Paolo VI Catechesi 22470

Mercoledì, 22 aprile 1970

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Chi entra in questa Basilica, se per la prima volta specialmente, subisce il fascino dell’edificio: la sua vastità, registrata perfino sul pavimento a confronto delle altre più grandi chiese del mondo, il suo carattere monumentale, la sontuosità di ogni sua parte, dappertutto uno sforzo di grandezza e di arte, la profondità dei suoi spazi, il trionfo in altezza e in bellezza della sua cupola, tutto attrae lo sguardo, tutto ferma lo spirito a sé. L’anima si effonde, si distrae. Impressioni d’ogni genere la incantano: ricordi storici, stimoli estetici, confronti architettonici, meraviglie strane, senso della costruzione perfetta e gigante . . . L’anima quasi si smarrisce: siamo in un museo? in una casa incomprensibile da ammirare, ma non da abitare? in un tempio incomprensibile? in un mondo di sogno, tanto più etereo, quanto più espresso in una magnifica solidità? Questa la prima soverchiante impressione. Poi l’anima ricerca se stessa: io sono qui per pregare; ma dove? ma come in questo splendido spazio che sembra non offrire raccoglimento, né riposo, né silenzio allo spirito? Dov’è il suo mistero? come stabilire una sinfonia fra le note di questo poema trionfante e le timide voci del mio cuore? come esprimere qui i miei umili desideri, i miei dolori, i miei dubbi, i miei gemiti, le mie ingenue giaculatorie? E ancora l’anima rimane perplessa e smarrita, e cerca nella complessa configurazione della Basilica un angolo, un rifugio, dove riprendere fiato e voce per mormorare un’orazione; e subito questa ricerca è soddisfatta: dovunque essa si volga, ivi è invito alla preghiera, ad una preghiera che si fa subito intensa e volante nel piano ideale della Basilica: qui è San Pietro, il testimonio della fede e il centro dell’unità e della carità; qui è la Chiesa, la Chiesa cattolica, la Chiesa universale, cioè di tutti, la mia Chiesa, per me, per il mio mondo, anzi per tutto il mondo; qui è Cristo, presente e invisibile, ma parlante del suo regno, della sua vita nei secoli, del suo cielo.

È un itinerario comune; chi entra con animo pio in questo mausoleo, che custodisce la tomba e le reliquie di San Pietro, lo percorre subito, con lieta fatica, con soddisfatto stupore, con ravvivato desiderio di andare oltre; e arriva alla domanda che noi ci poniamo: la Chiesa; che cosa fa la Chiesa? a che cosa serve la Chiesa? qual è la sua manifestazione caratteristica? qual è il suo momento essenziale? la sua attività piena, che giustifica e distingue la sua esistenza? La risposta sgorga dalle mura stesse della Basilica: la preghiera. La Chiesa è un’associazione di preghiera. La Chiesa è una societas Spiritus (Cfr.
Ph 2,1 S. AUG., Sermo 71,19 PL 38,462). La Chiesa è l’umanità che ha trovato, mediante Cristo unico e sommo Sacerdote, il modo autentico per pregare, cioè per parlare a Dio, per parlare con Dio, per parlare di Dio. La Chiesa è la famiglia degli adoratori del Padre «in spirito e verità» (Jn 4,23).

Sarebbe interessante, a questo punto, ristudiare la ragione della coincidenza della parola «chiesa» attribuita all’edificio eretto per la preghiera e attribuita all’assemblea dei credenti, i quali sono «chiesa», dentro o fuori che siano dal tempio, che li raccoglie in preghiera. Si può allora notare, fra le altre cose, come l’edificio materiale, destinato a raccogliere i fedeli in orazione, possa, e in certa misura (qui resa maestosa) debba essere non solo luogo di preghiera, domus orationis, ma altresì segno di orazione, edificio spirituale e preghiera essa stessa, espressione di culto, arte per lo spirito; donde deriva la necessità pratica della costruzione di luoghi di culto per dare al popolo cristiano l’opportunità di riunirsi e di pregare, e deriva altresì il merito di quanti si adoperano per costruire quelle «chiese nuove», che devono accogliere e educare alla preghiera le comunità nuove che sono sprovviste delle loro indispensabili domus orationis, delle case dove riunirsi per celebrare la loro preghiera comunitaria.

Cioè: noi vorremmo in questo luogo e in questo momento ricordarvi l’appellativo che tanto bene definisce il cattolicesimo: Ecclesia orans, Chiesa che prega. Questo carattere squisitamente religioso della Chiesa è essenziale e provvidenziale per essa. Lo insegna il Concilio con la prima sua Costituzione sulla sacra Liturgia. E noi dobbiamo ricordare questo carattere della Chiesa, la sua necessità e la sua priorità. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la sua preghiera? che cosa sarebbe il cristianesimo, che non insegnasse agli uomini come possono e devono comunicare con Dio? un umanesimo filantropico? una sociologia puramente temporale?

È noto come oggi vi sia la tendenza a tutto «secolarizzare», e come questa tendenza penetri anche nella psicologia dei cristiani; perfino nel clero e nei Religiosi. Ne abbiamo parlato altre volte; ma giova riparlarne, perché l’orazione oggi sta decadendo. Precisiamo subito: l’orazione comunitaria e liturgica sta riprendendo una sua diffusione, una sua partecipazione, una sua comprensione, che è certamente una benedizione per il nostro popolo e per il nostro tempo. Dobbiamo anzi portare avanti le prescrizioni della riforma liturgica in atto, le quali sono state volute dal Concilio, sono state studiate con sapiente e paziente cura dai migliori liturgisti della Chiesa e suggerite da ottimi esperti delle esigenze pastorali. Sarà la vita liturgica, bene curata, bene assorbita nelle coscienze e nelle abitudini del popolo cristiano quella che terrà vigile ed operante il senso religioso nel nostro tempo, così profano e così dissacrato, e che darà alla Chiesa una nuova primavera di vita religiosa e cristiana.

Ma dobbiamo nello stesso tempo lamentare che la preghiera personale diminuisce, minacciando così la liturgia stessa di impoverimento interiore, di ritualismo esteriore, di pratica puramente formale. Il sentimento religioso stesso può venir meno per la mancanza d’un duplice carattere indispensabile all’orazione: l’interiorità e l’individualità. Bisogna che ciascuno impari a pregare anche dentro di sé e da sé. Il cristiano deve avere una sua preghiera personale. Ogni anima è un tempio. «Non sapete - dice San Paolo - che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita dentro di voi?». E quando noi entriamo in questo tempio della nostra coscienza per adorarvi il Dio presente? saremmo noi delle anime vuote, sebbene cristiane, anime assenti da se stesse, dimentiche del misterioso e ineffabile appuntamento che Iddio, Iddio Uno e Trino, si degna offrire al nostro filiale e inebriato colloquio, proprio dentro di noi? Non ricordiamo noi la parola estrema del Signore, all’ultima cena: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà; e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui»? (Jn 14,23) È la carità che prega (S. Agostino): abbiamo noi il cuore animato dalla carità, che ci abilita a questa intima preghiera personale?

L’Ecclesia orans è un coro di singole voci vive, coscienti, amorose. Un’iniziativa spirituale interiore, una devozione personale, una meditazione elaborata col proprio cuore, un certo grado di contemplazione pensante e adorante, gemente e gaudiosa, questa è la domanda della Chiesa, che si rinnova e che ci vuole poi testimoni e apostoli.

Ascoltiamo l’inno a Cristo, a Dio, che sale da questa Basilica e procuriamo di assecondarlo con la nostra propria umile voce. Ora e qui; e poi dappertutto e sempre. Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Sacerdoti e seminaristi di Cecoslovacchia

Rivediamo qui volentieri Monsignor Carlo Skoupy, Vescovo di Brno, col quale già ci siamo intrattenuti in privata udienza lo scorso venerdì, e che ora ci porta il gruppo dei seminaristi cecoslovacchi e dei sacerdoti convittori del Pontificio Collegio Nepomuceno, entrato ormai nel quinto decennio della sua proficua esistenza. Siamo assai lieti di ricevervi, diletti figli, che vi preparate all’ordine sacro, e portate a compimento la vostra formazione spirituale e intellettuale qui a Roma, presso le sacre memorie degli Apostoli, per essere poi, fra i vostri connazionali, i continuatori di una tradizione ininterrotta di fedeltà e di amore alla Chiesa, i portatori ardenti e generosi della fiaccola del Vangelo, il sale della terra, la luce del mondo. Voi siete, voi sarete i collaboratori della Santissima Trinità nientemeno nell’edificazione della Chiesa: l’ha sottolineato il Concilio Vaticano II quando ha affermato che «i Presbiteri, in virtù della sacra Ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo» (Presbyterorum ordinis PO 1). Siate perciò sempre degni della missione, che a voi si affida, e mantenete intatti per tutta la vita, gli ideali di donazione e di fervore di questi anni: e un flusso incessante di grazia si diffonderà dalle vostre esistenze, e le renderà sempre più preziose per il bene di innumerevoli anime. Risponda a questi voti la Vergine Santissima con la sua materna protezione, mentre di cuore vi impartiamo la confortatrice Benedizione Apostolica, che estendiamo alle vostre care famiglie ed alle vostre dilette diocesi di origine.

Gli assistiti dall’ENAOLI

Ci è poi, molto gradito porgere il nostro paterno benvenuto ai 400 giovani dell’Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani (ENAOLI), i quali partecipano a Roma ai loro «Giuochi di Primavera», organizzati dal benemerito Ente. Salutiamo le personalità che li accompagnano, il Presidente Professor Giaccone, il Direttore Generale Dott. Pini, il Consigliere Ecclesiastico Mons. Bovone, e i qualificati rappresentanti dei Ministeri e delle Istituzioni, che seguono l’attività dell’ENAOLI, ed esprimiamo loro il nostro sincero apprezzamento per l’opera che svolgono, con saggezza e abnegazione, per il bene di codesta fiorente gioventù Ma a voi, soprattutto, desideriamo rivolgerci, per dirvi che vi seguiamo con tutto il nostro affetto da tanti anni: ci siete tanto vicini e cari, diletti figli, perché siete giovani; perché siete la speranza di un domani migliore, fondato su energie sane e generose, quali voi siete; perché siete pensosi del vostro avvenire, e, ormai preparati in questi anni di formazione tecnica e professionale, vi disponete a dare alla società l’apporto del vostro lavoro; perché sapete impiegare il tempo libero in queste nobili competizioni sportive, che certamente vi temprano l’animo, oltre che il fisico, all’esercizio di forti virtù; ma ci siete cari soprattutto perché il dolore vi ha precocemente visitati e voi siete cresciuti a questa impareggiabile scuola di nobiltà, che è la sofferenza, specie quella che tocca negli affetti più sacri, lasciando un’impronta di maturità e di fortezza d’animo che non si cancella più. Per questo vi ripetiamo la nostra stima, commossa e sincera, e vi incoraggiamo a mantenervi sempre fedeli ai principii che avete ricevuto. La Chiesa si aspetta molto, oggi, dai giovani: dalla loro esigenza di autenticità, dal loro coraggio, dalla loro lealtà, dal loro impegno. E noi vi invitiamo a fare onore alla Chiesa, come alla società, recando il vostro contributo di convinzioni e di opere, che è tanto necessario. A voi, ai vostri Cari, a quanti hanno contribuito egregiamente alla vostra formazione umana e cristiana, di cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione, pegno della Nostra grande benevolenza.

Un particolare saluto desideriamo rivolgere anche al folto gruppo di bambine ed adolescenti ospiti dei Centri Medico-Sociali «Santa Zita» di Altopascio ed «Elena Guerra» di Pescia.

Sappiamo, dilette figlie, che vi ha spinte a questa Udienza il desiderio di porgere l’omaggio della vostra devozione e del vostro affetto al Vicario di Cristo. È, questa, una testimonianza di fede che ci commuove profondamente e ci reca molto conforto. Vi ringraziamo di cuore, e insieme ringraziamo le buone Suore Oblate dello Spirito Santo, che vi assistono con tanto amore e dedizione. Vi assicuriamo la Nostra preghiera, con la quale chiediamo al Signore che esaudisca i vostri desideri e voglia trasformare in ricca sorgente di grazie e di meriti le fatiche di quanti si prodigano per il vostro bene.

Nel ritornare alle vostre case, dite ai vostri cari, alle vostre compagne e a tutti quelli che non vi hanno potuto personalmente seguire, che il Papa li ha presenti insieme a voi nel Suo cuore e tutti paternamente benedice.

francese...

Unas palabras de saludo, con nuestra bienvenida, para vosotros, Peregrinos de Guatemala, cuya devota participacion a esta audiencia agradecemos vivamente.

Que vuestra presencia ante la Tumba de San Pedro sirva para alentar vuestros anhelos de vivir fielmente el cristianismo, cuya esencia en amor a Dios y a los hermanos los hombres.

Que las gratias celestiales os acompaiien copiosas en vuestros caminos que os deseamos serenos y felices. Prenda de ellas es Nuestra Bendicion Apostolica.

E agora, aos queridos peregrinos de lingua portuguesa, urna palavra, para vos saudar, com muito afecto e estima: sede bem-vindos, todos! Em particular, um aceno d e simpatia ao Grupo Cora1 de Belo Horizonte, denominado «Madrigal Renascentista».

Quisestes vir render homenagem ao Vigario de Cristo, na Nossa humilde pessoa: muito obrigado!

Que Deus vos pague, com seus favores, a delicadeza do gesto; e que sempre, ao cantardes, possa a mensagem do belo, ser para vós e para os que a ouvem, meio de elevagáo espiritual, até ao Altíssimo, e fonte de serenidade espiritual, com a paz de consciência.

Com estes votos, vos abencoamos, bem como aos vossos familiares, na pátria distante, o querido Brasil.




Sabato, 25 aprile 1970

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Noi vi saluteremo con un grido di stagione, la stagione pasquale, che, come tutti sapete, mette sulle labbra della Chiesa questa esclamazione: alleluia! Alleluia diremo pertanto noi pure a voi, cari visitatori, invitandovi tutti a ripeterlo nel cuore con noi. È un grido di gioia, che esprime il sentimento, semplice e denso ad un tempo, di cui i cuori dei Fedeli traboccano nella celebrazione della festa della risurrezione di Cristo, per la memoria del fatto storico e reale che conclude la narrazione evangelica e per l’intelligenza, esultante ed accecata di luce, del mistero della redenzione e della vita nuova, che da Cristo ai cristiani si estende.

Alleluia vuol dire: lode a Dio, ed esprime il gaudio e l’entusiasmo che sostiene ed accompagna, come un canto, il nostro ormai sicuro pellegrinaggio verso la pienezza dell’eterna vita (Cfr. S. AUG., Sermo 255; PL 38, 1186).

Un’intenzione occasionale e un’intenzione pastorale suggeriscono a noi questa beatificante parola: noi vorremmo che voi, visitatori e pellegrini convenuti a questa Udienza generale straordinaria, aveste a provare un’interiore impressione di gioia, di quella gioia singolare, la quale ancor più sale dal di dentro dell’anima che non sia tanto provocata dalla sempre stupenda e impressionante visione dei monumenti dell’Urbe e dalla magnificenza di questa Basilica, ma dal fatto d’essere qui : la gioia d’essere in questa aula sontuosa ed immensa come in casa vostra, la gioia di sentirvi fedeli autentici, di sentirvi figli della santa Chiesa, la gioia d’avere raggiunto il polo dell’unità e della carità, la gioia di sapervi sopra la tomba di San Pietro, e perciò anche voi inseriti, come pietre vive, nel mistico edificio che Cristo sta misteriosamente costruendo (Cfr.
1P 2,5). Alleluia! Noi vorremmo che tutti voi aveste a gustare questo momento di felicità spirituale, e che ne aveste a comprendere la verità, la singolarità, la profondità: essere qui, alleluia! Sono così rari i momenti in cui si può essere felici senza limiti, senza timori, senza rimorsi! Ricordate le strofe del salmo: «Io mi sono rallegrato quando mi hanno detto: andremo nella casa di Iahve!» (Ps 121), il Dio delle vittorie. E ancora: «Quanto sono amabili le tue tende, o Dio dei cieli; gode e si effonde l’anima mia negli atri del Signore!» (Ps 83). La religione, la fede, la grazia hanno questi istanti d’esultanza interiore, queste sorprese dello Spirito, questi preludi dolci e impetuosi della vita di Dio in noi. Sì, alleluia, in Cristo e nella Chiesa. «Gioia, gioia, pianti di gioia» (PASCAL).

E se Noi ripetiamo questo grido di esuberante letizia, lo facciamo anche per un’intenzione pastorale. Non basta la gioia di un attimo di pienezza sensibile e spirituale insieme; la gioia dovrebbe essere perenne, anche se in un grado inferiore d’intensità. Il credente, colui ch’è riuscito a incontrare, sia pure nell’incognito del nostro pellegrinaggio terreno (Cfr. Lc 24,32) Cristo risorto, dovrebbe avere sempre dentro di sé il carisma del gaudio. Il gaudio, con la pace, è il primo frutto dello Spirito (Ga 5,22). E noi sappiamo che nel disegno divino della salvezza esiste un rapporto (che ora non precisiamo) fra lo Spirito e la Chiesa; ci basti ripetere la sentenza scultorea di S. Agostino: quantum quisque amat Ecclesiam, tantum habet Spiritum Sanctum, quanto uno ama la Chiesa, tanto possiede lo Spirito Santo (In Io. 32, 8; PL 35, 1635-1646). Per godere del carisma gaudioso dello Spirito, bisogna amare la Chiesa. Si è parlato del «senso della Chiesa»; noi vorremmo spingere più avanti questo fenomeno interiore, ed esortarvi ad avere «il gusto della Chiesa», che oggi, purtroppo, sembra venir meno in tanti che pur della Chiesa si atteggiano a riformatori: hanno gusto della contestazione, della critica, della emancipazione, della arbitraria concezione, e spesso della sua disgregazione e demolizione. No, non possono avere il «gusto della Chiesa», e fors’anche nemmeno l’amore. Una comprensione vera di ciò che è, di ciò che deve essere (Cfr. S. AUG., De moribus Ecclesiae, 1, 30; PL 32, 1336) noi non vediamo come codesti figli inquieti possono davvero in se stessi sperimentare.

Noi vi auguriamo, Fratelli e Figli, che voi possiate sempre avere nel cuore, pensando alla Chiesa, alla sua storia, alle sue glorie, alle sue debolezze, ai suoi bisogni, alla sua vera rinascita postconciliare, avere sulle labbra e nel cuore il grido pasquale: alleluia!

Vi esorta, vi assiste la Nostra Benedizione Apostolica.

La secolare fede della diocesi di Bergamo

Un cordiale benvenuto vogliamo adesso rivolgere al numeroso gruppo di pellegrini della diletta diocesi di Bergamo, illustre e benedetta patria di Papa Giovanni, guidati dallo zelante pastore, S. E. Mons. Clemente Gaddi.

Avete voluto celebrare, carissimi figli, con un viaggio a Roma il cinquantesimo anniversario della fondazione del vostro settimanale diocesano «La Domenica del Popolo», che con le sue 25.000 copie dà il suo prezioso contributo di informazione e di formazione dei vari strati sociali della vasta diocesi.

Ai redattori, ai sostenitori, ai lettori, a tutti i cari bergamaschi vogliamo esprimere il nostro paterno apprezzamento per tutto quello che il vostro settimanale (cattolico) da tanti anni ha operato, in mezzo a difficoltà e sacrifici, mentre auguriamo che esso possa ancora continuare la sua benemerita azione.

Desideriamo anche ringraziarvi perché il vostro pellegrinaggio, il primo che viene ufficialmente a Roma durante il nostro pontificato, vuole anche essere un filiale atto di devozione alla nostra persona per il cinquantesimo anniversario della nostra ordinazione sacerdotale.

Noi ben conosciamo il vostro secolare attaccamento, geloso e convinto, alla fede cristiana, trasmessavi dai padri, una fede forte come le vostre massicce montagne e serena come le vostre verdi pianure: portate sempre alta questa luce divina, e trasmettetela, insieme con le tipiche virtù della vostra gente, ai vostri figli.

Come segno della Nostra benevolenza ed in auspicio di copiosi doni celesti volentieri impartiamo all’Ecc.mo vostro Pastore, a tutti i presenti, alle vostre famiglie e alla diocesi di Bergamo la propiziatrice Apostolica Benedizione.

Ferrovieri del compartimento di Ancona

Salutiamo i mille ferrovieri e operai del Compartimento delle Ferrovie dello Stato di Ancona, e i trecentocinquanta orfani di ferrovieri, assistiti nei Collegi dell’Opera di Previdenza del Ministero dei Trasporti di Senigallia e Porto San Giorgio. Li guidano i rispettivi Dirigenti compartimentali e l’Arcivescovo di Ancona, Monsignor Carlo Maccari, ai quali porgiamo il nostro più cordiale ringraziamento per aver organizzato, con la collaborazione del Cappellano, Padre Tesei, questo bell’incontro di anime. Grazie a voi, per la vostra venuta, come per tutte le iniziative spirituali che sapete organizzare nel corso dell’anno, tra le quali meritano un cenno particolare i bei presepi, allestiti in varie stazioni ferroviarie del Compartimento. E grazie a codesti carissimi giovanetti, venuti con voi a portarci l’attestazione della loro fede e della loro serietà nel prepararsi alla vita.

La vostra presenza ci dice molte cose: ci parla della vostra onestà, del vostro affetto alla famiglia, delle vostre fatiche quotidiane e notturne nel compimento di uno dei più importanti, necessari e provvidi servizi della società; ci parla soprattutto del vostro impegno cristiano, della testimonianza che volete portare nel mondo del lavoro con l’esempio e con la parola, per fare onore alla Chiesa, alla sua materna presenza, al suo insegnamento per l’elevazione del mondo operaio e per il progresso dei popoli.

Vi conforti in questa volontà la certezza che il Papa vi segue e vi incoraggia, mentre tutti vi benedice, abbracciando nella sua preghiera anche i vostri colleghi e i vostri familiari.

I «Villaggi della Famiglia»

Ora, un benvenuto tutto particolare alla nutrita rappresentanza di muratori e abitanti dei «Villaggi della Famiglia», iniziativa sociale altamente benemerita della città di Brescia e della Congregazione dei Padri Oratoriani della Pace. È venuto ad accompagnarli il Padre Ottorino Marcolini, che salutiamo di cuore. E salutiamo voi, cari bresciani, che col vostro lavoro portate un contributo prezioso ad una delle più urgenti necessità della odierna società: provvedere una casa, che risponda alla dignità umana e cristiana di chi vi abita. Vi esprimiamo tutto il nostro elogio, perché, con la vostra opera sapete dimostrare in forma concreta il vostro amore ai fratelli, e così rispondete fattivamente alle consegne del Concilio Vaticano II, nel quale si è anche sottolineato che l’abitazione è una esigenza delle famiglie (Apostolicam actuositatem AA 11), anzi è un diritto dell’uomo (Gaudium et spes GS 26), e il provvedervi rientra nei compiti della carità e dell’apostolato laicale (Apostolicam actuositatem AA 8 AA 13).

Il Signore vi ricompensi di tanta generosità, vi ricolmi della sua pace, e faccia delle vostre famiglie altrettante piccole Nazareth, ove regni l’amore reciproco, il timor di Dio e la pienezza della grazia celeste! È l’augurio che vi facciamo, con la Nostra Apostolica Benedizione, che impartiamo a voi, qui presenti, ai vostri cari e, specialmente, ai vostri bambini, agli ammalati, agli anziani.

Giovani dell’Azione Cattolica di Fano

Dobbiamo ora una parola di vivo plauso ad un gruppo assai distinto: sono i soci fondatori del Circolo giovanile di Azione Cattolica «San Giorgio» di Fano, che commemorano il quarantesimo di fondazione; con essi è il Nostro venerato Cardinale Giuseppe Paupini, il quale fu tra i fondatori di quel Circolo e anche il primo assistente ecclesiastico, prima di iniziare il suo alto servizio della Santa Sede.

Ci ha procurato viva compiacenza l’apprendere i motivi, l’impegno, il sacrificio da cui ha preso vita il sodalizio, vedere com’esso mantenga intatti i propri ideali per la maturazione cristiana della gioventù, e, soprattutto, costatare come un’attività tanto provvida sia stata sempre benedetta dal Signore. Il traguardo raggiunto sia pegno di nuovi incrementi, di più ampi sviluppi, di instancabili iniziative, perché i giovani sono la parte prediletta della Chiesa e della società, e occorre perciò seguirli con particolare amore, con sapiente attenzione, con trepida sollecitudine. Tramandate loro la fiaccola ardente, che un giorno sapeste accendere con spirito soprannaturale, formati a una scuola di grande saggezza: e il Signore sarà con voi, sempre. Auspicio della sua protezione e del suo premio sia per voi, come per i diletti soci del Circolo, la Nostra Apostolica Benedizione.

La Pontificia Scuola «Mastai»

Meritevole di un particolare e cordiale saluto, si presenta a noi la Pontificia Scuola «Mastai» - Elementare e Media parificate - di Roma, che celebra il centenario della sua fondazione, e che ha voluto coronare la fausta ricorrenza con l’odierna devota visita al Papa.

Ne accogliamo con profonda compiacenza Superiori ed Insegnanti, Alunni ed ex-Alunni qui convenuti in cospicuo gruppo, unitamente ai loro familiari.

Mentre il nostro pensiero si eleva, reverente e grato, al Nostro Predecessore Pio IX di v. m., che tale Scuola promosse e di persona volle inaugurare il 14 ottobre 1869, desideriamo anzitutto esprimere un sincero plauso ai benemeriti Fratelli delle Scuole Cristiane, ai quali l’Istituzione fu affidata dallo stesso Sommo Pontefice, e che, nell’arco dei cento anni trascorsi, vi hanno dedicato cure sapienti e generose, sì da farne, per la serietà degli studi e per il fervore di apostolato, la più conosciuta ed apprezzata scuola del Rione Trasteverino.

Cari e venerati Religiosi! Noi guardiamo con viva riconoscenza alla missione a cui vi siete consacrati, l’educazione della gioventù; guardiamo alla fede, alla pietà e all’abnegazione che le danno vigore; guardiamo alla efficacia della vostra pedagogia e alla fiducia che sapete ottenere dalle famiglie, premurose della formazione dei loro figlioli; guardiamo ai frutti della vostra delicata e ardua attività, frutti invero abbondanti non solo nella quantità, ma nella qualità altresì, se la loro qualità deve desumersi dalla perseveranza della formazione impartita e dall’affezione, che i vostri alunni, anche diventati adulti, conservano per i loro maestri. Abbiate dunque il meritato elogio per la vostra appassionata opera di educatori e di apostoli, e siate da noi confortati nella costante dedizione a prodigarvi per il vero e duraturo bene della gioventù.

E a voi, carissimi Alunni, siamo lieti di manifestare il Nostro affetto paterno. Sappiamo con quanta diligenza e forza di volontà procurate di accogliere e di seguire gli insegnamenti e gli esempi dei vostri maestri. Bravi! Ciò offre motivo di intimo gaudio al nostro cuore e ci suggerisce ogni migliore speranza per il vostro avvenire. Continuate ad applicarvi con serietà nella vostra formazione culturale e spirituale; siate sempre di esempio in mezzo ai vostri compagni; coltivate, come esorta San Paolo, le aspirazioni a «tutto quello che è vero, tutto quello che è onesto, tutto quello che è giusto, tutto quello che è santo, tutto quello che rende amabile: e il Signore della pace sarà con voi» (Ph 4,8-9).

La Nostra Apostolica Benedizione avvalori i sentimenti e i propositi che la ricorrenza centenaria suscita nell’animo dei Superiori, degli Insegnanti, degli Alunni ed ex-Alunni della Pontificia Scuola «Mastai», sia conferma della Nostra incoraggiante benevolenza, e ottenga ad essi e alle rispettive famiglie i continui favori dell’assistenza celeste.

La società «Viticola Toscana»

Salutiamo ora con vivo compiacimento i partecipanti all’assemblea annuale della Società Agricola Immobiliare «Viticola Toscana», con sede in Pitigliano, che si svolge in questi giorni a Roma. Il nostro cordiale benvenuto va al suo Presidente, all’Amministratore Delegato, ai Consiglieri, ai Soci, ai loro familiari e agli addetti alle fattorie.

La delicatezza dei sentimenti che vi ha portati a questa udienza non lascia insensibile il nostro animo; e ve ne esprimiamo un sincero ringraziamento, lieti dell’occasione che ci si offre per attestarvi la nostra stima e il nostro affetto.

Non ignoriamo lo scopo della vostra Società, sorta per contribuire a risolvere, in modo più adeguato e moderno, i numerosi ed assillanti problemi dell’agricoltura. Auspichiamo pertanto che il vostro generoso e comune impegno sia coronato da fecondi risultati; e vi esortiamo altresì a continuare nel compimento del quotidiano dovere con serena fiducia, dando sempre un soffio interiore di alti e nobili pensieri al vostro lavoro, quelli cioè dell’onestà, dell’amicizia, della fratellanza e della operante solidarietà; ed avvalorando la vostra fatica con la professione franca e coraggiosa della fede cristiana, che oggi avete voluto attestare presso la tomba del Principe degli Apostoli.

Noi vi accompagniamo col nostro cordiale incoraggiamento e con la preghiera, invocando su di voi, sulle vostre attività e su tutti i vostri cari, la continua assistenza del Signore, di cui vuol essere consolante pegno la Nostra Apostolica Benedizione.

Il concorso «Veritas» della diocesi di Grosseto

Una parola di saluto vogliamo anche indirizzare ai cari studenti, vincitori del «Concorso Veritas» della Diocesi di Grosseto e dell’Abbazia dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, accompagnati dall’Amministratore Apostolico Monsignor Primo Gasbarri, dal Provveditore agli Studi di Grosseto, Dott. Mariano Romano, dai presidi e dai docenti; come pure salutiamo i bambini dell’orfanotrofio maschile della stessa diocesi, retto dalle Suore di Maria Ausiliatrice.

Mentre vi esprimiamo, carissimi figliuoli, il nostro vivo compiacimento perché questo viaggio a Roma è testimonianza e premio dell’applicazione da voi dimostrata nello studio della Religione, desideriamo in questa lieta occasione ripetervi le parole che San Giacomo rivolgeva ai cristiani del primo secolo: «Accogliete con dolcezza la parola che è stata seminata in voi, e che può salvare le anime vostre; mettete dunque in pratica la parola, e non vi limitate ad ascoltarla» (Iac. 1, 21-22).

Date pertanto un concreto esempio di fede cristiana in mezzo ai vostri condiscepoli, in una gioiosa adesione al messaggio evangelico e in intima unione e amicizia col Cristo Redentore.

Con questi auspici, volentieri vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Pensiero riconoscente alla città di Cagliari

Voi sapete che ieri io sono stato a Cagliari e ho visitato un villaggio per le famiglie bisognose, povere: si chiama il villaggio di Sant’Elia. È stata un’accoglienza cordialissima, bellissima. Io ero circondato da bambini, avevo davanti giovanotti, avevo tutte quelle famiglie intorno a me; sono andato a piedi anche in mezzo al quartiere, sono salito a visitare una casa dove c’era una famiglia poverissima e la mamma inferma con sei figli, e un padre, ottimo e laborioso, ma semidisoccupato.

Un’accoglienza commovente; ho quasi dovuto difendermi dalle unanimi espressioni di cordialità, e sono partito pacificamente. Se voi leggete i giornali di questa mattina, anche quelli, anzi, purtroppo quelli, che si dicono i grandi giornali, vedete assolutamente travisata la notizia: dovrei dire che questa volta non sono giornali informatori, ma sono deformatori!

Dobbiamo dare questa rettifica non solo per la verità, ma anche per l’onore di quella popolazione, non meno cordiale e cortese di tutta l’immensa folla cagliaritana e sarda incontrata nella Nostra visita.


Mercoledì, 29 aprile 1970

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Ancora ascoltiamo una fra le domande, che vengono più spesso a Noi, come un sospiro, alle volte come un gemito: che cosa fa la Chiesa? la Chiesa fa molte cose; è in un periodo d’intensa attività. Il Concilio ha risvegliato in lei la coscienza della sua vocazione e quindi quella di nuovi doveri, di nuove riforme, di nuove attività; e il Concilio, noi confidiamo, le ha infuso nuova energia, nuovo impulso dello Spirito Santo. Bisogna dar lode a Dio e riconoscere che la Chiesa si trova oggi in un momento d’intensa vitalità. Senza alcun trionfalismo, la Chiesa studia e ripensa se stessa, la Chiesa insegna e rinnova la sua catechesi e la sua teologia, la Chiesa prega e riforma la sua Liturgia, la Chiesa perfeziona e sviluppa le sue strutture, stringe le sue file, accresce la circolazione interna della sua attività, rivede la sua legge canonica, allarga la sua area missionaria, apre il colloquio con i Fratelli separati, determina e vivifica la sua posizione nel mondo, oggi tanto più bisognoso di lei, quanto più secolarizzato e progredito. Ma vi è un aspetto oggi nella Chiesa ch’è pure più evidente e più sensibile: la Chiesa soffre; la Chiesa resiste, la Chiesa sopporta. Per questo la domanda, dall’accento trepidante, è giustificata: la Chiesa oggi che cosa fa? E nella ansiosa domanda è già espressa la risposta: soffre. Soffre; come del resto dappertutto è in sofferenza la convivenza civile: così progredita com’è, la società civile non è soddisfatta, non è felice; il progresso ha così aumentato i suoi desideri, così rivelato le sue deficienze, così moltiplicato le sue polemiche, così sfrenato i suoi estremismi, così rammollito i suoi costumi, che raramente essa è contenta di sé, raramente fiduciosa nei principii che la governano e nei fini che persegue; è intossicata di angoscia, di retorica, di false speranze, di esasperati radicalismi. Questo disagio collettivo, ch’è forse una febbre di crescenza, si ripercuote anche sulla Chiesa: esso le infonde l’ansia del trasformismo e del conformismo, le diminuisce la fiducia in se stessa, le toglie il gusto della sua interiore unità, la invaghisce di particolarismi contestatori, la illude di novità avulse dalla radice della tradizione, eccetera.



CAUSE ESTERNE ED INTERNE DI VASTO DISAGIO

Ciò che rende caratteristico questo disagio è il fatto che esso, sebbene mimetizzato su quello della società esteriore, trova spesso all’interno della Chiesa le sue cause e i suoi fautori. Sono tesori della Chiesa sovente minacciati o dissipati; sono alcuni suoi figli e maestri e ministri, che spesso la contestano; alcuni abbandonano il posto da loro scelto e a loro assegnato; fenomeni isolati, per fortuna, ma sostenuti dalla pubblicità e qualificati talora come gesti di rinnovamento postconciliare, di liberazione: la tradizione ecclesiale sembra non avere per alcuni più né peso, né senso; l’indispensabile ordinamento canonico, che è l’involucro protettivo dei misteri della rivelazione, della comunità, dei carismi dello Spirito, è qualificato come giuridismo arbitrario, compressivo e repressivo; l’autorità è facilmente avversata e disciolta talora in un eccessivo pluralismo, dove non più la carità unitiva, ma certo istintivo egoismo particolare sembra debba prevalere.

Non diciamo di più. Le cause interne della sofferenza della Chiesa, queste ed altre, sono un po’ a tutti note, oramai. Dovremmo accennare anche alle cause esterne, che in alcune regioni sono tuttora molteplici e gravi; in certi Paesi gravissime; tendono a soffocarla, a sopprimerla. Si sa.

Ciò che ora vogliamo considerare è la sofferenza della Chiesa, da ciò risultante, come una sorte, che, sotto certi aspetti, potremmo dire normale, quasi connaturata alla sua esistenza. Così è. Noi spesso siamo così persuasi che la vita cristiana, promossa dalla Chiesa, è la formula vera, la formula buona, la formula felice sia per i singoli fedeli, sia per la comunità bene compaginata che la fa propria, sia anche per la società temporale che ne risente i benefici che vi può trovare, a livello di libertà e di moralità, una sua fortunata integrazione, che facilmente ci lusinghiamo della possibilità di godere d’una sua acquisita e stabile tranquillità. Noi ci ricordiamo abbastanza che la professione cristiana porta in sé, di natura sua (perché diversa dal mondo e avversa alle sue corruttrici seduzioni, alle sue «pompe», diceva fino a ieri il rituale del battesimo), un dramma, una posizione sfavorevole, un rischio, uno sforzo, un «martirio» (cioè una testimonianza difficile), un sacrificio. Dice il Signore ai suoi seguaci: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi . . .» (
Jn 15,20); «il mondo godrà, voi invece vi rattristerete e piangerete . . .» (Jn 16,20). Non sono venuto a portare l’ignavia pacifica, ma la spada del coraggio morale, Egli c’insegna (Cfr. Mt 10,34). Egli è «bersaglio di contraddizione» (Lc 2,34). Chi vuol seguirlo deve portare con Lui la sua croce (Mt 10,38). E le croci, che sono inflitte alla Chiesa, dal di dentro della sua comunione e che offendono e straziano questa comunione, non sono meno crude ed esiziali di quelle inferte dal di fuori. Il dolore più acerbo per il cuore d’una madre è quello che le è causato da un figlio.

E sarebbe questa, circa le sofferenze della Chiesa, di ieri e di oggi, una meditazione senza fine. Una sua pagina, bella e consolante, oggi ci basti, anzi ci consoli e ci edifichi; ed è quella scritta in silenziosa pazienza da tante anime umili, coraggiose e fedeli, che accettano e condividono le pene della Chiesa. Non vi è conforto più dolce per il cuore d’una madre che quello forte e delicato offertole dai suoi figli sinceri.



COMUNIONE NELLE AVVERSITÀ

E quanti, quanti figli sinceri confortano la santa Chiesa soffrendo con lei e per lei. Noi lo sappiamo. Noi li conosciamo. Noi li ringraziamo. Noi li incoraggiamo. Grande cosa è nella economia cristiana la comunione nelle avversità.

Vi sono tanti buoni cristiani che provano pena per le difficoltà legalizzate di cui soffrono in certe regioni popolazioni tuttora fedeli alla Chiesa cattolica, e non meno sono rattristate dalle ‘inquiete, interne tribolazioni che ne feriscono il cuore e talora l’onore e la pace. Sono, in genere, Sacerdoti e Laici cattolici provati da lungo e fedele servizio; ovvero giovani che vorrebbero subito raggiungere risultati positivi e tangibili; spiriti semplici e tuttora fermamente aderenti alla norma della fede e della legge ecclesiastica; sono gli umili, sono i poveri di spirito, sono gli eredi di quella tradizione, che ha portato per secoli, fino a noi l’annuncio e l’iniziazione del «regno dei cieli»; sono i custodi di quel «sensus Ecclesiae», di quell’intuitiva sapienza cattolica, che germina la santità, forse ignota alla pubblicità, ma non certo ignorata dall’occhio di Dio. Hic est patientia et fides sanctorum; qui è la perseveranza e la fede dei santi (Ap 1 Ap 3,10). È la Chiesa esistente, resistente, paziente: sustinens, la Chiesa che sopporta.

E a questa Chiesa sono sempre iscritti i cristiani che pregano. La preghiera è l’anima della resistenza ai mali della Chiesa: esteriori ed interiori. Vorremmo ripetere a tutti coloro che avvertono le difficoltà presenti della Chiesa le parole gravi e corroboranti del Signore: «Vigilate e pregate per non entrare in tentazione» (Mt 26,41). E a questa Chiesa paziente sono iscritti i suoi figli obbedienti. La tendenza di alcuni figli della Chiesa ad affrancarsi dalla sua autorità è spesso suggerita da un istintivo desiderio di sottrarsi alla solidarietà della sua patita fermezza. Questi obbedienti invece entrano nello stato di tensione sperimentata dalla Chiesa paziente, e ne sperimentano essi stessi l’insito carisma di fedeltà e di fortezza; ne condividono il merito.

Insomma i forti, i fedeli, i testimoni e spesso gli eroi, sono i figli della Chiesa sustinens pellegrina e piangente: euntes ibant et flebant (Ps 125,6). Dobbiamo sottrarci, o dobbiamo rassegnarci a questa sorte, propria della Chiesa e quindi propria di chi le appartiene e di chi la vive? o dobbiamo accettarla virilmente e lietamente, pensando che questa è la sorte di Cristo nella passione per essere, in parte fin d’ora, nella esultanza?

Certamente così: venientes autem uenient mm exsultatione (Ibid.): il traguardo del penoso cammino della Chiesa paziente sarà la vittoria e la gioia. E questo voto, paradigma della nostra vita cristiana e cattolica, sia avvalorato per voi dalla Nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini di Telese

Salutiamo ora il Parroco e i fedeli di San Lorenzo Maggiore, in diocesi di Telese o Cerreto Sannita, venuti in numero di ben duecento con l’antica e venerata immagine della «Madonna della Strada», affinché fosse da Noi benedetta. Ben volentieri corrispondiamo al vostro desiderio, che dimostra la vostra filiale devozione verso la Beata Vergine, la cui effigie ha consolato e accompagnato da circa un millennio gli abitanti delle vostre ridenti contrade, allo sbocco della valle beneventana in quella telesina, e quanti passarono per quell’importante crocevia, a Lei confidando le loro speranze e le loro pene. Nel compiacerci con voi, per la pietà mariana che custodite gelosamente, ripetiamo a voi, e a tutti i presenti, quanto abbiamo voluto sottolineare giorni fa, nel tempio gremito della Madonna di Bonaria, in Sardegna: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani, cioè dobbiamo riconoscere il rapporto essenziale, vitale, provvidenziale, che unisce la Madonna a Gesù, e che apre a noi la via che a Lui ci conduce». Essa vi guidi col suo cuore materno a seguire Cristo, ad amare Cristo, a imitare Cristo, ottenendovi grazia e letizia grande, in questa vita e nell’altra. Confermi questi voti la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a tutti voi, ai vostri cari lontani, alla vostra Parrocchia, alla vostra Diocesi.

Pellegrini di Tortona

Porgiamo volentieri il Nostro saluto anche ai giovani dell’Istituto Diocesano «Santachiara» di Tortona, convenuti a Roma per un corso di studio sulla famiglia.

Vi accogliamo molto volentieri, figli carissimi, e vi ringraziamo di cuore per questa vostra testimonianza di affetto e di devozione. Siamo rimasti assai edificati nell’apprendere la molteplice e fiorente attività della vostra associazione. V’è qualche cosa di nobile e di generoso nel vostro modo di dirvi cattolici, e nello spirito che vi guida. Avete compreso che il cristianesimo dev’essere attivo, militante, missionario, e la carità del bene lo deve dimostrare. Vorremmo che tanti giovani, come voi, comprendessero la bellezza e il valore di una concezione così virile della propria professione religiosa e cristiana: è così che si realizza l’ideale del laico che il Concilio Ecumenico ha tracciato nei suoi documenti (Cfr. Lumen gentium LG 9-10); è di questi figli che la Chiesa, e la società stessa, oggi ha urgente bisogno.

Formuliamo pertanto i migliori auguri per voi e per il vostro sodalizio, e mentre vi incoraggiamo a proseguire con la stessa fede e con lo stesso amore alla Chiesa e alle anime, impartiamo a tutti l’Apostolica Benedizione.

To you our dear sons and daughters of the Ruthenian Ecclesiastital Province of the United States, accompanied by your beloved and esteemed bishops, goes our special greeting: «Grate to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ» (Ep 1,2).

Me know why you have come and it is a joy to have you with us. Our thought goes out to your families, and through you, we extend our best wishes to our beloved Ruthenians everywhere.

With Our special Apostolic Blessing.

Ein besonderes Wort der Begrüssung richten Wir noch an die Pilgergruppe aus Riol an der Mosel. Sie begehen in diesem Jahr das neunzehnhundertjährige Jubiläum Ihres Heimatortes. Aus den geschichtlichen Quellen geht hervor, dass Riol bis in das Imperium Romanum zurückreicht.

Bedeutungsvoll ist dabei die Tatsache, das ihre Heimatdiözese Trier. zu der Riol gehört, in die erste Zeit des Christentums zurückgeht. Darum entbieten Wir Ihnen, liebe Söhne und Töchter, zu Ihrer Jubiläumsfahrt zu den Gräbern der Apostelfürsten Unseren herzlichen Willkommensgruss, verbunden mit dem Wunsche, dass Sie dem Glauben Ihrer Väter stets treu bleiben, eingedenk der Worte altdeutscher und altchristlicher Lebensweisheit: «An Gottes Segen ist alles gelegen!».

Von Herzen erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden Unseren besonderen Apostolischen Segen.

Saudamos agora, os diletos filhos de lingua portuguesa: em particular, o grupo de católicos japoneses, vindos do Brasil.

Com alegria vos vemos, porque sois uma imagem e um simbolo: primeiro, do Brasil atual, a integrar, ecumenicamente, homens e valores, de todas as latitudes, no seu processo de eclodir e afirmarse, como nação jovem, exuberante de vitalidade e tradicionalmente cristã; depois, do vosso querido povo japonês, com suas qualidades e sua história milenar, que sabe assimilar as outras culturas e inserirse nelas.

Que Deus vos assista sempre e às vossas pátrias, a de origem e a adotiva! Com tais votos, vos abençoamos e aos vossos entes queridos.


Mercoledì, 6 maggio 1970


Paolo VI Catechesi 22470