Paolo VI Catechesi 23108

Mercoledì, 23 ottobre 1968 IMPONENTE VISIONE SPIRITUALE

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Diletti Figli e Figlie!

Un'impressione singolare, sebbene non insolita, commuove il Nostro spirito guardando voi, così numerosi, così devoti, così differenziati e insieme così uniti, davanti a Noi, in questa Basilica eretta sulla tomba dell’apostolo San Pietro, che Cristo volle al centro della sua assemblea, dell’umanità raccolta d’intorno a Lui, cioè della sua Chiesa; l’impressione d’un panorama immenso, grande come tutta la terra, come se le pareti della Basilica fossero trasparenti, o quasi scomparissero, e ci lasciassero vedere tutta la Chiesa, fino alle sue estremità, fin dove arriva il nome cattolico, anzi fin dove esso ambisse arrivare, mediante il suo paradossale significato di universale, come avente titolo per abbracciare tutti gli uomini, tutti i popoli, tutto il mondo. Questa visione spirituale nasce proprio dal significato di questo tempio, costruito con esagerata grandezza, quasi a dimostrare una sua fondamentale ambizione, quella di ospitare le moltitudini e, se fosse possibile, l’umanità intera, con dimensione appunto intenzionalmente cattolica. Ma state a sentire: questa stessa visione assume al Nostro sguardo interiore una configurazione precisa; mentre si allarga fino ai confini degli orizzonti umani, si contiene in una linea profondamente marcata; e questa linea, che determina una inconfondibile nuova dimensione, percorre il medesimo tracciato cattolico, che prima abbiamo osservato nella sua ampiezza estensiva; questa invece distintiva, contenutiva. Cioè: appare davanti a Noi la Chiesa intera nel duplice significato del suo gloriosissimo titolo di cattolica; cattolica, vogliamo dire, di estensione potenzialmente universale, e cattolica di intrinseca esigenza unitaria e di inequivocabile definizione ortodossa, cioè piena e autentica. Cattolico vuole infatti significare, al tempo stesso, universale e ortodosso.

IL TORMENTO E L'AMORE MISSIONARIO

Voi Ci domandate nel silenzio dei vostri animi: perché oggi il Papa ci parla di questi aspetti della Chiesa? E perché tali aspetti si rispecchiano ai suoi occhi guardando l’assemblea di questa Udienza? Vi rispondiamo subito: perché domenica, all’inizio di questa settimana, abbiamo celebrato la Giornata Missionaria. Certamente voi lo sapete. La Giornata Missionaria pone davanti allo spirito d’ogni credente l’immagine reale, concreta, storico-geografica, etnico-statistica, folcloristica, potremmo dire, della Chiesa, sovrapposta alla immagine ideale che la Chiesa stessa, nell’intenzione misteriosa e misericordiosa di Dio Padre, nell’opera redentrice di Cristo, nella diffusione dinamica e vivificante dello Spirito Santo, dovrebbe assumere e assumerebbe, se la coscienza e l’attività dei fedeli e dei Pastori riuscisse a fare coincidere la realtà storica della Chiesa con il disegno trascendente e invitante del Signore. La disparità fra le due immagini, per chi comprende qualche cosa dei destini dell’umanità, costituisce un grande tormento e un grande amore; il tormento missionario, che vede in tale disparità il lato negativo, quello della cattolicità limitata, mortificata; e l’amore missionario, che dalla disparità stessa trae lo stimolo alle più nuove, instancabili, coraggiose iniziative per la cattolicità da realizzare effettivamente.

Qui la meditazione incontra due altri principi: primo, la cattolicità è voluta dal disegno divino della salvezza: Dio, afferma San Paolo, «vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità» (
1Tm 2,4); e, secondo, la cattolicità è condizionata ad un servizio umano; la carità salvatrice di Dio per realizzarsi e diffondersi ha bisogno (nel piano a noi rivelato e prefisso da Cristo) d’una carità apostolica, ministeriale degli uomini, d’una carità missionaria (cfr. Rm 10,14-15 1Co 3,9).


CATTOLICITÀ ESSENZIALE E NECESSARIA

Fra la cattolicità di diritto e la cattolicità di fatto esiste ancor oggi un abisso. Un mistero certamente, che solo nelle profondità del pensiero divino ha il suo segreto e la sua spiegazione. Un dramma parimente, che riguarda innanzi tutto chi nella Chiesa ha responsabilità d’iniziativa apostolica e pastorale, e investe poi tutta la Chiesa stessa, ch’è di natura sua, come segno, come strumento e come termine della salvezza, missionaria, e impone ad ogni suo membro l’obbligo di riconoscere e di assecondare la funzione diffusiva della Chiesa in ordine alla fede e alla grazia.

Questo dramma, cioè questa vocazione e questa obbligazione, spesso nella storia si rallenta, e quasi si addormenta; e nella coscienza dei Fedeli spesso si attenua, con pretesti che ben. conosciamo: non tocca a me; che cosa posso fare io? v’è chi ci pensa, eccetera; quando tale dramma non si deformi con teorici sofismi: perché darsi tanto da fare? una fede vale l’altra; ovvero: perché turbare la buona fede di tanti popoli privi del Vangelo, quando il Signore li può egualmente salvare? non basta essere cristiani, perché esigere che tutti siano cattolici? oppure: la Chiesa non deve pretendere alla conquista del numero, dell’universalità; non è forse sufficiente che sia il «pusillus grex» (Lc 12,32), il piccolo gregge degli eletti?

TESTIMONIANZA ED IMPEGNO D'APOSTOLATO

Figli carissimi ! Benediciamo il Signore che ci ha concesso di vivere in un periodo della vita della Chiesa, nel quale la sua coscienza missionaria s’è ridestata, e tanto si va sviluppando ch’essa trova, da un lato, una teologia (l’«economia» si direbbe nella terminologia della dottrina orientale), che la illumina e la corrobora con i più alti e centrali dogmi della rivelazione (si veda il capitolo primo del Decreto conciliare sull’attività missionaria della Chiesa); dall’altro, una vocazione a una prassi non prima sperimentate in seno alla Chiesa, con un’insistenza, caratteristica in tutti gli insegnamenti del Concilio, circa la partecipazione integrale del Popolo di Dio, circa la testimonianza comunitaria, circa l’invito e l’impegno per ogni singolo Fedele a collaborare alla causa missionaria.

La conoscenza, che Noi abbiamo della rispondenza delle Chiese locali, delle Famiglie religiose, delle Associazioni cattoliche, di tante persone pie e benemerite all’invito missionario, Ci riempie il cuore di edificazione, di ammirazione e di gioia; vorremmo aver voce per far giungere il Nostro plauso e il Nostro ringraziamento dovunque questo consolantissimo fenomeno si produce e cresce di fervore e di segni di pratica testimonianza: oh! benedica Iddio tutti coloro che infondono nella Chiesa del nostro secolo energia spirituale e mezzi materiali per essere quanto è possibile fedele e valente nella sua vocazione missionaria.


L'APPELLO D'UNA VOCE FORTE E CONSOLATRICE

E ancor più Noi vorremmo che la Nostra voce, umile voce di uomo debole e manchevole, ma forte e consolatrice, perché quella del Successore del Primo Apostolo, giungesse nel cuore di quelle anime generose che nel loro colloquio interiore ascoltano il Maestro in cerca di seguaci: con l’invito: «Vieni e seguimi» (Mt 8,22), e suscitasse la pronta risposta di Francesco Saverio: «Pues, sus! Heme aqui»: «Eccomi qui . . . io sono pronto!» (cfr. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù, 11, 1, 336); arrivasse, soggiungiamo, ad ogni Missionario e ad ogni Missionaria, a tutti i Fedeli delle nascenti, o fiorenti comunità cattoliche delle lontane Missioni, e confortasse tutti e ciascuno con la sicurezza della scelta da loro operata, con l’incoraggiamento a proseguire nella vita intrapresa, e con l’infallibile promessa delle divine ricompense.

Ma intanto questa voce a voi, qui presenti, si rivolge amorosa e fiduciosa, e mentre tutti vi benedice, vi esorta: siate anche voi Missionari, comprendendo ed aiutando la causa sovrana della diffusione del Vangelo nel mondo.

Fra i gruppi che partecipano a questa fervida assemblea di fedeli e figli diletti, un particolare saluto meritano i duecento Ispettori Annonari del Comune di Roma, venuti con le rispettive famiglie e con l’Onorevole Assessore all’Annona, in occasione della festività del loro santo Patrono, l’Arcangelo Raffaele.

Vi diamo il Nostro benvenuto cordiale. E siamo lieti che la vostra venuta Ci offra la gradita occasione di esprimervi il Nostro compiacimento : anzitutto perché la vostra presenza è rivelatrice di un vivo spirito di fede, che si manifesta nella devozione, tenera e virile insieme, al vostro Celeste Protettore, e che vi vedrà domani stretti attorno all’Altare del Divino Sacrificio; spirito di fede che vi porta qui, come è avvenuto in altri anni, per esprimere al vostro Vescovo, e Pastore della Chiesa universale, la fedeltà che vi anima nell’adempimento dei vostri doveri religiosi come di quelli professionali. Un’altra ragione di soddisfazione è poi quella, appunto, di vedere in voi e nelle vostre famiglie, come Vescovo di Roma, membri della Nostra diocesi, a cui vanno le Nostre sollecitudini più care e assidue. Siete, inoltre, funzionari qualificati del Comune di Roma, e collaborate per la vostra parte al retto funzionamento di quel degnissimo e complesso organismo, che cura l’ordinato sviluppo civico e sociale di quest’alma Città, il cui nome fatale è simbolo di civiltà e di umanità, e connubio incomparabile di grandezza terrena e di destino eterno. Siete infine incaricati di un delicato servizio, del quale la comunità vi dev’essere grata, e che esige da voi oculatezza, prudenza e dirittura morale. Tutto questo vi dice con quale animo di benevolenza Noi guardiamo a voi, con quale fervore vi auguriamo ogni consolazione nella vostra famiglia e sul vostro lavoro, con quale sollecitudine preghiamo per voi il Signore, per intercessione di San Raffaele, affinché la sua bontà e la sua pace sempre vi accompagnino. Vi raccomandiamo pertanto di continuare con lietissimo frutto nell’impegno cristiano che vi distingue, mentre di cuore vi impartiamo la Nostra particolare Apostolica Benedizione, che estendiamo altresì a quanti vi sono cari.

Un saludo especial de bienvenida, de gratitud y de bendición para vosotros, amadísimos Colombianos, procedentes principalmente de la Parroquia de Nuestra Señora de Torcoroma de Bogotá. Vuestra presencia suscíta en Nuestro animo tantos recuerdos de las intensas jornadas eucarísticas que allí vivimos, en medio de un pueblo creyente que llevamos dentro del corazón.

Sabed que continuamos orando para que los grandes ideales y exigencias del Congreso - amor a Dios, espíritu de sacrificio, caridad operante, sentido profundo de justicia - sean siempre las metas que guían vuestra existencia para mayor felicidad vuestra y constante bienestar de la inolvidable Colombia.

Bienvenidos también vosotros, queridísimos Mexicanos, cuyas pruebas de fidelidad a la Iglesia bien conocemos y cuya Patria es, en estos días, palestra de fraternidad universal. Que estos momentos de meditación devota ante el Sepulcro de San Pedro sirvan para robustecer más vuestra fe y para vivirla valientemente en vuestra intimidad, en el hogar, en las actividades profesionales.

A todos, amadísimos Hijos de Colombia y de México, hermanados por tantos vínculos de cultura y de cristianismo, la seguridad de Nuestro afecto, de Nuestra plegaria, mientras os otorgamos una efusiva y amplia Bendición.

E agora, queremos dirigir urna palavra particular, na sua bela lingua, aos peregrinos portugueses aqui presentes, presididos pelo Senhor Bispo de Leiria, o Bispo do Santuário de Fátima.

Amados Filhos:

A vossa já longa romagem, que vos trouxe hoje aqui, para além dos frutos pessoais, certamente abundantes, tem um valor de testemunho e de apêlo. Sede bem-vindos!

E-Nos duplamente grata a vossa presença: primeiro, pela delicadeza de sentimentos que traduz; depois, porque viestes, neste mês do Rosário, de Fátima; fostes a Damasco à inauguração de um Santuário, dedicado também a Nossa Senhora de Fátima; e, por fim, fostes à Terra Santa. Sempre com Maria e por Maria vos encontrais aogra aqui. Ao apêlo da vossa presença, o nosso espírito eleva-se para a Mãe do Senhor de Mãe da Igreja - Rainha das Missões, das quais ternos estado a falar.

Que por ela, Deus cumule de gratas a vossa Pátria - também chamada «Terra de Santa Maria» e país missionário - vos favoreçca, assim como aos vossos entes queridos, com abundantes dons celestes em auspício dos quais, de bom grado vos damos a Nossa Bênção.




Mercoledì, 30 ottobre 1968 IL «CREDO DEL POPOLO DI DIO»

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Diletti Figli e Figlie!

In occasione della festa di Cristo Re, celebrata domenica scorsa, è stata recitata in molte chiese nel mondo la professione di fede, che Noi stessi abbiamo pronunciata il 30 giugno, sulla piazza di San Pietro, a conclusione della commemorazione centenaria del martirio dei santi Apostoli Pietro e Paolo, la quale fu celebrata come «Anno della Fede», e fu perciò conclusa con quel Nostro solenne atto di fede, che prese il nome di «Credo del Popolo di Dio». Voi lo ricordate: è una ripetizione, amplificata con espliciti riferimenti ad alcuni punti dottrinali, del Simbolo di Nicea, che è, come sapete, la celebre formula della fede, secondo il primo Concilio ecumenico, quello appunto di Nicea (dell’anno 325; pochi anni dopo la libertà riconosciuta alla Chiesa dall’editto costantiniano dell’anno 313); formula divulgata nella lingua latina principalmente dalla traduzione di S. Ilario di Poitiers (cfr. De Synodis, 84; P. L. 10, 536), ed ancora sostanzialmente ripetuta da noi nelle sante Messe, che comportano, secondo le rubriche, la recita del Credo.

L'INIZIO DELL'UMANA SALVEZZA

Da breve sintesi delle principali verità credute dalla Chiesa cattolica, sia latina che orientale, questo Credo ha assunto la solennità d’un atto ufficiale della nostra fede; al valore dottrinale oggettivo si è così aggiunto, com’è ovvio, il valore soggettivo della nostra personale e comunitaria adesione a quelle stesse verità, che la Chiesa ritiene derivate dalla Rivelazione; e perciò il Credo viene ad inserirsi con autorità decisiva e con vigore fortificante nel groviglio delle nostre confuse e agitate coscienze per mettervi, in punti fondamentali, luce e ordine in relazione alle questioni religiose, che sono le più importanti e le più difficili della nostra vita. Bisogna perciò tenere sempre presente, recitando il Credo, questa coincidenza della fede oggettiva (le verità credute) con la fede soggettiva (l’atto virtuoso di assenso a quelle verità).

Perché Noi abbiamo impegnato l’attenzione della Chiesa sopra questa bivalente professione di fede? Anche questo sapete. Per due ragioni. La prima, perché la fede, come dice il Concilio di Trento, facendo proprio con scrupolosa fedeltà il pensiero di San Paolo (cfr.
Rm 3,21-28), «fides est humanae salutis initium, fundamentum et radix omnis iustificationis» (Sess. VI, c. 8), la fede è l’inizio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice d’ogni giustificazione, cioè della nostra rigenerazione in Cristo, della nostra redenzione e della nostra presente ed eterna salute. «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (He 11,6). La fede è il primo nostro dovere; la fede è per noi questione di vita; la fede è il principio insostituibile del cristianesimo; è la fonte della carità; è il centro dell’unità; è la ragion d’essere fondamentale della nostra religione. E la seconda ragione è questa: perché oggi, contrariamente a ciò che dovrebbe succedere col progresso umano, la fede (diciamo l’adesione alla fede) è diventata più difficile. Filosoficamente, a causa della crescente contestazione alle leggi del pensiero speculativo, alla razionalità naturale, alla validità delle umane certezze; il dubbio, l’agnosticismo, il sofisma, la spregiudicatezza dell’assurdo, il rifiuto della logica e della metafisica, ecc., sconvolgono le menti dei moderni. Se il pensiero non è più rispettato nelle sue intrinseche esigenze razionali, anche la fede - che, ricordiamolo bene, esige la ragione; la supera, ma la esige - ne soffre; la fede non è fideismo, cioè credenza priva di basi razionali; non è soltanto ricerca crepuscolare di qualche esperienza religiosa; è possesso di verità, è certezza. «Se il tuo occhio è torbido, dice Gesù, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre» (Mt 6,23).


DEVIAZIONI ED ERRORI DEL NOSTRO TEMPO

Possiamo pur troppo aggiungere: l’atto di fede è diventato oggi più difficile anche psicologicamente. Oggi l’uomo conosce principalmente per via dei sensi; si parla di civiltà dell’immagine; ogni conoscenza è tradotta in figure e in segni; la realtà è misurata da ciò che si vede e da ciò che si ode; mentre la fede esige l’impiego della mente, la quale si rivolge in una sfera di realtà, che sfuggono alla osservazione sensibile. E diciamo inoltre che le difficoltà sorgono anche dagli studi filologici, esegetici, storici, applicati a quella prima fonte della verità rivelata, che è la sacra Scrittura: privo del complemento fornito dalla Tradizione e dell’autorevole assistenza del magistero ecclesiastico, anche lo studio della sola Bibbia è pieno di dubbi e di problemi, che più sconcertano che non confortino la fede; e lasciato all’iniziativa individuale, genera un pluralismo tale di opinioni da scuotere la fede nella sua soggettiva certezza, e da toglierle la sua sociale autorevolezza; così che una tale fede produce ostacoli all’unità dei credenti, mentre la fede deve essere la base della ideale e spirituale convergenza: una è la fede (Ep 4,5).

Parliamo con dolore; ma è così. Anche perché i rimedi, che da tante parti si cerca di apprestare alle moderne crisi di fede, sono spesso fallaci. V’è chi per ridare credito al contenuto della fede lo restringe ad alcune proposizioni basilari, che pensa siano l’autentico significato delle fonti del cristianesimo e della stessa sacra Scrittura: non è da dire quanto sia arbitrario, anche rivestito di apparenze scientifiche, e quanto disastroso un tale procedimento. Vi è chi invece, con criteri di uno sconcertante empirismo, si arroga di fare una selezione fra le molte verità insegnate dal nostro Credo, per respingere quelle che non piacciono, e per mantenerne alcune ritenute più gradevoli. E vi è poi chi cerca di adattare le dottrine della fede alla mentalità moderna, facendo spesso di questa mentalità, profana o spiritualista che sia, il metodo ed il metro del pensiero religioso: lo sforzo, ben degno per sé di lode e di comprensione, operato da questo sistema, di esprimere le verità della fede in termini accessibili al linguaggio e alla mentalità del nostro tempo, ha talora ceduto al desiderio d’un più facile successo, tacendo, temperando o alterando certi «dogmi difficili». Pericoloso, anche se doveroso, tentativo; e meritevole di favorevole accoglienza soltanto allorquando alla più accessibile presentazione della dottrina esso le conserva la sua sincera integrità; «Sia il vostro discorso, dice il Signore, si, si, no, no» (Mt 5,37 Jc 5,12), escludendo ogni ambiguità artificiosa.

CUSTODIRE E VIVERE IL MIRABILE DONO

Questa drammatica situazione della fede nei nostri giorni Ci fa pensare alla sapiente sentenza del Concilio: «La sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere» (Cost. Dei Verbum DV 10). Sta bene: per la fede oggettiva; cioè per sapere esattamente ciò che dobbiamo credere. Ma per la fede soggettiva, che cosa faremo, dopo d’aver ascoltato, studiato, meditato onestamente, assiduamente? avremo la fede?

Possiamo rispondere affermativamente, ma tenendo però sempre conto d’un aspetto fondamentale e, in un certo senso, tremendo della questione; e cioè che la fede è una grazia. «Non tutti, dice S. Paolo, ascoltano il Vangelo» (Rm 10,16). E allora, che sarà di noi? Saremo noi fra i fortunati che avranno il dono della fede? Sì, rispondiamo; ma è dono che bisogna avere prezioso, bisogna custodirlo, bisogna goderlo, bisogna viverlo. E per intanto bisogna implorarlo con la preghiera, come l’uomo del Vangelo: «Sì, credo, o Signore, ma Tu aiuta la mia incredulità» (Mc 9,24). Vogliamo, Figli carissimi, pregare, ad esempio, così:


PREGHIERA DEL PAPA PER CONSEGUIRE LA FEDE

Signore, io credo; io voglio credere in Te.

O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane;

O Signore, fa’ che la mia fede sia libera; cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri ch’essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, O Signore;

O Signore, fa’ che la mia fede sia certa; certa d’una esteriore congruenza di prove e d’un’interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa d’una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante;

O Signore, fa’ che la mia fede sia forte, non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce, non tema le avversità di chi la discute; la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione, con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso;

O Signore, fa’ che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua ricerca, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia umile e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del magistero della santa Chiesa. Amen.

E si concluda così, anche per Noi, per voi tutti, l’Anno della Fede, con la Nostra Benedizione Apostolica.


PATERNO SALUTO ALLE RELIGIOSE CAPITOLARI DI VARI ISTITUTI

Ci sentiamo ora, ora, particolarmente obbligati verso i cinque gruppi di Religiose, che, in rappresentanza di altrettante Congregazioni femminili, partecipano ai loro Capitoli Generali Speciali per l’aggiornamento delle rispettive Costituzioni, alla luce e nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II: le Suore Mercedarie; le Suore Francescane dei Poveri; le Figlie del Divino Zelo; le Suore Trinitarie di Valance; e, infine, le Suore Francescane Missionarie di Maria Ausiliatrice.

Dilette Figlie in Gesù Cristo.

La vostra presenza, la vostra missione, la vostra consacrazione alla Chiesa e alle anime meriterebbero una ben più cospicua distinzione di quanto Ci possa permettere lo scarso tempo a disposizione. Ma siamo lieti di ricevervi qui, perché possiamo indicarvi anzitutto all’ammirazione e alla gratitudine di questa assemblea, per il servizio, umile, generoso, sacrificato, che voi date alla comunità cristiana, spendendo la vita nel silenzio e nella mortificazione per amore di Cristo, per comunicare al mondo, nelle varie forme dell’azione e della contemplazione, la salvezza da Lui operata sulla Croce. I fedeli debbono esservi grati per la vostra testimonianza di fedeltà ai consigli evangelici, che il Concilio ha luminosamente delineata come «un segno che può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana, poiché . . . lo stato religioso, che rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, meglio anche manifesta a tutti i credenti i beni celesti già presenti in questo mondo, testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione di Cristo, e preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste» (Lumen gentium LG 44).

Se i fedeli guardano a voi, voi dovete per parte vostra sforzarvi di aderire sempre più fedelmente alla vostra alta vocazione: e che tale sia il vostro impegno, lo dimostrano i lavori capitolari, ai quali state attendendo per dare alle singole Congregazioni quello slancio di rinnovamento, nella fisionomia propria di ciascuna di esse, che il Concilio ha loro richiesto, per adempiere con sempre maggiore fecondità il servizio, a cui sono chiamate nella Chiesa, Noi confidiamo che le norme del Concilio, e le paterne esortazioni che Noi stessi abbiamo di recente rivolte ai Capitolari di Ordini Religiosi maschili, vi siano di luce nel momento che state vivendo, in sintonia di propositi e in operoso fervore di intenti. Vi assista lo Spirito di Cristo, facendovi sempre più sue; vi guidi la Vergine Maria, vostro ideale e modello di religione verso Dio e di donazione al prossimo; vi incoraggi la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a tutte le vostre Consorelle, sparse nel mondo.


UNO SPECIALE CONVEGNO DI ASSISTENTI SPIRITUALI

Salutiamo con particolare riguardo i sacerdoti e i religiosi incaricati dell’assistenza alle Suore d’Italia, che hanno celebrato a Roma in questi giorni il loro primo Convegno Nazionale.

L’occasione Ci è propizia, diletti Figli, per dirvi la stima e la riconoscenza che nutriamo verso di voi, e le speranze che la Chiesa ripone nella vostra opera.

È un apostolato, il vostro, che non è appariscente, non fa rumore, ma si svolge per lo più nel nascondimento e nel segreto delle coscienze. Non tutti perciò sanno comprenderlo e stimarlo nel suo giusto valore. Ma basta solamente pensare al posto eminente che le anime consacrate occupano nel Corpo Mistico, basta avere presente il capitale spirituale di fede, di pietà, di zelo e di dedizione, che gli Istituti Religiosi femminili rappresentano nella Chiesa, per capire quanto sia importante e urgente un’adeguata assistenza di queste anime da parte di sacerdoti esperti che apprezzino ed amino la vita consacrata.

Non per nulla, il Concilio Vaticano II così esorta i sacerdoti: «Ricordino i Presbiteri che i Religiosi tutti - sia uomini che donne - formano una parte di speciale dignità nella casa del Signore, e meritano quindi particolare attenzione, affinché progrediscano sempre nella perfezione per il bene di tutta la Chiesa» (Decr. Presbyterorum ordinis PO 6).

Oggi, poi, i fermenti di rinnovamento portati dal Concilio propongono questo problema in termini non solo di maggiore urgenza, ma anche di qualificazione, per un più sicuro orientamento sia in campo dottrinale che in quello apostolico.

Di qui l’esigenza che voi avete sentito di questo vostro primo incontro nazionale, per uno scambio di idee e di esperienze e per avviare un dialogo fraterno fra quanti assolvono questa delicata missione.

Esprimiamo a questo riguardo il Nostro paterno compiacimento, e di cuore preghiamo il Signore che alle vostre fatiche faccia seguire un maggiore slancio, fra tutte le Religiose d’Italia, nell’esercizio coraggioso e costante della virtù e nella dedizione generosa verso le anime.

A questo auspicio volentieri aggiungiamo la Nostra Apostolica Benedizione.



A visitatori provenienti dalla Cecoslovacchia

Un saluto speciale Noi rivolgiamo ai visitatori provenienti dalla Cecoslovacchia, di cui seguiamo, in questo periodo, le vicende con cordiale e beneaugurante interesse, ben sapendo come esse tocchino profondamente l’anima del Popolo e lo rendano più cosciente delle sue tradizioni, più forte nella sua interiore unità, più pronto ad ogni civile e spirituale incremento.



Questo incontro Ci offre propizia occasione per esprimere i Nostri voti di prosperità e di pace nel cinquantesimo anniversario dell’indipendenza della Repubblica Cecoslovacca, e per accompagnare con i migliori auguri la riforma costituzionale che dà allo Stato Cecoslovacco la forma federativa, promovendo così una più fraterna e feconda unione delle due Popolazioni, che compongono un unico ed organico Paese. Possa questo avvenimento giovare allo sviluppo e alla concordia di tutta la .Nazione e dare alla sua vita moderna un’operante coerenza alla sua storia, alla sua fede e alla sua cultura.

Artistico complesso musicale di Lisbona

Queremos dizer agora urm palavra ao Grupo da Fundação «Calouste Gulbenkian», na bela língua portuguesa.

Durante a presente «tournée» artística, viestes aqui, dilectos Filhos, para testemunhar a vossa fé e render homenagem ao Vigário de Cristo. Com afecto vos saudamos: Sêde bem-vindos!

A vossa presença é um gesto de deferente delicadeza de alma, que Nos apraz sublinhar. É-Nos grado também exprimir a Nossa complacência, pela obra benemérita que a Fundação que representais, de algum modo, vem a desenvolver, em favor da educação, da cultura e da arte e no campo da beneficência.

Conhecemos a sua história, breve nos anos, mas densa de significado, pelas benemerências feitas, numa quantidade e dum modo digno de louvor, que honra a memória do magnânimo Fundador, para sempre ligada ao seu gesto humanitário de generosidade.

Equacionada por princípios sadios, ela parece ir mesmo beber e inspirar-se nas raizes escondidas, humilde e silenciosas da caridade e no espírito salutar do Evangelho de Cristo. Não dizemos isto para Ihe atribuir um carácter confessional ou religioso, que sabemos não ter; simplesmente, para congratular-Nos com todos os que têm mérito no conceber, promover e estender os seus benefícios; e para augurarlhes que possam continuar, com os aperfeicoamentos, sempre possíveis nas coisas humanas.

Uma palavra ainda, aos componentes da embaixada artística, palavra de simpatia, a que juntamos um voto: que a mensagem de beleza, de elevação e de serenidade, que pela vossa arte procurais transmitir aos homens, hoje tão passíveis de aridez de frieza e de crises, lhes proporcione a harmonia interior, feita da graça e da luz de Deus e da paz de consciência.

Para corroborar estes Nossos votos, de bom grado vos damos uma especial Bênçã Apostólica, extensiva a todos os vossos entes queridos.



Mercoledì, 6 novembre 1968 CORDIALI SENTIMENTI PER LE POPOLAZIONI DEL PIEMONTE

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Diletti Figli e Figlie!

La sciagura, che ha colpito in questi giorni una parte fertile, laboriosa e fiorente del Piemonte, trattiene la Nostra attenzione, ed obbliga l’animo Nostro, anche in questa sede, ad esprimere i Nostri sentimenti di profonda e paterna commiserazione, ben sapendo di essere in perfetta sintonia col dolore delle popolazioni afflitte da tanta disgrazia, con la compassione vostra e di quanti sentono ripercuotersi nel loro cuore la gravità dell’improvviso avvenimento devastatore. Ancora una volta siamo tutti partecipi d’una sofferenza comune, che da locale si estende all’intera nazione italiana, e trova consenziente la pubblica sensibilità oltre ogni confine geografico.

A vero dire, il carattere universale della Nostra missione procura frequentemente a Noi questo dovere di condividere la pena di calamità, di cui soffrono località e popolazioni lontane; la lontananza non esiste per Noi; e Noi sentiamo con sempre acuta vivacità la passione di sventure remote, come di quelle vicine; e per tutte vorremmo Ci bastasse il cuore ad accoglierle ed a consolarle, come i mezzi per soccorrerle, almeno col segno se non con l’efficacia della Nostra carità. Il mondo è sempre pieno di disgrazie e di tribolazioni; e Noi sperimentiamo che una delle caratteristiche del Nostro ministero pontificio è proprio quella della comunione con tutti i dolori dell’umanità. Ma è naturale ed è doveroso che, dove la sofferenza è più grave e più prossima, la Nostra pietà sia più commossa e più sollecita.



ENCOMIABILI SOLLECITUDINI DI GENEROSA ASSISTENZA

Perciò vogliamo anche pubblicamente attestare la Nostra afflizione per il presente disastro, per comune conforto, per comune stimolo ad ogni possibile soccorso, per comune ammonimento a bene soffrire, a bene operare, a bene sperare. Vada dunque il Nostro affettuoso e benedicente saluto alla provata gente piemontese; vada alle famiglie colpite dalla perdita dei loro cari l’espressione del Nostro vivo e cristiano cordoglio; vada alle vittime travolte dalla morte lo spirituale soccorso dei Nostri suffragi; vada alle Autorità, subito sollecite di apportare aiuto e rimedio a così repentina e sconvolgente catastrofe, la espressione del Nostro compiacimento e del Nostro incoraggiamento; vada ai volonterosi uomini ed Enti, che con generosa e audace prontezza si prodigano a prestare i non facili servizi richiesti dalla triste situazione; vada ai giovani specialmente, che, anche in questa funesta occasione, hanno volontariamente offerto la vigorosa ed ordinata opera loro; e vada al Nostro diletto Clero Piemontese l’encomio e lo stimolo per la carità di azione pratica e di spirituale ministero dispiegata in questa luttuosa circostanza. La modesta, ma cordiale Nostra cooperazione, mediante la Pontificia Opera di Assistenza, e mediante qualche Nostro umile contributo, forse più simbolico che reale dinanzi alle proporzioni dei bisogni, inviato ai Vescovi delle Diocesi maggiormente danneggiate, dica la sincerità del Nostro sentimento e della Nostra paterna presenza.

Questo particolare riferimento al suddetto doloroso avvenimento ci richiama ad un insegnamento fondamentale della nostra educazione cristiana, quello che assume diversi nomi, come quello caro agli antichi di pietà, di commiserazione, di clemenza (cfr. Seneca, De clementia, II), o quello più comune di compassione, di condoglianza e oggi tanto usato di solidarietà, per tutti confluire in quello immensamente largo e significativo di carità.

IL CONCETTO DI SOLIDARIETÀ NEL MONDO MODERNO

Non sia vano per noi trarre motivo dalla presente amara con giuntura per una riflessione d’indole generale sul progresso del concetto di solidarietà nel mondo moderno. Qualcuno ricorderà il discredito della parola e del sentimento della compassione (Mideid), diffuso dalle ideologie dominanti all’origine dell’ultima guerra mondiale; e tutti .possiamo invece compiacerci, come d’un vero progresso dell’umanità, osservando che oggi il mondo è diventato molto sensibile alla solidarietà, per quanto assai variamente interpretata e applicata, che unisce gli uomini fra loro. La solidarietà è il cemento che stringe le società moderne, siano esse particolari, che nazionali e internazionali. E ciò che stupisce favorevolmente è l’osservare che ancor prima su l’identità di natura la solidarietà si fonda ordinariamente sopra un male altrui considerato comune, in realtà 0 in potenza; si basa cioè sopra un bisogno comune, sopra una condizione comune di pericolo, o di interesse, o di sofferenza. Il dolore, più che il piacere, è diventato unitivo. Nessuno oggi si vergogna di nutrire sentimenti di compassione per chi è nel dolore, nella indigenza, nell’incapacità di sopperire a se stesso, di vivere e sopravvivere; anzi i grandi ideali operativi del mondo moderno si gloriano di muoversi da un senso di rispetto e di giustizia verso l’ammalato, verso l’affamato, verso il povero, verso il sottosviluppato, verso l’uomo insomma privo della sufficienza di mezzi alla vita e della pienezza di diritti, che l’eguaglianza di natura e la comunanza di destini dovrebbero assicurare ad ogni essere umano e ad ogni gruppo familiare o sociale legittimamente costituito.


I MERITI EVIDENTI DEL CATTOLICESIMO

Questa generale disposizione dello spirito moderno e dell’opinione pubblica è molto lodevole e promettente. Essa lascia bene sperare dell’avvenire dell’umanità; e noi dobbiamo, come cristiani, farla nostra e favorirla. Si potrebbe fare uno studio sull’influsso che il cristianesimo ha avuto e tuttora esercita sopra il progresso del sentimento e del costume della solidarietà umana. Ma lasciamo questo studio alle indagini dei dotti. Del resto a noi deve premere di più che la solidarietà umana si allarghi, si sviluppi, si fortifichi, che non di identificare i meriti specifici della nostra religione a tale riguardo. A noi basterà osservare sommariamente che il concetto universale della natura e del destino umano, dal quale concetto nasce quello della più larga solidarietà, sia concetto tipicamente cristiano, e che a farlo capire, a suffragarlo di motivi superiori e inoppugnabili, ad applicarlo con la fecondità e con l’efficacia che solo la carità può generare, è il cristianesimo.

Il cristianesimo nella sua espressione prima e genuina, cioè il cattolicesimo. Chi sa cogliere le idee informatrici del recente Concilio non dura fatica ad avvertire il ricorrente pensiero della comunione fra gli uomini, sia che si parli del vincolo comunitario che unisce i fedeli, sia che lo si estenda in più larghe applicazioni alle realtà e alle speranze ecumeniche, e sia infine che si consideri il rapporto esistente e dinamico fra la Chiesa ed il mondo. Tutti ricordiamo l’inizio della grande Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo, magnifico preludio d’un concerto che la storia presente e futura farà risuonare nei nomi benedetti di servizio, di collaborazione, di fratellanza e di pace. Ecco come si apre la solenne e magnifica parola conciliare: «Gaudium et spes», cioè: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le sofferenze degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di quanti sono nell’afflizione, sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le sofferenze dei seguaci di Cristo; e nulla vi è di genuinamente umano, che non trovi eco nel loro cuore».

PERENNE TESTIMONIANZA DI CARITÀ

Dobbiamo approfondire questa lezione della Chiesa nei nostri animi, specialmente dove e quando le condizioni dell’umano consorzio sono nel bisogno e nella sofferenza; e dobbiamo dare al mondo la testimonianza della carità propria della Chiesa, cioè della presenza continuata ed operante di Cristo sulla terra, con la nostra sincera solidarietà. Solidarietà di sentimenti, condividendo la sofferenza e l’attesa del prossimo; solidarietà di servizio, offrendo adesione, opera ed obolo alle iniziative benefiche, che sono in atto, vicine o lontane che siano; solidarietà di spirito, confortando con affettuosa e virile gentilezza i deboli ed i bisognosi ed invocando l’intervento misterioso, ma reale e sovranamente efficace di quella Provvidenza che sa convertire anche i nostri mali a nostro superiore vantaggio, e disporre le vie per i migliori e spesso imprevisti soccorsi e conforti.

Facciamone anche noi l’esperienza dimostrando come la nostra fede sappia operare mediante la carità (
Ga 5,6). Con la Nostra Benedizione Apostolica.





Paolo VI Catechesi 23108