Paolo VI Catechesi 24031

Mercoledì, 24 marzo 1971

24031

Siamo nel periodo quaresimale, cioè in quella stagione dell’anno liturgico che ci prepara alla celebrazione della Pasqua, la festa della Redenzione, la quale festa commemora la morte e la risurrezione di Cristo, e celebra questo avvenimento storico e mistico, tanto nella sua origine evangelica quanto nella sua attuale applicazione all’umanità, alla Chiesa, alle nostre anime, nel suo fatto evangelico cioè, e nel suo divenire ecclesiale. Questo secondo aspetto, il suo divenire nell’umanità, la sua irradiazione, la sua attualità relativa a noi credenti, a noi uomini viventi nella storia presente, è ora oggetto del nostro interesse. Cioè pensiamo a noi stessi in ordine al mistero pasquale, che deve essere fatto nostro, che deve da Cristo riverberare in ciascuno di noi la sua luce, la sua salvezza. Cerchiamo ora di metterci in condizione di riprodurre in noi il mistero pasquale, il quale è tutto opera di Cristo, opera della sua grazia; ma esige tuttavia che noi siamo disposti ad accogliere questa sua virtù redentrice, che ci mettiamo nella traiettoria della sua azione salvatrice; in altri termini, che ci «convertiamo» al disegno divino in ordine alla nostra salvezza, che ritorniamo sulla via autentica del nostro vero destino, sulla quale corre la divina misericordia, la vita nuova, che ci è promessa, e che sola è la nostra fortuna. Bisogna allora che riformiamo noi stessi per essere idonei a ricevere la salute di Cristo.


PENITENZA, COERENZA, FEDE

In questo ordine di idee si colloca tutto il sistema della vita morale cristiana, la quale ha due fasi, una condizionale, che precede l’incontro vivificante con Cristo, l’infusione del suo Spirito, della sua grazia; l’altra risultante, che segue tale incontro; la prima è caratterizzata dalla penitenza, la seconda dalla coerenza; entrambe dalla fede. Se noi ora, ossequienti alla pedagogia liturgica, ci poniamo nella prima fase, quella preparatoria e specificamente ascetica, quali doveri incontriamo? Anche questa domanda si apre su risposta sconfinata: i doveri relativi alla nostra riforma morale sono infatti senza numero. Ma possiamo ridurli ad alcune categorie generali, che ci sono suggerite dal Vangelo della prima domenica di quaresima, il Vangelo delle tentazioni di Cristo, nelle quali possiamo vedere, in certo modo, raffigurate e riassunte le nostre tentazioni. E prima d’ogni altro discorso sarebbe da fare proprio quello sulla tentazione, cioè sulla fallace apparenza del bene. Decipimur a specie recti: ci lasciamo ingannare da aspetti errati, cioè apparenti, parziali, errati del bene; sia del bene in sé, sia del bene a riguardo di noi stessi, «imagini di ben seguendo false» (DANTE, Purg. 30, 131): psicologia e morale qui si confondono, e danno inesauribile motivo all’analisi e alla narrativa del dramma umano.

Qual è la prima, l’eterna, la universale, la moderna tentazione? Cioè qual è il primo ostacolo generale al conseguimento della salvezza pasquale, della redenzione di Cristo? Ricordate la prima tentazione del diavolo a Gesù nel deserto? Non è tanto quella della fame, ch’è bisogno naturale di vita attinta da cibo fuori dell’uomo, quanto quella - e subito la storia si fa complessa e insidiosa - di definire tale bisogno, che nelle sue imperiose esigenze fisiche sembra primario ed unico, di stabilire poi l’alimento proporzionato alla fame dell’uomo, alimento che sembra essere solo il pane materiale, e di impiegare finalmente tutte le energie dell’uomo, quelle superiori specialmente, quelle spirituali, per trasformare le pietre in pane, cioè il mondo esteriore, inerte e materiale in cibo adeguato e sufficiente ai desideri e alla vita dell’uomo stesso. Diciamo, per quanto riguarda il nostro tempo: la tentazione materialista.


VERITÀ INCOMPLETE

Chi può, in accenni così brevi e così elementari come questi, darne una definizione adeguata, una descrizione approssimativa almeno, che non sia artificiosa e non di comodo oratorio? Ma essa, questa tentazione materialista, è così diffusa e connaturata col mondo contemporaneo, che forse non occorre consumare parole, per richiamarne quel generico concetto morale, di cui in questo momento noi ci interessiamo. Basta un principio-chiave per indicare il sistema a cui alludiamo: contèntati di questo mondo: qui è la realtà, qui è la vita, qui è la pienezza dell’uomo, qui è la ricchezza che basta, o almeno che deve avere il primo posto nelle aspirazioni umane; qui è il tuo regno; il resto illusione, alienazione, oppio, mito. Essa è la tentazione caratteristica del nostro tempo, tanto più seducente quanto più vasto, fecondo, godibile è apparso allo studioso e all’operatore il mondo accessibile all’esperienza. La coscienza individuale e ancora più quella sociale s’è imbevuta di questa certezza, anzi di questa fede: tutto si riduce alla natura, e la natura alla materia. Da questa radice monista sono scaturite le idee che hanno costituito le forze del pensiero, della politica, della sociologia, dell’economia, della vita vissuta nell’ultimo nostro periodo storico, e di tanta parte della cultura moderna. Questa concezione materialista si è fatta forte d’indiscutibili studi, di formidabili energie, di alti ideali: la scienza, la ricchezza, la giustizia, la speranza: tutte cose vere, sotto certi aspetti; ma di verità limitate, incomplete, insufficienti, più atte a suscitare aspirazioni insaziabili, che a soddisfare quelle profonde e risolutive dei destini umani. Egoismo e lotta, legalismo e utopia, interesse e idealismo s’intrecciano nella vicenda storica, sociale e politica del nostro tempo, tutto preso dalla persuasione che la soluzione dei massimi problemi umani è raggiungibile dalle forze proprie dell’uomo, mediante la conquista del dominio esteriore delle cose di questo mondo, e che altro avvenire non esiste al di là del tempo concesso alla nostra esistenza biologica. La vita presente è tutto. Questa è la nostra tentazione.


L’UOMO INTEGRALE

Non basterà a superarla l’osservare come questo conato di umanesimo materialista abbassa in realtà la statura dell’uomo ad un livello temporale e animale, nega all’individuo la sua originale personalità, scatena egoismi prepotenti, singolari o collettivi che siano, allarga enormemente la sfera della potenzialità umana, ma la priva delle ragioni trascendenti della giustizia e dell’amore, e fra tanta luce di artificiose teorie tenta di spegnere quelle del sole del Dio vivente, personale, salvatore? La vita presente è tutto?

Noi ascoltiamo le parole del Maestro nostro Signore: «Non di solo pane vive l’uomo . . .» (
Mt 3,4). E poi: «Beati i poveri di spirito . . .» i non sazi di questa terra, ma «quelli che hanno fame e sete di giustizia . . .» (Mt 5,3-6). E ancora: «Il mio regno non è di questo mondo . . .» (Jn 18,36).

E così tutto il Vangelo, che introduce nella breve logica umana una concezione più ampia, più aperta, più sicura dei destini dell’uomo e della realtà metafisica dell’universo e della storia. Introduce una sapienza nuova, introduce una rivelazione superiore, una speranza inesauribile, una salvezza soprannaturale. Non è che il Vangelo disconosca l’esistenza presente, la necessità molteplice che le è propria, il dovere d’una sempre migliore giustizia, d’uno sviluppo, la funzione cioè del tempo presente, dell’ordine terreno, dei beni economici, della vera pace nel mondo, ma esso contempla l’uomo integrale, e allarga i confini della vita temporale, contesta il valore assoluto della felicità presente, finalizza ogni cosa, anche se riconosciuta legittima e autonoma nel suo campo specifico, per un regno superiore, il «regno dei cieli», per la vita soprannaturale ed eterna, per la vera salvezza.

Quella pasquale, da guadagnare nel tempo, da godere nell’eternità. L’orologio degli anni segna anche quello presente come un’ora di risveglio alla luce, alla redenzione, alla vita. Ci pensiamo?

Con la Nostra Benedizione Apostolica.



Gli ex alunni del Seminario Regionale Salernitano

Sono oggi presenti a questa udienza una trentina di sacerdoti, già alunni del Pontificio Seminario Regionale Salernitano Pio XI, i quali celebrano il primo decennio del loro sacerdozio.

Vi salutiamo con particolare affetto, per la commossa letizia che ci procura il pensiero della spirituale fecondità delle vostre vite, spese per il Signore, e del ministero compiuto nel suo Nome, come «Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1Co 4,1). Come avete voluto sottolineare, questi dieci anni di apostolato si sono svolti alla luce del Concilio Vaticano II; e proprio qui, in questa Basilica dedicata a Colui che il Signore volle essere il fondamento della sua Chiesa e ove si sono svolte le assise conciliari, voi vi siete trovati per rinnovare i vostri impegni sacerdotali. Noi auguriamo a voi, e a tutti i confratelli, di continuare nella vostra immolazione a servizio del Vangelo con la stessa intatta freschezza di quel primo giorno, e di approfondire sempre più il significato autentico del carisma e del ministero sacerdotale, nella spiritualità sua propria, qual è stata magistralmente sintetizzata dal Concilio, con parole che debbono essere meditate a fondo da tutti i sacerdoti.

Il Signore Gesù, di cui siete gli strumenti consacrati, e la Vergine Santa, che vi guarda come figli prediletti, vi sostengano e vi confortino sempre; con la Nostra Apostolica Benedizione.

Visitatori ungheresi

Dedichiamo ora un particolare saluto agli ottanta fedeli della parrocchia cattedrale di Alba Reale, in Ungheria, venuti col loro prevosto per celebrare il giubileo millenario dell’avvento del Cristianesimo in quella nobile e a noi carissima Nazione. Sappiamo che il vostro è il primo pellegrinaggio ch’e giunge, dopo tanti anni, dall’Ungheria a Roma; sappiamo che voi stessi l’avete organizzato per dirci la vostra letizia per la Lettera Apostolica da Noi inviata in occasione del millennio e per i favori spirituali concessi alla vostra bella Cattedrale, che custodisce una reliquia di Santo Stefano. Sono tutti motivi che tornano a vostra lode, e che dicono apertamente quale sia il fervore della vostra fede e la schiettezza del vostro sentimento verso la Cattedra di Pietro. Noi siamo certi che questo pellegrinaggio, qui al centro e al fulcro della cristianità, presso la Tomba del Principe degli Apostoli, aumenterà in voi la generosità dei propositi, dandovi forza e incoraggiamento per la pratica gioiosa della virtù, affinché la vostra comunità parrocchiale nutrita dalla Parola di Dio e dai sacramenti celesti sia di esempio luminoso di vita cristiana e cresca sempre più, come una famiglia cementata dall’amore di Dio e dei fratelli.

Con questi voti vi benediciamo, assicurando voi e tutti i vostri compatrioti del Nostro particolare affetto. Dio sia con voi!

Studenti canadesi

We would like to say a special word of welcome to the large group of students from Canada who are here this morning. We greet you with affection and ask you to take our prayerful good wishes to your parents and your dear ones at home. In your journey you will meet with people of many countries. May these contacts serve to advance understanding and co-operation between all who are children of the same Father, and who should therefore love each other as members of the same family.


Mercoledì, 31 marzo 1971

31031

Se nostro studio è, specialmente durante questo periodo quaresimale, cercare la rettitudine morale della nostra condotta, l’avvertenza delle deviazioni possibili da tale rettitudine impegna la riflessione della nostra coscienza. Essa ora si rivolge alle deviazioni maggiori e più facili e frequenti, che conducono l’uomo fuori strada, e lo privano dell’incontro con la grazia pasquale alla quale vogliamo arrivare. Abbiamo fatto cenno ad alcune di queste possibili deviazioni. Un’altra, fatale per la sua facilità e per la sua gravità, è quella, così detta, della carne. Essa si presenta come una tentazione congenita ed ambientale, come un’attrattiva propria di questo mondo. «Non vogliate amare il mondo - scrive l’Apostolo S. Giovanni nella sua prima lettera - . . . Se uno ama il mondo, la carità del Padre non è in lui; poiché tutto quello ch’è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita» (
Jn 2,15-16). È questa la nota tripartizione delle tentazioni, che conducono fuori strada i passi dell’uomo in ordine a Dio. Passioni ordinariamente si chiamano (Cfr. Iac. 1, 14).


LE SUGGESTIONI DELL’AMBIENTE

Ci occupiamo ora della prima, oggi fortissima, quella della carne. Perché, se ogni tentazione risulta da due stimoli, uno interno, l’altro esterno, dobbiamo notare che lo stimolo interno si fa più urgente, se non è moderato da preciso volere, con lo sviluppo della psicologia personale; e lo stimolo esterno, quello ambientale, s’è fatto più che mai insistente, seducente, eccitante, invasore: pensate alla stampa licenziosa e pornografica, diffusa con tutte le astuzie dell’esibizione e del commercio; pensate agli spettacoli equivoci e mondani, ai divertimenti licenziosi, a certi privati e pubblici costumi liberati da norme moderatrici, alle tendenze, che si vanno divulgando dalla così detta «moralità» (o immoralità) permissiva, e che consentono ogni bassezza e depravazione. L’ambiente, se uno non cerca d’immunizzarsi con proposito riflesso, offre dappertutto eccitazioni alla fragilità della «carne», specialmente se giovane e inesperta. Che cosa s’intende per «carne» nel linguaggio morale ben si sa: s’intende tutto ciò che si riferisce alla indisciplina della sensualità; cioè a quel pericoloso gioco interiore della sensibilità fisica in contrasto o in complicità con la sensibilità spirituale, al piacere animale, alla voluttà, al corpo passionale che attrae a sé l’anima e l’abbassa ai propri istinti, la cattura e l’acceca, così che, come dice S. Paolo, «l’uomo animale non percepisce le cose dello Spirito di Dio» (1Co 2,14). Non crediamo che vi sia bisogno di spiegazioni in proposito. Se ne parla tanto oggi, troppo forse. Raro che uno scrittore narrativo oggi non paghi il suo triste tributo, con qualche pagina almeno, a qualche follia sensuale, o a qualche ebbrezza dionisiaca, di cui è pervaso il mondo della cultura letteraria, o della dissolutezza gaudente e insieme angosciosa. Gli studi psicanalitici sugli istinti umani, e specialmente sulla neuropatologia e sulla sessualità hanno dato linguaggio scientifico alla comune esperienza empirica delle passioni erotiche; alcuni li hanno esaltati come nuove e vere scoperte dell’uomo.


«ECOLOGIA MORALE»

Si parla anche di educazione sessuale, con lodevole intento pedagogico, ma si dimenticano talora alcuni aspetti della realtà umana, non meno oggettivi di quelli offerti dall’immediata osservazione naturalista, quali la esigenza del pudore, il riguardo dovuto alla differenziazione dei due sessi, maschile e femminile, e soprattutto la delicatezza richiesta dalla disfunzione passionale, introdotta nel complesso etico-fisico-psicologico d’ogni essere umano dal peccato originale; cose tutte che, mentre reclamano, sì, un’educazione sessuale, suggeriscono molte e delicate cautele, specialmente nell’educazione giovanile, e raccomandano a genitori e maestri un intervento sapiente e tempestivo, con un linguaggio graduale, limpido e casto (Cfr. Conc. Vat. II, Gravissimum educ., 1; PIO XII, Discorsi, XIII, p. 257; Ratio Fund. Inst. sacerdotalis, 48; le opere di S. Ambrogio sulla verginità, sulla penitenza, ecc.).

Ma a noi, in questa sede, basti, ancora una volta, proporre alla vostra riflessione, in ordine a questa tentazione, - che è «legione» - (Cfr. Mc 5,9), cioè estremamente varia e insistente, due affermazioni e una raccomandazione. La prima affermazione sostiene che la vittoria sulla tentazione della carne è possibile. È persuasione corrente, che trova fautrice e complice la natura stessa di questa tentazione, essere impossibile superarla, essere utopia la castità, essere tollerabile, anzi forse istruttiva, l’esperienza del suo dominio sul nostro spirito, sul nostro morale equilibrio, onesto e puro. Non è così, fratelli e figli carissimi! Se si vuole, si può conservare casti il proprio corpo e il proprio spirito. Non propone cosa impossibile il Maestro divino, che si pronuncia con estrema severità in questa materia (Cfr. Mt 5,28). Per noi cristiani, rigenerati dal battesimo, se non è dato l’affrancamento da questo genere di umana debolezza, è data la grazia di superarla con relativa facilità; lo Spirito può essere in noi operante, proprio in ordine alla padronanza di noi stessi, alla continenza, alla castità (Ga 5,23 Ph 2,3).

La seconda affermazione è questa: ch’è molto bello essere puri. Non è un giogo, è una liberazione; non è un complesso d’inferiorità, è un’eleganza, una fortezza dello spirito; non è una fonte di ansietà e di scrupoli, è una maturità di criterio e di padronanza di sé; non è un’ignoranza di realtà della vita, è una conoscenza disinfettata da ogni possibile contagio, più lucida e penetrante di quella opacità propria dell’esperienza passionale e animale; sarà innocente, sì, forse inesperta della fenomenologia patologica della vita corrotta, ma non ignara delle profonde realtà del bene e del male, a cui l’uomo è candidato; avrà anzi lo sguardo trasparente fino a rintracciare nel fondo delle bassezze peccatrici le possibili risorse del pentimento e della riabilitazione. La purezza è la condizione adeguata all’amore, al vero amore, sia quello naturale, sia quello sovrumano dedicato unicamente al regno dei cieli.

E la raccomandazione viene da sé: la diciamo al Padre nella consueta preghiera: «non ci indurre in tentazione»! Applichiamola a noi stessi, quasi ad esaudimento di questa suprema preghiera. Bisogna che ci difendiamo dalla prepotente tentazione della carne, se vogliamo vivere il mistero pasquale. Dentro e fuori; nel cuore innanzi tutto, donde esce il male e il bene di cui siamo capaci (Contr. Mt 15,19 2Tm 2,22); e nell’ambiente, all’intorno a noi: oggi ci si occupa di ecologia, cioè di purificazione dell’ambiente fisico dove si svolge la vita dell’uomo: perché non ci preoccuperemo anche d’un’ecologia morale dove l’uomo vive da uomo e da figlio di Dio? Questo vi raccomandiamo, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Insegnanti e alunne francesi

Sacerdoti del Collegio Beda

Beloved sons,

It is always a great pleasure for us to have the visit of newly-ordained priests. We know what happiness you are experiencing in these days and how this joy is intimately shared by your families and especially by your parents. We welcome you today, beloved sons from the Pontifical Beda College, and extend our special greeting to your dear ones who have come from afar. May you read in Our heart the affection and love We have for you all in Christ Jesus.

To you, dear sons, We would express a simple message of challenge, of confidence and of hope.

Today more than ever before there is need in the Church of priests who have a clear idea of their responsibility to Christ and to their followmen. The needs of the People of God are great and the urgency of preaching the redemptive Gospel of the Lord to the ends of the earth is pressing. You have been called and chosen and sent forth to fulfil this role. We exhort each of you in the words Paul spoke to Timothy: “Always be steady, endure suffering, do the work of an evangelist, fulfil your ministry” (2Tm 4,5). This is your vocation, this is your happiness: “Guard what has been entrusted to you” (1 Tim 1Tm 6,20).

At the same time that We encourage you to realize the great responsibility that is yours and to accept courageously its challenge, We exhort you to do this in the name of Christ and relying on his grace. You must be convinced that the Lord is with you. As priests of this generation, the collective expression of your supernatural confidence must be that enjoined on one of the early Christian communities: “Let us hold fast the confession of our hope without wavering, for he who promised is faithful” (He 10,23). By the witness of your lives you must show the world the reason for your priestly dedication: “. . . because we have set our hope on the living God” (1 Tim 1Tm 4,10).

We repeat to you what We said to the priests whom We ordained in Manila: “If ever some day you feel lonely, if ever some day you feel that you are weak secular men, if ever some day you are tempted to abandon the sacred commitment of your priesthood, remember that . . . each one of you is ‘another Christ’”. The strength of Christ’s Passion and Resurrection is in you; his grace will support you. Remain always in his love.

As We assure you, beloved sons, of our prayers for your ministry of sacrifice and service and of Our confidence in you, We give you, your families and your dear ones Our special Apostolic Blessing.

Visitatori giapponesi

Once again it is our pleasure to extend a special greeting to a group of Japanese; We welcome warmly the members of the Academy of Christian History of Japan. It is our prayer that your visit to Rome will be a happy one as you reflect on the origins of Christianity and meditate on the Providence of God, which has brought the faith of the apostles Peter and Paul to your beloved land. With affection in the Lord We invoke upon you all his special Blessings.


Mercoledì, 7 aprile 1971

7041

Voi, che considerate come giorni speciali quelli di questa settimana pasquale, da noi chiamata settimana santa; voi, che frequentate in questi giorni le nostre chiese per assistere ai grandi e singolari riti, che li distinguono fra tutti nel calendario liturgico; voi, che profittate della vacanza concessa a questo breve periodo, a cui una secolare tradizione della nostra civiltà riconosce particolare carattere, per concedervi lo svago turistico, ovvero l’opportunità spirituale d’un viaggio verso qualche meta, ove la dignità rituale abbia migliore svolgimento, o più eloquente significato; voi tutti, cari Nostri visitatori in questo «mercoledì santo», preludio della intensa e drammatica rievocazione del mistero pasquale, non disdegnate di sostare un istante nella riflessione d’un duplice pensiero, senza di cui i nostri animi non potrebbero essere in sintonia con la celebrazione del mistero pasquale stesso.

Il primo pensiero è questo: l’uomo ha bisogno di redenzione. Dire questo e dire la somma della filosofia dell’uomo e della teologia della vita è la stessa cosa. L’uomo ha bisogno di redenzione; il che significa non solo che manca di un complemento alla sua perfezione e alla sua felicità, ma che egli ha bisogno d’una riparazione, d’una liberazione, d’una rigenerazione. Ha bisogno d’una guarigione, d’un ricupero, d’una riabilitazione. Ha bisogno d’un perdono. Ha bisogno di ritornare uomo; di riacquistare la sua dignità, la sua vera personalità. E poi riavrà pace, gioia, voglia sana di vivere, speranza. Poi riacquisterà la visione chiara sul mondo, sugli uomini, sulla storia, sulla morte, su l’al di là. Ma ora, di per sé, la sorte umana si trova in una condizione imperfetta, infelice. Gli stessi sforzi, che l’uomo fa per dare normalità, forma, progresso, coscienza alla sua vita, finiscono per denunciare ancora più palesemente lo stato di insufficienza e di degradazione, in cui egli si trova. E se non bastasse la complicata esperienza umana a dimostrare che nel complesso delle nostre sorti v’è qualche cosa che radicalmente non va, la parola del Signore, enucleata dall’insegnamento della Chiesa, ci persuade che noi ci troviamo nella necessità di una redenzione, d’una salvezza.

Se noi abbiamo la sapienza, umile e penetrante, di riconoscere questa necessità, noi siamo sulle soglie del tempio, come il Pubblicano del Vangelo (Cfr.
Lc 18,10 ss.), dove la prima, la fondamentale, l’indispensabile riparazione della nostra miseria si compie.

L’altro pensiero, complementare del primo, ci fa riflettere sulla impossibilità delle forze umane a procurarsi la redenzione di cui l’uomo ha bisogno. Bisogno e autonoma impossibilità di redenzione, è la duplice persuasione, con la quale noi ci dobbiamo accostare alla celebrazione dei riti liturgici, i quali rievocano e interiormente rinnovano il mistero pasquale. Questo senso d’impossibilità è anch’esso indispensabile nella economia della nostra pedagogia religiosa, della nostra mentalità cristiana. (Ricordiamo, fra le tante, la voce del Manzoni nel celebre inno sacro: «qual masso che dal vertice», ecc.). Si connette questa dottrina alla natura del peccato e delle sue conseguenze: la rottura delle relazioni con Dio, ch’è appunto il peccato, paragonabile alla rottura del cavo d’una teleferica, o alla rottura d’un cristallo, chi la può da sé riparare? Ad un morto (perché rispetto al rapporto con la vita di Dio tale è un uomo nello stato di peccato mortale), chi può mai dire le inverosimili parole: «verrò io, e lo guarirò»? (Mt 8,7 cfr. He 10,6-7)

Eppure queste sono le parole di Gesù. Questo è il messaggio, e, ancor più che messaggio, la impensabile realtà portata da Cristo all’umanità. Egli è venuto, ed ha riparato l’irreparabile. Questa è la Redenzione; questo è il mistero pasquale compiuto da nostro Signor Gesù Cristo, «il quale, come scrive S. Paolo, fu immolato per i nostri falli, e fu risuscitato per motivo della nostra giustificazione» (Rm 4,25), cioè della nostra salvezza.

Capito questo, vogliamo dire, creduto questo, noi comprendiamo qualche cosa del sacrificio di Gesù, vittima per ciascuno di noi (Ga 2,20), e qualche cosa del disegno di misericordia e di amore, che governa tutta la nostra religione cristiana (Cfr. L. BOUYER, Le rite et l’homme, c. 8).

E comprendiamo parimente qualche cosa, quanto forse ci basta per la nostra fortuna e la nostra felicità, che cosa valga, prima di assiderci alla cena pasquale, accostarci al sacramento della Penitenza, ch’è il sacramento per le anime morte, o comunque bisognose di vita divina, l’applicazione cioè della virtù della passione e della risurrezione di Cristo alle singole nostre persone; è la nostra Pasqua, che trova poi nella santa comunione con Lui la sua pienezza nel nostro pellegrinaggio terreno, la sua promessa per l’eternità (Jn 6,51).

Vuol essere questo il Nostro augurio pasquale per ciascuno di voi, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Studenti di Francia

Complesso musicale di Zambia

It is a real pleasure for us to greet a young boys’ band from Zambia-the “Rising Stars”, who have come to Rome accompanied by their archbishop. In you dear boys We greet the youth of your country and express our affection for Zambia and all Africa-for the traditions of your land, the zeal of your missionaires and the future of your people. You are young and dynamic; We hope that you will always bring honour to your country and to Christianity.

We are very pleased to extend a warm welcome to our visitors from Norway. Your presence here this morning gives us the happy occasion of expressing our friendship for all the people of your land. We hope that your visit to Rome and to Saint Peter’s will remain long among your happy memories.

Altri visitatori

We are also very happy to greet cordially a large group from the Ministry of Finance in Denmark. You and your fellow-countrymen are always most welcome in our midst.

Once again our special greeting goes to a group of Japanese visitors present this morning. Be assured of our esteem for you and your people.

We extend a particular greeting and warm welcome to the Director and other representatives of Broadcasting Station 2 SM of Sydney. As you tan easily imagine, our thoughts turn back frequently to the happy hours We spent in Australia and We recall with gratitude the numerous courtesies rendered us on that happy occasion. We would like to express our good wishes for the activities in which you are engaged for the Service of the People of Australia, and to give Our blessing to you and to your dear ones.

Pellegrini e giovani cattolici di Münster

Ein besonderes wort der Begrüßung richten Wir noch an den großen Pilgerzug aus Münster und jenen der «Katholischen Erziehergemenschaft Bayern». Das Münsterland wie auch Bayern sind ausgesprochen katholische Länder im Bundesgebiet. Treten Sie darum in unserer aufgewühlten Zeit stets mutig und treu für die Sache Christi und der Kirche ein, wie es Ihr großer, unvergeßlicher Kardinal von Galen in Wort und Tat allen vorgelebt hat.

Den Erziehern aber sagen Wir: Die Beste Grundlage für die geistige und geistliche Formung des Menschen bleibt stets die Weisheit des Evangeliums, wie sie uns Christus gelehrt hat: Gottesfurcht, Wahrhaftigkeit und Liebe.

Sodann begrüßen Wir noch besonders den «Knabenchor Unserer Lieben Frauen» aus Bremen! Liebe jugendliche Sänger! Seid herzlich willkommen in der Ewigen Stadt und hier in der Petersbasilika. Pfleget auch weiterhin voll Eifer und Freude die geistliche Musik zur Ehre Gottes und zur Erbauung der betenden Gemeinde.

Mit herzlichen Wünschen für gnadenreiche Osterfeiertage erteilen Wir allen Anwesenden Unseren besonderen Apostolischen Segen.


Mercoledì, 14 aprile 1971

14041

Un pensiero domina in questi giorni pasquali il nostro spirito: lo suggerisce l’essenza del mistero celebrato; lo suggerisce l’esigenza dei sacramenti pasquali, mediante i quali l’efficacia della Redenzione è stata a noi elargita; lo suggerisce la liturgia con tutte le sue celebrazioni ed esortazioni; lo suggerisce finalmente la logica delle cose, e cioè la necessità di conformare la nostra condotta alla dignità della nostra natura. Gli antichi scolastici insegnavano che operari sequitur esse, l’azione deriva dall’essere. Vogliamo dire che noi, diventati cristiani, mediante la fede e il battesimo, o ritornati cristiani vivi mediante il sacramento della penitenza, da cristiani dobbiamo vivere. Che ciascuno dica nel foro interiore della propria coscienza: «cristiano, sii cristiano!».


UN CRISTIANESIMO AUTENTICO

La formula è semplicissima, e riassume tutta la norma morale della nostra esistenza. Ma ben sappiamo: non è norma facile. Chi può concedere a se stesso la patente d’una perfetta. coerenza con questa fondamentale obbligazione di realizzare nella propria vita l’ideale cristiano? Avremo sempre motivo di accusarci peccatori e d’invocare la divina misericordia. Ma ciò non ostante l’impegno rimane: bisogna essere cristiani autentici. La nostra vita vissuta non deve smentire il carattere cristiano, del quale il battesimo, sacramento pasquale per eccellenza, ci ha rivestiti. E durante il grande rito notturno del sabato santo, che già celebra il passaggio di Cristo dalla morte alla nuova vita, e lo riflette nel sacramento rigeneratore del battesimo dei fedeli, ognuno di noi è stato invitato a rinnovare pubblicamente e collettivamente le solenni promesse, sulle quali si fonda la scelta del nostro modo di vivere; abbiamo ricordato gli impegni cardinali del nostro stile di vita; abbiamo riconfermato la nostra libera ed assoluta volontà: vogliamo vivere da cristiani, cioè da figli di Dio, in amorosa conversazione col Padre; da fratelli di Gesù Cristo, suoi discepoli e partecipi della sua vita; da uomini abitati dallo Spirito Santo, da Lui illuminati, confortati ed animati; da membra viventi del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. La nostra vita dev’essere modellata dal nostro battesimo. Il Concilio ha ribadito cento volte questo canone fondamentale. Essere battezzati, cioè cristiani, non è un momento transeunte; è uno stato permanente; non è cosa indifferente, è una fortuna incomparabile e, Dio voglia, decisiva per la nostra salvezza: non riguarda soltanto la nostra concezione della vita e l’interpretazione e l’esecuzione dei nostri doveri.

Vista così la formula, che dicevamo, «cristiano, sii cristiano», appare così grande da sembrare difficile, ad alcuni forse perfino impossibile.


LA FORZA DELLA GRAZIA

Impossibile o difficile per se stessa, ed ancor più per i tempi in cui viviamo. Sorge la perturbante domanda: è possibile oggi essere davvero cristiani?

Voi già indovinate la nostra risposta: sì, è possibile! Quale altra risposta potremmo dare alla formidabile questione da questa sede? Noi vi parliamo dalla tomba dell’Apostolo Pietro, dal cuore della Chiesa cattolica, la quale porta con sé, nel corso della storia, ancora oggi, la parola fatidica di Cristo: «Ed ecco Io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione del tempo» (
Mt 28,20). Sì, figli e fratelli carissimi, è possibile, anche adesso, essere cristiani! e cristiani buoni, cristiani fedeli, cristiani forti; diciamo pure cristiani santi. E aggiungiamo: non solo è possibile, ma è relativamente facile.

Come mai? si potrebbe chiedere. Per due ordini di motivi, anzi di forze operanti nella nostra vita.

La prima forza è la grazia. Cioè l’aiuto che deriva dal fatto stesso d’essere cristiano. L’essere cristiano non è un peso insopportabile. Gesù lo ha ben detto: «il mio giogo è soave e il mio carico è leggiero» (Mt 11,30). Che cosa è la grazia? ecco un capitolo della nostra dottrina cattolica, che dovremmo meglio conoscere, un capitolo immenso. Diciamo per ora che la grazia è una presenza santificante ed operante di Dio nell’anima nostra; è l’Amore soprannaturale di Dio dentro di noi; è una comunione iniziale della nostra vita con quella divina (Cfr. S. TH. I-II, 110; e II-II, 23, 2). Il che vuol dire che noi disponiamo d’una gratuita ed infusa sorgente di energia spirituale e morale, dalla quale possiamo sempre attingere, volendo, quanto basta per agire e vivere cristianamente. Dovremmo porre maggiore attenzione a questo fatto, che ci riguarda personalmente e profondamente, per saperne profittare in mo’do degno ed efficace.


LA NOSTRA VOLONTÀ

L’altra forza è la nostra volontà, L’economia cristiana, cioè l’ordine nel quale si svolge la nostra vita religiosa e morale, dà una grande importanza alla volontà, cioè all’esercizio della nostra libertà, orientata verso Dio. La nostra legge, cioè la norma e lo stimolo della nostra coscienza cristiana, è innanzi tutto l’amore. Ricordiamo che Cristo ha condensato nel sommo precetto dell’amore a Dio e in quello che ne deve derivare dell’amore al prossimo, la sintesi della norma morale. Ora l’amore è legge possibile, è legge facile, è legge bellissima. Se così è, vivere cristianamente non è impossibile, né del tutto difficile. Rimane certo programma grande, che porta al vertice il segno eroico della croce, il segno del supremo amore (Cfr. Jn 15,13). Aggiungiamo allora : vivere da cristiani non è anacronistico, perché questi principi, la grazia ed il nostro cuore, non sono principi vecchi e spenti; sono attualissimi, e possono misurarsi con le più varie e le più nuove circostanze, nelle quali la nostra esistenza viene a trovarsi. Anzi le mutazioni e le novità dei nuovi tempi possono costituire una magnifica palestra all’etica cristiana, e offrire a ciascuno di noi l’opportunità di dare alla nostra vocazione cristiana una risposta originale.

In un recente documento pastorale i Vescovi italiani hanno dato un’eccellente lezione sul come «vivere la fede, oggi»; il documento conclude sapientemente affermando che «l’attuale processo di trasformazione, che coinvolge la vita religiosa del nostro tempo, se ben considerato e coraggiosamente affrontato, non mette in pericolo la vera fede nel Dio vivente, può anzi renderla più pura ed efficace».

Facciamo Nostro l’augurio, e a voi lo trasmettiamo con la Nostra Apostolica Benedizione.




Pellegrinaggi di varie provenienze

Rivolgendosi ai visitatori di lingua francese, il Papa così saluta alcuni dei gruppi più folti:


* * *

It is our pleasure this morning to extend to the Delegation of the Borough of Maidenhead a special welcome to the Vatican. We are happy to present our respectful greetings to the Mayor and Mayoress and to the other distinguished members of their party.

We know that you have come to pray for you future and send Our blessing also to your families.

* * *

Herzlichen Ostergruss entbieten Wir dem grossen Jugend-Pilgerzug aus Regensburg. Liebe jungen Freunde! Wir heissen euch herzlich willkommen hier im geistigen Zentrum der Christenheit! Wir wollen miteinander Ostern feiern im Geiste und in der Wahrheit. Das heisst: Wir müssen das neue Leben, das Christus, der Auferstandene uns durch sein erlösendes Leiden und Sterben verdient hat, im Glauben aufnehmen und in einem wahrhaft christlichen Leben in die Tat umsetzen. Stehet darum treu zu eurem Glauben und zur heiligen Kirche! Das ist die beste Grundlage für euer jetziges und späteres Lebensglück!

Ein besonderes Wort der Begrüssung richten Wir noch an den Pilgerzug der Marianischen Bürger-Sodalität Trier. In Namen und Wappen Ihrer Vereinigung, liebe Söhne und Töchter, steht leuchtend der Name der Gottesmutter. Das bedeutet für Sie die Versicherung besonderen göttlichen Schutzes und Beistandes. Denn wir verehren Maria als Mutter Jesu und Mutter der Kirche. Wenn Sie als überzeugte Mitglieder Ihrer Sodalität dem Beispiel Mariens nachfolgen, werden Sie sicher nach diesem Leben auch teilhaben an der ewigen Glorie Christi, in die sie uns vorausgegangen ist.

Aus der Fülle des Herzens erteilen Wir allen Anwesenden als Unterpfand reichster Ostergnaden den Apostolischen Segen.

* * *

Un saludo especial de bienvenida para el Grupo de Jóvenes Españoles, sordomudos.

Amadísimos hijos : ¡Cuánto sentimos que nuestras palabras no puedan llegar directamente a vuestros oídos! Pero estamos seguro de que vuestro buen corazón sabrá leer en nuestros labios el paternal afecto que reservamos a todas y a cada una de vuestras personas.

Y a vosotros, Sacerdotes y Religiosas Terciarias Franciscanas, que asistís cuidadosamente a estos pequeños, vaja también nuestra estima y reconocimiento sinceros. Si en medio del silencio exterior, que les acompaña, estos jóvenes han logrado superar su aislamiento y pueden mirar confiados su futuro; si su alegría es el fruto de una fe sólida, que les hace sentirse miembros vivos de la gran familia cristiana, ello se debe en gran parte a vuestro testimonio de servicio y amor. El Señor os lo recompense con su gracia.

Con particular benevolencia otorgamos a todos vosotros y a vuestras familias la Bendición Apostólica.


Mercoledì, 21 aprile 1971


Paolo VI Catechesi 24031