Paolo VI Catechesi 51169

Mercoledì, 5 novembre 1969

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Diletti Figli e Figlie!

La meditazione, che attira l’opinione pubblica nella Chiesa, oggi riguarda il carattere comunitario della Chiesa stessa. La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, è stato detto; la Chiesa è il Popolo di Dio; la Chiesa è una comunione; comunione vitale, mediante lo Spirito Santo, anima della Chiesa, con Cristo e con la società dei fedeli. È una meditazione teologica fondamentale. Faremo bene a coltivarla. Essa risponde, anticipandola e integrandola, alla mentalità moderna, tutta imbevuta di sociologia, e sul piano religioso ci mostra ancora una volta la superiorità e la validità della fede anche in campo di socialità, mentre sul piano morale, pedagogico e pratico questa meditazione circa la solidarietà, che fa dei veri cristiani «un Cuor solo ed un’anima sola (
Ac 4,32), pone dei doveri più urgenti, specialmente nell’esercizio della virtù regina, la carità, che tendono a modificare non poco la nostra maniera di pensare, sempre tentata dall’egoismo interiore, e il nostro contegno, sia ecclesiale, che sociale.


COMUNIONE ECCLESIALE

Questo «vivere insieme», nella preghiera, nel sentimento comunitario, nel dialogo con i nostri simili, nell’interesse per il bisogno altrui e per il bene comune, questa convivenza spirituale, questa «societas spiritus», comunanza di spirito (Ph 2,1), come la chiama San Paolo, è ,molto bella, ma non t molto facile. Anzi trova nelle correnti ideali del nostro tempo altre concezioni, anch’esse importanti, che la contraddicono, e che solo la sapienza del nostro, sistema cristiano (chiamiamolo così) riesce ad armonizzare, come il culto della libertà, la riabilitazione della personalità e della dignità umana, il relativo primato della coscienza, la preferenza data all’esperienza religiosa nel confronto con l’osservanza della norma canonica, e finalmente, e forse prima fra le altre, la concezione rivoluzionaria, applicata ad ogni tipo di progresso, di riforma, di rinnovamento, di aggiornamento: il termine «rivoluzione» ha ormai libero corso anche nel commercio delle idee generatrici di ordine e di pace.

Due forme, più accentuate delle altre, di questo spirito di indipendenza e perfino di ribellione, penetrato non poco anche nel concerto della vita ecclesiale, sembrano a Noi esigere una menzione particolare, perché maggiormente opposte a quello spirito di comunione, che l’ora nuova della Chiesa presenta alla nostra coscienza come il soffio vivificante ed attuale della Parola di Dio: la rottura con la tradizione e la vanificazione dell’obbedienza (ma di questa ora non parleremo).


EREDITÀ IRRINUNCIABILE

La tradizione! Essa non dice più nulla ai novatori, anche buoni, dei nostri giorni. I giovani purtroppo (e in parte, proprio perché giovani, li comprendiamo) hanno in uggia tutto quello che precede l’attualità, la loro vita di oggi e la loro corsa verso la novità e verso l’avvenire. Ma non solo i giovani; anche i saggi parlano di rottura col passato, con le generazioni precedenti, con le forme convenzionali, con l’eredità dei vecchi. Una fraseologia superficiale e alquanto imprudente è entrata anche nel comune linguaggio ecclesiale; si parla di età costantiniana per squalificare tutta la storia secolare della Chiesa fino ai nostri giorni; ovvero di mentalità preconciliare per svalutare arbitrariamente un patrimonio cattolico di pensiero e di costume, che avrebbe ancora tanti valori degni di apprezzamento; si arriva a espressioni e a comportamenti talvolta così negativi da generare confusione e dissociazione in seno alla comunità ecclesiale, e tali da lasciar credere che la norma vigente e la pacifica consuetudine non tengono più. Il discorso potrebbe purtroppo continuare; ma ciascuno lo può fare da sé. E diventa poi difficile là dove si deve distinguere ciò ch’è irrinunciabile nella vasta eredità della tradizione, da ciò ch’è prezioso, ma per sé non necessario alla consistenza costituzionale della Chiesa e alla sua autentica vitalità; e da ciò ch’è abituale, ma di discutibile valore, e infine da ciò che proviene dal passato, ed è vecchio superfluo, nocivo, e quindi meritevole di rinuncia e forse di coraggiosa riforma. Questo inventario del retaggio antico esige competenza e autorità; in una comunione, com’è la Chiesa, nessun privato lo può fare pubblicamente o praticamente da sé; né tanto meno, fatto l’inventario, può di proprio arbitrio, dichiarare la scelta di ciò che deve rimanere da ciò che si può lasciar decadere. La Chiesa, nei suoi organi autorizzati, in seguito al Concilio, sta facendo questo inventario; e chi le è fedele non deve arrogarsi la licenza d’anticiparne, o di contraddirne il giudizio. Nulla nella Chiesa dev’essere arbitrario, temerario, tumultuario. La Chiesa è come un concerto musicale; nemmeno uno strumento aristocratico può suonare in un’orchestra come e ciò che gli piace.



GIUDIZIO STORICO

Noi ora vorremmo piuttosto raccomandare ai figli coscienti e fervorosi di rivedere l’istintiva antipatia per la tradizione ecclesiastica. Essa, innanzi tutto, è il veicolo che ci porta la dottrina e la successione apostolica: non si può avere Cristo presente oggi senza il riconoscimento del canale storico e umano, che ci riconduce alla sorgente della sua apparizione evangelica. La tradizione inoltre è la ricchezza, l’onore, la fortezza della nostra casa, la Chiesa cattolica. La tradizione, nel suo complesso storico, contiene, sì, molti elementi caduchi e anche riprovevoli; ma il giusto giudizio da darsi su questi elementi discutibili o negativi dovrà essere appunto «storico», cioè valutato in ordine alle circostanze dei tempi e alle esperienze contemporanee e successive degli avvenimenti, ricordando che la Chiesa, santa nella sua istituzione e nella sua virtù santificatrice, di parola, di grazia, di ministero, è composta di uomini impastati dall’argilla di Adamo, deboli e fallaci e peccatori, anche nel campo della divina agricoltura.

Una conoscenza intelligente, una critica equanime, una valutazione sagace della tradizione non saranno di freno, ma di guida ai promotori del rinnovamento ecclesiale, auspicato per il nostro tempo; e ispireranno loro quella amorosa simpatia, quasi una simpatia dinastica, per le vicende passate della Chiesa e per quanto da questo fiume è trasmesso al nostro presente possesso, che li può abilitare a guadagnare arte e prestigio per il colloquio apostolico con la nostra generazione, privata dalle ricorrenti rivoluzioni, di una sua cultura collaudata dai secoli e impavida nella tempesta della storia, com’è quella che la tradizione a noi gratuitamente regala. Ricordiamo che la comunione ecclesiale, di cui vuol vivere la nostra odierna spiritualità, comporta una solidarietà con i fratelli «che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono nel sonno della pace». E per loro che noi siamo vivi e siamo qui, pellegrini noi stessi verso il Cristo venturo.

Nel nome del quale tutti vi benediciamo.

* * *

Con particular benevolencia acogemos al grupo de Padres Provinciales y de Superiores de la Compañía de Jesús, procedentes de España y de América Latina; y Nos gozamos de que este encuentro Nos ofrezca la oportunidad de expresar a estos denodados Religiosos y a sus Hermanos Nuestra estima por todo su Instituto, tan vinculado a la historia de la Iglesia católica desde hace cuatro siglos y tan benemérito por la defensa y la difusión del nombre cristiano; con Nuestra estima, también Nuestra confianza de que la Compañía de Jesús no será menos generosa ni menos fiel a la causa católica, después del Concilio Ecuménico Vaticano Segundo, de cuanto lo fue después del Concilio Tridentino.

Bien querríamos disponer de más tiempo para hablaros a vosotros, amados y venerados Hijos de San Ignacio, de los numerosos problemas que hoy interesan a la vida de la Compañía, y de otros que se relacionan con vuestra actividad en el mundo contemporáneo. Mucho tendríamos que decir en virtud de lo grave y lo complejo de las cuestiones pendientes, del mérito de vuestra secular institución y de la benevolencia que os dispensamos.

Nos limitamos a restringir Nuestra exhortación en dos ideas que Nos parece caracterizan la índole y la historia de la Compañía de Jesús: sed fieles a la Iglesia, sed apóstoles en el mundo.

Sí, fieles a la Iglesia, a su doctrina, a su tradición, a su jerarquía; sabed comprender sus deseos, sus necesidades, sus peligros, sus sufrimientos.

Sed apóstoles en el mundo moderno, sin confundiros con él, sin asimilaros a él; sed apóstoles con la sabiduría, con la prudencia, con el celo, con el espíritu de amor y de servicio, que caracterizan a los heraldos del Evangelio.

Querríamos recomendar especialmente a vuestra solicitudes apostólicas tres categorías de personas hacia las cuales puede dirigirse vuestra actividad, según el genio apostólico de vuestra familia religiosa: los sacerdotes y cuantos se preparan al ministerio sacerdotal; los estudiantes y todo el mundo de la Escuela y de la cultura; las clases sociales más necesitadas de promoción y de asistencia, los trabajadores de la industria y de la agricultura.

Os acompañe, en el esfuerzo de vuestra santificación personal y de vuestro multiforme ministerio, Nuestra Rendición Apostólica.



Mercoledì, 12 novembre 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Noi diremo ancora una parola sopra il concetto fondamentale che oggi è nella mente di tutti circa l’essenza della Chiesa: la Chiesa è una comunione (cfr. HAMER, L’Eglise est une communion, Cerf, 1962); una società animata da un solo e misterioso principio vitale, la grazia dello Spirito santo; donde scaturiscono diversi principi semplicissimi e meravigliosi, come quello dell’eguaglianza fra tutti coloro che compongono la Chiesa: «omnes autem vos fratres estis», voi tutti siete fratelli fra voi (
Mt 23,8); come quello della distinzione dal resto dell’umanità non cristiana, chiamata mondo, sebbene nel mondo la Chiesa sia frammista e sommersa (cfr. Jn 8,23 Jn 8,10 Jn 8,15 Jn 8,19; e Jn 17,14-16, ecc.); e quello, oggi da molti dimenticato, della originalità morale e formale propria della vita cristiana, rispetto a quella profana e pagana (cfr. Rm 12,2); e della santità, avvertita come un’esigenza della propria coscienza, derivante dalla misteriosa inabitazione dello Spirito di Dio in ciascuna anima partecipante vitalmente alla comunione ecclesiale (cfr. 1Co 3,16). Ma per attenerci al carattere sociale della Chiesa ripeteremo col Concilio che la Chiesa è un popolo, il Popolo di Dio (Lumen Gentium Lumen Gentium ); definizione che dev’essere integrata (CONGAR, L’Eglise que j’aime, p. 37) con quella di Corpo mistico di Cristo, cioè di società vivente per virtù d’un medesimo principio unificante e animatore, ma società organica, nella quale differenti sono i carismi, differenti le funzioni, differenti le responsabilità (cfr. 2Co 12,4 ss.). Di qui la comunione assurge a collegialità nel ceto episcopale, della quale avrete sentito parlare in occasione del recente Sinodo straordinario.


SOLIDARIETÀ E CARITÀ

Ora se la Chiesa è quella comunione spirituale e visibile, che il progresso religioso del nostro tempo sembra aver afferrato come una conquista dottrinale e sociale, noi dobbiamo trarne una conseguenza, la quale sembra invece compromessa, in parte teoricamente, e ancor più praticamente; e la conseguenza è quella del rapporto di coesione, di solidarietà, di concordia, di armonia, di una parola di carità, che deve intercorrere fra i singoli membri ed i singoli ceti appartenenti alla Chiesa; questo rapporto si è fatto più evidente, dunque più obbligante, più stretto, più familiare ed amico; dovrebbe essere più fedele e più facile. È così oggi nei fatti?

Il rapporto costituzionale, stabilito, prima ancora che dal diritto canonico, dal Vangelo, fra potestà e obbedienza, P anch’esso vittima della moda odierna della contestazione sociologica; e lo si vuole cambiare, minimizzare. Negare non si può, tanto è chiara la sua origine divina, ma cambiare, cioè correggere, sì: perfezionare. Ed a questo perfezionamento, auspice il Concilio, chi è responsabile nella Chiesa, chi esercita una qualsiasi autorità: direttiva, magistrale, pedagogica, amministrativa, apostolica si dice disposto, e già esso è sulla via d’una leale e palese esecuzione. Ma «est modus in rebus»! Vi sono alcuni pseudo-concetti a questo riguardo da cui dobbiamo guardarci. Per esempio: si dice che l’autorità è servizio. Giustissimo; ce lo ricorda il Signore, all’ultima Cena: «Chi governa sia come uno che serve» (Lc 22,26). Vi fa eco per Noi la spesso ripetuta parola sapiente del Manzoni nel ritratto del Vescovo ideale, Federico Borromeo: «Non ci esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio» (I Promessi Sposi, c. XXII). San Gregorio Magno Ci ha lasciato di sé, come Capo della Chiesa e Pastore dei Pastori, la definizione che tuttora abbiamo nel nostro protocollo pontificio: «Servo dei Servi di Dio». Ma questa formula esatta e ammonitrice non annulla la potestà del Papa, come ogni altra formula analoga riferita ad una legittima autorità: l’autorità nella Chiesa è per il servizio dei fratelli; non al servizio altrui; lo scopo cioè dell’autorità è il bene degli altri; non che gli altri siano la fonte dell’autorità stessa; la Chiesa, nell’esercizio dell’autorità, per usare un termine corrente è democratica nel fine, nella sua ragion d’essere; non nella sua origine, non derivando dalla così detta «base» il suo potere, ma da Cristo, da Dio, davanti al quale soltanto è responsabile.

Il che comporta un’altra importante precisazione, per la quale la potestà nella Chiesa non può rivestire le forme storicamente variabili che essa assume nel governo della società civile, come quando chi presiede ad essa ha solo l’ufficio di legalizzare ciò che la comunità ha elaborato e decretato; la potestà nella Chiesa conserva la libertà e l’iniziativa che il Signore ha conferite agli Apostoli, alla gerarchia, e non solo a garanzia dell’ordine esteriore, ma al bene sia dei singoli fedeli, sia della comunità; a quel bene che mette ai primi posti la dignità, la libertà, la responsabilità, la santificazione di tutti e di ciascuno i componenti il corpo ecclesiale.

Perciò quando oggi si dice che non si contesta nella Chiesa l’autorità come tale, ma si critica il modo di esercitarla, si dice bene, a condizione che la ricerca di questo modo ideale non autorizzi l’affrancamento, cioè la disobbedienza, dal modo reale e legittimo, con cui l’autorità esplica il suo mandato.


LIBERTÀ E DIALOGO

Così si dica del dialogo, che oggi fa le spese di tante discussioni non solo fra la Chiesa e chi di fuori la circonda, ma fra quelli altresì che sono dentro la Chiesa e vi hanno posizioni e funzioni differenti. Ottima cosa il dialogo, inteso al rispetto e alla promozione della persona o del gruppo di fronte a chi deve disporre d’un dato ordinamento ecclesiale, o deve formare coscienze e costumi, conformi al disegno, o allo spirito di Cristo; educare all’intelligenza e all’amore del precetto è progresso pedagogico, che esigerà grande pazienza e arte sagace; ma non per questo il dialogo deve paralizzare l’esercizio normale della guida responsabile, né sostituire normalmente il libero esame del singolo fedele al giudizio del pastore o del maestro, né esigere un tal quale condominio dell’autorità, che la renda imbelle e irresponsabile.

Comprendiamo che la materia è delicata e complessa, ed è di grande attualità. Non ne diciamo di più in questa sede. Gli insegnamenti del Concilio sono chiari e abbondanti in proposito (cfr. Lumen Gentium LG 27 LG 32 LG 37; ecc.). Tanti maestri ne parlano (cfr. D’AVACK, «L’Osservatore Romano», 8 nov. 1969; T. GOFFI, Obbedienza e autonomia personale, Ancora, 1965; C. COLOMBO, De auctoritate et oboedientia in Ecclesia; L. LOCHET, Autorité et obéissance, Colloque d’Ephrem, Park, 1966; anche ROSMINI, La società teocratica, Morcelliana, 1963, ecc.).


«SCIENZA DELL’ARMONIA»

Faremo bene a dedicare a questo problema capitale un’attenta e onesta riflessione. Ma quanto a Noi, in questo momento insistiamo sulla visione della Chiesa, ch’è poi la visione della nostra vita nel pensiero di Dio che si attualizza nella nostra storia, alla visione della Chiesa, diciamo, come comunione; come comunione gerarchica, come «scienza dell’armonia», «consonantia disciplinae», per usare una parola d’un antico dottore (ORIGENE, Hom. 26).

Nella formazione della nuova mentalità ecclesiale, chiamiamola pure post-conciliare, dobbiamo sviluppare il senso della comunione, in cui, come membri della Chiesa, siamo inseriti. Per quanto viva debba essere la coscienza della nostra libertà e della nostra personalità non dobbiamo dimenticare che non siamo né soli, né autonomi; che anzi tanto ci dobbiamo sentire unità a se stanti, autodeterminabili e responsabili, quanto in pari tempo avvertiamo d’essere collocati in un ordine comunitario e gerarchico: le due coscienze si sviluppano insieme, e con vicendevole stimolo. Questo vuol dire essere cattolici: unici ed universali. Ed è in questa acquisita pienezza della nostra personalità aderendo all’ordinamento, che obbiettivamente la riconosce e la trascende, cioè l’obbedienza alla volontà di Dio, anche e specialmente quando ci è manifestata per tramite d’un fratello autorizzato a farsene interprete, che viviamo il mistero della comunione gerarchica, cioè viviamo la Chiesa, e riflettiamo in noi il mistero di Cristo, la cui umana apparizione fu tutta dominata da una cosciente ed eroica adesione alla volontà del Padre: «factus oboediens usque ad mortem», si fece obbediente fino a morire ( etc.; da rileggere il capitolo: «Gesù da la vita» , in ADAM, Cristo nostro Fratello, Morcelliana, 1931).

Vi è talvolta, ai nostri giorni, chi attende dal progresso della coscienza che la Chiesa oggi acquista di se stessa come ad una auspicata dissolvenza dei suoi rapporti e vincoli giuridici, che la costituiscono quale mistico corpo, visibile e organico, di Cristo nella realtà storica del mondo; ovvero vi è chi considera tale processo dottrinale come un trapasso dei poteri, onde la Chiesa si regge e adempie la sua missione, a profitto dei gradi inferiori rispetto a quelli superiori nel Popolo di Dio; noi guarderemo piuttosto alla Chiesa come a una solidarietà profonda ed organica; come a quella società, a quella comunione, «coinonia» dite il termine ormai noto dell’Apostolo Giovanni, che ci fa consorti della vita stessa di Dio (cfr. 2P 1,4), e che ci affratella tutti in Cristo (cfr. 1Jn 1,6-7). Vi assista in questo studio amoroso la Nostra Benedizione Apostolica.


* * *

Un saludo especial de bienvenida, de gratitud, a vosotros, amadísimos mexicanos - hermanos en el Episcopado, sacerdotes, seminaristas, fieles - que vais a acompañar al querido y venerado Cardenal Miguel Darío Miranda en la toma de posesión del Título de Nuestra Señora de Guadalupe en Monte Mario.

Esa parroquia y la otra de Via Aurelia, dedicadas en Roma a la Virgen de Guadalupe, y su estatua en la colina Vaticana, son una evocación permanente de la Basilica del Tepeyac y de vuestra ferviente devoción mariana, presentes en el centra de la Iglesia. También lo estáis vosotros en Nuestro Corazón. De él sale, mensajera de gracias divinas, una efusiva bendición para vosotros, para vuestros familiares y para todo el dilectísimo pueblo de México.



Mercoledì, 19 novembre 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Vogliamo richiamare la vostra attenzione sull’avvenimento che sta per compiersi nella Chiesa cattolica latina, e che avrà la sua applicazione obbligatoria nelle Diocesi italiane a partire dalla prossima prima Domenica dell’Avvento, che cade quest’anno il 30 novembre; e cioè l’introduzione nella Liturgia del nuovo rito della Messa. La Messa sarà celebrata in una forma alquanto differente da quella che, da quattro secoli ad oggi, cioè da S. Pio V, dopo il Concilio di Trento, siamo soliti a celebrare.

Il cambiamento ha qualche cosa di sorprendente, di straordinario, essendo considerata la Messa come espressione tradizionale e intangibile del nostro culto religioso, dell’autenticità della nostra fede. Vien fatto di domandarci: come mai un tale cambiamento? E in che cosa consiste questo cambiamento? Quali conseguenze esso comporta per coloro che assisteranno alla santa Messa? Le risposte a queste domande, ed a simili provocate da così singolare novità, vi saranno date e ampiamente ripetute in tutte le chiese, su tutte le pubblicazioni d’indole religiosa, in tutte le scuole, dove s’insegna la dottrina cristiana. Noi vi esortiamo a farvi attenzione, procurando di precisare tosi e di approfondire qualche po’ la stupenda e misteriosa nozione della Messa.



LA MENTE DEL CONCILIO

Ma intanto, per questo breve ed elementare discorso, cerchiamo di togliere dalle vostre menti le prime e spontanee difficoltà sollevate da un tale mutamento, in relazione alle tre domande, che subito esso ha fatto sorgere nei nostri spiriti.

Come mai tale cambiamento? Risposta: esso è dovuto ad una volontà espressa dal Concilio ecumenico, testé celebrato. Il Concilio dice così: «L’ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli. Per questo, i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano resi più semplici; si sopprimano quegli elementi che col passare dei secoli furono duplicati, o meno utilmente aggiunti; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei santi Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria» (Sacr. Concilium, n. 50).

La riforma perciò, che sta per essere divulgata, corrisponde ad un mandato autorevole della Chiesa; è un atto di obbedienza; è un fatto di coerenza della Chiesa con se stessa; è un passo in avanti della sua tradizione autentica; è una dimostrazione di fedeltà e di vitalità, alla quale tutti dobbiamo prontamente aderire. Non è un arbitrio. Non è un esperimento caduco o facoltativo. Non è un’improvvisazione di qualche dilettante. È una legge pensata da cultori autorevoli della sacra Liturgia, a lungo discussa e studiata; faremo bene ad accoglierla con gioioso interesse e ad applicarla con puntuale ed unanime osservanza. Questa riforma mette fine alle incertezze, alle discussioni, agli arbitri abusivi; e ci richiama a quella uniformità di riti e di sentimenti, ch’è propria della Chiesa cattolica, erede e continuatrice di quella prima comunità cristiana, ch’era tutta «un Cuor solo e un’anima sola» (
Ac 4,32). La coralità della preghiera nella Chiesa è uno dei segni e una delle forze della sua unità e della sua cattolicità. Il cambiamento, che sta per avvenire, non deve rompere, né turbare questa coralità: deve confermarla e farla risonare con spirito nuovo, con respiro giovane.


IMMUTATA SOSTANZA

Altra domanda: in che cosa consiste il cambiamento? Lo vedrete; consiste in tante nuove prescrizioni rituali, le quali esigeranno, da principio specialmente, qualche attenzione e qualche premura. La devozione personale ed il senso comunitario renderanno facile e gradevole l’osservanza di queste nuove prescrizioni. Ma sia ben chiaro: nulla è mutato nella sostanza della nostra Messa tradizionale. Qualcuno può forse lasciarsi impressionare da qualche cerimonia particolare, o da qualche rubrica annessa, come se ciò fosse o nascondesse un’alterazione, o una menomazione di verità per sempre acquisite e autorevolmente sancite della fede cattolica, quasi che l’equazione fra la legge della preghiera, «lex orandi» , e la legge della fede, «lex credendi», ne risultasse compromessa.

Ma non è così. Assolutamente. Innanzi tutto perché il rito e la rubrica relativa non sono di per sé una definizione dogmatica, e sono suscettibili di una qualificazione teologica di valore diverso a seconda del contesto liturgico a cui si riferiscono; sono gesti e termini riferiti ad un’azione religiosa vissuta e vivente d’un mistero ineffabile di presenza divina, non sempre realizzata in forma univoca, azione che solo la critica teologica può analizzare ed esprimere in formule dottrinali logicamente soddisfacenti. E poi perché la Messa del nuovo ordinamento è e rimane, se -mai con evidenza accresciuta in certi suoi aspetti, quella di sempre. L’unità fra la Cena del Signore, il Sacrificio della croce, la rinnovazione rappresentativa dell’una e dell’altro nella Messa è inviolabilmente affermata e celebrata nel nuovo ordinamento, come nel precedente. La Messa è e rimane la memoria dell’ultima Cena di Cristo, nella quale il Signore, tramutando il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, istituì il Sacrificio del nuovo Testamento, e volle che, mediante la virtù del suo Sacerdozio, conferita agli Apostoli, fosse rinnovato nella sua identità, solo offerto in modo diverso, in modo cioè incruento e sacramentale, in perenne memoria di Lui, fino al suo ultimo ritorno (cfr. DE LA TAILLE, Mysterium Fidei, Elucid. IX).



MAGGIORE PARTECIPAZIONE

E se nel nuovo rito troverete collocata in migliore chiarezza la relazione fra la Liturgia della Parola e la Liturgia propriamente eucaristica, quasi questa risposta realizzatrice di quella (cfr. BOUYER), o se osserverete quanto sia reclamata alla celebrazione del sacrificio eucaristico l’assistenza dell’assemblea dei fedeli, i quali alla Messa sono e si sentono pienamente «Chiesa», ovvero vedrete illustrate altre meravigliose proprietà della nostra Messa, non crediate che ciò intenda alterarne la genuina e tradizionale essenza; sappiate piuttosto apprezzare come la Chiesa, mediante questo nuovo e diffuso linguaggio, desidera dare maggiore efficacia al suo messaggio liturgico, e voglia in maniera più diretta e pastorale avvicinarlo a ciascuno dei suoi figli ed a tutto l’insieme del Popolo di Dio.

E rispondiamo così alla terza domanda che ci siamo proposti: quali conseguenze produrrà l’innovazione, di cui stiamo ragionando? Le conseguenze previste, o meglio desiderate, sono quelle della più intelligente, più pratica, più goduta, più santificante partecipazione dei fedeli al mistero liturgico, cioè alla ascoltazione della Parola di Dio, viva e risonante nei secoli e nella storia delle nostre singole anime, e alla realtà mistica del sacrificio sacramentale e propiziatorio di Cristo.

Non diciamo dunque «nuova Messa», ma piuttosto «nuova epoca» della vita della Chiesa. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

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Porgiamo il Nostro affettuoso saluto al Gruppo di Funzionari del Patronato A.C.L.I. convenuti a Roma per un Corso di formazione.

La delicatezza dei sentimenti che vi ha portato a questa Udienza, diletti Figli, non Ci lascia insensibili e ve ne ringraziamo di cuore, lieti dell’occasione che Ci si offre per rallegrarCi con voi del Corso cui state partecipando. Tale iniziativa costituisce un ulteriore contributo che voi date nell’importante campo della assistenza ai lavoratori. Di questo contributo siate benedetti, diletti Figli. Per parte Nostra, Noi vi siamo accanto col Nostro incoraggiamento e con la Nostra preghiera, invocando su di voi e su tutte le vostre attività la continua assistenza del Signore, di cui è pegno la Nostra Apostolica Benedizione.

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Una breve parola di saluto e di compiacimento vogliamo rivolgere adesso alle piccole alunne della V classe, sezione C, della Scuola statale romana «Giovanni XXIII», alle quali è stato assegnato il premio nazionale della Bontà «Livio Tempesta», per il 1969.

Noi desideriamo esprimervi il Nostro plauso per le varie iniziative di generosità e di dedizione, con le quali avete saputo dimostrare che anche voi piccole potete dare il vostro concreto contributo e la vostra luminosa testimonianza di carità verso i fratelli bisognosi. Un plauso particolare anche per aver esemplarmente partecipato alla campagna nazionale antiblasfema.

Perseverate, con impegno ed ardore sempre crescenti, in questa testimonianza cristiana, affinché si sviluppi nelle vostre famiglie e nella vostra scuola il senso della solidarietà e dell’amore.

Con i Nostri voti augurali per il premio, che avete meritato, di cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, che estendiamo ai vostri genitori, alla vostra insegnante, alle Autorità scolastiche di Roma e ai Membri della Giunta Esecutiva del Centro Nazionale Apostolato della Bontà nella Scuola.


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We greet the Special Chapter of the Sisters of Christian Charity, invoking divine guidance upon your deliberations, and the grace of courage to apply them in your religious life.

Our special welcome is extended to the participant in the ten-week course, directed by Father Riccardo Lombardi, for the instruction and preparation of apostles, to spread the teachings and spirituality of the Vatican Council; for its spirit, its doctrine, its statements on the Church, the Liturgy, the Laity, the Apostolate, and Ecumenism, are so many sources of new vitality for every Catholic for the reform of thinking and living, for the consciousness of unity and its practice for the apostolic encounter of true Christianity with the world of today. We encourage your studies and your dedication, beloved sons and daughters; and to each of you, your collaborators, your families and loved ones, We impart from Our heart Our special Apostolic Blessing.

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Una palabra de bienvenida, de aliento, para vosotras «Misioneras Siervas de San José» que en Roma estais celebrando la segunda y última etapa de vuestro Capítulo General Especial.

A vuestra Congregación también podría, en cierto sentido, aplicarse el Evangelio del Domingo pasado: un grano de mostaza florecido en ramas frondosas, un poco de levadura que ha hecho fermentar. Así lo dicen vuestro número y vuestras obras esparcidas en cuatro continentes.

Continuad siendo fieles, generosas, en las ansias de perfección personal, en vuestros fines de educar la niñez y la juventud, de promover humana y religiosamente a las clases necesitadas, conforme al espíritu de vuestro Instituto y a las orientaciones conciliares. En vuestro camino os acompañan Nuestras plegarias y Nuestra Bendición.


Mercoledì, 26 novembre 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Ancora noi vogliamo invitare i Vostri animi a rivolgersi verso la novità liturgica del nuovo rito della Messa, il quale sarà instaurato nelle nostre celebrazioni del santo Sacrificio, a cominciare da domenica prossima, prima Domenica dell’Avvento, 30 novembre. Nuovo rito della Messa: è un cambiamento, che riguarda una venerabile tradizione secolare, e perciò tocca il nostro patrimonio religioso ereditario, che sembrava dover godere d’un’intangibile fissità, e dover portare sulle nostre labbra la preghiera dei nostri antenati e dei nostri Santi, e dare a noi il conforto di una fedeltà al nostro passato spirituale, che noi rendevamo attuale per trasmetterlo poi alle generazioni venture. Comprendiamo meglio in questa contingenza il valore della tradizione storica e della comunione dei Santi. Tocca questo cambiamento lo svolgimento cerimoniale della Messa; e noi avvertiremo, forse con qualche molestia, che le cose all’altare non si svolgono più con quella identità di parole e di gesti, alla quale eravamo tanto abituati, quasi a non farvi più attenzione. Questo cambiamento tocca anche i fedeli, e vorrebbe interessare ciascuno dei presenti, distogliendoli così dalle loro consuete devozioni personali, o dal loro assopimento abituale.

Ci dobbiamo preparare a questo molteplice disturbo, ch’è poi quello di tutte le novità, che si inseriscono nelle nostre abituali consuetudini. E potremo notare che le persone pie saranno quelle maggiormente disturbate, perché avendo un loro rispettabile modo di ascoltare la Messa si sentiranno distolte dai loro consueti pensieri e obbligate a seguirne degli altri. I sacerdoti stessi proveranno forse qualche molestia a tale riguardo.


PREPARARSI AI CAMBIAMENTI

Che cosa fare in questa speciale e storica occasione?

Innanzi tutto: prepararci. Non è piccola cosa questa novità; non dobbiamo lasciarci sorprendere dall’aspetto, e forse dal fastidio, delle sue forme esteriori. È da persone intelligenti, è da fedeli coscienti informarsi bene circa la novità, di cui si tratta. Per merito di tante buone iniziative ecclesiali ed editoriali questo non è difficile. Come altra volta dicevamo, sarà bene che ci rendiamo conto dei motivi, per i quali è introdotta questa grave mutazione: l’obbedienza al Concilio, la quale ora diviene obbedienza ai Vescovi che ne interpretano e ne eseguiscono le prescrizioni; e questo primo motivo non è semplicemente canonico, cioè relativo ad un precetto esteriore; esso si collega al carisma dell’azione liturgica, cioè alla potestà e all’efficacia della preghiera ecclesiale, la quale ha nel Vescovo la sua voce più autorevole, e quindi nei Sacerdoti, che ne coadiuvano il ministero, e che come lui agiscono «in persona Christi» (cfr. S. IGN., Ad Eph., IV): è la volontà di Cristo, è il soffio dello Spirito Santo, che chiama la Chiesa a questa mutazione. Dobbiamo ravvisarvi il momento profetico, che passa nel corpo mistico di Cristo, ch’è appunto la Chiesa, e che la scuote, la risveglia, e la obbliga a rinnovare l’arte misteriosa della sua preghiera, con un intento, che costituisce, com’è stato detto, l’altro motivo della riforma: associare in maniera più prossima ed efficace l’assemblea dei fedeli, essi pure rivestiti del «sacerdozio regale», cioè dell’abilitazione alla conversazione soprannaturale con Dio, al rito ufficiale sia della Parola di Dio, sia del Sacrificio eucaristico, donde risulta composta la Messa.


IL PASSAGGIO ALLA LINGUA PARLATA

Qui, è chiaro, sarà avvertita la maggiore novità: quella della lingua. Non più il latino sarà il linguaggio principale della Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un sacrificio d’inestimabile prezzo. E per quale ragione ? Che cosa vale di più di questi altissimi valori della nostra Chiesa? La risposta pare banale e prosaica; ma è valida; perché umana, perché apostolica. Vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana. Se il divo latino tenesse da noi segregata l’infanzia, la gioventù, il mondo del lavoro e degli affari, se fosse un diaframma opaco, invece che un cristallo trasparente, noi, pescatori di anime, faremmo buon calcolo a conservargli l’esclusivo dominio della conversazione orante e religiosa? Che cosa diceva San Paolo? Si legga il capo XIV della prima lettera ai Corinti: «Nell’assemblea preferisco dire cinque parole secondo la mia intelligenza per istruire anche gli altri, che non diecimila in virtù del dono delle lingue» (
1Co 14,19 ecc.). E Sant’Agostino sembra commentare: «Purché tutti siano istruiti, non si abbia timore dei professori» (P.L. 38, 228, Serm. 37; cfr. anche Serm. 299, p. 1371). Ma del resto il nuovo rito della Messa stabilisce che i fedeli «sappiano cantare ‘insieme, in lingua latina, almeno le parti dell’ordinario della Messa, e specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore, il Padre nostro» (n. 19). Ma ricordiamolo bene, a nostro monito e a nostro conforto: non per questo il latino nella nostra Chiesa scomparirà; esso rimarrà la nobile lingua degli atti ufficiali della Sede Apostolica; resterà come strumento scolastico degli studi ecclesiastici e come chiave d’accesso al patrimonio della nostra cultura religiosa, storica ed umanistica; e, se possibile, in rifiorente splendore.


PARTECIPAZIONE E SEMPLICITÀ

E finalmente, a ben vedere, si vedrà che il disegno fondamentale della Messa rimane quello tradizionale, non solo nel suo significato teologico, ma altresì in quello spirituale; questo anzi, se il rito sarà eseguito come si deve, manifesterà una sua maggiore ricchezza, resa evidente dalla maggiore semplicità delle cerimonie, dalla varietà e dall’abbondanza dei testi scritturali, dall’azione combinata dei vari ministri, dai silenzi che scandiscono il rito in momenti diversamente profondi, e soprattutto dall’esigenza di due requisiti indispensabili: l’intima partecipazione d’ogni singolo assistente, e l’effusione degli animi nella carità comunitaria; requisiti che devono fare della Messa più che mai una scuola di profondità spirituale e una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana. Il rapporto dell’anima con Cristo e con i fratelli raggiunge la sua nuova e vitale intensità. Cristo, vittima e sacerdote, rinnova ed offre, mediante il ministero della Chiesa, il suo sacrificio redentore, nel rito simbolico della sua ultima cena, che lascia a noi, sotto le apparenze del pane e del vino, il suo corpo e il suo sangue, per nostro personale e spirituale alimento, e per la nostra fusione nell’unità del suo amore redentore e della sua vita immortale.



INDICAZIONI NORMATIVE

Ma resta ancora una difficoltà pratica, che l’eccellenza del sacro rito rende non poco importante. Ma come faremo a celebrare questo nuovo rito, quando non abbiamo ancora un messale completo, e quando ancora tante incertezze circondano la sua applicazione? Ecco. gioverà, per terminare, che vi leggiamo alcune indicazioni, che Ci vengono dall’officina competente, cioè dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino. E sono queste:

«Quanto all’obbligatorietà del rito:

1) Per il testo latino: i sacerdoti che celebrano in latino, in privato, o anche in pubblico per i casi previsti dalla legislazione, possono usare, fino al 28 novembre 1971, o il Messale romano o il rito nuovo.

Se usano il Messale romano possono però servirsi delle tre nuove anafore e del Canone romano con gli accorgimenti previsti nel testo ultimo (omissione di alcuni Santi, delle conclusioni, ecc.). Possono inoltre dire in volgare le letture e la preghiera dei fedeli.

Se usano il nuovo rito devono seguire il testo ufficiale con le concessioni in volgare sopra indicate.

2) Per il testo volgare. In Italia tutti coloro che celebrano col popolo, dal 30 novembre prossimo, devono usare il "Rito della Messa", pubblicato dalla Conferenza Episcopale Italiana o da altra Conferenza nazionale.

Le letture nei giorni festivi saranno prese:

- o dal Lezionario edito dal Centro Azione Liturgica

- o dal Messale Romano festivo usato finora.

Nei giorni feriali si continuerà ad usare il Lezionario feriale, pubblicato tre anni fa.

Per chi celebra in privato non si pone alcun problema, perché deve celebrare in latino. Se, per particolare indulto, celebra in volgare: per i testi deve seguire quanto è stato detto sopra per la Messa col popolo; per il rito, invece, deve seguire l’apposito "Ordo", pubblicato dalla Conferenza Episcopale Italiana».

In ogni caso, e sempre, ricordiamo che «la Messa è un Mistero da vivere in una morte di Amore. La sua Realtà divina sorpassa ogni parola . . . È l’Azione per eccellenza, l’atto stesso della nostra Redenzione nel Memoriale, che la rende presente» (ZUNDEL). Con la Nostra Apostolica Benedizione.

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Salutiamo con paterno compiacimento il Gruppo dei Rettori dei Santuari e dei Direttori di Pellegrinaggi riuniti a Roma in Convegno per studiare i problemi relativi all’attività liturgica e pastorale nei Santuari.

Vi ringraziamo, diletti Figli, del vostro omaggio e molto apprezziamo l’oggetto del vostro fraterno incontro. Un programma pastorale di largo respiro e sapientemente organizzato non può ignorare la funzione integrativa che i Santuari possono oggi svolgere nel campo dell’apostolato cristiano. Valorizzare pertanto questo contributo ai fini di una più completa formazione spirituale dei fedeli è una prova del vostro alto sentire cristiano, e Noi volentieri pregheremo il Signore affinché possiate attendere a questo compito con zelo, competenza e sincero spirito apostolico.

A tale scopo vi impartiamo di cuore la Nostra propiziatrice Apostolica Benedizione.

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Rivolgiamo il Nostro paterno e affettuoso saluto anche al Gruppo di sacerdoti partecipanti al Corso Internazionale di Studi sugli Esercizi Spirituali di S. Ignazio.

Sappiate, diletti Figli, che Noi vi seguiamo col più vivo interesse nel silenzioso, ma assai proficuo lavoro, cui state attendendo; e confidiamo che ne conseguano sempre in più larga e consolante copia quei frutti di pietà, di fervore e di generosità apostolica, di cui si è così abbondantemente arricchita nel passato e tuttora si alimenta la vita spirituale dei fedeli attraverso la pratica degli Esercizi Ignaziani.

A questo scopo vi assisteremo con la Nostra preghiera, invocando su di voi e sulla vostra attività la continua protezione del Signore, di cui è pegno la Nostra Apostolica Benedizione.


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Una parola di saluto vogliamo indirizzare a voi, lavoratori e tecnici, che, guidati dal Cappellano dei Lavoratori Italiani a Lugano, rappresentate idealmente tutti i vostri colleghi, minatori, meccanici, gruisti, manovali, in procinto di iniziare i lavori per il traforo autostradale del San Gottardo.

Con un gesto di profonda fede, avete voluto portare qui, a Roma, affinché fosse da Noi benedetta la statua di Santa Barbara, che desiderate collocare all’imbocco della galleria.

Possa la celeste Patrona dei Minatori impetrare sulle vostre persone e sul vostro lavoro l’aiuto paterno e misericordioso di Dio, affinché l’ardita opera progettata, la quale collegherà due popoli, sia felicemente condotta a termine.

Con questi voti ed in pegno della Nostra benevolenza, di cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, che estendiamo altresì al vostro Cappellano, ai vostri dirigenti, ai vostri colleghi, alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari.

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¡Bienvenidos, queridísimos sacerdotes y peregrinos todos de Colombia! Vuestra devota visita suscita en Nuestro ánimo sentimientos de gratitud y evoca tantos momentos consoladores de Nuestra presencia en vuestra católica Nación.

Ante la tumba de San Pedro, estáis dando testimonio de vuestra fe, de vuestra firmeza cristiana, de vuestros deseos de traducir en obras vuestra comunión de amor con Cristo. Que El os mantenga y aliente en estos ideales. Así lo sea, con la Bendición Apostólica - reiteración de cuantos gozosamente impartimos en la risueña Bo gota - que ahora volvemos a otorgar a vosotros, a vuestras familias, a toda la entrañable y siempre recordada Colombia.

¡Bienvenidos, Peregrinos de Guatemala! Vuestra significativa presencia Nos llena de consuelo y cordialmente os la agradecemos. Que el Señor os asista siempre, con gratias de felicidad, en vuestros caminos cristianos. En ellos os acompañan Nuestras plegarias y la Bendición que, con todo afecto, otorgamos a vosotros, a vuestros familiares, y al pueblo entero de Guatemala.

A vosotras, Carmelitas de la Caridad de Santa Joaquina Vedruna Nuestra complacencia por los méritos que tenéis en la educación juvenil, en la asistencia de caridad, en el apostolado misionero. Que vuestro Capítulo en curso sirva a intensificar más vuestros ideales de amar a Dios y la Iglesia en el servicio a los hermanos. Así lo pedimes en Nuestra oración y, a ese fín, otorgamos a todos los miembros y obras del Instituto una amplia Bendición.

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Distinguished Representatives of East African Airways,

Your kind visit to Us recalls the happy memories of Our pilgrimage to Africa, to venerate the Martyr Saints of Uganda, and to bring the Apostolic Blessing personally to all the peoples of your vast Continent.

Your presence enables Us to express Our heartfelt thanks directly to the management and personnel of your airline, both in Africa .and in Europe, for the exquisite courtesy which accompanied the preparation of Our visit, and ensured the safety and comfort of Our flight to Entebbe and return to Rome. We ask you kindly to greet and thank, in Our name, the pilots and crew of the aircraft on which We and Our companions travelled with such satisfaction.

We are confident that, in your numerous contacts with persons of many different languages, and nationalities, you will ever strive to make Africa better known and understood, and to promote international friendship, concord and peace.

Sincerely grateful for your generous services, and expressing warm wishes for your prosperity and success, We gladly invoke upon each of you and your families, upon all the personnel of East African Airways, your Nations, and all of beloved Africa, choice divine graces and blessings.


Mercoledì, 3 dicembre 1969


Paolo VI Catechesi 51169