandono di qualsiasi certezza, di qualsiasi fede, come colui che avendo gli occhi ammalati non ha riposo che all'oscuro, nel buio. Le tenebre sarebbero finalmente la meta del pensiero umano e della sua inestinguibile sete di verità e dell'incontro col Dio vivo e vero?

IL MONITO DELL'APOSTOLO

La vita religiosa può essere esposta a tremende prove nella prossima generazione, se una fede genuina e forte non la sostiene. Per questo esortiamo tutti a fortificarla e a viverla. Si ricordi San Paolo: dobbiamo fare della nostra fede una corazza: «lorica fidei» . . . «voi, fratelli, egli dice, non siete nelle tenebre,... voi siete figli della luce!» (1 Thess. 5, 4-8).

E quanto a Noi ravviseremo ancora fra le cause generali e precipue di queste presenti difficoltà e possibili crisi di fede il distacco del pensiero moderno, anche in alcune zone della scuola cattolica, dalla cosiddetta «filosofia perenne», dalla norma cioè naturale della razionalità umana, e la diffidenza piuttosto verso il magistero della Chiesa. Anche qui l'Apostolo sembra suggerire le parole giuste, quando scrive a Timoteo: «Vi sarà un tempo in cui (gli uomini) non sopporteranno la sana dottrina . . . Tu sii vigile in ogni cosa» (
2Tm 4,3-5).

Ed è questa vigilanza, per l'integrità, per la vitalità della vostra fede, che oggi Noi a voi tutti raccomandiamo, con la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 21 giugno 1967


Paolo VI Catechesi 17567