Paolo VI Catechesi 13118

Mercoledì, 13 novembre 1968 PIENEZZA DI AFFERMAZIONE DELLA NOSTRA FEDE

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Diletti Figli e Figlie!

Permettete che noi vi facciamo una domanda: sapete dove siete? Voi siete venuti in un mondo specialissimo, non tanto per il quadro esteriore, che vi accoglie e vi circonda; e non tanto per l’incontro che qui si compie con la Nostra umana e esigua persona; quanto per la singolarità eccezionale del fatto che qui vi è dato di considerare, il fatto cioè che qui si afferma, non solo la possibilità, ma la realtà del vero, del vivo, del salutare, e, in un dato senso, dell’unico rapporto con Dio. Qui la religione, che noi professiamo e che noi riteniamo valida, ha la sua espressione centrale, sociale e autentica. Qui la nostra fede ha la sua affermazione più piena e più salda. Qui Dio è conosciuto. Qui Dio è amato. Qui Dio è presente. Perché qui è la Chiesa nel suo cuore; qui è Cristo nella sua operante potestà salvatrice. Oh! non diciamo che questa presenza sia qui esclusiva; né che qui sia perfetta per virtù di uomini, o di cose; diciamo che qui le ragioni storiche, istituzionali, concrete, umane, ed anche mistiche e carismatiche, proprie della Chiesa, raggiungono una loro pienezza, una loro intensità, che per chi vi crede provocano l’emozione della meraviglia e del gaudio; per chi non vi credesse quelle ragioni stesse prendono l’aspetto d’uno strano, temerario fenomeno, difficilmente definibile e facilmente disprezzabile, ma sempre impressionante.

UNA CONTRARIETÀ VIOLENTA E SACRILEGA

Fermiamo un istante l’attenzione sopra una sola osservazione: qui Dio è di casa. Vengono alla memoria le parole della Genesi:

«Quanto è terribile questo luogo! Altro non è che la casa di Dio e la porta del cielo» (
Gn 28,17). Cioè qui tutto parla di quel Dio, che fuori, nel mondo profano, specialmente in un certo settore eccentrico e agitato del pensiero moderno, si dice che sia morto. Nessuna contraddizione è più violenta e sacrilega che quella scoppiante fra questi due termini: Dio e la morte, se essi si considerano nel loro significato oggettivo: l’Essere e il nulla, la Vita e la sua negazione, l’Assoluto e l’assurdo, il Necessario e l’inconsistente, la Verità e la sua vanificazione, la Felicità e la disperazione. Ma sappiamo che questo «slogan» infelice si applica nel linguaggio culturale al suo significato soggettivo, cioè al pensiero dell’uomo, che non sa più dare un senso, un valore al nome ineffabile di Dio. Dio sarebbe morto nella mentalità dell’uomo. Non è il sole che si è spento; è l’occhio dell’uomo che si è ottenebrato.

L’indifferenza religiosa è di moda. La secolarizzazione è ammessa da molti, come un procedimento del pensiero, il quale trova in se stesso e nella conoscenza delle cose una autonomia, che lo dispensa dal riferirsi ad un Principio superiore e trascendente, chiamato Dio. La metafisica, si dice, è finita. L’ateismo si fa scudo della scienza per affermarsi come una liberazione, come una conquista. La conoscenza di Dio, si sostiene, è impossibile; per di più è inutile; anzi nociva (cfr. MARLÉ, Etudes, novembre 1968). L’uomo moderno non sembra più capace di pensare a Dio; e crede di poter meglio organizzare la propria vita e quella della convivenza umana trascurando, tacendo, negando il nome di Dio. Forse non si osa dire da tutti che Dio non è morto in Se stesso; ma si dimostra che è morto nel pensiero, nella psicologia, nel bisogno dell’uomo. Bisogna leggere quanto il Concilio c’insegna sopra questa assenza del pensiero di Dio, della fede in Dio nell’uomo moderno: pagina grave, densa e dolorosa (Gaudium et spes GS 19 GS 20). L’ateismo contemporaneo, scrive un noto teologo, si presenta come un’ermeneutica, una spiegazione finale, secondo i casi, trionfale, o disperato, o sereno; sia che praticamente propenda verso il collettivismo, o l’anarchia, sia che metta l’assoluto nell’uomo, o nella natura, o che respinga ogni assoluto; . . . sia che si arroghi la funzione di rivelatore del senso profondo dei problemi (cfr. DE LUBAC, Athéisme et sens de l’homme, 30-31).


LA CHIESA SEMPRE ACCLAMA CON CERTEZZA LA PRESENZA DI DIO

Vi diciamo queste cose, perché sono nell’aria che oggi tutti respirano, e perché possiate avvertire il paradosso che voi incontrate là dove la Chiesa, a qualsiasi livello della sua autenticità, e qui in modo più caratteristico e rappresentativo, si attesta, e dove non esita ad affermare, ieri come oggi, che per lei Dio non è morto, e continua impavida e felice a testimoniare, a proclamare, con Pietro, il Cristo Figlio del Dio vivente, e a celebrare con beata certezza la gloria di Dio.

Vi è chi trova strana questa superstite voce, così da presagire ch’essa non durerà, ovvero ch’essa si uniformerà alle equivoche teologie della incredulità moderna, del Post-cristianesimo, di certo nichilismo filosofico contemporaneo. Per grazia del Signore, che fiancheggia la sua Chiesa nei secoli, non è questa infausta profezia che ci spaventa, anche se si dovesse compiere in una certa parte dell’umanità, infedele alla sua vocazione di verità e di vita.

DISPORRE GLI UOMINI AD ACCOGLIERE LA REALTÀ DIVINA

Ciò che ci dà pensiero è la cresciuta difficoltà di comunicare agli uomini il nostro messaggio religioso. Sotto certi aspetti, di grande importanza e di grande estensione nella psicologia moderna, oggi l’uomo è meno disponibile all’idea e alla vita religiosa di quanto ieri non -fosse. Non è la Realtà divina ch’è venuta meno; è la mentalità umana che oggi è meno idonea a coglierne le irradiazioni e le voci. L’uomo moderno ha più dell’antico il bisogno e la capacità di venire a contatto col mistero di Dio, ma ha meno dell’antico la facilità ad incontrare e ad ammettere questo necessario e ineluttabile mistero, perché ha allargato lo spazio di studio e d’osservazione alla sua intelligenza, ha immensamente esteso il campo della sua esperienza sensibile; ed è perciò tentato di sentirsi pago di ciò che egli conosce scientificamente e sensibilmente, anche se questo dilatato e immenso dominio del pensiero e della sensibilità, a un dato momento decisivo per la coscienza umana, accresce, per le esigenze intrinseche della sua realtà e per i margini .problematici dei suoi allargati confini, l’ansia e lo spasimo verso una conoscenza e una esperienza suprema, indarno calmati da raffinati sedativi dello scetticismo filosofico, morale e letterario.

Ma allora, voi Ci chiederete, esiste uno scontro irriducibile fra l’insegnamento religioso della Chiesa e il mondo incredulo contemporaneo, fra l’affermazione perenne ed invitta, ch’ella ci offre, di Dio, e il dubbio e la negazione religiosa del nostro secolo? fra la credenza, razionale o rivelata, in Dio e l’ateismo, teorico o pratico che sia, del nostro tempo? Nelle dottrine, sì; la contraddizione, o forse più esattamente la contrarietà, esiste; ed è su questa opposizione che si svolge oggi il dramma spirituale, e quindi anche storico e politico del nostro tempo. Le dottrine sono inconciliabili, per se stesse; le ideologie, come oggi si dice, sono radicalmente differenziate. Ma la verità, quando è integra e compresa, è una; cioè la discussione - il dialogo - è possibile; l’evoluzione delle idee false e incomplete è nella logica interna delle idee stesse e nell’esigenza profonda degli spiriti che le professano.


LA NOSTRA VITA È VIGILIA DI LUCE PIENA

Ma qui, Figli carissimi - figli della luce, tutti vi vogliamo chiamare, figli del giorno, non della notte e delle tenebre, come dice San Paolo (1Th 5,5) - una verità elementare, e fondamentale, è da ricordare: Dio è nascosto (cfr. Is 45,15). Molti segni, molte vie, molte voci, molti stimoli ci parlano e ci conducono alle soglie della sua ineffabile Realtà; ma è pur vero che noi, in questa vita presente, lo vediamo di riflesso, nel mistero, «per speculum in aenigmate» (1Co 13,12); la conoscenza razionale che possiamo avere di Dio è per via di dimostrazione, il che comporta una disciplina semplice, ma rigorosa del pensiero, e non Lo raggiunge che negando i limiti e sublimando le nozioni delle perfezioni create che a Lui possiamo applicare; quella poi per fede è più piena, più sicura, più viva, ma ancora priva della visione diretta e beatificante, che un giorno speriamo avere della sua infinita Verità. Dio tace, dice la letteratura contemporanea (cfr. Moeller, Lett. mod. e cristian., vol. I); tace al nostro orecchio naturale; ma per farsi cercare e ascoltare per altri mezzi.

E allora un primo dovere ci coglie, quello di godere della conoscenza che già abbiamo di Dio, e un secondo: quello di cercarlo; di cercarlo appassionatamente, dove, come e quando Egli si lascia incontrare. È questo il senso profondo della nostra vita presente, una vigilia che spia e attende la luce. A questo vi disponga la Nostra Benedizione Apostolica.






Mercoledì, 20 novembre 1968 L’ANSIA MUOVE OGNI ATTIVITÀ DEL NOSTRO TEMPO

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Diletti Figli e Figlie!

Ascoltate questa semplice e sbalorditiva parola: dobbiamo cercare Iddio! Cercarlo, perché? Oh! come sarebbe lungo rispondere bene a questa domanda! Dovremmo innanzi tutto riflettere sul fatto fondamentale che la vita è una ricerca: tutti gli uomini sono dei ricercatori di qualche cosa. L’amore, che qualifica e riempie la vita dell’uomo, è una ricerca. La vita è qualificata, definita e misurata da ciò che ricerca. Oggi l’uomo più che mai è alla ricerca di cose nuove, di pienezza nuova. L’ansia, che caratterizza l’attività del nostro tempo, non è che una ricerca diventata assorbente, febbrile, sempre più interessante, più feconda, e insieme più problematica, più faticosa e spesso più sconfortata e delusa. Cercare, cercare, è il programma della cultura, della scienza, del lavoro, della politica. Più si trova, e più si cerca. Più si è trovato, più si desidera e si spera trovare. È segno che manca sempre qualche cosa all’uomo, se sempre vuole e deve cercare. Nulla gli basta. Avesse tutto, cercherebbe ancora, perché l’uomo è così: deve crescere, deve conquistare, deve dilatarsi continuamente. Anche se la saggezza lo persuade a «del poco esser contento» (Manzoni) nel possesso di alcuni beni, ciò insegna per disporlo a desiderare e possedere beni superiori, quelli dello spirito, ad esempio.


«SINE FINE QUAERENDUS QUIA SINE FINE AMANDUS»

Ma Noi ora diciamo: dobbiamo cercare Iddio! E la prima ragione è estremamente ovvia. Perché Egli è nascosto. «Dio non è un’invenzione, è una scoperta» (Zundel, Recherche du Dieu inconnu, 7). San Paolo, nel suo celebre discorso all’areopago di Atene, deriva la sua argomentazione dal «Dio ignoto» (
Ac 17,23). Non potremmo, discepoli di Cristo e alunni della Chiesa maestra, pretendere di conoscere già, e quanto!, il nome, il mistero, la realtà del Dio vivente? Sì e no: questo è importante. Dobbiamo essere felici della scienza immensa, luminosa, beatificante che la nostra dottrina religiosa ci offre sull’ineffabile nome di Dio; ma dobbiamo sempre ricordare che è assai più ciò che noi ignoriamo di Dio di ciò che noi di Lui conosciamo. Con la sola nostra mente solo ci possiamo unire a Dio come ad Essere ignoto, e «mentre arriviamo a sapere ciò che Dio non è - c’insegna San Tommaso -, ciò che Egli sia nella sua intima essenza ci resta del tutto sconosciuto» (Contra Gentes, SCG 3,49); e per di più un Concilio Ecumenico (il Lateranense quarto - cfr. Denz.-Sch., DS 806 - ohm 432) ci ricorda «che fra il Creatore e la creatura non si può stabilire una somiglianza senza avvertire che maggiore è la dissomiglianza». Dio è sempre da cercare; Dio è sempre da scoprire: senza fine è da cercare, perché senza fine è da amare, «sine fine quaerendus, quia sine fine amandus»; anzi: «amore crescente inquisitio crescat inventi»: crescendo l’amore, cresca anche la ricerca di Colui che s’è trovato, dice sempre fiammante Sant’Agostino (Enarr. in PS 104,3 P.L. 37,1392).


L'OBIEZIONE DELLA MENTALITÀ CONTEMPORANEA

Ma noi, uomini, d’oggi, facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? un Dio così nascosto? non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre facoltà conoscitive? la scienza, la psicologia? cioè il mondo e l’uomo? È questa la grande obiezione della mentalità contemporanea, ch’è tutta protesa verso conoscenze razionali e sperimentali, e crede che queste bastino alla ricerca affamata dello spirito umano; anzi crede che occorra decisamente fissare questo limite al pensiero e alla esperienza dell’uomo moderno; e questo si può anche ammettere come criterio metodico applicato ad un determinato impiego della mente umana purché esso non rinchiuda l’orizzonte a più vasta, più profonda e doverosa ricerca; ce lo insegna più volte il Concilio (cfr. Gaudium et spes GS 36 GS 59 GS 19; Apostolicam actuositatem AA 7 etc.). Ma questo criterio, che stabilisce l’ambito proprio della ragione naturale, si afferma nella nostra cultura, teorica e pratica, con pretese eccessive, perché erige in dogmi negativi le sue prerogative legittime; e facilmente sbarra il progresso della ricerca, e fa della così detta secolarizzazione un secolarismo, dell’attività laica un laicismo, della scienza critica e positiva una demitizzazione sistematica e un neo-positivismo con tendenze puramente fenomenologiche (cfr. lo strutturalismo), dello studio profano un’aggressiva desacralizzazione; cioè tende a ridurre l’area della cultura entro i confini delle possibilità utili e pratiche, a togliere da ogni campo del sapere e dell’azione dell’uomo il pensiero di Dio, a chiudere gli occhi sul mistero della sua incombente e insopprimibile Realtà, a fiaccare lo sforzo «religioso», a impedire il processo ascensionale dello spirito e a placare le native e profonde aspirazioni dell’uomo con inadeguate risposte, limitandogli l’orizzonte alle cose esterne e sensibili, al livello pur degno, ma chiuso e insufficiente dei beni temporali, illudendolo così con precarie e insufficienti felicità.

Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle sue supreme facoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio; è fatto per Lui; e ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine, e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, alla piena verità, che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La così detta «morte di Dio» si risolve nella morte dell’uomo.


CON LE SUE SUPREME FACOLTÀ L'UOMO È FATTO PER IDDIO

Non siamo Noi soli ad affermare una così triste verità. Ecco una testimonianza che è stata lasciata da un coltissimo scrittore d’avanguardia e infelicissimo tipo della cultura moderna (Klaus Mann, figlio di Thomas). Egli scriveva: «Non vi è speranza. Noi intellettuali, traditori o vittime, faremmo bene a riconoscere la nostra situazione come assolutamente disperata. Perché dovremmo farci delle illusioni? Siamo perduti! siamo vinti! La voce che pronunciò queste parole - prosegue la testimonianza -, una voce un tantino velata, ma pura, armoniosa e stranamente suggestiva, era quella di uno studente di filosofia e di letteratura, con cui mi incontrai per caso nella antica città universitaria di Upsala. Ciò che aveva da dire era interessante, ed era comunque caratteristico: ho sentito analoghe dichiarazioni di intellettuali in ogni punto d’Europa . . . E disse con una voce non più del tutto sicura: Dovremmo abbandonarci alla disperazione assoluta . . .» (Il Ponte, 1949, 1463-1464).


PENSIAMO AL SIGNORE!

Figli carissimi, per noi no, non è così. La ricerca non è né arrestata dalle concezioni materialistiche, o agnostiche della mentalità contemporanea, né delusa dalla sua sempre incompleta soddisfazione. Per noi è sempre doverosa e fruttuosa. La ragione, sorretta dalla fede, e la fede dalla grazia, camminano senza posa verso il Dio invisibile (cfr. S. Agostino, De videndo Deo , Ep 147 P.L. 33,596 ss. ); e questo cammino è polarizzato, in tante diverse maniere, verso la meta centrale della nostra vocazione umana e cristiana (cfr. S. Benedetto: si vere Deum quaerit . . . Reg. 58); ed anche in questo continuo e faticoso nostro itinerario verso la Verità, ch’è la Vita, la ricerca ha un suo dinamismo, che la ristora e la rinfranca, per la felicità della incipiente scoperta: «Si cerca Dio - dice ancora S. Agostino - per trovarlo più dolcemente, e lo si trova per cercarlo ancora più avidamente: quaeritur ut inveniatur dulcius, et invenitur ut quaevatur avidius» (De Trin. 15, 2; P.L. 42, 1058).

Ma come si fa?, voi Ci chiederete. Oh, il discorso si fa ancora più difficile e più lungo! Ci si potrà forse ritornare; ma non adesso. Ora vi basti un monito, che fece a Noi grata e grave impressione, quando lo leggemmo, or sono non pochi anni, in una fotografia di un’affollatissima via d’una grande città olandese; uno striscione, sospeso sopra il traffico febbrile della strada, da una casa all’altra di fronte, portava, a grandi caratteri, queste parole: pensate a Dio. Strano questo richiamo calato nel movimento .affaccendato e profano della vita moderna; ma sapiente. Pensiamo a Dio! Egli è sempre vicino. Noi ne abbiamo sempre bisogno. L’incontro, conturbante e felice, è sempre possibile: sì, pensiamo a Dio. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Sacerdoti e Religiosi in partenza per il sud America

Uno speciale saluto vogliamo rivolgere al gruppo di sacerdoti, religiose e religiosi italiani, i quali, in procinto di partire per l’America Latina, hanno partecipato al corso di preparazione promosso dal Comitato Episcopale Italiano per l’America Latina.

È sempre una gioia per Noi incontrarci coi Nostri cari missionari. Li consideriamo come i figli più generosi, i più vicini al Nostro cuore. Ma la vostra visita, diletti figli, aggiunge una nota che rende ancor più gradita a Noi la vostra presenza: la destinazione vostra al lavoro missionario nell’America Latina. Ciò ridesta in Noi l’emozione soavissima che Ci ha lasciato nell’animo il Nostro recente viaggio in quel continente benedetto da Dio; e nello stesso tempo richiama alla mente i gravi ed urgenti problemi che la Chiesa deve affrontare in quelle regioni, per salvaguardare e sviluppare sempre più un patrimonio inestimabile di fede e di civiltà cristiana.

Dando vita a un organismo che ha Io scopo di occuparsi di questi problemi, le Diocesi e gli Istituti Religiosi italiani hanno dimostrato un senso di responsabilità che fa onore a loro in quest’ora storica della Chiesa. Ci rallegriamo volentieri coi promotori di questa benemerita iniziativa, e Ci auguriamo che così magnifico esempio di carità e comunione ecclesiale apporti in abbondanza i desiderati frutti.

Ma in modo particolare Ci rallegriamo con voi, figli dilettissimi, per la risposta pronta e generosa che avete dato alla voce delle anime imploranti aiuto. Una raccomandazione vorremmo affidare alla vostra riflessione. In mezzo ai rischi dell’eccessivo attivismo e della secolarizzazione a cui sono esposte oggi più che mai le anime consacrate nello svolgimento delle loro attività apostoliche, occupino sempre il primo posto l’unione con Dio, la cura della vita interiore, il ricorso alla preghiera. Diversamente, si disperderebbero energie preziose e si comprometterebbe l’efficacia dei programmi pastorali anche più sapientemente studiati ed elaborati. A questo scopo Noi pregheremo il Signore affinché vi assista continuamente e voglia fecondare le vostre fatiche e i vostri propositi; e in pegno delle celesti grazie vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

I Rettori dei Santuari d’Italia

Rivolgiamo ora un fervido saluto ai Presuli, ai Sacerdoti e Religiosi, Rettori dei Santuari d’Italia, che partecipano al loro IV Convegno Nazionale. La vostra presenza porta qui il ricordo, tenerissimo e pio, dei numerosi Santuari, che, in ogni regione italiana, si ergono a testimonianza singolare delle celesti predilezioni e di eventi taumaturgici, richiamando folle di fedeli, che là si rinnovano interiormente nella preghiera e nella penitenza, nell’incontro vivo con Cristo eucaristico. Vi incoraggiamo paternamente nello sforzo che state compiendo - di cui è prova tanto confortante il seguito dei vostri Congressi - di inserire l’attività, organizzata nei vostri Santuari, in un piano sempre più vasto e organico di ministero pastorale efficiente e comunitario, nelle odierne condizioni della vita sociale. Sappiate essere i preziosi collaboratori dei Vescovi nel dovere, oggi necessario e urgente, di una completa formazione cristiana delle coscienze; e sappiate essere i preziosi strumenti della grazia per l’opera che silenziosamente si svolge nel segreto delle anime, disponendo di ogni mezzo, che avete a disposizione, per il conseguimento di finalità tanto importanti.

Vi assistano e illuminino i vostri santi titolari, e soprattutto la Vergine Maria, che dai suoi innumeri templi continua a chiamare i suoi figli all’effettiva metanoia cristiana. E mentre vi chiediamo altresì di far ricordare le Nostre intenzioni presso quei luoghi di intensa pietà, di cuore vi impartiamo la Nostra particolare Apostolica Benedizione, che estendiamo ai vostri collaboratori, e alle opere legate ai singoli Santuari d’Italia.

L’apostolato della bontà nella scuola

Ed ora siamo a voi, carissimi alunni della Scuola per Nomadi «Lacio Drom», di Cuneo, che avete vinto per il commovente fervore della vostra generosità il Premio annuale «Livio Tempesta», del Centro Nazionale Apostolato della Bontà nella Scuola. Vi indichiamo all’ammirazione e all’applauso di questa assemblea: e siamo lieti di dirvi tutta la Nostra letizia per quanto avete saputo compiere sia per arricchire la vostra mente nella scuola, amorevolmente impartita dalle vostre insegnanti, sia per irraggiare attorno a voi la bontà del vostro cuore, facendo giungere a chi è nella sofferenza l’espressione della vostra solidarietà e della vostra amicizia.

Bravi, cari ragazzi: ve lo diciamo di cuore, e, soprattutto, ve lo diciamo a nome di quel Gesù, che tanto vi ama, e di cui siamo qui in terra l’umile Vicario. Nel suo amore vi benediciamo, come benediciamo i vostri genitori e parenti, e tutte le care Personalità, qui presenti, che si dedicano alla vostra cura col prestigio della loro funzione e con l’assillo della loro cristiana sensibilità. Tutti ricompensi il Signore con la pienezza delle sue consolazioni!

Encomiabile impegno d’una Confraternita Romana

Rivolgiamo inoltre il Nostro paterno saluto ai Dirigenti della Confraternita di S. Maria della Quercia in Roma.

Sappiamo, diletti figli, il fervore con cui attendete alle varie opere di carità e di apostolato lodevolmente promosse dalla vostra Confraternita. Ciò reca conforto al Vescovo della vostra Diocesi; e nello stesso tempo dice a Noi l’impegno con cui voi cercate di corrispondere al singolare privilegio di essere figli di Roma cattolica. Roma non può appagarsi di cristiani mediocri; e per questo Noi vi esortiamo a dar sempre prova di fede viva, di carità operosa, di fedeltà al Successore di Pietro, affinché sempre più rifulga dinanzi al mondo il volto sacro del centro della cattolicità.

A tal fine impartiamo a voi, a tutti i vostri familiari e alla vostra Confraternita la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 27 novembre 1968 COME SI FA A CONOSCERE DIO?

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Diletti Figli e Figlie!

Come si fa, come si fa a conoscere Dio? questa è la grande questione che tormenta lo spirito moderno. È questione antica quanto la storia dell’uomo; ma oggi è questione diventata tormentosa, perché il progresso della conoscenza umana ha reso più esigente il bisogno di dare a tale domanda una risposta soddisfacente rispetto alle abitudini della nostra mentalità, cioè alla nostra razionalità critica e scientifica e all’impiego conoscitivo della nostra esperienza sensibile. Ora si verifica il fatto che questo nostro progresso conoscitivo sembra incontrare, e in pratica incontra, maggiore difficoltà a giungere a Dio di quanto non incontrasse nel tempo passato, quando la conoscenza di Dio era ammessa e presupposta normalmente ad ogni forma di pensiero, mentre oggi la conoscenza di Dio non si pone come principio indiscusso, ma come conclusione finale del pensiero stesso; e arrivare a tale conclusione è difficile. Si direbbe che siamo diventati più intelligenti e più istruiti, e al tempo stesso meno religiosi, cioè meno capaci di arrivare a Dio.

IL VUOTO E LE DESOLANTI CONSEGUENZE DELL'ATEISMO MODERNO

Dovremo rinunciare a tale conquista? L’ateismo contemporaneo risponde: dobbiamo rinunciare. Questa risposta, che sembra così semplice, produce un vuoto tale nel pensiero e nella vita dell’uomo da suscitare tanti e tosi gravi problemi da turbare sia la fiducia nel pensiero stesso, sia il senso positivo della vita. Quelli che credono di poter fondare un umanesimo sull’ateismo in realtà diventano profeti d’un nichilismo, che rende dapprima tutto gratuito, instabile, irrazionale, e che supplisce a queste carenze con nozioni empiriche o insufficienti, con sistemi arbitrari e violenti, e poi con conclusioni pessimistiche, rivoluzionarie e disperate. E il grande assente, Iddio, diventa l’incubo di chi domanda al pensiero la verità. Troviamo nei letterati la testimonianza: «Dio mi ha tormentato tutta la vita», dice, ad esempio, un personaggio rappresentativo d’un celebre romanziere russo (Dostoiewski).


IL PIÙ ALTO INVITO ALLA UMANA MEDITAZIONE

Voi sapete che invece la Chiesa non rinuncia alla conquista di Dio. Diciamo: non nega alla mente umana la capacità di arrivare alla conoscenza di Dio; e notate: anche con la ragione, sebbene non senza fatica e con tante ombre. La Chiesa rimane ferma, anche se dovesse rimanere sola (cfr. Newman), nel rivendicare alla ragione questa suprema possibilità. Bisogna darle onore, almeno per questa difesa della ragione, quando tanto spesso si accusa la Chiesa d’oscurantismo, e di fideismo. La fede certamente ci dà di Dio una conoscenza ben più piena e per sé più facile; ma la fede stessa, afferma la nostra dottrina, non può prescindere dall’uso retto e forte della ragione. Il Concilio Vaticano I ha canonizzato, sotto questo aspetto,, la ragione naturale (cfr. Denz.-Sch.
DS 3015 ss.).

Oh! quale campo sconfinato di studi! (cfr. l’opera tuttora valida di Garrigou-Lagrange, Dieu, Beauchesne, 1919). Non è certamente in questa sede che Noi ne varcheremo le soglie! Ci basta qui fare qualche modesta, ma non forse superflua osservazione. La prima è questa.

Quando noi ci poniamo la questione della conoscenza razionale di Dio dimentichiamo facilmente che tale questione è duplice; cioè noi ‘possiamo domandare alla virtù del nostro pensiero di dirci se Dio esiste; e a questa domanda, il nostro pensiero, se rimane fedele alle sue leggi, risponde: sì, Dio esiste; e ce ne dà la certezza; ma se noi domandiamo al nostro pensiero di dirci chi Egli sia, esso diviene molto timido e modesto, al punto di lasciarci insoddisfatti, e negando ciò che Dio non è e non può essere, e cercando di sublimare alcune nozioni proprie dell’Essere ci porta, sì, in alto, ma in una regione dove più è mistero che scienza, più desiderio che possesso. Chi sa volare, sulle ali della speculazione teologica e della contemplazione mistica, verso questo mistero, avverte d’appressarsi ad una pienezza spirituale, che supera le presenti condizioni della nostra vita temporale, e che tocca l’immortalità (cfr. Sap Sg 15,3, «il conoscere Te è radice d’immortalità»; e Gesù ci dirà: «questa è la vita eterna, che conoscano Te solo vero Dio e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo», Jn 17,3). Nessun maggiore invito è offerto che questo all’umana meditazione (cfr. Lessius, De perfectionibus moribusque divinis, Lethielleux, 1912).


USARE BENE DELLA RAGIONE

Ritorna la domanda: come si fa a inoltrarci in sentieri così impervii? Ed ecco un’altra osservazione, anch’essa elementare, ma capitale: basta usare bene della ragione («secundum perfectum usum rationis», dice San Tommaso: II-IIae, 45, 2). Cioè basta ragionare bene. E questo tutti, anche gli incolti, possono fare; anzi spesso le anime semplici, i fanciulli, la gente umile, i puri di cuore specialmente hanno una logica naturale più sana e conclusiva che non coloro che nello sviluppo della razionalità ne hanno violato, o dimenticato, certe esigenze. Oggi è proprio quello che succede a molti pensatori, che, contestando al pensiero certe sue leggi, certi suoi primi ed evidenti principi, non gli consentono d’oltrepassare i limiti entro i quali Dio non può essere raggiunto. Una conoscenza mortificata della verità non può comprendere la somma Verità, ch’è Dio. Qui sarebbe logico accennare alle famose cinque vie, sempre valide se bene comprese, che la teologia scolastica indicava come quelle che possono portare il pensiero ad una sicura, se pure oscura, conoscenza di Dio. Ma l’uomo d’oggi non ne vuole sentir parlare, anche se talora, senza forse accorgersi, in qualche modo le percorre queste vie, quella specialmente, la quinta, che rivela l’esistenza della necessità (cfr. Galileo, Dial. giorn. I) d’un ordine, d’una finalità, d’un pensiero nelle cose (cfr. Danusso); vie che conducono, oltre l’esperienza scientifica, a riconoscere in esse un’anteriore e interiore Presenza pensante e creatrice. 0 forse le percorre a ritroso per arrivare alla scoperta di ciò che manca alle cose, la privazione d’una propria ragione d’essere, una propria causa sufficiente (cfr. Sartre).

DIO «PRINCIPIO DELL’ESISTENZA RAGIONE DEL PENSIERO LEGGE DELL’AMORE»

V’è nei moderni, anche benpensanti, giovani specialmente, un diffuso timore che l’idea di Dio abbia ad oscurarsi e a dissolversi sotto la pressione della nuova mentalità, originata dal contatto scientifico del mondo e dal senso di forza e di libertà, che sembra derivare all’uomo sottratto dalla soggezione a principi assoluti e trascendenti (cfr. J. M. Aubert, Recherche scientifique et foi chrétienne). Ma questa crisi si può risolvere mediante una purificazione continua dell’idea stessa di Dio e del suo culto, quando si metta in rilievo quale veramente deve essere, un’idea sempre crescente, sempre necessaria, sempre feconda, sempre viva (cfr. Guardini, Le Dieu vivant); oppure anche quando si vogliano sottoporre a nuove analisi i procedimenti del nostro pensiero (cfr. B. Varisco, Dall’uomo a Dio, Cedam, Padova, 1939; De Lubac, Sur les chemins de Dieu, Aubier 1956). E si può risolvere anche in altro modo, spingendo logicamente il mondo materialista e ateo alle sue fatali conseguenze, che appellano finalmente a Dio per non cadere in mostruose e catastrofiche concezioni di pseudo-assoluti e di disumane forme di vita. Questo grido doloroso e stupito si dovrà levare un giorno verso Dio dal mondo moderno, fatto padrone delle cose e ad esse pesantemente schiavo; e sarà un giorno grande, di salute e di poesia, nel quale Dio apparirà quello ch’Egli è per noi, «principio dell’esistenza, ragione del pensiero, legge dell’amore» (S. Aug. Contra Faustum, 20, 7; P.L. 42, 372); l’eterno nuovo, il verbo silenzioso, la presenza invisibile, l’abisso gaudioso, il principio totale, l’Essere vivo.

Coraggio, Figli carissimi; non è impossibile, non è difficile; con un po’ di sforzo, da uomini veri, da cristiani umili, pensando lo cerchiamo Iddio, poi amando lo troviamo. Coraggio, con la Nostra Benedizione Apostolica.

Prima della Esortazione generale, salutando il gruppo dell’Istituto di Vigilanza «Città di Roma», il Santo Padre dice:

Un paterno saluto rivolgiamo ora ai rappresentanti dell’Istituto di Vigilanza «Città di Roma» che nel decennale della loro organizzazione sono venuti a porgerci l’omaggio filiale della loro devozione.

La Nostra parola, diletti figli, vuol essere di sincero compiacimento per l’opera da voi svolta con tanta dedizione, che merita tutta la stima e la riconoscenza degli onesti cittadini. I progressi così rilevanti raggiunti in questo decennio, dal vostro Istituto, confermano eloquentemente l’utilità che il vostro servizio reca alla tranquillità e alla sicurezza pubblica. Vi esprimiamo la Nostra viva gratitudine per questo vostro impegno di valore altamente sociale; e mentre formuliamo voti per il costante sviluppo delle vostre attività, vi incoraggiamo a proseguire con l’assicurazione della Nostra benevolenza, con l’aiuto della Nostra preghiera e col pegno della Nostra Apostolica Benedizione.

L’Azione Cattolica francese nei ceti medi





Paolo VI Catechesi 13118