Paolo VI Catechesi 28569

Mercoledì, 28 maggio 1969

28569
Diletti Figli e Figlie!

È nella mentalità dell’uomo moderno, di noi tutti, possiamo dire, la persuasione che «tutto cambia». L’osservazione della vita contemporanea ci dà l’impressione che ogni cosa è in via di trasformazione, è in movimento. Nessuna delle cose, che toccano la nostra esperienza, si dimostra stabile e sicura; tutto muta, tutto si evolve, tutto decade e tutto si rinnova. Siamo presi e compresi di questo senso d’instabilità delle cose; e se questo sentimento ci dà al principio un certo timore e qualche rimpianto, ben presto esso si risolve in senso di compiacenza, perché vediamo che questo grande e generale fenomeno di mutazione assume nomi suggestivi: evoluzione, progresso, dinamismo, scoperta, conquista, superamento, sviluppo, rinascita, novità, ecc.

UN MONDO IN TRASFORMAZIONE

L’esperienza di questo fenomeno generale diventa ogni giorno più impressionante davanti all’incremento accelerato e meraviglioso delle scienze: specialmente di quelle fisico-matematiche; si direbbe che l’uomo impara adesso a conoscere il mondo; e dalla esplorazione scientifica, dalla ricerca, come oggi si dice, si traggono tanti risultati nuovi, che l’uomo di studio, lo scienziato, rimane inebriato; e mentre da un lato continua a perfezionare le sue inesauribili ricerche, dall’altro passa immediatamente all’applicazione pratica, utilitaria, delle nuove cognizioni; alla scienza succede la tecnica; e questa si sviluppa, mediante macchine e strumenti nuovissimi e organizzazioni poderose, diventa industria; con tutto quello che segue nel campo economico e sociale; nella vita dell’uomo moderno. Considerazioni analoghe possiamo fare sulle scienze relative all’uomo, la medicina, la psicologia, la sociologia, la politica. Così che viene la volta della religione: che succederà alla religione a causa di questa generale trasformazione? Molti dicono: è finita; voi lo sapete. Ma altri dicono: no; non solo non è finita ma s’impone con tanto maggiore ragione, quanto più razionale e pressante è il bisogno di dire su tutto la prima e l’ultima parola, l’alfa e l’omega s’impongono; e adorare non solo è esigenza tuttora legittima, ma oggi più doverosa. La religione ritorna, se non professata, discussa almeno; e talvolta, alla fosca luce di avvenimenti violenti e irrazionali, o di stati d’animo angosciosi,, in termini così imploranti e disperati, che la fanno rimpiangere e, sotto certe espressioni, ancora desiderare. Ritorna alla mente il vaticinio del profeta Geremia: «Hanno abbandonato me (dice il Signore), fonte di acqua viva; e si sono scavate cisterne screpolate, che non riescono a contenere acqua» (2, 13).

E allora la questione religiosa si ripresenta. Ed è su questo punto che oggi ,Noi invitiamo, per un istante e forse con troppo semplici parole, la vostra attenzione. E il punto è questo: la religione non sarebbe anch’essa soggetta a qualche importante cambiamento? e di fatto, per contenere il discorso nel campo che ci riguarda, la nostra religione non è anch'essa in via di mutazione?

L’ESIGENZA DI DIO

A questo riguardo Noi vi rivolgiamo una prima preghiera: fate attenzione! attenzione alla complessità della questione. La si può considerare la questione religiosa sotto l’aspetto soggettivo; cioè quello proprio dell’uomo, quello mentale, psicologico, filosofico. E noi tutti sappiamo a quali mutazioni, a quali arbitri, a quali storture, a quali dubbi, a quali negazioni, insomma a quali metamorfosi l’idea religiosa è stata ed è, in questi ultimi tempi, sottoposta. .La discussione rimane sempre aperta; ma Noi sosteniamo che la nostra ragione (cfr. ad es. DE LUBAC, Sur les chemins de Dies, Aubier 1955), la nostra esperienza (cfr. A. FROSSARD, Dies existe, Fayard 1969), la nostra fede (cfr. GUARDINI, Vom Leben des Glaubens, Grünewald 1934; trad. Vie de la Foi, Cerf 1958) sono oggi più che mai in grado, come in passato (cfr. S. TH., Summa contra Gentes) di attestarsi luminosamente e di perseverare con nuove testimonianze di pensiero e di vita sostenendo l’urto, o la discussione delle obiezioni proprie della mentalità, sia filosofica, che letteraria e pratica del giorno d’oggi (cfr.. ZUNDEL, Recherche du Dieu, inconnu, Ed. ouv. 1949: MOUROUX, Ie crois en Toi, Cerf 1965; CH. MOELLER, L’homme moderne devant le salut, Ed. ouv. 1964; RENÉE CASIN, Naufrageurs de la Foi, Ed. Lat. 1968).

Cioè l’uomo, questo essere dalle cento facce, può configurarsi in aspetti e in atteggiamenti diversissimi, proteiformi, rispetto alla religione, ma resta uomo, un essere cioè sostanzialmente qual è, non solo capace, ma bisognoso di Dio; anzi quanto più uomo egli è e diviene, tanto maggiore si pronuncia in lui l’esigenza di Dio; e perciò la religione, intesa come virtuale rapporto con la Divinità, non cambia, cambiando le espressioni della vita umana. A questo riguardo non abbiamo che da augurarci una nuova fioritura di studi e di ricerche religiose, cioè di letteratura religiosa, filosofica, letteraria, apologetica, catechistica, artistica: è questione di linguaggio. Rinnoviamo il linguaggio religioso!

CONTENUTO E REALTÀ DELLA RELIGIONE

Ma occorre considerare l’aspetto oggettivo della religione, cioè la sua verità, il suo contenuto, la sua realtà. La quale, per noi credenti, per noi cattolici dalla fede univoca, conservata, esposta, difesa da quella istituzione provvidenziale, ch’è il magistero ecclesiastico, sempre intento a ripetere la parola di Gesù: «La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato» (
Jn 7,16), è quello che è, e non muta per mutare di tempi e di costumi; e deve essere accettata nella sua genuina e originaria e autorizzata formulazione, anche se difficile, anche se difforme dalla psicologia di chi la ascolta, anche se misteriosa (cfr. S. TH., Summa contra Gentes, SCG 4,76). Vi ricordate come termina nel Vangelo la discussione a Cafarnao sull’Eucaristia? Gli uditori trovavano assurda la parola del Signore: «Questo discorso è duro, e chi lo capisce?» (Jn 6,60). E Gesù, abbandonato dalla folla dei suoi uditori, si rivolge ai discepoli, anch’essi sconcertati e indecisi: «Volete andarvene anche voi?» (ib. 67). È grave. Oggi ,specialmente, quando l’uomo non vuole accettare se non quello ch’egli comprende (e non è poi esatto, ché anche l’uomo moderno è più che mai cliente e alunno di chi fa autorità nel campo scientifico). Ma dobbiamo vivere di fede, cioè facendo credito alla Parola di Dio, anche se superiore alla nostra intelligenza. Con due osservazioni: la fede è oscura, ma non è cieca; cioè ha titoli che la giustificano, esteriormente e interiormente. Già altre volte lo dicemmo, con Sant’Agostino: Habet namque fides oculos suos, la fede infatti ha i suoi occhi (Ep 120 PL Ep 33,200). E di più: ammette di essere studiata, approfondita, confrontata col sapere naturale, applicata; e, vorremmo dire, verificata nell’esperimento della vita; vissuta, la fede diventa luce; amata, diventa forza; meditata, diventa spirito. E perciò si può benissimo, restando integra e pura, compenetrare con tutte le oneste e nuove e grandi trasformazioni della vita moderna, e si rivela per quello che è: principio di vita eterna.

Vi auguriamo, Figli carissimi, che ne facciate la beatificante esperienza, con la Nostra Benedizione Apostolica.

SALUTI A CAPITOLI GENERALI

I Fate-Bene-Fratelli

Abbiamo appreso con vivo compiacimento che siete riuniti in questi giorni a Roma per la prima Sessione del vostro Capitolo Straordinario al fine di preparare l’adattamento delle Costituzioni alla luce delle sapienti direttive del Concilio Vaticano Secondo.

Il Nostro plauso e il Nostro incoraggiamento va ai vostri lavori, affinché «con prudenza, ma anche con premura», secondo gli orientamenti conciliari, si realizzi l’opportuno rinnovamento della vita e della disciplina della vostra Famiglia religiosa (cfr. PAOLO VI, Litt. Apost. Motu Propr. Ecclesiae Sanctae; A.A.S. 58, 1366, pp. 775 ss.).

Un rinnovamento, il vostro, che è anzitutto una profonda riflessione sulla vita e sull’insegnamento del fondatore, San Giovanni di Dio, il quale, nel secolo XVI, in mezzo ad innumerevoli difficoltà, fece della donazione e dell’amore verso i fratelli sofferenti l’espressione e la testimonianza cristiana della propria carità verso Dio.

Il Nostro auspicio è che, pur nelle mutate condizioni sociali, la vostra presenza di Religiosi, consacrati a Dio con i voti, possa proclamare anche agli uomini di oggi, esigenti di concrete testimonianze, che «chi ama Iddio, ama anche il prossimo» (1Jn 4,20-21).

Con questo voto e in pegno della Nostra benevolenza impartiamo a voi e a tutti i membri dell’Ordine dei «Fate-Bene-Fratelli» la Nostra Apostolica Benedizione.

I Redentoristi

Salutiamo con particolare riguardo i Padri Capitolari della Congregazione del Santissimo Redentore, riuniti a Roma per il Capitolo Speciale.

L’occasione Ci è propizia, diletti figli, per indirizzare una parola di incoraggiamento e di orientamento a voi, che siete chiamati a un compito così delicato e di tanta responsabilità per l’avvenire della vostra Congregazione. Siete chiamati, infatti, a dare al vostro Istituto quella fisionomia aperta e aggiornata richiesta dalle istanze del rinnovamento conciliare, e a far sì che la vitalità del ceppo robusto, piantato da S. Alfonso de’ Liguori, continui a fiorire in tutta la sua pienezza.

Il rinnovamento, tuttavia, è una parola seducente, e potrebbe anche talvolta ingannare, soprattutto se con questo pretesto si introducessero riforme che non tengono nel dovuto conto la vera natura della vita religiosa.

Lasciate pertanto che al riguardo vi apriamo il Nostro animo: rinnovamento, sì, ma nel senso di un’affermazione più cosciente e vigorosa dei valori autentici della vita religiosa. Questa nella sua essenza non cambia mai; dovrà quindi sempre e dovunque conservare visibile ed inconfondibile il carattere di consacrazione a Dio e di vita di unione con Lui per mezzo dell’umiltà, del distacco dal mondo, della pratica dei consigli evangelici.

Vi diremo ancora: aggiornamento nelle strutture esterne, sì, ma in conformità sempre, in contrasto mai, con lo spirito del vostro Santo Fondatore e delle vostre genuine tradizioni. Sempre perciò dovrà essere rispettata la libertà di coloro, che, avendo abbracciato l’ideale religioso proposto dal vostro Istituto, hanno il diritto di viverlo in tutta la sua pienezza.

E infine: adeguamento ai tempi, sì, ma non in maniera e misura tali da indulgere allo spirito del mondo, alle sue istanze, alle sue mode. Anche voi, come tutte le anime consacrate a Dio, vivete ed operate nel mondo, ma non siete del mondo (cfr. Jn 15,19). Efficace, quindi, si rivelerà il rinnovamento preparato da voi, soltanto se sarà in grado di favorire una vita raccolta ed austera, l’amore alla disciplina, il fervore della preghiera, la generosità nel sacrificio.

Con questi pensieri nella mente e nel cuore, Noi Ci auguriamo, diletti figli, che lo spirito ardente di S. Alfonso, così aperto a tutte le ansie della Chiesa e delle anime, si diffonda sempre più in mezzo al popolo di Dio, per dare ad esso l’aiuto e la testimonianza che tanto oggi gli sono necessari.

E a tale scopo di cuore vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.

Le Suore della Carità di Don Orione

Desideriamo ora rivolgere un saluto a due particolari gruppi di Religiose, presenti a questa Udienza.

Salutiamo anzitutto le rappresentanti delle «Piccole Suore Missionarie della Carità», le benemerite Suore di Don Orione, che hanno partecipato al loro Capitolo ordinario speciale, eleggendo la nuova Superiora Generale col suo Consiglio. Vi diciamo il Nostro compiacimento per la fedeltà con cui, rispondendo alle premure del Concilio Ecumenico, anche la vostra benemerita Congregazione ha voluto ripensare alle proprie origini, finalità, costituzioni, per adeguarle sempre meglio alle odierne esigenze della Chiesa. La carità è il nome che vi fregia e vi qualifica: se ne seguirete fedelmente gli impulsi, il vostro «aggiornamento» sarà continuo, perché la carità «non viene mai meno» (1Co 13,8); sarete sempre mosse dallo Spirito Santo, il quale, come ha detto il Concilio, «produce e stimola la carità fra i fedeli» (Lumen Gentium LG 7), specie delle anime consacrate a Dio.

Vi seguiamo nel vostro umile servizio dei poveri, che si rivolge a Cristo e onora la Chiesa; e di cuore vi benediciamo, con l’augurio di un sempre più fecondo lavoro apostolico.

Vi sono poi le allieve della Scuola Nazionale per Religiose Collaboratrici al ministero pastorale, venute con l’Assistente, i Docenti e la Segreteria della Federazione Italiana delle Religiose dell’Apostolato diretto, che ne organizza i corsi. La vostra presenza Ci è fonte di grande consolazione, perché Ci dice come un segreto impulso di fedeltà, di generosità, di studio, di specializzazione pervada oggi le varie Congregazioni e Istituti religiosi femminili, e li stimoli ad essere strumenti sempre più atti, efficienti, preparati per l’evangelizzazione del mondo. Anche questo è un prezioso «segno dei tempi», che non sfugge alla Nostra ammirazione, e che indichiamo a esempio di tutti i fedeli che Ci ascoltano; anche questo è una prova dell’azione instancabile e fecondatrice dello Spirito, e della sua voce che chiama alla santità e al sacrificio, e trova rispondenze continue.

Siate sempre fedeli a questa voce, ovunque vi conducano l’obbedienza e il servizio apostolico: il Papa vi accompagna con la Sua preghiera, e vi incoraggia con la Sua Benedizione.



AZIONE CARITATIVA E DI VITA RELIGIOSA (in francese)

IL LODEVOLE SERVIZIO DEI VETERINARI

Siamo ancora debitori di un saluto, grato e cordiale, ai trecento veterinari italiani, venuti a Roma nel decennio di fondazione del loro Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza. Ci fa molto piacere incontrarCi con un numero così cospicuo di professionisti tanto benemeriti, perché con la loro opera preziosa, instancabile e piena di responsabilità vigilano su un largo settore della sanità pubblica, che richiede i loro esperti controlli.

Desideriamo esprimere a voi, e, per il vostro tramite, a tutti i vostri colleghi, il Nostro compiacimento per la competenza, il senso del dovere, con cui vi prodigate sia per l’utilità del consorzio civile, nel campo specifico a voi riservato, sia per la cura che prestate agli animali, anch’essi creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono tuttavia un segno dell’universale stigma del peccato, e dell’universale attesa della redenzione finale, secondo le misteriose parole dell’apostolo Paolo: «L’intera creazione anela ansiosamente alla manifestazione gloriosa dei figli di Dio . . . Anch’essa verrà affrancata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla liberta della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19 Rm 8,21).

Il vostro servizio va pertanto visto anche in questa luce di cooperazione al piano di Dio; e come merita elogio e riconoscenza dalla società, così da Noi è profondamente valutato nella sua dimensione spirituale: vi sia di conforto il pensiero che il Papa vi stima, prega per voi, e vi benedice, unitamente ai vostri familiari e a tutti i vostri colleghi, invocando sulla vostra quotidiana fatica le continue consolazioni del Signore.



PELLEGRINAGGIO DI RICONCILIAZIONE A MONTE CASSINO

... in francese

Auch den deutschen Teilnehmern der «Ehemaligen Frontkampfergruppe Monte Cassino» gilt Unser väterlicher Gruss! Sie sind mit Ihren Kameraden aus Frankreich zusammengekommen, um die Bande der Freundschaft erneut zu befestigen. Denn als überzeugte Christen wissen wir: Alle Volker und Nationen bilden eine einzige grosse Gottesfamilie, deren Zusammen-leben vom Geiste der Liebe und des Friedens bestimmt sein muss. Dazu erteilen Wir Ihnen allen und Ihren Lieben zu Hause von Herzen den Apostolischen Segen.



Lunedì, 2 giugno 1969

20669
Diletti Figli e Figlie!

Prendiamo occasione dalle due prossime feste, quella del «Corpus Domini» e quella del Sacro Cuore di Gesù, per invitare la vostra riflessione sopra un aspetto fondamentale della rivelazione cristiana, vale a dire della comprensione che noi possiamo avere di quanto ci è stato manifestato da Cristo sulle cose divine. Diciamo con la consueta semplicità e brevità, ma toccando un tema di estrema importanza.

LA RIVELAZIONE ALL’INTELLETTO E AL CUORE DELL’UOMO

La rivelazione delle verità religiose soprannaturali (e di altre verità naturali connesse con quelle) è avvenuta in una data maniera, ben diversa dalla presentazione d’un testo di dottrine teologiche già chiare e formulate. Essa è stata progressiva, risultante da parole e da fatti, in modo tale da invitare gli uomini a conoscere Dio, qualche cosa di Dio, per unirli a Sé e così provvedere alla loro salvezza (cfr. Dei Verbum
DV 2). Cioè la rivelazione è un’apertura su Realtà misteriose. Citiamo, fra tante, la parola di San Paolo: «A me fu dato . . . di mettere in luce per tutti quale sia il piano provvidenziale (in greco: economia; in latino: dispensatio) dell’arcano (del mistero, del Sacramento) nascosto da secoli in Dio» (Ep 3,9). Questa esibizione, questa presentazione, mentre è aperta, sicura, chiarissima, non è costringente, non è paragonabile a una dimostrazione scientifica, ma è offerta in maniera da rispettare la libertà dell’uomo a cui la rivelazione è presentata; non impenetrabile, non equivoca, ma ancora velata. Velata dalla natura ineffabile e trascendente, propria del pensiero divino; e velata anche dal modo con cui esso ci è presentato. Gesù lo farà Lui stesso notare a riguardo degli insegnamenti suoi, rivestiti da parabole (cfr. Mc 4,11 cfr. PASCAL, Pensées Mc 194). La verità, la realtà divina ci è manifestata per via di segni. Vi sarebbero moltissime cose da dire a questo proposito.

PENETRARE LA PAROLA DI DIO

Ma ora una ci basta: per profittare della rivelazione occorre qualche atto anche da parte dell’uomo. Per vedere occorre aprire gli occhi. Per ricevere la rivelazione occorre credere. Credere, sotto questo aspetto, vuol dire non solo accettare passivamente e pigramente, ma scoprire; cioè cercare e penetrare nel significato della Parola di Dio, nel modo, nel velo, che la presenta e la contiene ed insieme la sottrae alla curiosità della nostra conoscenza spontanea e naturale.

Altro capitolo immenso della vita religiosa! Fermiamoci ad -una pagina di questo capitolo, che possiamo considerare riassunto di queste vitali questioni religiose. La pagina è questa: qual è la scoperta che il fedele riesce a fare cercando il senso totale e profondo della divina rivelazione? La scoperta è l’Amore. Dio si è soprattutto rivelato in Amore. Tutta la storia della salvezza è Amore. Tutto il Vangelo. Potremmo citare tante parole della Sacra Scrittura a questo riguardo. Una Ci viene alle labbra, dell’Antico Testamento: «Da lontano il Signore si è fatto vedere a me: d’un amore eterno Io ti ho amato e perciò ti ho attirato a me pieno di compassione» (Ger. 3 1, 3). Tutta l’epopea della Redenzione è Amore, è misericordia, è effusione della carità di Dio verso di noi. E la storia di Cristo è riassunta nella celebre sintesi di San Paolo: «Vivo nella fede che io ho nel Figlio di Dio, il Quale mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Ga 2,20). Bisogna capire! Raccomandiamo agli spiriti attenti un’altra pagina meravigliosa dell’Apostolo: «Che voi possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza, l’altezza e la profondità (noi oggi diremmo le dimensioni, e qui sono quattro!), e intendere questo amore di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi della pienezza di Dio» (Ep 3,17-19).

Fermiamoci qui. Vi è, per oggi, quanto basta affinché noi possiamo celebrare le due feste, che dicevamo, dell’Eucaristia e del Sacro Cuore, quasi condotti al punto prospettico, che le offre e che ci fa gustare, se non capire, qualche cosa del loro vero senso religioso, della loro realtà superlativa e violenta: «Così Dio ha amato . . .» (cfr. Jn 3,16).

GESÙ CI AMA CON AMORE INFINITO

E che perciò ci tocca, ci commuove, ci sconvolge. Se uno riesce a capire d’essere stato amato; amato fino ad un grado supremo e impensabile, fino alla morte, silenziosa, gratuita, crudele e sofferta fino ad una consumazione totale (cfr. Jn 19,30) da Chi nemmeno noi conoscevamo, e conosciutolo l’abbiamo negato e offeso, se uno, diciamo, comprende d’essere oggetto di tale amore,. di tanto amore, non può più restare tranquillo. Lo diceva anche Dante: «Amor che a nullo amato amar perdona» (Inf. 5, 103); lo dice l’inno liturgico: «Quis non amantem redamet?». Questa è l’origine del culto al Sacro Cuore di Gesù, quando sappiamo che il termine «cuore» è simbolo, segno, sintesi della nostra Redenzione, vista nella divina e umana interiorità di Cristo (cfr. l’Enciclica di Pio XII: Haurietis aquas, del 1956, in Discorsi, vol. 18, PP 811 ss.; cfr. a riguardo del cappellano puritano di Cromwell, Thomas Goodwin, BREMOND, Hist. sent. rel., III, 641).

Gesù ci ha amati, dice il Concilio, anche «con cuore d’uomo» (Gaudium et Spes GS 22). E come! Ecco il tema, oggi, del nostro dialogo. Figli carissimi, sapete questa cosa? vi pensate? come intendete rispondere?

Vi aiuti a rispondere con amore la Nostra Benedizione Apostolica.


DIRIGENTI DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Nell'udienza di stamane abbiamo la gioia di accogliere due gruppi altamente qualificati e veramente meritevoli della Nostra affettuosa stima. Sono i Presidenti Diocesani della Unione Uomini di Azione Cattolica Italiana e le Presidenti diocesane dell’Unione Donne di Azione Cattolica, convenuti a Roma per il loro annuale convegno nazionale.

Vi ringraziamo, diletti figli e figlie, del delicato pensiero con cui avete desiderato che i lavori del vostro convegno avessero in programma questo incontro col Padre Comune, per ricevere una parola di incoraggiamento e di benedizione.

Noi siamo in dovere di concedervela, questa parola, perché la meritate per tanti titoli: per il vostro zelo, per la vostra tradizionale fedeltà alla Chiesa e al Papa, per la vostra generosità, ed anche per l’argomento che ambedue i vostri Convegni hanno fatto oggetto dei loro lavori, cioè la carità. Ci è caro esprimervi. senz’altro il Nostro compiacimento per questa significativa scelta.

Di fatto, tema più necessario e urgente non si poteva proporre, nella appassionata esigenza che oggi muove tutte le organizzazioni cattoliche a riflettere sui propri programmi e a ripensare i propri metodi di azione. Nella Chiesa la carità è tutto. È il compendio della sua storia. È la legge prima e più alta del Vangelo di Cristo. Nessun altro motivo, pertanto, è più adatto a far capire l’ansia che muove la Chiesa ad accostarsi agli uomini del nostro tempo e rigenerarli cristianamente.

Questo basti a dirvi quale debba essere veramente il motore segreto di tutte le vostre attività, e quale il fuoco interiore che deve spingervi nel servizio della Chiesa. Bisogna cioè che vi sentiate come partecipi e consapevoli del suo anelito di carità per tutti gli uomini, e strumenti volitivi e capaci della sua irradiazione sempre più operosa e vasta nel mondo.

Siamo certi, perciò, che un argomento così bello e incoraggiante troverà in tutti gli uomini e le donne di Azione Cattolica Italiana eco profonda e salutare. In questo senso eleviamo a Dio la Nostra preghiera, comprendendo in un unico palpito di paterna benevolenza tutti gli iscritti alle vostre Associazioni e domandando per essi che la loro carità «abbondi ancor più in cognizione e in ogni discernimento . . . affinché siano . . . ricolmi di frutti di giustizia per Gesù Cristo, a lode e a gloria di Dio» (Ph 1, 8-9-l 1).

Con questo auspicio impartiamo di cuore a tutti voi la confortatrice Apostolica Benedizione.


IL CENTRO GIOVANILE TURISTICO DI TORINO

Una parola di paterno compiacimento vogliamo rivolgere a voi, giovani del Comitato Provinciale del Centro Turistico di Torino, che avete voluto concludere le celebrazioni del ventesimo anniversario della vostra istituzione, con un pellegrinaggio di fede, a Roma.

Noi sappiamo che il vostro Comitato Provinciale vanta un significativo primato, quello di avere cioè studiato ed attuato nell’immediato dopoguerra, dopo le tragiche esperienze di lacerazioni e divisioni tra i popoli, un complesso di iniziative rivolte ad incrementare, nell’incontro sereno e fraterno con gli altri, i valori umani e cristiani della reciproca conoscenza e stima.

Vorremmo pure ricordare che i vari Centri Turistici Giovanili, nati dalla Federazione della Gioventù di Azione Cattolica, come espressione quindi di una esigenza di testimonianza e di apostolato, hanno contribuito ad animare cristianamente un fenomeno entrato nel costume e nelle abitudini della società contemporanea; l’esigenza cioè, che, attraverso i viaggi in altre regioni, si potesse sviluppare la «cultura universale», alla quale gli uomini di oggi, specialmente i giovani, sono particolarmente aperti e disponibili.

Voi siete ben convinti come, nell’accresciuta diffusione delle possibilità di conoscere, data dai nuovi strumenti di comunicazione culturale e sociale, il turismo ha ormai un posto di rilievo. Lo stesso Concilio Vaticano Secondo ha notato come la diminuzione più o meno generalizzata del tempo di lavoro fa aumentare di giorno in giorno le possibilità culturali per molti uomini, ed ha quindi raccomandato che «il tempo libero sia impegnato per distendere lo spirito, per fortificare la sanità dell’anima e del corpo, mediante attività e studi di libera scelta, mediante viaggi in altri Paesi (turismo), con i quali si affina lo spirito dell’uomo, e gli uomini si arricchiscono con la reciproca conoscenza» (Cost. Past. Gaudium et Spes GS 61).

Intendiamo perciò, oggi, esprimervi il Nostro plauso per le varie iniziative che, in questi venti anni, con dedizione ed intelligenza, avete svolto\nel campo del turismo giovanile, e, mentre auspichiamo che voi «collaboriate affinché le manifestazioni e attività culturali e collettive, proprie della nostra epoca, siano impregnate di spirito cristiano» (Ibidem), facciamo Nostro l’invito che vi dà il Concilio, che cioè nei vostri viaggi culturali o di sollievo vi ricordiate che siete dovunque degli «araldi itineranti di Cristo», e come tali vi comportiate davvero (cfr. Decr. Apostolicam actuositatem AA 14).

Con questi voti e in pegno della Nostra benevolenza, di cuore impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione a voi, alle vostre famiglie e alla vostra attività.



Mercoledì, 18 giugno 1969

18669
Diletti Figli e Figlie!

Pare a noi di leggere nei vostri animi una domanda: ci dica qualche cosa del suo viaggio a Ginevra, del suo incontro con quella grande istituzione internazionale, che da cinquant’anni si occupa al più alto livello dei problemi del lavoro. È stato un viaggio, quello del Papa all’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un atto molto singolare: com’è stato accolto? Quale significato gli si può riconoscere? Quali risultati può avere? Quali impegni ne derivano alla Chiesa e al mondo cattolico? eccetera. Carissimi Figli! Comprendiamo la vostra curiosità e Ci compiacciamo del vostro interesse circa questo recente Nostro viaggio, e apprezziamo soprattutto l’importanza che voi date a quell’ente che si qualifica dalla promozione al mondo del lavoro e al contatto che la Chiesa sente il dovere d’avere con esso. Ma non risponderemo alle vostre domande. Non siamo soliti a dare interviste. E poi si è già fatta sufficiente pubblicità su questo avvenimento; e Noi non amiamo farne di più. Lasciamo parlare le cose ed i fatti, che meritano d’essere ricordati e ripensati.


UN ALTO OSSERVATORIO

Vi diremo soltanto due cose. La prima: che siamo stati accolti con estrema cortesia; e come a Noi piace: con semplicità e con rispetto, non solo alla Nostra modesta persona, ma ancor più alla Nostra parola e alla Nostra missione, per tanti aspetti vicina e convergente con l’alta e provvida funzione dell’Organizzazione medesima. Sentiamo l’obbligo di rinnovare pubblicamente la Nostra riconoscenza per l’accoglienza fatta a Noi e alle personalità che Ci accompagnavano, come vogliamo ripetere le lodi e i voti espressi in quella circostanza per l’opera di quella medesima benemerita istituzione.

La seconda cosa: la Nostra impressione generale, che da quell’osservatorio, certo il più alto fra i tanti, Noi abbiamo avuto del mondo del lavoro. Voi tutti sapete quanto questo stesso mondo sia complesso, quanto caratterizzato dalle trasformazioni sociali? economiche, spirituali che ne derivano, e quanto ieri e oggi agitato da contrastanti ideologie, da divergenti interessi, da opposte concezioni sociali e politiche. Visto così dall’alto, nel suo panorama complessivo, quale è stata la Nostra impressione? È stata ottimista. Non che siano risolte tutte le questioni, che fanno ancora del mondo del lavoro un campo pieno di tumultuanti fenomeni e di enormi bisogni : è palese il fermento che il lavoro moderno produce nella nostra società, che ormai assume il titolo di tecnocratica; sono ancora scoperte situazioni stridenti di angosciose necessità umane; è sempre fonte di apprensione “inquieto risveglio della coscienza delle classi lavoratrici; cresce il timore d’un fallace orientamento della mentalità moderna verso la sufficienza del progresso economico a soddisfare tutti i bisogni, anche spirituali, dell’uomo; e così via.

SUPERAMENTI IDEOLOGICI

Ma nello stesso tempo dobbiamo prendere nota con soddisfazione che un ordinamento migliore si delinea nella storia dell’umanità, proprio in funzione del lavoro: sarebbe lungo e difficile darne adeguata notizia, specialmente in un breve e familiare colloquio come questo. Ci basti osservare uno dei più evidenti aspetti di questo promettente orientamento. È quello, che potremmo dire di certi superamenti ideologici, che sembravano impossibili, e che ora si manifestano non solo possibili, ma vantaggiosi, e già in via d’attuazione.

È superata, almeno teoricamente (ed è già molto), la concezione che il mondo del lavoro sia quello di fatali e irriducibili egoismi. Che l’egoismo sia la tentazione perenne ed anche il peccato caratteristico del campo economico, derivante dal lavoro produttivo, dove sono beni temporali, ricchezze cioè da spartire, è comprensibile; il bisogno è naturale, la cupidigia è innata nell’uomo (cfr. 1 Tim
1Tm 6,10 Lc 12,15), il senso della giustizia distributiva è parimente radicato e ora reso potente e prepotente nel cuore del popolo; e perciò il contrasto di interessi è sempre presente ed esplosivo; gli egoismi di strutture economiche e gli egoismi di classe sono immanenti nella convivenza sociale, ma non insuperabili, ecco la novità, non indomabili da un senso più vivo del bene comune e della giustizia sociale, cioè da una razionalità superiore, che sta prendendo il sopravvento e va generando una civiltà più ordinata e pacifica. Questo primo superamento ne comporta un altro, quello che pone l’uomo, in quanto tale, al primo posto nella gerarchia dei valori del mondo del lavoro: l’operatore vale più dell’opera, anche se questa costituisce il fine specifico del lavoro. Nuovo superamento: il lavoro produce non solo ricchezze esterne all’uomo, ma anche interiori: prima fra queste la solidarietà, l’amicizia, la fratellanza; e così un duplice senso di personalità, quello d’essere qualcuno nella colleganza dell’attività comune, e quello di riconoscenza per chi ci ha procurato con la sua fatica gli agi della vita. Anche questa è idea che si fa strada nella tecnopoli di per sé priva di valori sentimentali e psicologici. Così si verifica il superamento del concetto pragmatico di progresso, come beneficio supremo e immediato di chi lo genera o ne gode, mentre il progresso viene configurandosi come servizio al bene comune, e sempre indirizzato all’incremento della dignità umana.

CRISTO PRENDE PER MANO IL LAVORATORE

E finalmente il superamento della visione materialista del lavoro: volere o no, esso diventa rivelatore delle leggi del cosmo, cioè delle intenzioni misteriose e rigorose che il Pensiero creatore di Dio vi ha infuso, e subito rivelatore altresì della inesauribile capacità pensante e operante dell’uomo, che sa leggere nelle cose, da lui non prodotte, ma da lui dominate. La mente di Dio s’incontra con la mente dell’uomo impegnato nel lavoro moderno, intelligente e potente. Una luce nuova; un bacio nuovo. L’incontro può essere meraviglioso, dapprima come un dialogo normale, poi come una nastente interrogazione, infine come un inno estatico. Il superamento dell’irreligiosità, propria del materialismo moderno, apre un nuovo orizzonte allo spirito anchilosato del Lavoratore e dell’operatore. Non è più vero che la religione sia morta a causa del trionfo della scienza e della tecnica; essa sale ad un piano superiore: di bisogno interiore incoercibile, di linguaggio, sempre balbettante e insufficiente, ma vivo, ma libero, ma ristoratore. 12 quello d’un’interiore libertà ritrovata, è quello d’un amore supremo possibile. L’operaio moderno specialmente ne ha tanto bisogno e tanto diritto. E se Cristo, il collega per eccellenza dell’umanità faticante e ricercante, lo prende per mano, il suo spirito si apre, la sua lingua si muove, la sua preghiera si scioglie: questo è 1’Uomo nascente nel secolo nuovo.

Il discorso si fa lungo; e qui lo fermiamo. Non senza esortare noi tutti ad amare questo mondo del lavoro, a capire quali ricchezze umane, spirituali, cristiane esso ancora nasconda e possa rivelare (cfr. Civ. Catt.: ALFARO, Tecnopolis e cristianesimo, giugno 1969). Noi ne eravamo già persuasi; ma la nostra visita all’Organizzazione Internazionale del Lavoro ce ne ha dato nuova e felice impressione. A voi la comunichiamo, con la Nostra benedizione apostolica.




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