Paolo VI Catechesi 13869

Mercoledì, 13 agosto 1969

13869
Diletti Figli e Figlie!

Nella nostra breve esortazione di domenica scorsa, alla recita dell’«Angelus» Noi ricordavamo ai Nostri visitatori l’opportunità di riservare durante il periodo delle ferie estive qualche momento alla vita dello spirito, al silenzio, alla riflessione, alla preghiera. Questo stesso motivo vogliamo riprendere con voi. Figli carissimi, in questo incontro fugace, ma forse importante, sotto un aspetto più generale; e cioè quello della necessità di ritornare alla preghiera personale.

Perché ritornare? Perché Noi abbiamo l’opinione, che vorremmo smentita dai fatti (come, per fortuna, in molti casi lo è), che oggi anche i buoni, anche i fedeli, anche coloro che sono consacrati al Signore, pregano meno d’un tempo. Dicendo questo Noi avvertiamo il dovere di darne le prove, e di dire il perché. Ma non assolveremo ora questo dovere; esigerebbe troppo lungo discorso. Invitiamo piuttosto ciascuno di voi a fare da sé questa indagine: si prega oggi? L’uomo moderno sa pregare? Ne sente l’obbligo? Ne sente il bisogno ? E anche il cristiano ha facilità, ha gusto, ha impegno per l’orazione? Ha sempre affezione alle forme di orazione, che la pietà della Chiesa, pur non dichiarandole ufficiali, cioè propriamente liturgiche, ci ha tanto insegnate e raccomandate, come il Rosario, la Via Crucis, ecc., e specialmente la meditazione, l’adorazione eucaristica, l’esame di coscienza, la lettura spirituale?


RITO E MISTERO

Nessuno vorrà attribuire la diminuzione dell’orazione personale, e soprattutto della vita spirituale, della religiosità interiore, della «pietà», intesa come devozione, come espressione del dono dello Spirito Santo, per cui ci rivolgiamo a Dio nell’intimità del cuore col nome familiare e sconfinato di Padre (cfr.
Rm 8,15-16; S. Th. II-II 121,1), alla liturgia, cioè alla celebrazione comunitaria ed ecclesiale della Parola di Dio e dei misteri della Redenzione (cfr. Sacr. Conc., n. 2); la quale liturgia, per opera d’un intenso e lungo movimento religioso, coronato, anzi canonizzato dal recente Concilio, ha assunto incremento, dignità, accessibilità e partecipazione nella coscienza e nella vita spirituale del Popolo di Dio, e più Noi auspichiamo che ne assuma nel prossimo avvenire. La liturgia ha un suo primato, una sua pienezza, e di per se stessa una sua efficacia, che dobbiamo tutti riconoscere e promuovere. Ma la liturgia, di natura sua pubblica e ufficiale nella Chiesa, non sostituisce, non impoverisce la religione personale. La liturgia non è solo rito; è mistero, e come tale esige l’adesione cosciente e fervorosa di quanti vi prendono parte; suppone la fede, la speranza, la carità, e tante altre virtù e sentimenti, atti e condizioni, come l’umiltà, il pentimento, il perdono delle offese, l’intenzione, l’attenzione, l’espressione interiore e vocale, che dispongono il fedele all’immersione nella Realtà divina, che la celebrazione liturgica rende presente e operante. La religione personale, per quanto ad ognuno è possibile, è condizione indispensabile alla autentica e cosciente partecipazione liturgica; non solo: essa è il frutto, la conseguenza di tale partecipazione, intesa appunto a santificare le anime e a corroborare in esse il senso di unione con Dio, con Cristo, con la Chiesa, con i fratelli dell’intera umanità.

La diminuzione, se alcuna vi è, della religiosità personale dev’essere cercata in ben altra direzione. Provate ancora a domandarvi: perché oggi la vita interiore, intendiamo la vita di orazione, è meno intensa e meno facile negli uomini del nostro tempo, cioè in noi stessi? Domanda che esigerebbe risposta estremamente complessa e difficile, ma che possiamo ora sintetizzare così: noi siamo educati alla vita esteriore, che ha preso sviluppo e fascino meravigliosi, non tanto alla vita interiore,. di cui poco conosciamo le leggi e le soddisfazioni; il nostro pensiero si svolge principalmente nel regno sensibile (si parla della «civiltà dell’immagine»: radio, televisione, fotografia, simboli e schemi mentali, ecc.), e nel regno sociale, cioè nella conversazione e nel rapporto con gli altri; siamo estroflessi; perfino la teologia cede sovente il passo alla sociologia; la stessa coscienza morale è soverchiata da quella psicologica, e rivendica una libertà, che abbandonandola a se stessa le fa cercare fuori di sé, spesso nel mimetismo della moda, il proprio orientamento. Dov’è Dio? Dov’è Cristo? Dov’è la vita religiosa, di cui ancora e sempre sentiamo un oscuro, ma insoddisfatto bisogno?



UNA CERTEZZA, UN CONFORTO

Voi sapete come questo stato di cose costituisca il dramma spirituale, e possiamo dire umano e civile del nostro tempo.

Ma ora, per quanto riguarda noi, figli della Chiesa, ci basti ricordare, con un celebre pensiero di S. Agostino (intus eras, et ego foras; Conf. 10, 27; P.L. 32, 795), che il punto d’incontro essenziale col mistero religioso, con Dio, è dentro di noi, è nella cella interiore del nostro spirito, è in quella attività personale, che chiamiamo orazione. È in questa attitudine di ricerca, di ascoltazione, di supplica, di docilità (cfr. Jn 6,45), che l’azione di Dio ci raggiunge normalmente, ci dà luce. ci dà senso delle cose reali e invisibili del suo regno; ci fa buoni, ci fa forti, ci fa fedeli, ci fa come Lui ci vuole.

Diciamo a voi, Fratelli e Sorelle, votati al Signore, che avete diritto e dovere di mantenere gaudiosa conversazione con Lui; diciamo a voi, giovani, avidi di trovare la chiave del secolo nuovo; a voi, cristiani, che volete scoprire la sintesi possibile, purificante e beatificante della vita vissuta, oggi, e della fede, che avete pur cara; a voi, uomini del nostro tempo, lanciati nel turbine delle vostre assillanti occupazioni, e sentite il bisogno di una certezza, di un conforto, che nulla al mondo vi dà; a tutti diciamo: pregate, fratelli! orate, fratres! Non stancatevi dal tentare di far sorgere dal fondo del vostro spirito, con la vostra intima voce, questo: Tu! rivolto all’ineffabile Iddio, a questo misterioso Altro, che ci osserva, ci aspetta, ci ama; e certamente non sarete delusi e derelitti, ma proverete la gioia nuova d’una risposta inebriante: Ecce adsum; ecco Io sono qui! (Is 58,9).

Con la Nostra Benedizione Apostolica: pregate, Fratelli!




AL GRANDE PELLEGRINAGGIO POLACCO PER ONORARE I CADUTI IN MONTECASSINO

Figli carissimi della Polonia!

Vi accogliamo con grande e commossa benevolenza, in questo incontro a Noi e a voi tanto gradito; e ringraziamo i venerati Presuli, le distinte Personalità, i Sacerdoti, i giovani e ciascuno di voi per i sentimenti di unanime affetto e di filiale devozione che la vostra presenza Ci attesta.

Desideriamo salutarvi con le parole stesse che avemmo la gioia di pronunciare, il 15 maggio 1966, durante la solenne celebrazione in Roma del sacro Millennio della Polonia cattolica, esaltando della vostra nobile Patria la storia, le glorie e la fedeltà a Cristo Signore. Dicevamo in quella memorabile circostanza e ripetiamo oggi al vostro numeroso e fervido pellegrinaggio: «Voi siete Polacchi; veri Polacchi, e perciò cattolici: pellegrini Polacchi voi siete, provenienti da diverse e da lontane regioni, dispersi nel mondo, ma memori sempre della comune origine, consapevoli sempre d’una fraternità di sangue, di storia, di lingua, di religione . . .».

Siate i benvenuti, Figli dilettissimi! Ci recate con la vostra visita la viva eco del vostro nobile Paese, che Noi molto amiamo ed apprezziamo. Ci manifestate i motivi del vostro pellegrinaggio, che ha come mète Roma e Montecassino, per una pia commemorazione e per un tributo di cristiano suffragio, a cui vogliamo unire il Nostro riverente ricordo e la Nostra fervida preghiera. Ci recate, altresì, la testimonianza del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa: amore e fedeltà che vi proponete certamente di rafforzare in questo odierno incontro col Successore di San Pietro.

Entrando nella casa del Padre comune, avete potuto gustare spiritualmente e quasi sensibilmente la gioia di appartenere alla universale famiglia della Chiesa cattolica. Questa felice esperienza, conservata soavemente nei vostri cuori, non mancherà di aiutarvi a mantenere quella fermezza di fede e di propositi di vita cristiana che qui siete venuti ad alimentare. A tanto vi conforti la Nostra paterna esortazione: siate sempre figli fedeli della Chiesa, nel rispetto leale dei vostri doveri di cittadini; custodite la preziosa eredita del Vangelo nelle vostre famiglie, nelle vostre associazioni, nelle vostre quotidiane attività, e soprattutto nell’educazione della vostra gioventù, alla quale Noi guardiamo con particolare fiducia e rivolgiamo l’augurio di un sereno avvenire in un mondo più pacifico, più giusto, più umano e fraterno.

* * *

Beloved sons and daughters,

From a heart filled with paternal affection. We bid you a cordial welcome. Our short stay in Poland, many years ago, enabled Us to know the Polish people, to admire their spirit of faith and of union with the Holy See, and to conceive a warm friendship for them.

We are especially happy to greet you, the Polish Youth in exile, and to assure you of Our prayers that you may always remain faithful to the holy traditions of your ancestors, and to the religion they so generously professed.

Invoking the powerful intercession of Our Lady of Czestochowa, We lovingly impart to each one of you, and bestow upon your families and loved ones at home. Our special paternal Apostolic Blessing.


Infine, nella sala dello Svizzero al palazzo pontificio, il salute ai dirigenti del pellegrinaggio.

... in francese.


Mercoledì, 20 agosto 1969

20869

Diletti Figli e Figlie!

Il nostro colloquio si dirige oggi a voi, carissimi visitatori, che Noi pensiamo spinti a questa Udienza non per sola curiosità turistica, né per sola devozione filiale, ma per un segreto desiderio, quasi per un bisogno, una speranza d’avere da Noi una parola di luce spirituale.

Noi dicevamo, in un precedente incontro come questo, che occorre oggi e sempre; ma oggi, a causa delle condizioni presenti della nostra esistenza, tanto assorbita dall’incantesimo della esteriorità e tanto turbata dalla profondità e dalla rapidità dei cambiamenti in corso, oggi più che mai occorre alimentare uno spirito e una pratica di orazione personale. Senza una propria, intima, continua vita interiore di preghiera, di fede, di carità, non ci si può conservare cristiani, non si può utilmente e saggiamente partecipare alla rifiorente rinascita liturgica, non si può efficacemente dare testimonianza di quella autenticità cristiana, della quale spesso si parla, non si può pensare, respirare, agire, soffrire, sperare pienamente con la Chiesa viva e pellegrina: occorre pregare. Sia l’intelligenza delle cose e degli avvenimenti, sia il misterioso, ma indispensabile aiuto della grazia diminuiscono in noi, e forse vengono a mancare, per deficienza di preghiera. Noi crediamo che molte delle tristi crisi spirituali e morali di persone, educate e inserite, a diverso livello, nell’organismo ecclesiastico, siano dovute al languore e forse alla mancanza d’una regolare e intensa vita d’orazione, sostenuta fino a ieri da sagge abitudini esterne, abbandonate le quali l’orazione si è spenta: e con essa la fedeltà e la gioia.


«OPORTET SEMPER ORARE»

Oggi Noi vorremmo, con queste semplicissime parole, confortare in voi la vita di preghiera, qualunque sia la vostra età ed il vostro stato. Noi supponiamo che ciascuno di voi avverta in qualche modo il proprio problema relativo aI dovere e al bisogno della preghiera. Vi pensiamo anzi fedeli ad essa e desiderosi di ritrovarla migliore in se stessa, specialmente per l’animazione scaturita dal Concilio. e di nuovo affiatata con la moderna ed onesta profanità della vita moderna. Ma vorremmo che ciascuno di voi classificasse se stesso in una delle categorie, che un’elementare osservazione offre alla comune esperienza.

Vi è una prima categoria, forse la più estesa; ed è quella delle anime spiritualmente assopite. Il fuoco non è estinto, ma è coperto di cenere. Il seme non è morto, ma, come dice la parabola evangelica, è soffocato dalla vegetazione circostante (
Mt 13,7-22), dalla «sollecitudine del secolo presente» e dalla «illusione delle ricchezze». La tendenza a secolarizzare ogni umana attività esclude gradualmente la preghiera dal costume pubblico e dalle abitudini private. Si recita ancora la preghiera mattutina e serale con la coscienza d’infondere con essa un significato trascendente, un valore superstite alla giornata fuggitiva? Vogliamo supporre che si frequenta ancora la chiesa, si recita ancora, il breviario, si assiste al coro; ma il cuore dov’è? Indice di questa fiacchezza spirituale è il peso, che la preghiera infligge all’osservanza priva di devozione; la sua durata sembra sempre troppo lunga, la sua forma è accusata d’incomprensibilità e di estraneità. La preghiera manca di ali; non è più un gusto, un gaudio, una pace dell’anima. Saremmo noi in questa categoria?



INSERIRSI NELLA PRIMAVERA LITURGICA

Un’altra categoria, arricchita di numero e di ansietà dopo le riforme liturgiche conciliari, è quella dei sospettosi, dei critici, dei malcontenti. Disturbati nelle loro pie abitudini, questi spiriti non si rassegnano che a malincuore alle novità, non cercano di capirne le ragioni, non trovano felici le nuove espressioni del culto, e si rifugiano nel loro lamento, che toglie alle formule di prima il loro antico sapore e impedisce di gustare quello che la Chiesa, in questa primavera liturgica, offre alle anime aperte al senso e al linguaggio dei riti nuovi, collaudati dalla sapienza e dall’autorità della riforma post-conciliare. Uno sforzo non difficile di adesione e di comprensione darebbe l’esperienza della dignità, della semplicità, della moderna antichità delle nuove liturgie, e ne porterebbe la consolazione e la vivacità dalla celebrazione comunitaria nel santuario della singola personalità. La vita interiore porterebbe una superiore pienezza.

Altra categoria è quella di coloro che dicono di tenersi paghi della carità verso il prossimo per mettere in ombra o per dichiarare superflua la carità verso Dio. Tutti sanno quale forza negativa ha assunto questo atteggiamento spirituale, secondo il quale non la preghiera, ma l’azione terrebbe vigile e sincera la vita cristiana. Il senso sociale subentra al senso religioso. L’obiezione divorante si travasa da una letteratura audace, e perfino spregiudicata, alla pubblica opinione, alla mentalità popolare, e si diffonde anche in alcuni «gruppi spontanei», così detti, che inquieti ricercatori d’una propria più intensa religiosità, avulsa da quella consueta della Chiesa, e da loro detta autoritaria e artificiosa, finiscono per perdere una vera religiosità, sostituita da una simpatia umana, bella e degna per se stessa, ma presto evacuata di verità teologica e di carità teologale.



LA SORGENTE DI LETIZIA E DI SPERANZA

Quale consistenza reale, quale merito trascendente può avere una religiosità, in cui la dottrina della fede, del rapporto con l’Assoluto, col Dio uno e trino, il dramma della Redenzione e il mistero della grazia e della Chiesa sono ordinariamente taciuti, e posposti ai commenti della situazione sociale e del momento politico e storico? Vi sarebbe tanto da dire su questo tema; ma non adesso. Ci basti ora mettere in guardia gli spiriti generosi, avidi di Vangelo e di religione personale circa il falso fondamento di tale tendenza e circa i pericoli, ch’essa può generare di effetti totalmente opposti anche sul piano umano a quelli cercati, quali sono: la libertà, la verità, l’amore, l’unità, la pace, la realtà religiosa infusa nella società e nella storia.

Vediamo dunque di classificarci fra quelli che Gesù vuole portatori di lucerne accese: «Sint . . . lucernae ardentes in manibus vestris» (Lc 12,35). Non foss’altro, l’orazione rischiara la via, tiene desta la vigilanza, stimola la coscienza. Un celebre scrittore del nostro tempo fa dire ad uno dei suoi personaggi, un coltissimo e infelice sacerdote: «Io ho creduto troppo facilmente che ci si può dispensare da questa sorveglianza dell’anima, in una parola da questa ispezione forte e sottile, a cui i nostri vecchi maestri danno il bel nome di orazione» (BERNANOS, L’impost., p. 64). L’orazione vince l’oscurità e l’uggia del nostro cammino. Non per nulla il Signore ci ha lasciato questo binomio evangelico: «Vigilate e pregate» (Mt 26,41). Non solo. L’orazione, la vita d’orazione, cioè l’abituale direzione dello spirito verso Dio, mediante il filiale colloquio e il concentrato silenzio con Lui porta a quella forma di spiritualità ch’è imbevuta del dono della Sapienza dello Spirito Santo (cfr. Rm 8,14), e che possiamo chiamare, anche per il semplice fedele, vita contemplativa. Ora Maestro Tommaso, con la consueta incisività, dice che la vita contemplativa costituisce in qualche modo un inizio della beatitudine (quaedam inchoatio beatitudinis, II-IIae, 180, 4); si riferisce all’episodio di Marta e Maria, dove quest’ultima, assorta nel dialogo con Cristo, ottiene da Lui le famose parole: «Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42), mai più.

Ecco dunque la consolazione che Noi a voi tutti auguriamo: che possiate trovare nell’orazione, cordialmente compiuta, bene dosata nella quantità, sempre accesa nell’intenzione (cfr. Lc 18, l), la sorgente di letizia e di speranza, di cui ha bisogno il nostro pellegrinaggio terreno. Con la Nostra Apostolica Benedizione.



L’ISTITUTO DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

Una breve parola di paterno saluto e di fervido augurio intendiamo rivolgere anche alle Alunne e alle Docenti dell’Istituto Internazionale di Scienze dell’Educazione, che ha la sua sede a Castelgandolfo.

Avete scelto, dilette figlie in Cristo, gli studi specializzati di Pedagogia, intraprendendo così una strada delicata ed impegnativa per il vostro futuro inserimento nella società, Volete diventare Educatrici. Ben sappiamo come l’Istituto, che frequentate, abbia per suo scopo precipuo quello di prepararvi non solo con una seria, aggiornata e profonda conoscenza dei moderni problemi dell’Educazione, ma soprattutto con una solida e autentica formazione cristiana, che deve permeare la vostra personalità e, di conseguenza, la vostra futura missione.

Poiché è una vera missione quella che avete scelto - lo vogliamo sottolineare -, più che una semplice professione, capace di risolvere i concreti problemi del vostro avvenire o di darvi una eventuale sistemazione. Non per nulla la Chiesa, con le parole del Concilio Vaticano II, chiama, la vostra, una «vocazione», «meravigliosa e davvero importante», che, come tale, esige però speciali doti di mente e di cuore, una preparazione particolarmente accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento (cfr. Dec,

Gravissimum educationis GE 5). Dovete quindi saper realizzare un solido e costante equilibrio tra i principii antichi, che si esprimono nella concezione cristiana dell’uomo, e i metodi nuovi, che le varie complesse scienze moderne vi mettono a disposizione, specialmente quelli che mirano ad una autentica formazione ed educazione alla libertà e alla responsabilità. Siete impegnate, non dimenticatelo, ad adoperarvi per formare esseri umani, i quali, nel pieno riconoscimento dell’ordine morale, siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci - sono ancora parole del Concilio - di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnino a perseguire tutto ciò che è vero e buono (cfr. Decl.

Dignitatis humanae DH 8 Dignitatis humanae, n. 8 e anche Decl. Gravissimum educationis GE 1).

Con questi voti, di cuore vi impartiamo la Nostra propiziatrice Apostolica Benedizione.



PICCOLO CLERO DELL’ARCIDIOCESI DI MALTA

Ed ora un affettuoso saluto al Gruppo dei Chierichetti che partecipano all’udienza di stamane. Appartengono al Piccolo Clero dell’Arcidiocesi di Malta e sostituiscono per i mesi estivi i Chierichetti di San Pietro nel servizio liturgico della Basilica.

Carissimi figlioli, vi accogliamo con grande gioia, e di cuore vi diciamo la Nostra lode e la Nostra gratitudine. Il servizio che prestate nella Nostra Basilica è un onore grande per voi e un’esperienza meravigliosa. Vi diremo perciò: gioitene e dimostratevi degni di questo privilegio. Ciò che vi si richiede potrà forse sembrarvi fatto di piccole cose. Ma niente è piccolo nelle sacre funzioni, quando si pensa alla grandezza di Colui al Quale sono indirizzate, e quando si tratta di contribuire col vostro comportamento pio e devoto al decoro del tempio massimo della Cattolicità. Perciò applicatevi al vostro ufficio con diligenza, con serietà e soprattutto con grande amore a Gesù, che ha uno sguardo di predilezione posato su di voi, tutte le volte che Lo avvicinate più dappresso nel servizio dell’altare.

È questo il voto che Noi formuliamo nell’accogliervi oggi qui insieme ai vostri venerati educatori - fra i quali con piacere vediamo il caro e tanto. benemerito Canonico Giuseppe Delia - mentre a tutti con effusione di cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione.



GRUPPO DI PROFESSIONISTI GIAPPONESI

It is an honour for Us to receive this distinguished group of visitors from Japan. Included among you are representatives of many aspects of Japanese life: religion, education, business, government, social service and family life.

In your visit to Rome, you will observe the value and the influence of spiritual ideal and religious convictions upon the art and culture of these lands. We trust that you can learn, from both the achievements of Latin culture and the mistakes of past history, to enrich the material progress of Japan with inspiration from on high, directing it towards the glory of the Supreme Being, so that “He will be (our) Peace” (Mich. v. 5).

Upon each of you, upon your families and dear ones at home, upon the entire beloved Japanese Nation, We affectionately invoke Heaven’s richest blessings and graces.



ORFANE DELLA REGIONE MARCHIGIANA E ALCUNI CIECHI DI GRAN BRETAGNA

Siamo particolarmente felici di accogliere nell’Udienza di stamane il Gruppo delle Orfane delle ultime due Guerre Mondiali, ospiti della Casa di Cura di Civitanova Marche.

Siate le benvenute, dilette Figlie! La gioia che voi provate di incontrarvi oggi col Vicario di Cristo, è la Nostra stessa gioia e Ci riempie il cuore di grande commozione. Anche se breve il il tempo che possiamo dedicare a questo incontro, non possiamo tuttavia fare a meno di esprimervi tutta la Nostra riconoscenza per questa graditissima visita e per i sentimenti di pietà e di devozione che l’hanno suggerita. E insieme non possiamo fare a meno anche di dire il Nostro sincere grazie alle brave e zelanti dirigenti della stessa Casa di Cura, di cui apprezziamo altamente la generosa dedizione con cui si adoperano in favore delle Orfane che sono loro affidate.

Su tutte voi, dilette Figlie, sulle vostre attività, sui vostri cari Noi siamo lieti di invocare la continua assistenza del Signore, in pegno della quale con effusione di animo vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

* * *

Beloved sons and daughters,

We welcome you because you come from Great Britain, a land We came to know and love during Our visits, many years ago; and because you are blind, carrying a special cross chosen for you by Our Lord, Who has closed your eyes to material things in order that you may more clearly see the things of the soul and the spirit.

Offer our affliction, your privation, and your sufferings, for His holy Church, so that the Holy Spirit may illumine her path and give light and vision to her progress. And be sure that Jesus and His blessed Mother Mary will always be with you to comfort and to console.

We pray for you and those who assist you; and to each of you, your families and loved ones at home, We impart from Our heart Our Apostolic Blessing.



Mercoledì, 27 agosto 1969

27869
Diletti Figli e Figlie!

Noi Vi preghiamo: cercate di capirci. Di capirci in una delle sollecitudini maggiori del nostro ministero, quella di svegliare il senso religioso negli animi degli uomini del nostro tempo. Ciò che vi diciamo si connette con quanto dicevamo in altre Udienze, come questa, circa il dovere e il bisogno della preghiera. Come si può indurre l’uomo moderno a pregare? e ancor prima di pregare ad avere quel senso vago forse, ma profondo, misterioso, stimolante di Dio, che è la premessa della preghiera? La preghiera è un colloquio; un colloquio della nostra personalità attualmente cosciente con Lui, con l’Interlocutore invisibile, ma avvertito presente, il sacro Vivente, che riempie di timore e di amore, il Divino Ineffabile, che Cristo, (cfr.
Mt 11,27) facendoci il grande, inestimabile dono della rivelazione, ci ha insegnato a chiamare Padre, cioè fonte necessaria e amorosa della nostra vita, invisibile e immenso come il cielo, come l’universo, dov’Egli si trova, tutto creante, tutto penetrante e continuamente operante. Come risvegliare questo fondamentale senso religioso, nel quale soltanto la nostra voce minima ma piena di significato, piena di spirito, trova la sua atmosfera, e può esprimersi gemendo o cantando la sua filiale parola: Padre nostro, che sei nei cieli? Risvegliare, dicevamo, nell’uomo moderno questo senso religioso, come si può? (cfr. GUARDINI, Introd. alla preghiera).


PERCHÉ È AFFIEVOLITO IL SENSO RELIGIOSO?

Perché noi avvertiamo l’enorme e cresciuta difficoltà, che oggi la gente incontra nel parlare con Dio. Il senso religioso oggi si è come affievolito, spento, svanito. Almeno così pare. Chiamate come volete questo fenomeno: demitizzazione, secolarizzazione, razionalismo, autosufficienza, ateismo, antiteismo, materialismo . . . Ma il fatto è grave, estremamente complesso, anche se si presenta in pratica così semplice, e invade le masse, trova propaganda e adesione nella cultura e nel costume, arriva dappertutto, come fosse una conquista del pensiero e del progresso; sembra caratterizzare l’epoca nuova, senza religione, senza fede, senza Dio, come se l’umanità fosse emancipata da una condizione superflua e oppressiva (cfr. Gaudium et Spes GS 7).

Così non può essere, voi lo sapete; ricordate forse - per dire tutto con un’immagine - la parabola del «filo dall’alto» dello Joergensen, quel filo che sostiene tutta la trama della vita, spezzato il quale tutta la vita si affloscia e decade, perde il suo vero significato, il suo stupendo valore; quel filo è il nostro rapporto con Dio, è la religione. Essa ci sostiene e ci fa sperimentare in una gamma ricchissima di sentimenti, la meraviglia di esistere, la gioia e la responsabilità di vivere. Noi siamo certissimi di ciò. Il nostro ministero vi è essenzialmente impegnato, e soffre osservando come la nostra generazione faccia fatica a conservare e ad alimentare questo senso religioso sublime e indispensabile. Comprendiamo, figli del secolo, le vostre difficoltà, specialmente quelle d’ordine psicologico; e ciò accresce il nostro interesse, il nostro amore per voi. Vorremmo aiutarvi, vorremmo offrirvi quel «supplemento di spirito», che manca alla gigantesca costruzione della vita moderna. Il nostro ufficio apostolico e pastorale va in cerca perciò della soluzione dei grandi problemi pedagogici del nostro tempo.



LE RISORSE DI SANA PEDAGOGIA

Pedagogici, d’damo, cioè quelli relativi alla formazione e allo sviluppo dell’uomo nella sua integrità, nella interpretazione della sua vera e misteriosa natura, delle sue facoltà, e finalmente dei suoi destini. La pedagogia della verità e della pienezza porta l’uomo alle soglie della religione, al bisogno di Dio, alla recettività della fede.

E la pedagogia è scienza aperta a tutti, ed è arte connaturata con la vita genuina ed onesta. Chi possiede d’istinto quest’arte meglio dei Genitori? e chi dovrebbe conoscere i segreti, se non gli educatori? e in genere tutti coloro che parlano agli uomini, i pubblicisti, gli artisti, i politici? e non dovrebbe ciascuno di noi essere buon maestro a se stesso? a che servono altrimenti la coscienza e la libertà? Ebbene: la religione è al vertice dell’educazione umana; anzi, ancora prima che al vertice, è alla radice di essa; «fondamento e coronamento» è stato detto in celebre testo (art. 36 del Concordato), quando la linea dello sviluppo umano abbia la sua direzione logica e finalistica (cfr. MARITAIN, Pour une l’éduc., p. 157 ss.).

Perciò chiamiamo in nostro aiuto voi stessi, e chiunque ami davvero l’uomo e abbia l’intuizione della sua necessità religiosa. Voi potete, percorrendo l’esperienza stessa del nostro mondo, cercare e scoprire i sentieri verso il senso religioso, verso il mistero di Dio, e poi verso il colloquio e l’unione con Dio.

Poniamo un caso, ch’è, si può dire, di tutti: quello dell’immagine fascinatrice del cinematografo, della televisione. Essa assorbe quasi tutta la disponibilità di vita interiore, della gioventù specialmente. L’immagine multiforme si stampa nella memoria, e poi nella mente; se cercate con assiduità, talora ossessionante, essa vi sostituisce il pensiero speculativo, la popola di fantasmi vani (cfr. Sap Sg 4,12), la stimola all’imitazione, la esteriorizza, e la abbassa al livello del mondo sensibile. Come può trovare posto la vita spirituale, la preghiera, la sospensione al primo Principio, ch’è Dio, in una coscienza ingombra da questa abituale importazione di immagini, spesso futili e nocive? Occorre introdurre in questa coscienza un momento di sospensione, di riflessione, di critica. Un «cineforum» ben guidato può essere un primo ricupero di autonomia liberatrice dalla suggestione dell’immagine; il pensiero galleggia sul sogno fantastico; un giudizio di forma; e se questo non si limita a misurare le impressioni ricevute col metro tecnico o estetico, ma le confronta con l’idea di uomo, con la vita morale, uno slancio verso l’alto, cioè verso la sfera spirituale e poi, in dati momenti, verso quella propriamente religiosa, è forse possibile, anzi è forse più forte. «I ricettori, cioè gli spettatori, dice il Concilio, particolarmente i più giovani, si addestrino ad un uso misurato e disciplinato di questi strumenti di comunicazione sociale; inoltre cerchino di approfondire le cose viste, udite, lette, e, discutendone con educatori e persone competenti, imparino a formulare un retto giudizio» (Inter mirifica IM 10). Bisogna percorrere in salita la strada dell’esperienza sensibile, che per la sua attrattiva e il suo oggetto ci porta a vivere in discesa. Al «divertimento», in senso pascaliano (Pensées, 11) cioè alla distrazione, che ci porta fuori di noi e spesso in un’esperienza malsana, occorre rimediare con un ritorno in noi stessi, e qui attendere l’incontro religioso, tonificante e ineffabile.



COME E QUANDO RIVOLGERSI AL SIGNORE

Potremmo considerare un altro paradigma, quello del lavoro industriale e burocratico, che riduce l’uomo ad «una sola dimensione»: quella limitata, uniforme, meccanica, spesso puramente fisica, disumana e estenuante. Dopo tale lavoro l’uomo è sfinito, è vuoto; come può avere quel senso di se stesso e di Dio, di cui stiamo parlando? Il semplice riposo fisico non basta; ed ecco allora un bisogno di libertà e di svago, che possono essere onesti e legittimi, ma che sempre non valgono a rendere al lavoratore stanco e materializzato la sua statura di uomo e di cristiano. Occorre una terapia che lo rialzi: il silenzio, l’amicizia, l’amore domestico, il contatto con la natura, l’esercizio del pensiero e del bene. Allora la preghiera è facile e viva. Nessuno forse vi è migliore candidato di lui, se al suo segreto bisogno e alla sua sofferta attitudine soccorre l’offerta d’un momento religioso intelligente ed amico: la piccola e dolce preghiera in famiglia e la messa festiva, possono essere valido conforto. La vita riacquista allora la sua dignità, il cuore la sua capacità di amare e di godere. È questo il grosso problema dell’assistenza religiosa alle categorie lavoratrici moderne. Ma ciascuno può trovare la propria via per risolverlo; e la via maestra è quella di tuffarsi un’ora nella comunità ecclesiale, dove la Parola di Dio richiama la nostra, supplicante, e inneggiante, e dove la Presenza sacramentale di Cristo ci sazia di fede, di speranza e di amore.

Rinunciamo per ora a considerare il caso della mentalità derivante dalla cultura moderna, e fondata in genere su criteri di razionalità scientifica e di pessimismo logico e psicologico, cioè priva di quei principii razionali che rendono possibile l’ascensione metafisica e l’accettazione della fede, e perciò della vita religiosa coordinata con la moderna cultura. La mediazione pedagogica può essere data in questo caso - ed è il caso della «contestazione» attuale - dalla ricerca sapiente di ragioni di vita, valide a restituire la fiducia nel pensiero speculativo e nel divenire dell’ordine sociale: quelle ragioni di vita postulano facilmente il senso religioso e si effondono gioiosamente nella scoperta del messaggio cristiano.

Ciò che importa dunque è cercare la via per trovare la vita, che solo il contatto con Dio ci può dare. Ripensateci anche voi, con la Nostra Apostolica Benedizione.



PELLEGRINI DI SALERNO E DI VEROLI-FROSINONE

Una parola si saluto, di compiacenza e d’incoraggiamento rivolgiamo ora al pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Salerno, guidato dal suo zelante Arcivescovo Mons. Gaetano Pollio.

Diletti Figli! La vostra visita, a Noi gratissima, è motivata dal desiderio che il Papa benedica l’aureo diadema, con cui sarà incoronata, domenica prossima, l’effigie della Madonna venerata nel Santuario di Santa Maria a Vico in Giffoni Valle Piana. Volentieri appagheremo il vostro pio desiderio.

Noi confidiamo che da cotesto tributo di devozione e di amore alla Vergine Santissima tragga nuovo impulso il vostro impegno per la fuga del male, per la conquista della virtù, per la testimonianza della fede e per l’esercizio della carità cristiana: siano queste le gemme che voi vorrete intrecciare in una mistica e preziosa corona, da offrire quotidianamente alla Madre di Cristo e Madre della Chiesa.

E valga a confortarvi in così santi propositi la Nostra propiziatrice Benedizione Apostolica.

* * *

Questa Udienza è onorata dalla presenza di un numeroso pellegrinaggio, quello delle Diocesi di Veroli e Frosinone, guidato dal loro Vescovo, il caro e venerato Mons. Giuseppe Marafini. Sono con lui, oltre ad una eletta rappresentanza del Clero, le Autorità Civili della Provincia e dei Comuni di Frosinone e Veroli, i Sindaci di altri Comuni, alcuni Parlamentari della zona, i Presidenti di vari Enti Provinciali. Salutiamo questa folta e bella schiera di visitatori, nella quale Ci piace ravvisare non soltanto la tradizionale religiosità della popolazione di queste due Diocesi, ma altresì la nuova vitalità di fede e di attività che vi ha saputo imprimere il loro zelante Pastore.

A queste sue fruttuose fatiche pastorali vogliamo ascrivere anche il pellegrinaggio odierno che vuol essere un atto solenne di fedeltà e di amore alla Chiesa e al Papa, in preparazione al Congresso Eucaristico Diocesano, che sarà prossimamente celebrato per commemorare il IV Centenario del miracolo Eucaristico avvenuto nella Basilica di Sant’Erasmo di Veroli.

Non Ci sfugge, diletti figli, l’alto valore di questo solenne avvenimento, che riteniamo opportuno e salutare più che mai, in questo periodo di rinnovamento promosso dal Concilio Ecumenico: rinnovamento che proprio nell’incremento del culto eucaristico trova la sua più genuina espressione e la sua più sicura garanzia di successo. È infatti dall’Eucaristia, come ci ammonisce il Concilio stesso, che «deriva a noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono come a loro fine tutte le altre attività della Chiesa» (Costit. Sacrosanctum Concilium SC 10).

Siamo certi che un avvenimento così grandioso troverà in tutti i fedeli un’eco profonda e salutare. Nel rallegrarCi pertanto vivamente con voi, volentieri formuliamo l’augurio che il Congresso apporti in larga misura fra le vostre popolazioni i frutti sperati di pietà, di fede, di purezza, di sincera adesione alla Chiesa, e di operosa carità sia privata che sociale.

Ma l’espressione del Nostro compiacimento non sarebbe completa se non facessismo almeno un accenno ad un’altra iniziativa, che onora la sensibilità pastorale del vostro Vescovo e il vostro impegno di cattolici coscienti e coerenti: vogliamo dire il Centro Pastorale «San Paolo Apostolo», ormai in fase di compimento, destinato ai giovani studenti e operai del Capoluogo e dei paesi limitrofi. È un’opera, questa, che merita un sincero plauso ed un particolare incoraggiamento, poiché l’assistenza e la formazione morale e religiosa della gioventù è ciò di cui la Chiesa oggi ha maggiormente bisogno, è il grande compito dell’ora presente; e Noi godiamo nel vedere come voi, diletti figli, abbiate così bene compreso questo angoscioso anelito della Chiesa e vi abbiate corrisposto con tanta prontezza e generosità.

La Nostra Benedizione Apostolica, che in questo momento di gran cuore vi impartiamo, incoraggi tutte queste vostre iniziative, possa confortare il vostro venerato Pastore, sostenere la missione pastorale del Clero, ravvivare il fervore di tutta la popolazione e assicurare ad ogni sua categoria di cittadini la confortatrice ed animatrice assistenza divina.



GRUPPO DI GRECI CATTOLICI E ORTODOSSI

Con vivo compiacimento e con sincera letizia vogliamo rivolgere il Nostro saluto augurale al gruppo di Greci Cattolici e Ortodossi, i quali, sulla via del ritorno da un devoto pellegrinaggio a Lourdes, hanno desiderato questo incontro con Noi.

Siete stati insieme, uniti dallo stesso amore e dalla stessa devozione, per venerare, in un luogo, caro, ormai da oltre un secolo, alla pietà dei cattolici, la «Santissima Madre di Dio», Colei che l’antica fede della Chiesa proclamava solennemente, nel Concilio Ecumenico di Efeso, la deipara, la theotokos (cfr. Denz-Schönm., ed. XXXIII, nn. DS 251-252 [111a, 113]).

Voi siete ben convinti che l’amore alla «Santa Vergine» è espressione dell’amore al Cristo, nostro Redentore e Capo della Chiesa. Maria ci insegna maternamente a meditare nel silenzio la Parola di Dio (cfr. Lc 2,19), a fare quello che da noi vuole suo Figlio (cfr. Jn 2,5). E non dubitiamo che Essa abbia deposto nei vostri cuori desideri e propositi di vita veramente cristiana, di pace, di carità, di unione, affinché gli «strettissimi vincoli» che già esistono tra cattolici e ortodossi si rinsaldino sempre più, per una più efficace testimonianza evangelica nel mondo.

Vogliamo affidare. alla Sua preghiera ed alla Sua materna intercessione la realizzazione dell’unità, quando «tolta la parete che divide la Chiesa Occidentale dall’orientale, si avrà finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare di Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola» (Decr. Unitatis redintegratio UR 18).

Forti di questa speranza, di cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.




Paolo VI Catechesi 13869