Paolo VI Catechesi 14868

Mercoledì, 14 agosto 1968 LA PERSONALITÀ DEL SEGUACE DI CRISTO

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Diletti Figli e Figlie!

In queste conversazioni Noi andiamo cercando qualche nota caratteristica del cristiano; Noi vogliamo individuare qualche elemento che qualifica il seguace di Cristo in quanto tale, e che definisce intimamente la sua nuova personalità. Vi è una differenza esistenziale fra il cristiano ed uno che non lo è? Certamente. Vi è una differenza che lo caratterizza profondamente; ed è appunto il «carattere» cristiano, quell’impronta spirituale, che, in vario grado, tre sacramenti stampano indelebilmente nell’anima di chi li riceve, come ognuno sa: il battesimo, che consacra il fedele con un certo potere sacerdotale al culto di Dio e lo fa membro del Corpo mistico di Cristo (cfr.
1P 2,5); la cresima, che lo abilita alla professione e alla milizia cristiana (cfr. Ac 8,17; S. Th. III 72,5); e l’ordine sacro, che lo assimila al sacerdozio potestativo di Cristo e lo fa suo qualificato ministro (cfr. Presb. Ord., PO 2). Il carattere comporta una prerogativa originale, propria del cristiano, che così segnato acquista una data qualificazione incancellabile, con un certo potere spirituale di compiere date azioni in ordine ai rapporti con Dio e conseguentemente nella comunità ecclesiale (cfr. S. Th. III 63,2). S. Agostino ne parlò più volte, polemizzando con i Donatisti (cfr. Contra Epist. Parmeniani, II, 28); il Concilio di Firenze dapprima (cfr. Denz. Sch. DS 1310 DS 695), poi il Concilio di Trento tradussero in termini dogmatici l’insegnamento tradizionale della Chiesa al riguardo (cfr. Denz.-Sch. DS 1609-1797; 852-960). DS 880


IMPEGNO ALLA FEDELTÀ AL RISCHIO ALLA TESTIMONIANZA

Una meditazione sarebbe da farsi su questo «segno distintivo», impresso nel cristiano, il quale sigillo si sovrappone all’immagine divina, già delineata, per via di natura, nell’anima razionale dell’uomo, e vi configura, sempre più marcato, il volto di Cristo, che diventa il volto del cristiano insignito da tale mistica impressione. È questa una stupenda antropologia, della quale spesso non si fa abbastanza caso nella concezione dell’uomo diventato cristiano. Anzi oggi la tendenza alla secolarizzazione, o alla trascuranza dei valori e dei doveri religiosi, porta a negligere la fisionomia cristiana modellata dal carattere sacramentale, così che sovente essa viene mascherata (perché cassare non si può) da sembianze profane, quasi per farle riprendere un profilo puramente naturale o anche pagano, dimenticando che la qualifica cristiana non è semplicemente nominale, ma reale, e comporta un?inserzione in Cristo, decisiva per il destino di chi gli è seguace, impegnandolo a fondo, se non vuol tradire l’onore del suo titolo, alla fedeltà, al rischio, alla testimonianza (cfr. Ac 11,26 1P 4,16).


SUBLIMITÀ DELLO STATO DI GRAZIA

Ma vi è di più. Vi è la grazia, lo stato di grazia, cioè quella luce, quella qualità di cui l’anima è rivestita, anzi profondamente investita e imbevuta, quando il nuovo, soprannaturale rapporto, al quale Dio ha voluto elevare l’uomo che a Lui si abbandona, si stabilisce nello sforzo da parte dell’uomo della conversione, della disponibilità fiduciosa, e nell’accettazione della sua Parola, mediante la fede, in umile implorante amore, al quale subito l’Amore infinito, ch’è Dio stesso, risponde col fuoco dello Spirito Santo, vivificante nell’uomo la forma di Cristo. È la grazia una Presenza divina, che piove nell’anima, fatta tempio dello Spirito; è una straordinaria permanenza del Dio vivente nella minima nostra vita, folgorata da un’ineffabile illuminazione divina. Lo stato di grazia non ha termini sufficienti per essere definito: è un dono, è una ricchezza, è una bellezza, è una meravigliosa trasfigurazione dell’anima associata alla vita stessa di Dio, per cui noi diventiamo in certa misura partecipi della sua trascendente natura, è una elevazione all’adozione di figli del Padre celeste, di fratelli di Cristo, di membra vive del Corpo mistico mediante l’animazione dello Spirito Santo. È un rapporto personale: ma pensate: fra il Dio vivente, misterioso e inaccessibile per la sua infinita pienezza, e la nostra infima persona. È un rapporto che dovrebbe diventare cosciente; ma solo i puri di cuore, i contemplativi, quelli che vivono nella cella interiore del loro spirito, i santi ce ne sanno dire qualche cosa. Anche i teologi ci possono bene istruire. Perché è un rapporto ancora segreto; non è evidente, non cade nell’ambito dell’esperienza sensibile, sebbene la coscienza educata acquista una certa sensibilità spirituale; avverte in sé i «frutti dello spirito», di cui San Paolo fa un lungo elenco: «la carità, il gaudio, la pace» (questi specialmente: una gioia interiore, e poi la pace, la tranquillità della coscienza), e poi: la pazienza, la bontà, la longanimità, la mansuetudine, la fedeltà, la modestia, la padronanza di sé, la castità (Ga 5,22): pare d’intravedere il profilo d’un santo. Questa è la grazia; questa è la trasfigurazione dell’uomo che vive in Cristo.

Nessuna meraviglia se tale condizione, di per sé forte e permanente («nulla ci potrà separare dalla carità di Dio», dice ancora San Paolo [Rm 8,39), è tuttavia delicata ed esigente; essa proietta sulla vita morale dell’uomo doveri particolari, sensibilità finissime; e fortunatamente infonde anche energie nuove e proporzionate, affinché l’equilibrio di questa soprannaturale posizione sia fermo e gioioso. Ma resta il fatto ch’esso può essere turbato e rovesciato, quando noi disgraziatamente lo disprezziamo e preferiamo scendere al livello della nostra natura animale e corrotta; quando commettiamo un volontario distacco dall’ordine a cui Dio ci ha associato, dalla sua vita fluente nella circolazione della nostra, cioè un peccato vero e volontario, che perciò, quando è grave, chiamiamo mortale. 882


LA TRISTE DEVIAZIONE DEL PECCATO

È strano vedere come molti cristiani oggi hanno un comportamento molto discutibile rispetto a tale condizione soprannaturale della nostra vita: da un lato cercano di minimizzare il concetto di peccato, coonestando anche gravi infrazioni della norma morale e quindi della condizione indispensabile della nostra relazione con Dio, come fosse senza importanza, e come fosse necessario, per francare la coscienza da possibili eccessivi timori, da scrupoli imbarazzanti e fantastici, non dare sufficiente peso alla rovina che il peccato produce; dall’altro, attribuiscono a sé la guida dello Spirito Santo, conferendo ai propri pensieri e alla propria condotta un gratuito e spesso fallace carisma di sicurezza e d’infallibilità. È una tendenza di moda, questa; e spesso in tacita polemica con l’economia propria della grazia, che esige ordinariamente l’intervento sacramentale per essere stabilita, conservata e alimentata e, se occorre, ristabilita.


I SUPREMI FULGORI: LA PAROLA DI DIO, L’AZIONE SACRAMENTALE, LA CHIESA

Ricordiamo, Figli carissimi, che durante la nostra vita temporale a noi non è dato «vedere» le realtà divine (cfr. Jn 20,29); è dato «sapere»; ed anche questo sapere deriva non da una conoscenza naturale e normale, ma dalla fede; l’uomo credente procede «come se vedesse l’invisibile» (He 11,27; cfr. Loew, Comme s’il voyait l’invisible, riferito all’apostolato); e la sicurezza., in via ordinaria, gli è data da segni, da certi segni sacri, simbolo e causa strumentale di ciò che rappresentano, i sacramenti. Il mistero della salvezza a noi è comunicato mediante due vie: quella obiettiva della Parola di Dio, cioè soggettivamente della fede; e quella dell’azione sacramentale. Alle quali vie una terza possiamo aggiungere, quella della Chiesa, quel grande sacramento che tutti gli altri contiene e dispensa, e che stilizza cristianamene la nostra vita e ci offre l’atmosfera dello Spirito, di cui essa è anima e che a noi, se fedeli, fa respirare.

Sì, è questa scienza soprannaturale dell’uomo un mondo difficile, un regno insolito ed arduo; ma è il vero mondo della nostra vocazione umana e cristiana; un regno che i violenti, cioè i violenti, forti e risoluti, conquistano e rapiscono (Mt 11,12); ma un regno vicino (Lc 9,10), un regno che già ci circonda, fino ad essere già fra noi, dentro di noi (Lc 17,21); un regno che i poveri, gli umili, i semplici, i fanciulli, i puri di cuore possono facilmente possedere. A tanto Cristo vi invita, e a ciò vi conduca anche la Nostra Benedizione Apostolica.

* * *

Nous sommes particulièrement heureux de saluer la «délégation des étudiants catholiques du Liban», qui vient de participer aux jeux internationaux de Lisbonne. Nous les félicitons de leur désir de resserrer ainsi les liens qui les unissent à la grande famille catholique.

De tout coeur, Nous vous bénissons.

Tra i gruppi di questa Udienza non possiamo non rivolgere la Nostra particolare attenzione ai pellegrini Cecoslovacchi, in massima parte studenti e studentesse provenienti dalla Boemia e Moravia.

Il Nostro saluto a voi, carissimi Figli e Figlie, vuol attestare il compiacimento con cui vi accogliamo; vuol dirvi la soddisfazione che la vostra visita suscita nel Nostro animo, per la prova che essa offre del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo Signore e alla Chiesa; vuol esprimere l’assicurazione delle Nostre preghiere per ciascuno di voi, per le vostre famiglie e per l’intero vostro Paese, che Noi amiamo e apprezziamo; vuole essere, infine, un augurio e una esortazione affinché, come l’odierno incontro con l’umile Successore di Pietro vi fa gustare la gioia di appartenere all’universale famiglia della Chiesa cattolica, così il ricordo, che ne serberete nei vostri cuori, vi aiuti a mantenervi saldi nella fede e perseveranti nei propositi di fervente vita cristiana.

Il gaudio, la pace e la grazia del Signore siano sempre in voi, con la Nostra Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 21 agosto 1968 IL DUPLICE SCOPO DELLA VISITA ALLA CAPITALE DELLA COLOMBIA

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Diletti Figli e Figlie!

Voi sapete che domani mattina, prima ancora che sorga il sole, Noi partiremo, a Dio piacendo, con alcune degne persone al Nostro seguito, e con altre in compagnia sullo stesso aeroplano, per Bogotà, in Colombia, col duplice scopo di intervenire al Congresso Eucaristico Internazionale, già in atto, e per. inaugurare la seconda Assemblea generale dell’Episcopato Latino-Americano.

Noi aspettiamo da voi l’augurio di «buon viaggio», augurio, che, per essere gradito ed efficace. Noi vi chiediamo sia accompagnato da sentimenti d’unione spirituale e da qualche vostra buona preghiera.

L’avvenimento provoca indubbiamente in voi, come in tanti altri, qualche domanda; e la prima è questa: che cosa è un Congresso Eucaristico? Già si sa: è una grande adunata di clero e di fedeli in onore dell’Eucaristia, la quale è solennemente celebrata e adorata per tributare un pubblico omaggio di fede e di amore a Cristo Signore, realmente presente in figura di Vittima, una volta sacrificata sulla Croce, nel sacramento eucaristico, e fatto cibo spirituale per i fedeli, che in un rito conviviale hanno rinnovato la memoria di Lui, per vivere di Lui nel tempo e per meritare d’incontrarlo nel giorno del suo palese e glorioso ritorno finale. Un grande atto di culto, che richiama nella Chiesa la memoria di Cristo, rinnovandone il mistero della redenzione, attua la comunione con Lui, accende il desiderio e la speranza della nostra risurrezione nella pienezza della sua Vita nell’ultimo ed eterno giorno. Cominciarono nel secolo scorso i Congressi Eucaristici; promotrice ne fu una piissima donna francese, Maria Marta Emilia Tamisier (1844-1910); Mons. de Ségur favorì la fondazione dell’Opera dei Congressi Eucaristici, e Papa Leone XIII la approvò (1881).

NATURA GRANDEZZA MIRABILI FINALITÀ DEI CONGRESSI EUCARISTICI

Un Congresso Eucaristico ci svolge ordinariamente sotto due aspetti esteriori: lo studio di qualche punto dottrinale, o culturale, relativo all’Eucaristia, e la celebrazione liturgica, o cultuale del grande mistero; e tende a due espressioni interiori: il risveglio dell’intima coscienza di comunione personale con Cristo, e il risveglio del significato ecclesiale, del senso cioè di unione, di fraternità, di carità, a cui l’Eucaristia tende essenzialmente.

Come vedete, l’Eucaristia ha virtù di sintesi nella nostra religione; sintesi dottrinale, perché, essendo essa quasi un prolungamento dell’Incarnazione, del Verbo di Dio fra noi (
Jn 1,14), ed essendo una rinnovazione sacramentale del sacrificio redentore di Cristo, tutta la rivelazione si concentra in questo punto focale, il più misterioso e il più luminoso della nostra fede; e sintesi esistenziale, perché in questo sacramento del Pane del Cielo ogni realtà, ogni virtù, ogni derivazione di vita cristiana trova il suo riferimento ed il suo alimento. Capito questo, si comprende anche il perché d’una manifestazione speciale e solenne dell’Eucaristia: bisogna che, almeno in tale occasione, si esprima la valutazione e la coscienza che noi abbiamo di questo tacito e clamoroso prodigio; vengono alla memoria le parole dell’incomparabile martire dell’inizio del II secolo, S. Ignazio d’Antiochia: «mysteria clamoris, quae in silentio Dei patrata sunt», misteri strepitosi, che Iddio operò nel silenzio (ad Eph. XIX, 1); non che l’apologia che il Faber F. M. (un convertito, amico del Newman) fa del culto sfarzoso per la festa del Corpus Domini (The blessed Sacrament, 1885); ma ancora meglio vediamo riflesso nell’omaggio sontuoso, che un Congresso Eucaristico offre all’umile Signore dei nostri altari, il gesto di Maria, nel convito di Betania, quando la devotissima spezza il vaso sigillato d’alabastro e versa il prezioso e profumato unguento sui piedi e sui capelli del Salvatore, che di tale profusione, giudicata uno spreco dal discepolo gretto e infedele, gradisce l’offerta e prende le difese dell’oblatrice e del suo atto gentile e generoso (Jn 12,3 ss.).

UN TEMA FONDAMENTALE «L'EUCARISTIA VINCOLO DI AMORE»

E così compreso, un Congresso Eucaristico non è un atto di trionfalismo vanitoso e retorico, ma piuttosto un atto contemplativo compiuto dalla comunità ecclesiale in uno spontaneo sforzo di armonia corale e di unità fraterna, tanto più significativa e preziosa, quanto maggiore è il numero dei fedeli che esso è riuscito a radunare e a sensibilizzare sopra una determinata nota spirituale. E di queste manifestazioni di fede e di pietà, di queste affermazioni ordinate e straordinarie, rivolte ad un atto di comprensione contemplativa comunitaria, oggi vi è pure tanto bisogno. «Quanto più, scrive un teologo contemporaneo, l’azione temporale occupa maggiore posto nella vita dei cristiani, tanto più è necessario che la testimonianza contemplativa vi apporti il suo contrappeso» (Daniélou).

Cosi sarà certamente nel Congresso di Bogotà per la verità e la bellezza del tema generale, che impegna la meditazione e l’azione dei partecipanti. Il tema suona così l’Eucaristia vincolo di amore. Esatto, profondo, efficacissimo a fare da ponte fra il momento interiore e personale e quello esteriore e sociale, che il Congresso si propone, illuminati l’uno e l’altro dalla carità. L’Eucaristia deve avere come suo effetto caratteristico l’unione dei fedeli con Cristo e fra loro, l’unità del Corpo Mistico. Il Congresso Eucaristico mancherebbe allo scopo dell’intenzione divina che generò un tal sacramento se non si risolvesse in una lucida presa di coscienza delle condizioni reali della società, in cui si celebra. Ed ecco allora apparire, a seguito ed in virtù della sua efficienza religiosa, l’efficienza potenziale ch’esso deve avere nel mondo umano, specialmente quando esso presenta desolanti situazioni, bisogni enormi, aspirazioni legittime, fremiti inquieti.


PER UNA SAGGIA E FERVOROSA OPEROSITÀ DI TUTTE LE CATEGORIE SOCIALI

Quel Gesù, che ha moltiplicato il pane naturale per le moltitudini affamate, che si è fatto Lui stesso pane soprannaturale per i suoi commensali, c’insegna che dobbiamo pensare alla fame altrui, naturale e soprannaturale; e non mai forse, come nel Congresso Eucaristico di Bogotà, il dovere e l’urgenza di provvedere alle necessità temporali e spirituali delle moltitudini premeranno sui cuori cristiani. Il pensiero che Noi stessi saremo associati a questa visione di povertà e a questa ansia di portarle effettivo soccorso, riempie e commuove fin d’ora l’animo Nostro. Vorremmo davvero personificare nel Nostro pellegrinante ministero il Cristo del popolo povero e affamato; e con questa prospettiva nel cuore, andiamo con umile gioia, con molta speranza.

Celebrando il Congresso Eucaristico Internazionale di Bogotà vorremmo che questo «gaudium et spes», questa Nostra gioiosa speranza si comunicasse a quanti colà incontreremo, vorremmo che aprisse una vena fresca e vigorosa delle buone energie ancora sepolte nell’indole buona di quelle popolazioni, diventasse saggia e fervorosa operosità in tutte le categorie sociali, in quelle specialmente più responsabili e più giovani, inaugurasse un periodo nuovo di storia: di progresso e di pace per tutta l’America Latina.

Si dice che troveremo laggiù fermenti d’insofferenza e di ribellione anche nelle file del Clero e dei Fedeli. Quanto Ci pare di comprendere queste impazienze, in ciò che hanno di generoso e di positivo! Ma non potremo non essere sinceri con quanti fanno della verità e della carità legge a se stessi. Noi pensiamo che la soluzione di quelle tristi situazioni, tristissime in certi luoghi, non sia né la reazione rivoluzionaria, né il ricorso alla violenza. Per Noi la soluzione è l’amore; non l’amore debole e retorico, ma quello che Cristo, nell’Eucaristia, c’insegna, l’amore che si dà, l’amore che si moltiplica, l’amore che si sacrifica.


DA CRISTO LA GIUSTIZIA E LA PACE: NON LA VIOLENZA

Diciamo questo non solo per un semplice calcolo obiettivo delle causalità storiche in giuoco, prevedendo quali danni, quali delitti, quali rovine, quale peggiore decadimento civile e religioso porterebbe con sé il ricorso alla rivoluzione e poi a qualche pesante dittatura, ma per impegno con Cristo. Fu Lui che, proprio nell’imminenza della sua passione, disse a Pietro focoso: «Rimetti la tua spada al suo posto; chi infatti impugnerà la spada, di spada perirà» (Mt 26,52). Che in altri tempi la Chiesa, i Papi stessi, in altre diversissime circostanze, abbiano fatto ricorso alla forza delle armi e del potere temporale, anche per cause buone e con ottime intenzioni, Noi non vogliamo ora giudicare; per Noi non è più tempo di usare la spada e la forza, fossero pur queste sorrette da scopi di giustizia e di progresso; e confidiamo che tutti i buoni cattolici e tutta la sana opinione pubblica moderna siano dello stesso parere. Noi siamo invece convinti, e lo diremo laggiù, ch’è maturo il tempo dell’amore cristiano fra gli uomini; questo deve operare, questo deve mutare la faccia della terra, questo deve portare nel mondo la giustizia, il progresso, la fratellanza e la pace.

Anche voi, Figli carissimi, vogliate condividere nel sentimento e nella preghiera questo Nostro voto, con la Nostra Benedizione Apostolica.

I dolorosi avvenimenti nella Cecoslovacchia

Il nostro saluto si rivolge ora con paterno compiacimento ai pellegrini venuti dalla Cecoslovacchia: al gruppo di Slovacchi, e al gruppo di Impiegati e Operai di un complesso industriale di Praga.

Siate i benvenuti, Figli dilettissimi! Con la vostra visita voi Ci recate la viva eco del vostro Paese, che Noi molto amiamo ed apprezziamo. E Ci recate insieme la prova del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa, che senza dubbio vi proponete di rafforzare in questo odierno incontro col Successore di Pietro.

Comprenderete allora facilmente quanto sia grande la Nostra soddisfazione di potervi accogliere, di assicurarvi del Nostro affetto e di promettervi l’assistenza delle Nostre preghiere.

Che il Signore vi aiuti a mantenervi saldi in quella fermezza di fede e di propositi di vita cristiana che siete venuti ad alimentare presso la Tomba dell’Apostolo Pietro; e voi possiate conservare a lungo nei vostri cuori la gioia tutta particolare che provate oggi, entrando nella casa del Padre comune, di appartenere alla grande universale famiglia della Chiesa Cattolica.

A tal fine vi impartiamo con effusione la Nostra Apostolica Benedizione.

Apprendiamo dalla lettura dei giornali di questa mattina che gravi avvenimenti incombono sulla Cecoslovacchia, e, per l’aspetto di forza che essi assumono, non possono non suscitare una grande trepidazione anche nel Nostro animo, che condivide quella che certamente invade tutta quella Nazione e turba l’opinione pubblica nel mondo.

Vogliamo ancora sperare che siano scongiurati conflitti di violenza e di sangue e che non sia offesa la dignità e la libertà di un Popolo geloso dei suoi destini. Facciamo voti che la saggezza prevalga su ogni motivo di conflitto e che la pace possa essere assicurata alla civile convivenza dei Popoli in questione. Non mancherà a tal fine la Nostra fervente preghiera; non manchi la vostra.




Mercoledì, 28 agosto 1968 IL SALUTO A TUTTE LE NAZIONI DELL’AMERICA LATINA

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Diletti Figli e Figlie!

Reduci come siamo dal Nostro viaggio in Colombia, non possiamo parlarvi d’altro. Il Nostro animo ancora trabocca per le impressioni che questo pellegrinaggio Ci ha procurate. Pellegrinaggio infatti lo dobbiamo chiamare per gli scopi unici e religiosi di questa grande e rapida escursione. Uno scopo, spirituale anch’esso, ha offerto il quadro amplissimo e desideratissimo della Nostra presenza laggiù : la visita ad un continente, all’America Latina. Abbiamo dovuto restringerla alla Colombia, anzi alla sua capitale, Bogotà; ma la Nostra intenzione è stata quella di salutare tutte e singole le Nazione dell’America Latina. Molte di esse Ci avevano mandato inviti ufficiali, pressanti e commoventi; e non avendo potuto accoglierli, con Nostro vivo dispiacere, abbiamo voluto dare al Nostro arrivo in Colombia il significato più largo d’un atto spiritualmente esteso a tutto il territorio Latino-Americano. Il primo viaggio d’un Papa a quelle terre lontane, da secoli però oggetto di particolare predilezione da parte del Pontificato Romano, assumeva la figura d’un incontro globale; per questo abbiamo voluto, mettendo il piede su quel continente, baciare la terra, ancor prima di incontrarci con i suoi, a Noi immediati, rappresentanti e abitanti, affinché fosse palese il Nostro interesse per tutta l’estensione geografica e morale del continente. E fu così che ebbe inizio la Nostra partecipazione alle manifestazioni grandiose del Congresso Eucaristico internazionale di Bogotà, seguite dall’apertura della II Assemblea generale dell’Episcopato Latino- Americano.


ESITO FELICISSIMO DELLE MANIFESTAZIONI

Le manifestazioni: voi ne avete avuto notizia dai giornali, dalla Radio e dalla Televisione. Noi possiamo soltanto confermare che esse hanno avuto tutte un esito felicissimo. Dobbiamo dare sincero riconoscimento a quanti le hanno preparate, alle Autorità che ne hanno nobilmente favorito lo svolgimento, a tutti coloro che vi hanno partecipato. A questo riguardo dobbiamo notare un fatto indescrivibile, che supera ogni documentazione giornalistica e fotografica; il fatto della partecipazione di folle sterminate, sia alle grandi celebrazioni sacre, sia alla riunione dei Campesinos, sia lungo i Nostri percorsi: folle entusiastiche, folle spontanee, folle composte d’ogni categoria di persone, d’umile gente specialmente, d’incalcolabile numero, d’unanime sentimento. Questo solo effetto esteriore del Congresso costituisce un avvenimento degno d’ammirazione, d’incomparabile valore dimostrativo della fede d’un Popolo, dell’innata bontà dei suoi sentimenti religiosi, e, dobbiamo pur credere, umani e civili. Il volto dell’America Latina non poteva offrire al Nostro sguardo un aspetto più vivo, più degno del Nostro affetto; ancora siamo quasi sopraffatti dall’impressione commovente e inebriante degli incontri inondanti e fragorosi delle Nostre tre giornate colombiane. Sono state ore di pienezza spirituale; ore di pastorale felicità.


GRANDI RICORDI E GRANDI DOVERI NELLA UNITÀ EUCARISTICA

E, nello stesso tempo, ore di rivelazione. La scena parlava. Come ha ben detto un giornalista francese: «È stato un trionfo, senza trionfalismo». Nella manifestazione dominava in tutti la celebrazione; la celebrazione del Mistero eucaristico, da tutti i fedeli percepito nella sua virtù nutritiva, vivificante e santificante le intime profondità della vita individuale, della singola personalità ammessa ed elevata al diretto contatto con Cristo; e da tutti i fedeli riscoperto come principio sommo e irrepetibile di effusione fraterna, di comunione sociale, come fattore operante ed urgente di carità estensiva e unitiva, primo coefficiente di speranza e di azione per la rigenerazione del mondo. L’avvertenza di questa specifica finalità del Sacramento eucaristico è stata particolarmente acuta a causa delle condizioni sociali della maggior parte della gente, che si assiepava d’intorno agli altari. L’accostamento del Mistero eucaristico con la realtà della indigenza umana non poteva non essere in Noi, ed in tutti i cristiani presenti. Noi pensiamo, sorgente di grandi ricordi e di grandi doveri: il ricordo della moltiplicazione del pane naturale, operata due volte da Gesù, quasi predisposizione e simbolo della moltiplicazione del Pane del cielo; il ricordo delle agapi cristiane della Chiesa primitiva, che precedevano la «Cena del Signore» e, che dovevano essere dimostrazione di fraternità e di sollecitudine per gli indigenti, ancor oggi ammonitrici dell’unione che deve intercedere fra il culto eucaristico e il servizio amorevole verso i fratelli bisognosi; il dovere di dare espressione concreta, anche sul piano umano e temporale, alla fede; dovere .di infondere nuove capacità operative alla carità eucaristica, cercando di riprodurre, come a noi è possibile, il prodigio del pane reso sufficiente ed onorato per tutta la fame dell’immensa turba dei Poveri che ci circondano, e che non potremo più abituarci a vedere e a lasciare nello stento e nella amarezza delle loro condizioni che ciascuno di noi, commensali dell’Eucaristia, abbia fatto ogni sforzo per rendere quegli infelici commensali d’un benessere proporzionato alla loro necessità umana e alla loro dignità cristiana.


DUE MOMENTI SOMMAMENTE SIGNIFICATIVI

Discorso non nuovo; ma esso ha levato nuova e potente voce a quel Congresso Eucaristico; voce, che tutta l’America Latina anzi tutto il mondo cattolico vorrà ascoltare come annuncio e programma di tempi nuovi.

Due momenti sono stati per Noi sommamente significativi, sommamente belli: quello dell’ordinazione, da Noi compiuta con l’aiuto di altri Vescovi, di oltre cento Sacerdoti Latino-Americani, con circa quaranta Diaconi; a Noi pareva di ripetere il gesto dei primi esploratori che piantavano la Croce nelle terre scoperte, uno «stauropegio» di nuovo stile; cioè il conferimento sacramentale della missione a nuovi portatori della Croce, a quei nuovi ministri di Dio e della Chiesa, dall’opera e dall’esempio dei quali è da attendersi principalmente la vitalità della fede e l’elevazione moderna di quelle sterminate e crescenti popolazioni. L’altro momento fu alla parrocchia suburbana di S. Cecilia, quando vi celebrammo la S. Messa, all’aperto, sulla porta della povera chiesa, davanti ad una folla innumerevole raccolta e devota di umile gente, ma come dignitosa!, residente nel popolare quartiere, e distribuimmo l’Eucaristia a diciotto bambini neo-comunicandi, ciascuno assistito dai propri genitori: non mai, come allora, la Presenza di Cristo Ci parve irradiare la sua evangelica beatitudine.

Abbiamo poi avuto l’onore e la fortuna di parlare ai Vescovi, convenuti a Bogotà, per inaugurare, come dicevamo, la loro Assemblea generale, che ora si sta svolgendo a Medellin. Quanta edificazione, quanta speranza, quale senso della fraternità episcopale sono, in quell’ora, venute nel Nostro animo! Ci è parso di intravedere l’avvenire del Continente; un avvenire fedele e apostolico, fervente e generoso, come quello d’un alveare in piena, ordinata, concorde, perseverante lavorazione; (questo per ricordare il bel paragone di uno storico - il Taine - a proposito dell’opera infaticabile e metodica compiuta dai Vescovi, per secoli interi, sul suolo di Francia).

Questo il Nostro breve soggiorno a Bogotà. Ci piacerebbe che in tutti ne rimanesse scolpita la memoria, indicata dal titolo che il Congresso scelse per sua definizione e suo programma; l'Eucaristia, «vincolo di carità».

Un’angosciosa situazione in Cecoslovacchia

Poi siamo ritornati in Europa, in Italia, a Roma, dov’è la Nostra Sede Apostolica: e subito il pensiero della angosciosa situazione della Cecoslovacchia Ci ha dolorosamente ripreso. Non lo avevamo mai dimenticato: ché anzi nel fervore religioso e popolare del Congresso Eucaristico esso ispirò a Noi ed ai presenti ricordi assillanti e speciali preghiere. Ma qua giunti avvertimmo di nuovo la pesantezza dell’atmosfera pubblica, generata dai gravi avvenimenti di quella Nazione: e ancor più Ci sentiamo spinti ad elevare la Nostra preghiera e a chiedere quella di tutti i cristiani, di tutti gli uomini. E vorremmo esortarli a ricordare come la giustizia e la pace, per non smentire nel fatto l’aureo significato di questi termini, abbiano bisogno di rifarsi ai concetti superiori dei diritti dell’uomo e della dignità dei Popoli; e come, a loro volta, tali concetti non restino illesi, non possano essere operanti per il bene comune delle persone umane e delle comunità nazionali, senza un riferimento, almeno tacito, ma logicamente effettivo, al Dio vivente, all’Assoluto, al Necessario, donde l’umanità deriva la luce della sua coscienza morale ed il senso della sua fraterna solidarietà. Che cosa può avvenire, quando tale riferimento non esiste più, anzi è negato?

Non vogliamo fare profezie di sventura; bastano tante tristi esperienze del mondo moderno a dircene qualche cosa. Noi vogliamo piuttosto ancora essere ottimisti; per l’amore che nutriamo per tutti i Popoli, per il senso di onore e di umanità, che mai non si spegne nel cuore degli uomini, per l’evidente interesse che tutti hanno in una soluzione umana, di ragione e di concordia, Noi vogliamo sperare e augurare, che a vantaggio comune, ma specialmente di chi più soffre, la giustizia e la pace abbiano a prevalere su ogni presente difficoltà.

Accompagna tutti questi pensieri la Nostra Benedizione Apostolica.



A due gruppi di Cecoslovacchi

Salutiamo Mons. Hnilica, qui presente a questa Udienza, slovacca, che accompagna due gruppi provenienti dalla Cecoslovacchia e che Noi salutiamo in modo del tutto particolare. Anche a questi due gruppi Noi riserviamo il più cordiale saluto. Voi potete pensare quanto vi siamo spiritualmente vicini. Sappiate che comprendiamo la passione che oggi pesa sulla vostra nazione; siamo contenti che le cose non siano diventate più tragiche di quello che potevano essere; ma l’avere una prova come quella che voi state soffrendo Ci rende pieni di comprensione per voi e di preghiere, di auguri, di voti, e del desiderio di assistervi e di farvi conoscere che la Chiesa, la Chiesa di Roma, vi ama, vi comprende, ditelo anche ai vostri connazionali. Il Papa e quanti altri con Lui condividono i suoi sentimenti pregano per tutti i vostri connazionali con sentimenti di particolare solidarietà; mentre ora tutti vi benediciamo, augurandovi di essere pazienti, buoni, forti, uniti e di aspettare che il Signore dia misericordia, pace, prosperità alla vostra nazione.




Mercoledì, 4 settembre 1968 MOLTIPLICATE INDAGINI SULLA ESSENZA E LA GRANDEZZA DELL'UOMO

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Diletti Figli e Figlie!

Gli avvenimenti che si succedono nel nostro tempo, le correnti di idee che informano la mentalità moderna, i movimenti politici e sociali che agitano il nostro mondo, i temi che oggi maggiormente interessano il campo religioso sia cattolico, sia estraneo alla Chiesa, convergono tutti, per vie diverse, verso una questione centrale, dominante la coscienza del pensiero contemporaneo, ed è quella sull’uomo. «Credenti e non credenti sono quasi concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice» (Gaudium et spes
GS 12). Ancora ci si domanda chi è l’uomo. Ancora si osserva che all’incontro su questo problema centrale non ci si trova d’accordo, non ci si comprende, ci si scontra o almeno ci si confronta; e il confronto diventa una gara, in un doppio senso; il primo senso C quello della verità: qual è la verità dell’uomo? Chi ha ragione? Il secondo è quello della grandezza: chi oggi ha un concetto maggiore dell’uomo? Più completo nell’analisi delle sue componenti umane, più comprensivo delle sue esigenze moderne, più adeguato alle sue manifestazioni reali e storiche nel tempo nostro? Verità dell’uomo, grandezza dell’uomo formano i due capitoli dell’umanesimo, che commisura le sue differenti e contrastanti espressioni. L’uomo ancora vuole conoscersi, si guarda allo specchio della sua esperienza vissuta o della sua riflessione speculativa; e classifica se stesso secondo la figura, o la misura che questa inevitabile indagine gli ha prospettata: si parla di animalis homo (cfr. 2Co 2,14) di spiritualis, (ibid. ), di homo faber, di homo oeconomicus, di homo sapiens; e così via. Ma soprattutto si parla del valore da attribuire all’uomo, nell’ambito delle cose esistenti, e si conclude per riconoscergli un primato, che presso i negatori di Dio diventa assoluto: l’uomo è tutto, si dice; senza pensare alla tragica irrisione d’una tale qualifica, attribuita ad un essere, che non è causa, né fine di se stesso, e che è soggetto a limiti, a debolezza, a infermità e a caducità inesorabili. Se non è tutto, aggiungono gli adoratori dell’uomo, egli è tuttavia sommo; oltre l’uomo non si va; infatti, così è, in certo senso, ma spesso non si riflette donde l’uomo tragga i titoli autentici di tale eccelsa prerogativa, e come perciò debba essere valutata.


«L'ASPETTO PIÙ SUBLIME DELLA DIGNITÀ UMANA CONSISTE NELLA SUA VOCAZIONE ALLA COMUNIONE CON DIO»

È una questione immensa, la cui discussione continua sempre; questione antica e sempre nuova. La Chiesa non la rifiuta; anzi l’affronta oggi con rinnovato vigore e con approfondita sapienza.

A noi basta, in questo minuto di meditazione, considerarci alunni del Concilio, e ricordarne una parola orientatrice: «L’aspetto più sublime della dignità umana consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio» (Gaudium et spes GS 19); parola che sembra ripetere quella famosa di S. Agostino, nel primo capitolo delle Confessioni: «Tu (o Dio) ci hai fatti per Te; e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in Te». E, tralasciando ora ogni considerazione circa la dottrina di merito sull’uomo, possiamo fermarci ad un brevissimo accenno su i due aspetti maggiormente interessanti l’attenzione della mentalità moderna circa l’uomo: l’aspetto individuale e l’aspetto sociale.

Tanto sul primo, che sul secondo aspetto, la valutazione che la Chiesa fa dell’uomo, specialmente nei Documenti conciliari, è d’incomparabile grandezza. Nessuna antropologia eguaglia quella della Chiesa sulla persona umana, anche singolarmente considerata, circa la sua originalità, la sua dignità, la intangibilità e la ricchezza dei suoi diritti fondamentali, la sua sacralità, la sua educabilità, la sua aspirazione ad uno sviluppo completo, la sua immortalità, ecc. Si potrebbe mettere insieme un codice dei diritti che la Chiesa riconosce all’uomo in quanto tale, e sarà sempre difficile definire l’ampiezza di quelli che derivano all’uomo a causa della sua elevazione all’ordine soprannaturale, mediante la sua inserzione in Cristo. San Paolo ha rivelazioni meravigliose circa questa rigenerazione d’ogni singolo cristiano assunto allo stato di grazia, vivificato dallo Spirito di Cristo.


LA CHIESA RIVENDICA IL CONCETTO ESATTO DELLA COSCIENZA E DELLA LIBERTÀ

Due capitoli dovranno essere particolarmente cari all’umanesimo moderno in riferimento a questa esaltazione della persona umana, operata dalla Chiesa, con la sua dottrina e con i suoi carismi: la coscienza e la libertà. Sono capitoli fondamentali, sui quali il Concilio insiste in modo particolare e molto autorevole; sono molto delicati per la difficoltà, che il verbalismo corrente e la superficialità a molti abituale creano alla formazione di un esatto concetto sia della coscienza, che della libertà, ed ancor più al retto uso dell’una e dell’altra; meriterebbero uno studio accurato; ma sta il fatto che la Chiesa rivendica all’uomo, nel senso più alto, ch’è anche il più esatto, coscienza e libertà, e gli conferisce così una statura quale conviene ad un essere che si definisce, sì, una creatura, ma fatta a immagine di Dio creatore e che è elevato nell’ineffabile amore della rigenerazione cristiana al grado di figlio e di partecipe della natura divina (cfr. 2P 1,4).

Nello stesso tempo l’affermazione che «ogni uomo ha il dovere di tener fermo il concetto della persona umana» (Gaudium et spes GS 61) si integra con quella circa la natura sociale dell’uomo (ib., n. GS 12); donde consegue che «dall’indole sociale dell’uomo appare come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti» (ib., GS 2,5); verità questa che ha la sua piena esplicazione nel disegno della salvezza; l’uomo non si salva da solo; unito a Cristo entra nella comunione dei fedeli che formano il suo Corpo mistico; la Chiesa gli è necessaria; ed il rapporto vitale e intimo ch’egli ottiene di stabilire con Dio si esplica e si sviluppa nella carità verso i fratelli (cfr. 1Jn 4,20), che sono, in linea di principio, tutti gli uomini senza discriminazione, e, in pratica, sono coloro che entrano nella definizione di prossimo, illustrata da Cristo stesso nella celebre parabola del buon Samaritano; e sono coloro che partecipano alla piena comunione con Gesù medesimo (cfr. 1Co 10,17), e sono comandati, quasi per avere segno di autenticità cristiana, di amarsi gli uni gli altri (Jn 13,35), e di essere tutti uno (Jn 17,21).


IL SENSO E IL DOVERE SOCIALI RAGGIUNGONO LA PERFEZIONE NELLA VITA CRISTIANA

Nessuna scuola sociale arriva a tanto. Il senso e il dovere comunitario raggiungono un livello superiore nella vita cristiana compresa e praticata, e danno origine, anche sul piano naturale e temporale, ad una socialità sempre progressiva verso il rispetto, la concordia, la collaborazione, la pace fra gli uomini. Il cristiano, senza nulla perdere della sua pienezza personale, anzi per possederla e per svilupparla, si trova inserito in un ordine comunitario, che deve egli stesso accettare e promuovere, rivolto anch’esso verso una pienezza unitaria e sociale, che solo la legge e la grazia di Cristo possono offrire all’uomo, non come utopia, ma come realtà; non come soppressione della propria personalità, ma come dilatazione ed esaltazione di essa, in quel supremo disegno divino, che chiamiamo la comunione dei santi.

Noi pensiamo che tutto questo sia vero, che sia bello, che sia importante specialmente ai nostri giorni, nei quali l’enorme sviluppo stesso della civiltà soffoca la personalità umana e genera strutture sociali, che la così detta contestazione denuncia come intollerabili.

Ringraziamo il Signore che ci ha chiamati nel suo piano di salvezza, nella sua Chiesa, in cui l’uomo, che ciascuno di noi è, trova un duplice destino di personalità e di socialità incomparabili e insieme armonizzate, e che costituiscono la nostra vocazione alla perfezione, faticosa e progressiva nel tempo, per essere un giorno, il giorno dell’eternità, completa e felice nel Signore.

Così pensiamo, così operiamo, così speriamo tutti, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Saluto a un pellegrinaggio di Malta

A special word of cordial greeting to the Pilgrimage of the Dioceses of Malta and Gozo.

The Maltese people are very dear to Us because they have been specially blessed by the presence of the great Apostle Paul who visited there over nineteen hundred years ago. Over the centuries they have guarded jealously the heritage which St. Paul left with them. For this We are grateful and We congratulate the Maltese for their loyalty and devotion to the Chair of Peter. Each summer too, they send the young boys to serve Mass in the Basilica of St. Peter.

This is a service of love and We take this occasion to thank these young boys for their fine work. May God bless them with His richest graces!

We bless all of you from the Island of Malta, the Archbishop, the Bishops and the priests here, as well as all of the faithful who have come to greet us on this occasion. In Our appreciation, accept from Us Our Apostolic Blessing.

Ai fanciulli della «Operación Plus Ultra»

A vosotros, Niños de la «Operación Plus Ultra», Nuestra complacencia por teneros tan cerca y por lo que significáis de bondad y hasta de heroismo. Con edificación y consuelo sabemos cuanto habéis hecho. Que el Señor lo premie a vosotros y a las entidades que propagan vuestros ejemplos: Iberia, SER (Sociedad Española Radiodifusión), Cajas de Ahorro de España e Italia, Cruz Roja Italiana.

Este nombre «Operación Plus Ultra» ya Nos es familiar; y, aunque vayan cambiando cada año los nombres de sus componentes, queda como nota idéntica, lo maravilloso de unos actos sublimes, la diversidad de naciones de origen, que indican cómo lo bello, lo candoroso, lo cristiano, tiene siempre protagonistas en el mundo. Vosotros lo habéis sido, queridos niños. icontinuad siéndolo y que otros os imiten! Así lo deseamos mientras, de todo corazón, impartimos a vosotros, a vuestros familiares y organizadores, la Bendición Apostólica.

Fedeli di Siviglia e di Madrid reduci dalla Terra Santa

Señor Cardenal de Sevilla, Venerables Hermanos, amadísimos Sacerdotes, peregrinos españoles procedentes de Tierra Santa:

Vuestra peregrinación, organizada por la Parroquia de San Roque de Madrid - a cuyo Arzobispo también vemos presente - nos llena de consuelo. Gracias por el devoto homenaje de vuestra presencia.

ConsentidNos evocar las vivencias que vuestro itinerario despierta. Venís de esa amada Nación, España, que recientemente hemos sobrevolado y bendecido en Nuestro viaje al Congreso Eucarístico Internacional de Bogotá, donde rendimos adoración a Jesús Sacramentado, como lo hicimos con Nuestro mensaje al Congreso de Sevilla; habéis recordado los ejemplos y enseñanzas del Señor y la vida terrenal de la Virgen María durante vuestra permanencia en Tierra Santa; estáis ahora en el centro de la Iglesia.

Estas circunstancias habrán hecho revivir en todos vosotros unos ideales que han de distinguir siempre al sacerdote y al cristiano: devoción intensa a la Eucaristía, vivida en sus exigencias unitivas y comunitarias; conocimiento y práctica abnegada del perenne mensaje del Evangelio; imitación de las virtudes de la Santísima Virgen; adhesión ferviente a la Iglesia en lo que enseña y pide.

Que tales ansias os acompañen continuamente, con Nuestra Bendición Apostólica.

L'«Imperial Defence College»

Gentlemen:

We are honored by your presence here today because you are men dedicated to the common good of others. You have taken off for a year to better train yourselves for your tasks as public officials. We wish you well and pray that this year of intense study will bear much fruit for yourselves and for the people whom you will serve.

Peace can be had if each citizen would realize his civic responsibilities and would make efforts to fulfil them. Order is necessary and so is an understanting of the role of public office. Harmonious collaboration is productive of a peaceful order.

We congratulate you on the work accomplished, and We encourage you to continue your dedication to your fellow citizens of this world. May God bless you, your families, and your nations.





Paolo VI Catechesi 14868