Paolo VI Catechesi 10470

Mercoledì, 1° aprile 1970

10470

Quanti di noi sono oggi qui riuniti, tutti siamo ancora pervasi dal ricordo, dall’emozione e dalla grazia - Dio voglia - della celebrazione del mistero pasquale. Mistero pasquale: ecco una espressione teologica moderna e felice, di cui il Concilio si è valso spesso per riassumere in essa l’opera della redenzione, compiuta dal Signore mediante il suo sacrificio e la sua risurrezione, mediante la sua estensione dal Signore agli uomini, ossia l’opera della grazia, e mediante la sua applicazione alle singole anime per via sacramentale. La celebrazione liturgica ricorda e rinnova il prodigio di questa economia redentrice, specialmente nella santa Messa (Cfr. Sacrosanctum Concilium
SC 5). Mistero pasquale: è un’espressione assai densa di significato, che dovrà alimentare nelle nostre menti il concetto sintetico degli avvenimenti, degli insegnamenti, delle grazie e dei doveri, che si riferiscono alla storia della nostra salvezza ed alla permanente attualità, che essa conserva per ciascuno di noi.

Noi faremo bene a tributare la massima nostra considerazione a quanto si riferisce a Cristo nel mistero pasquale: è questo il tema centrale biblico, teologico, spirituale della nostra fede; esso è stato da noi meditato durante la Settimana Santa nella visione assorbente della figura divina ed umana di Gesù, come San Paolo, che non pensava di sapere altra cosa che Cristo, e questo crocifisso (Cfr. 1Co 2,2); o come S. Ignazio d’Antiochia: «È Lui che io cerco, che è morto per noi; è Lui, ch’io voglio, che è risuscitato per noi» (Rm 6,1), o come S. Francesco alla Verna; o come il popolo fedele nella Via Crucis, o nella Liturgia della notte santa e sempre in uno studio e in una devozione che fissano su di Lui, Gesù Cristo, tutta l’attenzione.



IL PIANO DELLA REDENZIONE

Ma il mistero pasquale esige da noi una considerazione più completa: noi non possiamo guardare al dramma personale di Gesù, quasi esso riguardasse soltanto Lui e fosse estraneo agli uomini, a noi stessi; perché il mistero pasquale non è un avvenimento isolato, ma è un avvenimento collegato col nostro destino, con la nostra salvezza. E questa ampiezza di visione, che riconosce nella vita, nella morte e nella risurrezione di Cristo l’opera della redenzione, ci obbliga a rintracciare subito l’economia, .cioè il disegno operante, della sua universalità, e specialmente della sua applicazione ad ogni singolo uomo. E questo pensiero offre la trama della nostra spiritualità dopo la celebrazione della festa di Pasqua; è essa festa di Cristo risorto, o è anche festa di noi mortali? È sua, o è anche nostra? E la riflessione si fa più intima nella comprensione del piano della redenzione, e più gioiosa se davvero la possiamo estendere non solo alla passione e alla morte del Signore, ma anche alla sua beata risurrezione. E che la risurrezione sia il complemento necessario del mistero pasquale ce lo dice San Paolo con tanti suoi insegnamenti, che una frase scultorea riassume: «Cristo è stato immolato per causa dei nostri falli ed è stato risuscitato in vista della nostra giustificazione» (Rm 4,25). Dice un rinomato commentatore: «La risurrezione di Gesù non è un lusso soprannaturale offerto all’ammirazione degli eletti, né una semplice ricompensa accordata ai suoi meriti, né soltanto un sostegno della nostra fede e un pegno della nostra speranza; è un complemento essenziale e una parte integrante della redenzione stessa» (PRAT, La théol. de St Paul, 11, 256).

LA NOSTRA VITA CRISTIANA

Ricostruito così nella sua integrità il mistero pasquale del Signore, un grande principio teologico s’innesta a questo punto nel quadro della nostra fede, principio a cui dovremo dedicare la valutazione più attenta e più ammirata, ed è quello della comunione, quello della solidarietà, quello della estensione, quello che costituisce propriamente la redenzione, e cioè il principio che riconosce la rappresentanza, la ricapitolazione di tutta l’umanità in Cristo, in modo che ciò che s’è compiuto in Lui può essere a noi partecipato. La sua sorte può divenire la nostra. La sua passione, la nostra. La sua risurrezione, la nostra.

Tutto sta, in questo piano di salvezza del genere umano, nella relazione vitale che noi possiamo stabilire fra Lui e noi. Avviene da sé questa relazione? Avviene in massa o singolarmente? Dio può dare alla sua misericordia ampiezze tali che trascendono il disegno di salvezza da Lui stesso stabilito; ma per noi questo disegno ci indica che la relazione salvatrice con Cristo esige una nostra, se pur minima al confronto, iniziativa personale, cioè esige la risposta della nostra libertà, della nostra fede, del nostro amore, esige alcune condizioni che rendono possibile il flusso della causalità salvatrice di Cristo. Questo aspetto del mistero pasquale ci mostra che la nostra salvezza avviene in alcune fasi successive, le quali formano la storia della nostra redenzione personale; formano la nostra vita cristiana.

Essa, come sappiamo, s’inaugura col battesimo, il sacramento della iniziazione, della rinascita; il sacramento che riproduce misticamente in ogni credente (la fede personale, ovvero la fede della Chiesa, che presenta il neofita, precede il battesimo) la morte e la risurrezione del Signore. «Ignorate, scrive ancora S. Paolo, che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella morte di Lui? Siamo stati dunque sepolti con Lui per mezzo del battesimo nella morte, affinché come fu risuscitato Cristo da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita» (Rm 4,3 Rm 4,4 ss.; Col 2,12).



PENSARE E SENTIRE CON CRISTO

Ed ecco la seconda fase della nostra rigenerazione cristiana, alla quale è impegnato il tempo della nostra esistenza nel mondo: la vita nuova, la vita in Cristo, la vita nella grazia, ossia nello Spirito Santo effuso da Cristo in noi (Cfr. Jn 14,26 Jn 15,26 Jn 16,7), la buona, la santa vita cristiana. Possiamo dire: la nostra? Viviamo noi, come diciamo nel canone della Messa: Per Ipsum, et cum Ipso, et in Ipso, cioè per Lui, e con Lui, e in Lui? Avvertiamo la novità, l’originalità, la serietà della vita cristiana? L’esigenza della sua mistica e morale autenticità? Ci rendiamo conto davvero che il «fare la Pasqua», l’avere cioè partecipato al mistero pasquale, domanda a noi una fedeltà, una coerenza, un perfezionamento nel nostro modo di pensare, di sentire e di vivere? Viviamo il nostro battesimo? Viviamo la comunione di Cristo, che abbiamo ricevuto nell’Eucaristia pasquale? Viviamo e vivremo la nostra Pasqua? Noi abbiamo spesso tanto diluito e svuotato il nostro specifico appellativo cristiano da svigorirlo del suo impegno e del suo splendore.

Mentre questa effettiva adesione al mistero pasquale, in fondo, è il problema più serio e più comprensivo della nostra presente esistenza; e si fa coestensivo con le vicende, i problemi, le esperienze della nostra naturale esistenza, e vi infonde, dopo la Pasqua, un sentimento di speranza e di gaudio.

Sentimento ch’è dono, è carisma, di cui il cristiano non dovrebbe mai essere privo (Cfr. Rm 8,24 2Co 7,4); è il preludio dell’ultima fase del mistero pasquale, cioè della piena nostra salvezza, l’immersione completa della nostra umile vita in quella infinita di Dio, nell’al di là.

Non è sogno, non è mito, non è idealismo spirituale. È la verità, è la realtà del mistero pasquale. Ricordatelo: con la Nostra Apostolica Benedizione.

Gruppo di studenti afroasiatici e sudamericani

Nous sommes très heureux d’adresser maintenant un mot tout particulier de bienvenue aux étudiants afro-asiatiques et sudaméricains, qui participent au huitième Congrès organisé par l’Ufficio centrale studenti esteri in Italia (UCSEI).

Pour ces studieuses journées de réflexion, vous avez choisi un thème d’une extrême importance: les nationalismes et l’internationalisme. De grand coeur, chers fils, Nous vous encourageons dans tette recherche féconde. Que la charité du Christ anime vos coeurs, que sa lumière illumine vos esprits. Que partout à travers le monde, où la vie de demain et les responsabilités qui vous seront confiées vous appelleront, vous soyez pour tous des frères, avec une âme vraiment catholique, à la foi, citoyens fiers de votre patrie, et citoyens du monde. Vous serez ainsi, vous êtes dès maintenant, Nous en sommes Gr, des bâtisseurs d’un monde fraternel et accueillant pour tous, des artisans de paix.

Os alentamos, amadisimos estudiantes sudamericanos, a proseguir fielmente en vuestras aspiraciones de perfeccion humana y espiritual. Que la caridad de Cristo os impulse, con entusiasmo y responsabilidad constantes, al cumplimiento de vuestro deber, corno hijos amantes de vuestra patria, y corno ciudadanos del mundo. Contribuiréis asi, a construir y a difundir la paz para todos los hombres, en medio de un mundo fraternal y acogedor.

Nell’insegna venerata di S. Francesco da Paola

Ci è caro salutare con particolare distinzione il pellegrinaggio dei settecento fedeli della Calabria, con i rappresentanti dei conterranei residenti in Canadà, in Argentina, in Uruguay, e in Europa, venuti a Roma sulle orme di San Francesco da Paola, nell’imminenza della festa del loro grande Santo, tanto venerato anche al di fuori della loro forte e nobile regione.

Carissimi figli: la devozione che nutrite per il grande apostolo della carità, ci dice meglio di ogni parola quali siano le disposizioni con cui volete vivere il vostro impegno cristiano nelle varie condizioni della vostra professione e del vostro lavoro; vi auguriamo di cuore che possiate sempre fare onore al Vangelo, in qualunque condizione si svolga la vostra esistenza, mantenendovi fedeli alla Chiesa, e a quei grandi ideali che nei secoli hanno reso degne di ogni rispetto le genti calabre: rettitudine, onestà, amore alla famiglia, spirito di sacrificio, pratica esemplare delle virtù cristiane. Conforti i vostri propositi il vostro grande Protettore, e vi assista sempre sulle vie ardue e generose della vita cristiana. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

L’Associazione Internazionale dei Ministranti

Ci sentiamo in dovere di porgere il Nostro più cordiale benvenuto ai tremila giovani di tutta Europa, che celebrano in questi giorni a Roma il terzo convegno della loro Associazione Internazionale dei Ministranti. Avete voluto ricordare con la vostra presenza il Nostro prossimo giubileo sacerdotale: ve ne siamo grati, tanto più che questo gesto riveste un significato particolare, partendo da chi, come voi, fa del servizio liturgico all’Altare non solo un titolo di onore, ma una professione di fede, un atto di amore. Voi siete strettamente associati al Sacrificio eucaristico, di cui dovete approfondire il significato teologico e spirituale e rituale; voi siete collaboratori eletti del sacerdozio ministeriale, al quale portate un aiuto preziosissimo: voi svolgete, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, «un vero ministero liturgico» insieme con i lettori, i commentatori, e i membri della «Schola cantorum» (Sacrosanctum Concilium SC 29). Vi auguriamo di fare di codesta vostra «specializzazione» il centro propulsore e orientatore di tutta la vostra vita. Sappiate sempre compiere il vostro ufficio liturgico con rispetto, con ordine, con euritmia, con religiosità profonda, vorremmo dire con stupore e gratitudine ogni volta rinnovati e più grandi, nella convinzione dell’arcana e reale presenza del Signore, davanti al quale state, perché è soprattutto attraverso la Liturgia che il Signore è presente nella sua Chiesa a realizzare la grande opera della salvezza, a rendere sempre vivo e contemporaneo il mistero pasquale (Cfr. ibid., SC 7).

Noi preghiamo per voi e per le vostre famiglie, vi seguiamo con grande stima e benevolenza, di cui è pegno la Nostra Benedizione.

***

Quelle joie pour Nous ce matin que la presence à cette audience des milliers de jeunes qui participent à la troisième rencontre organisée par le Coetus internationalis Ministrantium. Chers fils, vous êtes les ministres de l’autel, vous servez le prêtre qui est le ministre du Christ. Oh, servez le Christ de tout votre coeur, de toute votre âme, qu’il soit la joie de votre jeunesse, la lumière de votre esprit, la force de votre volonté. Qu’à cette école sublime vous appreniez à aimer la sainte messe, le sacrifice du Christ, où Nous célébrons sa mort et sa résurrection pour notre salut, où Nous puisons sa vie même. Et aussi, chers fils, que dans cette proximité immédiate du prêtre, vous appreniez à connaître vraiment, à aimer profondément le prêtre, à découvrir qu’il est le ministre du Christ, celui qui proclame sa parole de vérité, celui qui donne le pain de vie au peuple de Dieu rassemblé pour célébrer la sainte liturgie de la messe. Croyez-Nous, chers fils, il n’est pas de plus grande joie, ni de plus belle vie, que de répondre à l’appel du Seigneur quand il se manifeste à des jeunes comme vous. Si cela vous arrive - et cela arrivera sûrement à quelques-uns d’entre vous -, soyez généreux, et vous vivrez dans la joie cette vocation si belle et si grande entre toutes. Oui, Nous l’espérons, Nous le demandons au Seigneur: parmi vous, du milieu d’entre vous, surgiront demain des prêtres ardents et enthousiastes pour annoncer la bonne nouvelle de Pâques: le Christ est ressuscité, et il est apparu à Pierre!

Avec Notre affectueuse Bénédiction Apostolique.

Dall’Olanda e dal Libano

(... in francese)

Geminde zonen van de vlaamse taal, van ganser harte zegenen wei U, Uw personen, Uw familis en allen di Y dierbaar zein.



Mercoledì, 8 aprile 1970

8470

Ancora la Chiesa sia il tema di questo nostro momento di apertura spirituale. È il tema del nostro tempo. È il tema del Concilio. È il tema che prima d’ogni altro si presenta agli spiriti, che entrano pensosi in questa basilica. Ed è tema talmente vasto e complesso, che sembra sopraffare il nostro pensiero; ma esso diventa relativamente semplice, se si medita nei suoi vari aspetti, e se, fra i tanti, si fissa su uno la nostra attenzione.

Oggi, noi siamo ancora memori delle cerimonie pasquali, che ci hanno persuasi d’una misteriosa, ma ben precisa verità: dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Cioè: la Chiesa è il risultato, sempre in via di perfezionamento, della Redenzione. È noto a tutti come questo concetto abbia avuto il suo simbolo dall’acqua e dal sangue che uscirono dal petto di Cristo, morto in croce, squarciato dalla lancia (
Jn 19,34): De ipso sanguine et aqua significatur nata Ecclesia dice Sant’Agostino (S. AUG., Sermo 5, 3; PL 38, 55); perché sacramenta Ecclesiae profluxerunt (Io 15. 4. 8; PL 35, 1513): da quel sangue ed acqua è significata la nascita della Chiesa, perché scaturirono i sacramenti della Chiesa. Sappiamo che la Chiesa emana da Cristo: Egli ne è il fondatore, Egli il Capo (Cfr. Col 1,22 cfr. JOURNET, L’Eglise, III, 590-593). È chiaro. Ma ora ci interessa una questione particolare: quando nasce un cristiano? e noi, come siamo nati nella Chiesa e siamo stati incorporati in essa, cioè a Cristo?

Anche questo è ben noto: si nasce nella Chiesa e si diventa cristiani (le due cose coincidono e sono inseparabili), col battesimo. Ma il battesimo esige una condizione, tanto importante, che entra nella definizione del cristiano: la fede. Il cristiano è un fedele, è un credente. Questa condizione indispensabile, questo principio vitale della nuova esistenza soprannaturale del cristiano, era messo in prima evidenza dalla liturgia del battesimo, la quale appunto si apriva a dialogo con la domanda rivolta al catecumeno, ovvero al bambino portato al battesimo, e per lui al padrino, rappresentante, per un verso, del bambino stesso, per un altro verso, della comunità ecclesiale: «Che cosa domandi alla Chiesa di Dio?». Risposta: «La Fede».



PRINCIPIO VITALE

La fede è la chiave d’entrata. È la soglia. È il primo passo.

È il primo atto richiesto all’uomo, che desidera appartenere a quel regno di Dio, che da questo inizio conduce alla pienezza della vita eterna. La Chiesa primitiva aveva cura di affermare la esigenza primordiale della fede in termini decisivi: «Colui che crede nel Figlio (di Dio, cioè in Gesù Cristo), ha la vita eterna; colui invece ch’è incredulo nel Figlio (di Dio) non vedrà la vita» (Jn 3,36), così l’evangelista San Giovanni; e San Paolo (per dare una fra le molte sue testimonianze a questo proposito), condensa la sua dottrina in questa affermazione: «Se tu confessi con la bocca il Signore Gesù, e nel tuo cuore hai fede che Dio lo ha risuscitato da morte, tu sarai salvo» (Rm 10,9).


L'ANNUNCIO DELLA PAROLA

Facciamo attenzione: la vera causa della salvezza è Cristo stesso, anzi è lo Spirito Santo, che Gesù, Verbo di Dio, e come uomo assunto nella gloria del Padre, manda agli uomini e alla sua Chiesa (Cfr. Jn 16,7), il principio della nostra vita nuova, la vita della grazia; Egli è l’ispiratore della fede stessa. Ma il disegno salvifico divino contempla delle condizioni, due delle quali principalissime, una interna, ossia la libera adesione alla fede; l’altra esterna, ossia l’annuncio apostolico della Parola di Dio, della verità divina a cui credere, l’insegnamento autentico della Chiesa. Qui noi dovremmo ricordare la molteplicità di problemi, che fanno pressione sull’uomo moderno in ordine alla fede. Quale formidabile intreccio! Tutti ne abbiamo qualche notizia. La fede oggi sembra diventata difficile, impossibile perfino. L’antico contrasto fra ragione e fede sembra a qualcuno risorgere e qualificarsi irriducibile. La psicologia moderna poi solleva una serie d’altre difficoltà che complicano assai il cammino verso la fede, la pedagogia del credente.

E poi oggi la risonanza delle idee di moda, sia speculative, sia pratiche e sociali, è tale che viene a sostituire, in molti spiriti almeno in dati ambienti e in dati momenti della vita, la funzione illuminante e certificante della fede; le ideologie trascinano, la opinione pubblica domina. Per di più non mancano coloro che scambiano per fede alcune loro esperienze spirituali: parlando a se stessi, interiormente, ritengono d’avere una propria fede sufficiente, e sono paghi di questa loro elaborata coscienza, anche se essa resta muta sulle supreme questioni del destino umano e dei misteri del mondo; e cercano di rassegnarsi con stoica, o angosciata magnanimità. Altri poi, non volendo del tutto staccarsi dalla religione cristiana, applicano alla fede un criterio selettivo: cioè dicono di credere in alcuni dogmi, lasciando cadere gli altri, che a loro sembrano inammissibili, o incomprensibili, o troppi; si contentano d’una fede su misura del loro cervello; quando infine non spingano questo criterio di autonomia nel giudicare le verità della fede fino a quel libero esame, che consente a ciascuno di pensarla a modo suo, e che toglie alla fede stessa la sua oggettiva consistenza privandola così della sua regale prerogativa: quella d’essere principio di unità e di carità.



«MADRE E MAESTRA»

Non manca fortunatamente tutta una letteratura, dalla quale ogni volonteroso può attingere avvertimenti e insegnamenti per rintracciare i sentieri della fede, aperti ancor oggi, ed oggi forse più che mai, agli uomini del nostro tempo. Non è questo il momento di sostare in questa selva di problemi. A noi ora preme di ricordare l’importanza del rapporto fra Chiesa e fede. La fede, come ognuno sa, è la libera risposta, libera e piena, a Dio che parla, a Dio che rivela.

«A Dio che rivela - dice il Concilio - è dovuta l’obbedienza della fede (Cfr. Rm 16,26 Rm 1,5 2Co 10,5-6), con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero . . .» (Dei Verbum DV 5).

Questo, che pare un atto illogico e difficile, in realtà, quando siamo desiderosi solo di verità, e lo Spirito ci soffia nel cuore un’ineffabile testimonianza (Cfr. Jn 15,26), è invece un atto pieno di luce e di conforto, e non d’altro desideroso che d’essere pieno e autentico, e subito avido d’effusione e di comunione.

È così che nasce la Chiesa. La Chiesa è la scuola degli alunni di Cristo (Cfr. Jn 6,45). La Chiesa è la società dei credenti. La Chiesa è la comunità, anzi la comunione dei veri fedeli, La fede è il presupposto vitale dell’aggregazione al Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa; e la fede integra e perfetta nella dottrina rivelata è la garanzia beata e discriminante dell’appartenenza all’unica e vera Chiesa di Cristo.

Abbiamo noi la somma fortuna d’avere la fede, la fede del Signore, la fede degli Apostoli, la fede della Chiesa «madre e maestra»?

Se qui siamo, segno è che il Signore ci ha offerto questo suo primo e incomparabile dono: prendiamo coscienza in questo momento del suo inestimabile e delicato valore; e chiediamo a Lui che ce lo faccia conservare, come San Paolo: fidem servavi (2Tm 4,7), e che, come esortava San Pietro, siamo sempre fortes in fide (1P 5,9). Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Lo spirito di S. Ignazio

To Father Arrupe to his Assistants and to the Novice Directors of the Society of Jesus present here this morning go warm and special greetings: Grace and peace to you dear sons in Jesus Christ.

We know that you have all gathered together in Rome because of your apostolate: to take counsel and, in fraternal unity, to find new strength and help to pursue the authentic goals of Saint Ignatius. We pray that your deliberations may be blessed with discerning charity and that the Holy Spirit may himself be your guide.

We charge you to convey our message to your novices. Please tell them that the Pope loves them and that he prays for them, He prays for them to be strong and faithful, and to place all their hope and confidence in the Risen Jesus. He exhorts them to prize what is of value and to continue steadfast, devoting themselves “to the apostles’ teaching and communion, to the breaking of bread and the prayers” (Ac 2,42).

And may all of you “set your hope fully upon the grace that is coming to you at the revelation of Jesus Christ” (1 Phil. 1:13).

La scuola «Mater Divinae Gratiae»

Ed ora un particolare affettuoso saluto al folto gruppo di Madri Maestre di Noviziato e di Iuniorato the frequentano in Roma anche quest’anno il torso di formazione nella scuola «Mater Divinae Gratiae».

Il vostro desiderio, dilette figlie, di chiedere la nostra Benedizione, perché venga a confortare i vostri sforzi, già ci manifesta lo spirito the anima il vostro lavoro.

A Nostra volta vi diciamo la nostra intensa compiacenza nel sapervi così ben guidate ed assistite dalla S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari. Sappiamo le difficoltà del vostro compito che, se richiede comprensione dei tempi e adattamento della vostra azione formativa ai bisogni spirituali delle nuove generazioni, non per questo significa adeguamento allo spirito del secolo. La vita religiosa oggi più che mai deve essere presentata e vissuta nella sua genuina integrità e nelle sue alte e severe esigenze.

In tutto ciò grande è la vostra responsabilità, dilette figlie, giacché alla vostra prudenza ed esperienza è affidata la formazione delle nuove leve nel campo così vasto e vario della vita religiosa femminile.

Intanto noi vi assicuriamo di seguirvi con i nostri voti e con la nostra preghiera. La luce dello Spirito Santo illumini le vostre menti, ed i vostri Istituti possano attingere dagli sforzi che state compiendo il necessario impulso per adempiere con sempre maggior fecondità la missione a cui sono chiamati nella Chiesa.

Di questi aiuti del Cielo sia pegno la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi tutte qui presenti, e alle vostre famiglie religiose.

L’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia


Pellegrini di lingua tedesca

Ein wort herzlicher Begrüssung richten Wir noch an den «Pilgerzug schlesischer Katholiken aus Deutschland» und an die Gruppe der «Frauen von Schonstatt».

Liebe Sohne und Tochter! Auf dem Grabstein eines hochverdienten deutschen Priesters und Seelsorgers stehen die Worte, die Ausdruck seiner Persönlichkeit und Inhalt seines reichen Lebens waren: «Dilexit Ecclesiam», er liebte die Kirche. Die gleichen Worte sagen Wir auch Ihnen. Liebet die Kirche! Stehet in diesen bewegten Zeiten treu zum Lehramt der Kirche und zum Nachfolger des heiligen Petrus! Dann wird auch Ihr Leben ein reiches und erfülltes sein.

Herzlichen Willkomm endlich entbieten Wir den Studenten der juristischen Fakultät der Universität Basel. Sehr geehrte Herren! Die Wahrung und Förderung des Rechtes in Anerkennung der Autorität Gottes ist die Grundlage des Friedens und des Fortschrittes im Leben des einzelnen Menschen, der Familien und der Völker. Setzen Sie sich dafür mit Nachdruck ein in Ihrer späteren verantwortungsvollen Tätigkeit als Hüter der Rechtsordnung. Dazu wünschen Wir Ihnen von Herzen Gottes bleibenden Schutz und Beistand.

Allen hier anwesenden Pilgern aber und Besuchern erteilen Wir Unseren besonderen Apostolischen Segen.

Pellegrini del Messico

Bienvenidos, amadísimos Mexicanos pertenecientes a la «Asociación de Charros de Jalisco». Muchas gracias por vuestra visita, tan típica y devota.

Bien sabemos cómo en el ejercicio de vuestro deporte nacional, que ha heredado usos y movimientos vinculados a las faenas del campo, queréis caracterizaros por las virtudes humanas y cristianas de fortaleza constante, de lealtad respetuosa y de serenidad inteligente. Sed siempre así, en todos los ambientes de vuestras vida, comportándoos como hombres fuertes, fieles e íntegros; como cristianos de fe arraigada y dinámica.

Que el Señor os estreche con los lazos suaves de su amor providente. Así lo pedimos para vosotros, vuestros familiares y México entero, por intercesión de la Virgen de Guadalupe, mientras os otorgamos una amplia Bendición Apostólica.


Mercoledì, 15 aprile 1970

15470

Nell’udienza generale precedente Noi abbiamo ripreso il discorso sulla Chiesa, discorso attuale, discorso locale, discorso spirituale, in questo tempo e in questa basilica, più d’ogni altro spontaneo e obbligante. E Noi ci siamo chiesti come nasce la Chiesa. Abbiamo risposto: dalla fede, primo principio interiore, prima condizione soggettiva, senza la quale il battesimo, ch’è la vera nascita sacramentale individuale ed ecclesiale, nello Spirito Santo, non può produrre il suo effetto rigeneratore, che, tra l’altro, fa poi della fede stessa una virtù soprannaturale del cristiano.



POTESTÀ DOCENTE

Ma ora vi chiediamo: come si arriva alla fede? Cioè: non solo ad un sentimento religioso, ad una vaga conoscenza di Dio e del Vangelo, ma ad un assenso della mente e del cuore alla Parola di Dio, alla verità rivelata da Cristo e insegnata dalla Chiesa. La domanda è altrettanto facile, che importante; e se la pose per primo San Paolo, il quale subito vi diede risposta. Nella lettera, da lui scritta ai Romani, egli si chiede: «Come crederanno (gli uomini) in Uno, di cui non hanno sentito dire nulla? E come ne sentiranno parlare senza chi lo annunzi? E come lo annunzieranno, se non sono stati mandati?» (
Rm 10,14-15). E soggiunge: Fides ex auditu. La fede dipende dalla predicazione, e la predicazione dalla parola di Cristo (Ibid. Rm 10,17). E a sua volta la predicazione esige un mandato, un’investitura, una missione (Cfr. CORNELY, LAGRANGE, h. 1). Si comprende il concetto e l’importanza dell’evangelizzazione, dell’attività pastorale, dell’attività missionaria; concetti questi che sono familiari anche nel nostro tempo, e che considerati in ordine alla nascita perenne dei membri della Chiesa acquistano la loro grandezza e la loro specifica funzionalità: la Chiesa nasce dalla Chiesa docente, non da sé in quanto tale; o meglio nasce da Cristo, che manda, allo scopo di salvare gli uomini, mediante la sua parola e la sua grazia, i suoi Apostoli: questi sono i testimoni oculari, primi e diretti: Vidimus et testamur (1Jn 1,2): noi abbiamo visto, dicono gli Apostoli e ne diamo testimonianza. Da notare dunque: il canale delle verità della fede è l’Apostolo; autorevole per la sua personale esperienza e autorizzato per la sua investitura missionaria; dopo di lui seguirà, a catena, chi diffonde sulla terra e trasmette nella storia la medesima testimonianza, non più immediata ma mediata (da leggere S. Agostino) (S. AUG., In Ep. Ioannis ad Parthos, 1, 2, 3; PL 35, 1979-1980). Donde due caratteri essenziali di questo disegno derivante da Cristo in ordine all’annuncio del suo Vangelo di salvezza: la gelosa, testuale fedeltà dell’annuncio, e l’incarico distintivo, qualificante, conferito alla successione apostolica di custodirlo, di propagarlo, di difenderlo, di spiegarlo, in una parola: di insegnarlo.

Questo indica che la Chiesa possiede in se stessa un organo che la istruisce, che le garantisce la genuina espressione della Parola di Dio, un magistero gerarchico, generatore del Popolo cristiano (del quale anch’esso fa parte, ma con funzione potestativa, provvidenziale, come l’occhio per tutto il corpo). San Paolo diceva, confrontando e sovrapponendo la sua funzione generatrice e vivificante di maestro a quella di tutte le altre voci della cultura cristiana o profana: «Se voi anche avete migliaia di precettori in (ordine a) Cristo, ma non avete molti padri: sono io che per mezzo del Vangelo vi ho generati in Gesù Cristo» (1Co 4,15); così scrive ai Corinti; e ai Galati: «Io di nuovo vi faccio rinascere, fino a tanto che sia formato Cristo in voi» (Ga 4,19); e, quasi per accentuare la causalità efficiente, anche se ministeriale, del suo compito di maestro, non chiama «fratelli», come di solito, i suoi interlocutori, ma «figli miei carissimi», «figlioli miei» (Ibid.). Fra Cristo e i cristiani si inserisce una potestà docente; è il magistero gerarchico.

Ora questa inserzione, questa potestà, è stata ed è tuttora oggetto di gravi e rivoluzionarie contestazioni ecclesiali. A prima vista, si direbbero legittime. «Nel campo della religione, la nozione stessa d’un potere sembra esclusa, poiché la religione è il vincolo della coscienza alla sua sorgente e al suo fine . . . A fortiori se si tratta della religione di Gesù, che ha riformato la Legge e le sue osservanze e che chiama ogni persona, anche la Samaritana, al culto - in Spirito e Verità -, che è la vera adorazione» (GUITTON).

È ciò che ha operato la riforma protestante, escludendo il magistero della Chiesa, e mettendo ogni seguace di Cristo a contatto diretto con la « sola Scrittura » e lasciando a ciascuno un «libero esame» di essa. Ma è così che Cristo ha voluto che la sua rivelazione fosse comunicata ai credenti? E non vi era pericolo che la verità della Sacra Scrittura perdesse il suo univoco significato, e si frantumasse in mille diverse e contrastanti interpretazioni? Che cosa è capitato all’unità della fede, la quale doveva appunto affratellare i cristiani in questa sintesi: «Uno è Iddio, una la fede, uno il battesimo»? (Ep 4,5) La storia dolorosa della divisione dei cristiani in tante frazioni, tuttora separate, lo dimostra; e come potrà il generoso sforzo ecumenico contemporaneo ricomporre tutti i cristiani nell’unico corpo mistico di Cristo, «fino a che tutti convergiamo nell’unità della fede» (Ep 4,13), come ci ricorda l’Apostolo? E potremmo anche ricordare: bastasse la Sacra Scrittura a generare il cristianesimo, donde viene la Sacra Scrittura, se non da un magistero apostolico orale, che la precedette, la produsse, la riconobbe e la custodì?



LA DOTTRINA CONCILIARE

Bisognerà inoltre osservare che Cristo non ha fondato una religione astratta, una pura scuola di pensiero religioso; ha fondato una comunità di apostoli, di maestri, incaricati di diffondere il suo messaggio, e di dare così origine ad una società di credenti, alla sua Chiesa, alla quale ha promesso e poi inviato lo Spirito di verità (Cfr. Jn 16,13), ed ha assicurato che nessuna potenza avversaria avrebbe potuto prevalere contro di essa (Cfr. Mt 16,18 SIRI, La Chiesa, Ed. Studium, p. 54 ss.).

Il Concilio ha lasciato una chiara ed organica dottrina su queste basilari questioni; e faremo bene a studiarla per riordinare i nostri pensieri in proposito, specialmente per quanto riguarda il punto più contestato, il magistero ecclesiastico (Cfr. Dei Verbum DV 5-10 BETTI, Il magistero del Romano Pontefice, in L’Osservatore Romano del DV 4 aprile DV 1970). Grande tentazione della cultura religiosa, anche cattolica, è oggi quella di scuotere l’ossequio al magistero della Chiesa e l’impegno dogmatico alla dottrina teologica ch’esso comporta, cercando di cambiarne l’espressione testuale e poi di alterarne il valore di termini, in modo di attenuare ed anche talora di annullare il significato obiettivo della dottrina, per sostituirvi interpretazioni, erudite forse, ma arbitrarie ed atte a inserirsi nelle correnti delle opinioni culturali moderne, ma non sempre a custodire il senso univoco e autentico della rivelazione, interpretata dalla Chiesa e da essa autorevolmente insegnata.

COSCIENZA E CONOSCENZA

E grande argomento per tale affrancamento dal magistero ecclesiastico è quello della libertà della scienza (libertà che la Chiesa riconosce, purché essa sia davvero nell’ambito della scienza, cioè della verità), e della libertà di coscienza, alla quale anche la Chiesa riconosce i suoi diritti, e anche la sua priorità, quando essa si esercita pronunciando il giudizio morale della coscienza circa l’atto singolo, e immediato da compiere: allora la coscienza è detta la regola prossima dell’agire, la quale non può, non deve prescindere da una regola più alta e generale, che si chiama la legge; come l’occhio non può prescindere dalla luce, che gli rischiara il cammino (Cfr. S. ALFONSO, Theol.moralis , 1, p. 1P 3). La coscienza, da sola, non basta a dare la conoscenza, né della realtà delle cose, né della moralità delle azioni. Nel campo poi della fede, cioè delle verità rivelate, la coscienza (salvo specialissimi carismi mistici) non può orientare da sola la mente del credente: la fede obiettiva non è un’opinione personale, ma una dottrina stabile e delicata, fondata, come si diceva, sulla rigorosa testimonianza d’un organo qualificato, il magistero ecclesiastico, non certo arbitrario, ma scrupoloso interprete e trasmettitore della fede, tanto che (per citarlo ancora una volta), Sant’Agostino diceva: «Io non crederei al Vangelo, se a ciò non mi muovesse l’autorità della Chiesa» (S. AUG., Contra Man., 5; PL 42, 176; cfr. Lumen gentium LG 25). E fa eco un teologo contemporaneo: «La coscienza del credente riceve dall’autorità del magistero ecclesiastico, come la cosa più preziosa, un’infallibile sicurezza nelle verità morali fondamentali».

Dio voglia che la salutare impressione di questa sicurezza sia concessa nella visita, che state facendo, alla tomba dell’apostolo Simone, per vaticinio di Cristo, diventato Pietro, nel cui nome Noi diamo a voi tutti la Benedizione Apostolica.


Religiosi Cappuccini dediti all’apostolato parrocchiale

Desideriamo rivolgere la Nostra particolare attenzione al gruppo dei Padri Cappuccini, dediti all’apostolato parrocchiale, che partecipano al loro primo Convegno Nazionale presso il Centro Pio XII, a Rocca di Papa. La vostra presenza Ci rallegra profondamente, perché possiamo esprimervi il Nostro compiacimento e la Nostra gratitudine per il lavoro che svolgete: sappiamo che ben 194 parrocchie, in tutta Italia, con un totale di oltre settecentomila fedeli, sono affidate ai Figli di San Francesco dell’Ordine Cappuccino. Ci dà viva soddisfazione anche l’apprendere che vi siete riuniti per la prima volta per trattare insieme i problemi più urgenti della vita parrocchiale: egregia iniziativa, che vi fa onore, e che auspichiamo possa essere l’inizio di una programmazione sempre più articolata di studi e di azione.

Ci avete chiesto una parola sull’apostolato nella Parrocchia: tema tanto complesso e vario, che esigerebbe ben più del poco tempo che ci è consentito, richiedendo un discorso a parte. Se non ci è possibile farlo, vogliamo tuttavia lasciarvi una calda raccomandazione: studiate a fondo i documenti conciliari, che tracciano un quadro luminoso del ministero sacerdotale in genere, particolarmente di quello parrocchiale, nel Decreto Presbyterorum ordinis, presentando inoltre i parroci e i Religiosi come i principali collaboratori dei Vescovi (Christus Dominus CD 30-35) e delineandone chiaramente i compiti e il piano d’azione; ma soprattutto vivetele alla lettera - sine glossa, sine glossa, vorremmo dirvi paternamente, facendo eco alla appassionata espressione del vostro Serafico Patriarca -: quelle pagine aspettano di essere applicate, e forse non si è ancora giunti a farlo con chiara visione d’insieme e con decisa volontà di realizzazione. Stare al Concilio, anche e soprattutto in questo campo, vuol dire umiltà, vuol dire disponibilità, ubbidienza, spirito di povertà interiore e esterna; vuol dire collaborazione, vita comune, coordinamento delle iniziative; vuol dire soprattutto amore a Cristo e alle anime: come vedete, prima di essere virtù «conciliari», sono virtù francescane. Voi dunque potete, voi dovete viverle, per il pieno sviluppo della vostra vocazione religiosa, come per il bene delle vostre Parrocchie, di cui vi chiederà conto un giorno il Supremo Pastore e Vescovo delle nostre anime.

Vi conforti nel grave dovere - ma quanto ricco di francescana letizia per chi sappia eseguirlo bene - la Nostra Benedizione Apostolica, che estendiamo al vostro Ministro Generale, ai Confratelli, ai vostri collaboratori e, soprattutto, ai vostri diletti parrocchiani.

La parrocchia romana di S. Maria in Transpontina

Diamo un saluto affettuoso ai duecento fedeli della parrocchia romana di Santa Maria in Transpontina, venuti col loro zelante Parroco e con gli altri Religiosi suoi collaboratori, dell’ordine dei Carmelitani, per recarci il loro saluto e le notizie, assai consolanti, sullo spirito di carità con cui hanno vissuto la recente Quaresima, dando vita a notevoli iniziative. Vi vediamo assai volentieri, diletti figli, tanto più che la vostra Parrocchia, con la sua splendida chiesa mariana, ci è da lungo tempo nota, fin dai primissimi anni del Nostro sacerdozio in Roma, e la sua vicinanza col Palazzo Apostolico, da cui è ben visibile, ce la rende assai cara.

Ma tanto più cara ci diventa - ve lo diciamo con grande compiacimento - nel costatare come essa corrisponda così bene alle consegne del Concilio Vaticano II, secondo cui la vita parrocchiale dev’essere sempre animata da spirito missionario, dev’essere scuola di carità (Cfr. Christus Dominus CD 30 Presbyterorum ordinis PO 6). L’assistenza che voi avete concretamente predisposto alla missione carmelitana di Sumatra, e il «fondo parrocchiale del sangue» sono iniziative bellissime, che attestano meglio di ogni parola la serietà e la concretezza del vostro impegno.

Continuate così, diletti figli, con la materna protezione della Vergine Santissima: è l’augurio che vi fa il vostro Vescovo, il Papa, con un’ampia Benedizione Apostolica, con cui vuole abbracciare tutti i sacerdoti e i fedeli, specialmente i bambini, i sofferenti, gli anziani della parrocchia, attirando su ogni casa le particolari grazie del Cielo.

Oblati di Maria Immacolata



Mercoledì, 22 aprile 1970


Paolo VI Catechesi 10470