Paolo VI Catechesi 29971

Mercoledì, 29 settembre 1971

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A Voi, che venite a questo incontro con Noi per avere una impressione sensibile e insieme spirituale di questo punto centrale della Chiesa, Noi vorremmo osservare come sia legittima, come sia intelligente codesta vostra aspirazione, e vorremmo confortare nei vostri animi l’attitudine a cercare, a scoprire, a godere gli aspetti positivi della Chiesa, mentre oggi, per una deformazione diventata quasi abituale, e ostentata come una superiorità dello spirito moderno, vediamo tanta gente predisposta a rilevare gli aspetti negativi di quella, o almeno reputati tali, in modo che si pronuncia in molti osservatori della Chiesa una tendenza critica, insofferente della realtà ecclesiale, che col pretesto di orientarsi verso una Chiesa ideale essi prendono a noia il contatto positivo con la Chiesa qual è; e non solo per il suo lato sperimentale, umano, giuridico, storico, incarnato in limiti di persone conosciute e di istituzioni concrete, ma altresì per il suo lato soprasensibile, soprannaturale, sacro, misterioso, incomprensibile, mistico e ascetico che sia. Si vorrebbe una Chiesa puramente spirituale e facilmente collocabile nei propri schemi mentali. È diffuso questo stato d’animo critico, contestatore, incontentabile, e, in fondo, decadente, privo d’ammirazione, d’entusiasmo, d’amore, e quindi di gaudio e di sacrificio.

Noi vorremmo che ciascuno di voi, avvicinandosi alla tomba di S. Pietro, presso la quale ci troviamo, potesse far sue le parole del salmo 121: «mi sono rallegrato allorquando mi è stato detto: noi andremo nella casa del Signore D; e riprovasse in se stesso l’ingenua, se volete, ma sapiente compiacenza di scorgere nelle manifestazioni autentiche della Chiesa, ancor che forse difettose ed umili, ovvero trionfaliste e antiquate, quasi in trasparenza qualche cosa della presenza di Cristo e del suo Spirito, qualche cosa di sovranamente bello e ineffabile. E vorremmo che ciascuno di voi avesse perciò a godere e a sentirsi più buono, più attratto al mistero della Chiesa, come a tesoro che è suo, e di ogni fedele.

Non facciamo qui della speculazione teologica. Ci bastano delle elementari osservazioni fenomeniche, di comune esperienza. Per esempio. Ci riferiva, tempo addietro, un distinto e colto signore cattolico della folgorante impressione da lui provata durante un viaggio in Africa, in occasione d’un convegno di Laici cattolici, provenienti da varie nazioni, nel cogliere sul viso e dai gesti e da alcune esclamazioni (tradotte da chi sapeva) d’una povera vecchia donna, seduta per terra e intenta al suo rudimentale lavoro, la gioia e la fierezza di sapersi anche lei cattolica, e perciò associata, senza sostanziale dislivello, al gruppo degli illustri fratelli di fede, che le passavano davanti, tra i quali un alto ed elegante Signore Tedesco: «sono cattolici, mormorava commossa quella poverina, sono i miei amici, sono miei fratelli; anche questo signore (così bello, così maestoso) è dei nostri; anche lui è un fedele della mia Chiesa». In quell’umile cervello splendeva la luce d’un fatto straordinario, la comunione cattolica.

Noi trovavamo motivo di godere, la scorsa settimana, del fatto, per sé ovvio, ma a ben guardare meraviglioso, che si celebrava a Roma un Congresso internazionale sulla catechesi cattolica; non possiamo oggi non gustare in Noi stessi una vibrazione di ammirazione religiosa e di spirituale letizia per un altro fatto ben più grande, ma radicato esso pure nella realtà ecclesiale; vogliamo dire, il Sinodo Episcopale che si aprirà domani, con la S. Messa nella Cappella Sistina. Siamo ormai abituati ai Congressi internazionali, alle Istituzioni di carattere mondiale, ai dialoghi fra le lingue e le civiltà più diverse; il mondo cammina verso l’unità. Sta bene. Ma non ci dice nulla un convegno di Rappresentanti delle Conferenze episcopali di tutta la Chiesa, nel quale esiste già un’unità, così profonda, così amica, che forse sul piano naturale non è pensabile, non è raggiungibile, l’unità di fede, l’unità di amore? Non intravediamo in questo quadro alcune note distintive, che ci fanno esclamare: ecco, questa è la Chiesa di Cristo, una, cattolica e apostolica? E guardando bene, oltre le note caratteristiche esteriori, non vediamo che esse esprimono proprietà interiori, esigenze intrinseche, carismi soprannaturali, che la Chiesa, cioè l’umanità congregata nel nome di Cristo, per la misteriosa virtù dello Spirito Santo, possiede ed infonde ai suoi componenti, anche se questi sono dell’inferma argilla di Adamo? Non è questo un avvenimento canonico, cioè giuridico, che ci svela la Chiesa essere corpo; corpo visibile e mistico di Cristo suo capo animatore mediante l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, che ravviva e rinnova la perpetua vitalità della Chiesa?

Abbiamo davanti «una società di una compagine tanto perfetta, quanto quella d’un corpo, un solo e medesimo corpo. Questo vocabolo di corpo, chi ben lo consideri, non significa propriamente materia, ma un ordine di essa, quel certo che, che la fa percettibile. In questo senso la Chiesa è un corpo davvero, un vivo corpo, di cui il capo è Cristo, e membra siamo i credenti, e spirito è lo Spirito che procede da Dio» (FORNARI, Vita di G. C. III, 15; cfr.
Ep 1 Ep 5 1Co 12 ecc).

Questa visione ci porterebbe lontano; l’Enciclica di Papa Pio XII intitolata Mystici Corporis e la Costituzione conciliare Lumen gentium aspettano forse ancora da noi una meditazione nuova, che può avere il carattere d’una scoperta, quella che ci svela essere la Chiesa il segno di Cristo e lo strumento per essere davvero cristiani (Cfr. Lumen gentium LG 1), e che ci avverte che la nostra personale riforma spirituale e morale, piuttosto che qualche arbitrario cambiamento di funzioni e di strutture della Chiesa, la condizione della nostra autenticità cristiana e della nostra attitudine a promuovere l’unione con i Fratelli separati e l’annuncio vivo e perenne della salvezza al mondo (Cfr. Unitatis redintegratio UR 7; ecc.).

Dicevamo questo per offrire a voi motivo di gaudio e di speranza, e per invitare tutti voi a guardare e a vedere gli aspetti positivi della Chiesa di oggi, senza abbandonarci a critiche inconsulte e a sterili opposizioni. Sarà questo, per di più, il metodo migliore per favorire l’«aggiornamento» famoso della Chiesa. Ricordiamo due parole di Gesù: vi sono occhi che guardano e non vedono (Cfr. Mt 13,13); e vi sono occhi che guardando vedono, e sono beati (Ibid. Mt 13,16).

Questa beatitudine sia anche la vostra, con la Nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 6 ottobre 1971

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Noi lasciamo la riunione del Sinodo, dove sono accolti più di duecento Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, e veniamo a questa udienza settimanale, che ci procura la sempre nuova gioia dell’incontro con una folla tanto varia e tanto numerosa di fedeli e di visitatori, nei quali ci piace di vedere di fatto rappresentato, come in campione significativo e prezioso, il Popolo di Dio: ecco ecclesiastici, religiosi e religiose, ecco il gruppo degli Sposi novelli, ecco comitive di pellegrini e di turisti di diverse nazioni, ecco gruppi di fanciulli e di studenti, ecco anche personaggi qualificati che ci onorano con la loro devota presenza. Mentre voi tutti, quanti qui siete, e quanti voi portate moralmente con voi nel vostro spirituale ricordo, Noi salutiamo e benediciamo, ascoltiamo salire tacitamente da codesta assemblea una spontanea domanda abbastanza semplice, ma non abbastanza facile: che cosa è questo Sinodo? Come separa da Noi i Nostri Vescovi? Non sono essi e non siamo Noi membra d’una stessa Chiesa? Non potremmo essere tutti insieme? Che cosa fanno e dicono quei Vescovi che Noi non possiamo sapere?

Ecco: è vero, ed è bene se voi ne avete il pensiero c il desiderio: Vescovi e Fedeli sono un solo Popolo di Dio. Siamo tutti appartenenti ad una medesima famiglia religiosa, che si chiama la Chiesa; siamo tutti un solo corpo, il corpo mistico di Cristo. È bene che abbiamo questo senso comunitario, questo «senso della Chiesa», una, solidale, favorita della medesima vocazione alla parola e alla sequela di Cristo, partecipe della medesima grazia, obbligata a difendere e a diffondere il medesimo Vangelo, destinata alla medesima salvezza. Siamo una cosa sola, come Cristo ha voluto. Siamo una comunione. Un «corpo», come dicevamo.

Ma, c’insegna S. Paolo, interprete di tutto il nuovo Testamento: «Come il corpo è uno ed ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, formano un unico corpo, così anche Cristo», il Cristo mistico. Cioè la comunione, di cui risulta la Chiesa, è organica. Diverse sono le funzioni, diversi gli organi dell’unico corpo mistico; e la funzione che meglio caratterizza questa complessa unità è quella gerarchia; è quella apostolica, quella che Gesù Cristo stesso ha distinto dalla moltitudine, e che Egli ha incaricato di dirigerla pastoralmentme in suo nome, di convocarla, e poi di istruirla, di santificarla, di assisterla.

Ecco perché i Vescovi, successori degli Apostoli, sono oggi localmente distinti da questa assemblea; perché stanno studiando problemi che da un lato riguardano tutto il Popolo di Dio (dei quali problemi qui ora non parliamo), dall’altro riguardano la specifica funzione pastorale dei Vescovi, «che lo Spirito Santo ha costituito per reggere la Chiesa di Dio» (
Ac 20,28). Il nostro senso sociale moderno dovrebbe essere molto riguardoso di questo aspetto organico e gerarchico della Chiesa, nel quale si rispecchia in forme sensibili ed umane l’economia misteriosa del disegno provvidenziale del regno di Dio, e col quale è caratterizzata in modo originale la compagine comunitaria del Popolo di Dio.

Nella fase sinodale l’attenzione d’ogni osservatore, dentro e fuori della Chiesa, si rivolge verso l’esercizio d’uno dei grandi poteri della Gerarchia ecclesiastica, cioè quello così detto di giurisdizione, ch’è sempre un potere ministeriale, la cui autorità risale a Cristo, ma il cui esercizio è commesso alla volontà del ministro, assistito in dati momenti da uno speciale soccorso divino. E se la volontà del ministro è in questo momento nel suo esercizio determinante, perché, dicono alcuni, non potremmo attendere dal Sinodo (anche se dotato di poteri subordinati) novità decisive? Novità conformi all’attesa di quelli che pensano doversi conseguire il rinnovamento della Chiesa da qualche sua radicale trasformazione?

Questo è un punto che merita riflessione, proprio in ordine ad uno dei poteri, che possiamo classificare nell’ambito giurisdizionale della Gerarchia, il potere d’insegnare.

Ora possiamo noi supporre che la Gerarchia sia libera d’insegnare nella sfera religiosa quello che le piace? o quello che può piacere a certe correnti dottrinali, o meglio antidottrinali dell’opinione moderna? No. Noi dobbiamo ricordare come l’Episcopato sia investito da un dovere primigenio: qu8ello della testimonianza, quello della trasmissione rigorosa e fedele del messaggio originario di Cristo, cioè del complesso delle verità da Lui rivelate e affidate agli Apostoli, in ordine alla salvezza. Il cristianesimo non può cambiare le sue dottrine costituzionali. I Vescovi sono più d’ogni altro coloro che devono «custodire il deposito», come dice l’Apostolo (1 Tim 1Tm 6,20 2Tm 1,14), e che sentono dette per loro specialmente le parole ultime di Gesù: «Insegnate a tutte le genti ad osservare tutte le cose che Io vi ho comandate» (Mt 28,20). Il Concilio ha fatto eco a queste sovrane parole (Cfr. Dei Verbum DV 4 DV 7). Così aveva già esplicitamente insegnato il Concilio Vaticano primo (Sess. III, c. IV). Non dovremmo nemmeno ipotizzare cambiamenti, evoluzioni, trasformazioni della Chiesa in materia di fede (Cfr. TERTULL., De Praescript., c. 20; PL 2, 36-37). Il Credo rimane. Sotto questo aspetto la Chiesa è tenacemente conservatrice, perciò non invecchia.

Ci si chiederà: ma non esiste uno sviluppo dell’insegnamento primitivo? Sì, esiste, purché coerentemente e autorevolmente derivato dalla Parola rivelata di Dio. Gesù stesso aveva previsto questo sviluppo (Jn 16,12-15). Si forma così un filo tradizionale, che dall’ordine teologico si propaga anche all’ordine canonico (Cfr. 1Co 11,23 1Co 15,3 2Th 2,15 Dei Verbum DV 8); sempre con una grande premura di intrinseca fedeltà e di autorevole collaudo da parte di chi nella Chiesa ha ricevuto il carisma responsabile e ministeriale della verità (Cfr. Lc 10,16). È stato questo il grande problema del Newman (Cfr. J. GUITTON, La philosophie de Newman). Lo studio della verità divina è sempre aperto; la teologia è sempre in cammino verso una migliore intelligentia fidei.

E ciò anche per un altro importantissimo motivo: la fede esige un’applicazione alla vita, alla nostra esperienza vissuta, oggi estremamente mutevole. I bisogni dei tempi sono nuovi e complessi; e perciò la direzione pastorale della Chiesa deve incessantemente vegliare e provvedere al duplice ufficio di mantenere intatto il tesoro delle divine verità e delle valide tradizioni che lo hanno integrato, o che ne sono legittimamente e storicamente derivate, e nello stesso tempo di accostare questo sempre vivo ed operante tesoro alla vita delle generazioni umane, con linguaggio e con forme che lo rendano più accetto e più fecondo. Questo perpetuo sforzo di fedeltà dottrinale e di condiscendenza pastorale è il dramma spirituale di coloro che nella Chiesa hanno il mandato e la responsabilità della guida verso la comune salvezza. Pregate per loro.

Con la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 13 ottobre 1971

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Questa volta il Nostro discorso, come sempre breve ed elementare, consisterà semplicemente in una domanda, alla quale voi stessi, nel foro interiore della vostra opinione (la quale sta di solito al piano superficiale, sopra quello più intimo e riflesso della coscienza), potrete rispondere; e la domanda è questa: che cosa pensate voi del sacerdote? o, come d’ordinario si dice, del prete?


ATTUALITÀ DEL MINISTERO

Intanto diciamo perché sorge in Noi la curiosità d’avere risposta ad una simile interrogazione; perché in questi giorni il tema sul sacerdozio, che nel pensiero del pubblico diventa il tema sul sacerdote, cioè sulla persona, o sulle persone rivestite del sacerdozio, è d’attualità. Tutti sapete che questo tema è allo studio del Sinodo dei Vescovi, riunito qui a Roma, con le sue adunanze in Vaticano; e tutto il mondo ne parla, la Chiesa specialmente, con un vivissimo e quasi trepidante interesse, come se si trattasse d’una novità e come se riguardasse, ed è vero, non solo il ministero sacerdotale, ma tutta la comunità ecclesiale, e tutta la missione della Chiesa nel mondo.

Non attendete che Noi vi parliamo di quanto si espone e si discute nelle riunioni sinodali, e nemmeno dei commenti che le circondano; non parliamo del Sinodo; parliamo di voi che ci ascoltate, e vi parliamo con la domanda già espressa: voi, che cosa pensate del prete? Chi è? Che cosa fa? Che cosa dovrebbe fare? E come piacerebbe a voi che fosse? Vi interessa la sua presenza nella nostra società moderna? O non ne vedete più la necessità? Vi dà noia, vi disturba la sua figura? La sua attività? Lo vorreste «emarginato», cioè escluso. finito nel nostro mondo profano e secolarizzato? Come lo giudicate? Come lo pensate? Quali sono gli aspetti del prete che vi dànno fastidio? O quali invece vi sembrano meritare, qualche attenzione, qualche stima, qualche interesse? Come lo vorreste?

Vedete che la domanda si ramifica in molte questioni; e può darsi che queste questioni vi portino a pensare a problemi anche più grandi, come quelli che riguardano il fatto che noi deriviamo da una tradizione cattolica tutta tessuta di attività pastorale, che esiste la Chiesa, che è ammessa nei canoni del diritto moderno, teoricamente almeno, la libertà religiosa, che si pone tuttora, in termini insopprimibili, la più grande questione: ha ragion d’essere l’affermazione Dio esiste? E quali rapporti ha questa suprema e trascendente Esistenza con noi? Con la nostra coscienza, con i nostri destini? E alla fine: di Cristo, che ne sappiamo, che ne pensiamo? È poi vero che Cristo vive ed opera ancora e sempre nella Chiesa mediante una sua personificazione, il sacerdozio ministeriale?

Le domande, su questo sentiero teologico ed esistenziale, non finirebbero più. E tanto basta per giustificare la Nostra domanda: che cosa voi pensate del prete?


NELLA LETTERATURA

Noi pensiamo di non sbagliare che, sorpresi dalla domanda, nella vostra fantasia, si presentino due serie di figure del prete; dapprima quelle delle reminiscenze letterarie. La letteratura ci ha presentato una galleria di immagini, che in qualche modo si sono impresse nella memoria; immagini ridicole e immagini gravi; caricature e santi; il prete è un personaggio che si presta ad uno scrittore, che s’interessi più dei personaggi messi in scena, che della scena stessa, cioè dei fatti narrati; è un personaggio carico di note interiori, le quali impongono un confronto fra la realtà esteriore del prete e la realtà interiore, che egli dovrebbe avere; è una figura a doppio fondo. «In me, scrive Leo Trese, c’è un po’ del leone e un po’ dell’agnello; c’è carità ed egoismo; penitenza e amore alle comodità; preghiera e profanità; umiltà e orgoglio» (Vaso d’argilla, p. 139). Come scriveva S. Paolo di sé: «Noi abbiamo questo tesoro (il Vangelo) in vasi di creta, affinché (si riconosca che) la nostra sublimità è cosa di Dio e non viene da noi» (
2Co 4,7). Ora la letteratura si è divertita a dipingere questo paradossale dualismo, in tanti modi diversi che crea imbarazzo nel lettore davanti alla scelta del tipo di prete preferito, per condannarlo, o per deriderlo, o per ammirarlo, o per comprenderlo nel suo segreto interiore (tanto per intenderci, ripensiamo alle figure di ecclesiastici in autori notissimi: Manzoni, Fogazzaro, Marino Moretti, Barbey d’Aurevilly, Chesterton, Bernanos, Cronin, Graham Greene, Marshall, ecc.). Ma poi viene la seconda serie, anche questa molto varia, quella dei preti veramente esistiti: i Santi, come S. Vincenzo de Paul, D. Bosco, il Curato d’Ars, e aggiungiamo Massimiliano Kolbe (che domenica dichiareremo Beato); e accanto a questi grandi (e sono mille) altre immagini care e modeste di buoni e santi Sacerdoti, che, Noi supponiamo ciascuno di noi abbia incontrato sul proprio cammino: Parroci, Religiosi, Maestri, Assistenti, Cappellani, . . . i quali al dono carismatico propriamente ministeriale della Parola di Dio e della Grazia sacramentale hanno aggiunto qualche cosa di proprio, una loro umana, umile arte di invitare, di accogliere, di ascoltare, di ammonire, di compatire, di consolare, di capire, di beneficare, . . . e poi un loro proprio stile di vita, povero e forte, che ci ha fatto abbassare il capo pensoso per dire fra noi: sì, questo è un prete vero.


UNO STILE DI VITA

Ma ritorniamo alla Nostra domanda: quale concetto avete voi del Sacerdote? Può darsi che ne abbiate riscontrato i difetti. Ma perché i difetti dei Sacerdoti provocano tanta reazione? Tanta critica? Tanta facilità a generalizzarli e a condannarli? Lo abbiamo già detto: perché nel Sacerdote vorremmo sempre incontrare la perfezione. Non è il Sacerdote l’uomo di Dio? Il suo rappresentante, il suo ministro?

Sì. Ma Noi vorremmo che questa ovvia considerazione avesse da parte nostra un approfondimento: se il Sacerdote è l’uomo di Dio, è un «altro Cristo», segno è che un flusso di grazia è passato nella storia della sua vita: egli è stato un chiamato, un eletto, un preferito dalla misericordia del Signore. Egli lo ha amato in modo particolare; Egli lo ha segnato con un carattere speciale, lo ha così abilitato all’esercizio di potestà divine (Cfr. S. TH. III, 53, 2); Egli lo ha innamorato di Sé, al punto di maturare in lui l’atto di amore più pieno e più grande di cui il cuore umano sia capace: l’oblazione totale, perpetua, felice di sé . . . Egli ha avuto il coraggio di fare della sua vita un’offerta, proprio come Gesù, per gli altri, per tutti, per noi.


LA PAROLA DEL CONCILIO

Ascoltiamo, fra le tante, una parola del Concilio sui Sacerdoti, detti con termine tradizionale, Presbiteri. Essi «in virtù della Sacra Ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo, Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo». Ed ecco allora perché il Concilio, «affinché il ministero dei Presbiteri, nelle presenti circostanze pastorali ed umane, spesso radicalmente nuove, possa trovare sostegno più valido, e affinché si provveda più adeguatamente alla loro vita» ci ha richiamato a meditare sulla natura che. è sopranatura del Sacerdozio, e sulla sua umana e sovrumana missione.

Chi non sa queste cose, che offrono gli elementi della definizione del prete?


DIGNITÀ E FUNZIONE

Certamente lo sappiamo un po’ tutti; e riflettendo, quante altre cose potremmo aggiungere, non tanto per idealizzare la figura del prete e l’essenza della sua missione e per farne un mito alla nostra fantasia o alla nostra devozione, ma piuttosto per comprendere meglio questo fratello, che Cristo ha voluto per Sé. Ricordiamo come S. Paolo ha risposto alla domanda, che Noi ci siamo proposti. Egli scrive: «Noi vogliamo essere considerati come servitori di Cristo, e come dispensatori dei misteri di Dio» (1Co 4,1).

Non merita dunque il Sacerdote che noi ci si faccia un giusto concetto di lui? Della sua trasfigurazione in ministro di Cristo, in diffusore del regno di Dio? Non per farne un’esaltazione iperbolica e convenzionale, ma per meglio riconoscere la sua dignità e la sua funzione? Per compatire alle sue deficienze? Per amarlo di più? Per saperlo e averlo nostro?

Ripensate un po’ a queste cose, almeno durante il Sinodo. Con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 20 ottobre 1971

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La Beatificazione del P. Massimiliano Maria Kolbe, avvenuta domenica 17 ottobre in questa basilica di S. Pietro, ci richiama ad una «nota», ad un aspetto esteriore e ad una proprietà interiore della Chiesa, la santità, sulla quale vogliamo oggi, per un istante, richiamare la vostra attenzione. La chiamiamo santa la Chiesa: perché e come?

Innanzi tutto, proponendovi questo tema per il nostro incontro nell’udienza generale, Noi seguiamo una linea metodologica, che ci siamo prefissa da qualche tempo, la linea dell’osservazione positiva, ottimista, se volete, secondo la quale dobbiamo scoprire e considerare i valori, sì, positivi, costruttivi, quelli buoni, quelli che ci fanno scoprire l’opera di Dio nella Chiesa, e lo sforzo dei figli fedeli per corrispondere alla loro vocazione cristiana. Vorremmo così invitare questi figli fedeli a non volgere sistematicamente, quasi per partito preso, lo sguardo su gli aspetti negativi della Chiesa, o meglio della vita degli appartenenti alla Chiesa, ma a voler girare lo sguardo sulla prospettiva confortante, edificante, tonificante della vita ecclesiastica. Cioè: a passare dalla critica corrosiva all’osservazione amorosa di essa (Cfr. Y. CONGAR, Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Introd.). Realistica pretende d’essere la prima, quella che, forse partendo da una buona intenzione, vuol essere riformatrice, e vuole assumersi la funzione di denunciare, ormai senza mezze misure, le debolezze e le difformità della Chiesa odierna rispetto al suo impegno evangelico, per auspicare l’avvento d’una Chiesa nuova e idealizzata secondo le proprie esigenze critiche e spesso utopistiche e eversive. Gioco pericoloso cotesto, anche se invalso talora in spiriti intelligenti ed in ambienti animati da certo spirito rinnovatore. Pericoloso, perché sa di insofferente, se non altro, della comunione effettiva e cordiale dei fratelli e dei pastori della Chiesa; pericoloso, perché, partendo spesso da osservazioni oggettive, giunge facilmente a conclusioni soggettive arbitrarie, o prive di senso storico e di realismo umano e sociale, rifiutando la dottrina della Chiesa per indulgere a teorie e a politiche avverse alla fede; pericoloso, diciamo, perché valendosi di atteggiamenti severi ed esigenti sia nel campo culturale che morale nei riguardi della Chiesa istituzionale, cade poi nei facili conformismi alle idee di moda e scivola spesso verso l’abolizione di norme morali di grande rilievo; e ancora, pericoloso, perché si arroga quella autorità di giudizio che esso ha contestato all’autorità legittima e responsabile; e pericoloso, infine, perché consuma presto la provvista di carità, con cui era partito, sospinto da una velleità profetica di riallacciarsi al filo delle origini cristiane, per mutarsi - ahimé - ben presto in accusatore polemico e intemperante, sostituendo all’umile e verace amore esaurito la propria sufficienza ambiziosa, scontrosa, solitaria.


UNA VISIONE OGGETTIVA

Diciamo però subito: la visione che Noi vorremmo riscontrare nei figli fedeli non è una visione convenzionale e unilaterale, sempre puerilmente encomiastica, miope o cieca circa i falli e i difetti della vita ecclesiale; non vuole essere acritica e parziale; obbediente fino alla passività, ossequiente fino all’adulazione. Vuole essere anch’essa oggettiva, nel riconoscere con le manchevolezze anche le virtù ed i meriti, nel promuovere costantemente la debita rinnovazione della Chiesa, e nell’amarla, in ogni caso, anzi tanto di più quanto maggiori ne fossero i bisogni e le infermità. Questa è la direzione verso la quale vorremmo orientati, ripetiamo, i figli fedeli della Chiesa.

Tanto è vero che noi stessi cerchiamo di capire quanto vi può essere di buono, di vero e di utile negli atteggiamenti negativi, di cui dicevamo; cerchiamo cioè di profittare dei rimproveri, che sono mossi nei riguardi della vita ecclesiale com’è, per meglio capire come essa dovrebbe essere; cerchiamo di accogliere nelle istanze circostanti d’inquietudine e di confusione l’anelito che vi si nasconde ad un’autenticità cristiana, sceverandolo da un istintivo compromesso con la nuova mitologia d’un umanesimo economico, erotico e rivoluzionario.

L’orientamento nostro, ripetiamo, è rivolto alla santità della Chiesa e nella Chiesa.

Nessuno che abbia fede nella parola del Signore vorrà contestare, vorrà dimenticare che la Chiesa è santa. Qui il termine Chiesa si riferisce al mistero della sua definizione nel pensiero divino, cioè al piano d’amore e di salvezza con cui Dio concepì un’umanità abilitata a chiamarlo Padre, perché vivente di Cristo, della sua parola e del suo Spirito; santa dunque perché sollevata ad una vita soprannaturale e associata ad un’ineffabile comunione col Dio vivente, uno e trino; santa, perché resa essa stessa, la Chiesa, sacramento e veicolo di questa effusione divina, che chiamiamo grazia, e per ciò stesso «Madre dei Santi (Cfr.
Rm 1,7), cioè dotata di poteri rigeneratori e santificanti; santa, perché fin da questo soggiorno terreno e temporale gli uomini che vi appartengono sono già santi, in una certa misura e in certo attuale regime tendenziale a piena santità; ’ sono «stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, . . . popolo di Dio» (1P 2,9-10), sono consacrati a Dio. La Chiesa è la zona di luce celeste proiettata sul mondo, santa pertanto nel disegno di Dio e nell’economia di grazia che la avvolge; è la «santa Chiesa»; e tanto a noi dovrebbe bastare per cercarne il concetto generatore, l’immagine ideale nella sua patria d’origine e di arrivo che è appunto Dio Creatore, che si rivela Dio Amore; e per associare la santità della Chiesa ad una sua identificazione con la bellezza, quale maggiore può irradiarsi sul volto dell’umanità. Santità della Chiesa: non basta da sé a farci contemplativi, entusiastici e felici? Che cosa è la bellezza se non una rivelazione dello Spirito? E dove la troveremo questa rivelazione più intuitiva e più beatificante, che nell’umanità resa Corpo di Cristo e tempio animato di Spirito Santo? Sappiamo noi per la Chiesa far nostro il gaudio del Salmista: «Quanto sono amabili i tuoi padiglioni, o potente Iddio»? (Ps 83,2)

Ma, poi, ecco la nostra delusione: alla santità della Chiesa, vista nel suo disegno ideale e divino, non corrisponde sempre la santità nella Chiesa, vista nella realtà umana dei membri che vi appartengono: questi, anche se già ammessi in quel «regno di Dio che già è tra voi» (Lc 17,21), restano ancora uomini deboli e fragili e peccatori, tanto che per possederlo veramente «il regno di Dio - dice il Signore - si acquista con la forza, e sono i violenti che se ne impadroniscono» (Mt 11,12). Avviene perciò che l’incoerenza fra la vocazione alla santità, propria dei cristiani, e la loro deficienza morale provoca scandalo, uno scandalo purtroppo frequente ed oggi spesso tanto sensibile nell’opinione pubblica; e provoca l’indignazione di Colui che ci ha invitati al convito: «Amico, come sei qua entrato senza la veste nuziale?» (Mt 22,12). Ma no scandalo per noi amorosi della santa Chiesa; dolore e stimolo piuttosto, esame di coscienza, volontà di ripresa, comprensione evangelica (Cfr. Lc 9,55).


UN CRITERIO FONDAMENTALE DELLA VITA CRISTIANA

Così che questa impellente esigenza alla conformità della condotta, anzi della perfezione morale coerente col carattere religioso e mistico del seguace del Vangelo costituisce uno dei criteri fondamentali della vita cristiana, sia personale che collettiva; e, mentre tale esperienza obbliga a sottoporre continuamente la vita cristiana ad una vigilanza critica, si rivolge inesorabile, prima che ad altri, a ciascuno di noi: sono io davvero fedele, davvero cristiano? Prima di giudicare gli altri dobbiamo giudicare noi stessi. Stimolante questione, dalla quale, noi crediamo, scaturiscono feconde energie morali, quelle che generano il sentimento ed il costume caratteristico della comunità ecclesiale; le dànno l’avvertenza della sua condizione di «Chiesa pellegrina», di umanità in cammino verso un sempre necessario perfezionamento; e producono in alcuni spiriti valorosi una tensione interiore, la quale, mentre accresce in loro un senso profondo di umiltà, li spinge all’ansia e all’audacia della santità. Questo fatto, per impulso certamente della grazia, è tuttora operante nella Chiesa di Dio; e noi lo possiamo osservare in tante esistenze, forse a noi vicine, le quali, senza raggiungere i livelli straordinari della notorietà, canonizzata dalla Chiesa, possono certamente chiamarsi santità. A questa dobbiamo guardare per goderne la visione edificante, per accettarne lo stimolo, per assecondarne la virtù riformatrice.



Il Capitolo Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane

Nous sommes heureux de Nous adresser maintenant aux Frères des Ecoles chrétiennes, dont les membres du Conseil général et les Frères visiteurs sont réunis autour de leur Supérieur général, le Révérend Frère Charles-Henry. Chers Fils, vous vous souvenez de ce que Nous écrivions récemment à tous les religieux sur «les discernements nécessaires à opérer» (Evangelica testificatio, 6). Nous vous encourageons à faire sincèrement le point des expériences nouvelles vécues depuis quelques années, à bien dégager, à la lumière du Concile et de votre Chapitre général, les options essentielles qui devront être sauvegardées à tout prix, pour des religieux, disciples de saint Jean-Baptiste de la Salle, voués à l’éducation des jeunes en milieu scolaire. Trouvez, en notre siècle, les moyens d’être des hommes de prière. Attachez- vous à vivre une fraternité authentique, respectueuse des talents de chacun mis au service de la mission commune qui vous est confiée dans l’Eglise. Souciez-vous de maintenir entre générations un climat de dialogue, ouvert, confiant, enrichissant, où les initiatives soient prises en accord avec l’autorité indispensable (Ibid., 25). Soyez-en intimement convaincus: à l’intérieur même de votre profession d’enseignants, votre témoignage permanent auprès des jeunes, associant compétence pédagogique, foi rayonnante, doctrine sûre et sainteté personnelle, préparera pour demain des hommes de foi, ardents et généreux, dont l’Eglise et le monde seront fiers. Aimez et faites aimer l’Eglise, en dehors de laquelle on construit sur le sable et l’on travaille dans la dispersion stérile. Alors, sur ces avenues clairement tracées, marchez avec une grande espérance, celle même qu’a suscitée en son temps votre saint fondateur. Et Nous, de tout coeur, Nous vous bénissons, vous et tout vos frères et votre admirable apostolat auprès des jeunes dont vous voulez faire des hommes et des chrétiens; si la tâche qui s’offre à vous est immense, la grâce de Dieu n’est-elle pas plus grande encore?

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Mit besonderer Freude begrüßen Wir eine Gruppe von dreißig evangelischen Pfarren und Superintendenten, die hier in der Ewigen Stadt an einen Seminar teilnehmen zum Thema: «Naturrecht und Situationsethik».

Das Zweite Vatikanische Konzil, sehr geehrte Herren, hat in seinem Dekret über den Ökumenismus die Notwendigkeit betont, daß die konfessionell getrennten Brüder bemüht sein müssen, sich immer besser kennenzulernen, um so in Wahrheit, Gerechtigkeit und Liebe einander näherkommen zu können. Dies ist umso dringender, wenn es sich um Persönlichkeiten handelt, die Verantwortung tragen für ganze Gemeinden und deren Wirksamkeit daher eine breite ausstrahlung zukommt. Wir danken Ihnen für Ihren Besuch und erflehen Ihnen für Ihr Wirken Gottes bleibenden Schutz und Gnadenbeistand.

Promotori della Pontificia Opera di Propaganda Fide

Ein herzliches Wort der Begrüßung möchten Wir jetzt noch and die drei Pilgerzüge aus Deutschland richten, die Uns heute, zusammen mit so vielen anderen Pilgern aus den Ländern deutscher Sprache, mit ihrem Besuch erfreuen.

Den anwesenden Mitgliedern des Cartellverbandens der deutschen katholischen Studentenverbindungen rufen Wir zu: Stehet fest im Glauben! Lassen Sie sich nicht beirren durch die Schlagworte des Tages. Wahre Bildung kann niemals in einen echten Konflikt mit dem Glauben kommen, weil die Wirklichkeiten des profanen Bereiches und die des Glaubens in demselben Gott ihren Ursprung haben.

Den Teilnehmern des Sonderzuges für die Lesergemeinde der Kölner Kirchennzeitung legen Wir ans Herz: Stehet treu zu Kirche und Papst, zu eurem Bischof und euren Priestern. Seid darauf bedacht, durch eifrige Lesung eurer Kirchenzeitung euch im Glauben zu vertiefen und zu bestärken. Wir danken den Redakteuren für ihr verantwortungsbewusstes Arbeiten. Mögen sie immer bestrebt sein, in stetem Kontakt mit dem zuständigen Lehramt der Kirche die Heilslehre unverfälscht zu verkünden.

Herzlich begrüssen Wir endlich den grossen Pilgerzug des Päpstlichen Missionswerkes unter Führung des um die Missionsarbeit hochverdienten Prälaten Heinrich Goertz aux Aachen. Liebe Missionsfreunde! Wir danken Ihnen allen und jedem einzelnen im Namen Jesus Christi, was Sie seit Jahren in treuer Kleinarbeit, nicht selten unter bedeutenden persönlichen Opfern, für die brennenden Missionsanliegen der heiligen Kirche leisten. Fahren Sie fort, in heiliger Begeisterung für unsere katholische Weltmission zu beten, zu arbeiten, zu opfern. So sind Sie wahre Apostel, Künder der Frohbotschaft.

Aus der Fülle des Herzens erteilen Wir allen Anwesenden Unseren besonderen Apostolischen Segen.

Le diocesi di Montalto e Ripatransone

Questa udienza è onorata dalla presenza di un numeroso pellegrinaggio, quello della Diocesi di Ripatransone e di Montalto delle Marche, guidato dal Vescovo di entrambe, Mons. Vincenzo Radicioni. Pellegrinaggio che conclude le celebrazioni del quarto centenario della Diocesi di Ripatransone con la partecipazione fraterna della vicina comunità diocesana di Montalto.

Noi vi esprimiamo la Nostra più viva compiacenza, figli carissimi, per questo omaggio che procura a Noi la gioia di incontrarci coi fedeli di una terra ricca di antiche e gloriose tradizioni cattoliche, e a voi quella di coronare le vostre manifestazioni con un momento di particolare intensità religiosa, ascoltando la voce del Vicario di Cristo. Ebbene, Noi profittiamo di codeste vostre buone disposizioni per associarvi più strettamente alle sollecitudini che maggiormente occupano il Nostro animo in questi giorni ed hanno per oggetto il Sinodo dei Vescovi. Noi vi invitiamo a pregare tanto per il suo felice svolgimento. L’amore che voi portate alla vostra Diocesi e alle tradizioni religiose della vostra terra, sono un grande tesoro che va difeso, va sviluppato, stimato. Esso tuttavia per essere valido e veramente fecondo non può distogliervi dall’interesse per i grandi problemi della Chiesa, ma deve farvi sentire sempre in comunione con la grande, universale famiglia di Cristo.

Noi vorremmo che questa udienza ricordasse a ciascuno di voi questo dovere. Se le vostre celebrazioni, concludendosi con la venuta a Roma e con la visita al Papa, verranno ad accrescere la vostra coscienza ecclesiale di cattolici, avranno certamente ottenuto uno dei loro migliori frutti; ed è quello che Noi chiediamo a Dio per voi, impartendo a ciascuno qui presente e a quanti dei vostri cari vi sono spiritualmente uniti in questa circostanza, la Nostra paterna Apostolica Benedizione.

La U.N.I.T.A.L.S.I.

Ci rivolgiamo a Voi, carissimi partecipanti al numeroso pellegrinaggio organizzato dalla UNITALSI di Varese per aver voluto ricordare, con l’odierno incontro col Vicario di Cristo, il trentesimo anniversario della fondazione della sezione.

Voi ci recate, infatti - alla vigilia del Sinodo dei Vescovi, - la preziosa offerta delle sofferenze da parte di un cospicuo gruppo di malati, come pure l’omaggio della fraterna solidarietà dei loro assistenti, e quello della fede di quanti hanno voluto associarsi alla pia iniziativa.

Noi siamo di ciò, a tutti ed a ciascuno, immensamente grati.

Ma una parola d’incoraggiamento e di consolazione vogliamo riservarla particolarmente ai cari ammalati, l’infermità dei quali, agli occhi del mondo, potrebbe apparire soltanto come motivo di menomazione e d’inoperosità, tanto da far considerare come inutile la loro stessa esistenza.

Noi ripetiamo a questi fratelli quanto, più volte, abbiamo avuto l’occasione di affermare in analoghe circostanze.

La sofferenza, comunque si manifesti, se accettata con umile sottomissione alla volontà di Dio, diviene nell’economia della Provvidenza strumento di espiazione, di purificazione, di propiziazione e di elevazione.

Voi, carissimi infermi, siete nella Chiesa i più vicini all’«Uomo di tutti i dolori», che, proprio per mezzo del dolore, «fino alla morte di Croce» ha voluto che si compisse il mistero dell’umana salvezza.

Fate, pertanto, che per mezzo della fede, le vostre sofferenze fisiche e morali si elevino a Dio come preziosissima ostia spirituale.

Avvalorano questa vostra oblazione l’affetto e i voti del Papa, che vi benedice di cuore, unitamente a tutti coloro che vi hanno accompagnato nel vostro pellegrinaggio romano.

Pellegrinaggio di Conegliano

Desideriamo rivolgere un saluto particolarmente affettuoso ad un gruppo di pellegrini della Parrocchia di S. Maria delle Grazie in Conegliano, i quali, guidati dal loro zelante Parroco, son venuti a farci visita, per ascoltare da Noi una parola di paterno incoraggiamento. Sono, in gran parte, ragazzi e giovani, che si sono generosamente distinti nel contribuire alla costruzione della Chiesa parrocchiale nel nuovo e popoloso quartiere della loro città.

Sappiamo, figli carissimi, le gravi difficoltà, che l’iniziativa ha comportato e che, sotto alcuni aspetti, ancora rimangono; ma sappiamo anche con quanta dedizione avete lavorato per interessare all’opera tutti i fedeli della zona e per giungere alla sua inaugurazione, ormai imminente.

L’edificazione del tempio materiale è premessa che favorisce ed avvia l’edificazione spirituale della comunità cristiana: i mattoni, da voi raccolti, non sono forse simbolo delle pietre vive, che sono le anime? Nel vostro impegno vi ha certo guidato questo alto ideale, e Noi volentieri ve lo riproponiamo nell’esprimervi il Nostro plauso e compiacimento. È infatti un segnalato servizio quello che voi rendete alla Chiesa, cioè alla madre che ci genera alla vita soprannaturale. E se diciamo la Chiesa diciamo anche Colei, che della Chiesa - come ci ha ricordato il Concilio - è modello eminente e perfetto. Sì, la Vergine Santissima delle Grazie, Patrona della vostra Comunità, vi assista con la sua materna protezione nei propositi di bene, e vi abiliti sempre meglio al servizio dei fratelli nella fede. E questo Nostro augurio confermiamo con la Nostra Benedizione, che porterete, al ritorno, a tutti i vostri cari.

Le Piccole Suore di Gesù

Vigili del Fuoco di Roma

La vostra presenza offre stamane un caro spettacolo ai Nostri occhi, e un grande conforto al Nostro cuore. Siete venuti a portarci il vostro saluto, accompagnati dai vostri Ufficiali superiori e dal Cappellano Capo; e vi diciamo, a Nostra volta, il compiacimento che proviamo nell’accogliervi. Avete concluso il corso di specializzazione presso le Scuole centrali anticendi di Roma-Capannelle, addestrandovi alla coraggiosa attività che in avvenire vi attende; è un duro dovere, il vostro, pieno di rischi e d’incognite, che richiede agilità e forza, destrezza e tempestività, per portare la salvezza a vite umane in pericolo. Questa è, dunque, una forma moderna di esercizio delle antiche e sempre attuali opere di misericordia ! Noi vi incoraggiamo a compierla con tutto l’entusiasmo e l’impegno della vostra giovinezza, con la serietà della vostra preparazione, con la consapevolezza di adempiere un servizio tanto benemerito davanti alla società, ma soprattutto degno delle speciali ricompense di Dio. Vi accompagni sempre il suo aiuto, in pegno del quale vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.

Abati e Priori dei Canonici Premostratensi

Le Opere Pastorali per la gioventù

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We extend our welcome and express a word of particular affection in the Lord to the newly-ordained Augustinians from Saint Patrick’s College. It is our hope that Christ will always be your lot and that your priestly ministry will bring light and peace to men’s hearts. May the grate of God be with you, your beloved parents, relatives and friends.

Our special greeting goes to our dear Korean sons and daughters. We are pleased to welcome you as new members of Christ’s Church, praying that the joy of your Baptism will remain with you throughout the years and that you will always “ lead a life worthy of the calling you have received “ (Ep 4 Ep 1). Be assured that We share your happiness on this blessed occasion.

To all of you We give Our Apostolic Blessing.

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Ein Wort herzlicher Begrüssung richten Wir noch an die anwesenden Neupriester des deutsch-ungarischen Kollegs von Rom. Wir freuen Uns mit Ihnen, liebe Freunde, dass Sie nach langen Jahren des Studiums Ihr hohes Ziel erreicht haben. Seien Sie stets heilige Priester! Denn unsere bewegte Zeit braucht Priester, die ihre Ganzhingabe an Christus, den Ewigen Hohenpriester, in täglichem Gebet und Opfer verwirklichen sich bemühen.

In besonderer Weise begrüssen Wir auch die Leitung und die Mitglieder des «Deutschen Ordens», die anlässlich ihres Generalkapitels und der Abtweihe ihres neuen Hochmeisters in der Ewigen Stadt weilen. Wir geben dem Wunsche Ausdruch, dass es Ihnen allen vergönnt sein möge, die karitativen und sozialen Werke, wie es die moderne Zielsetzung Ihres Ordens ist, und die darum dem heutigen Auftrag der Kirche in besonderer Weise gerecht wird, auch weiterhin erfolgreich durchzuführen.

Aus der Fülle des Herzens erteilen Wir Ihnen und allen Pilgern Unseren Apostolischen Segen.


Mercoledì, 27 ottobre 1971


Paolo VI Catechesi 29971