Paolo VI Catechesi 27101

Mercoledì, 27 ottobre 1971

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Fratelli e Figli carissimi!

Noi abbiamo ancora l’animo commosso per la cerimonia che domenica scorsa è stata celebrata in questa basilica, in occasione della Giornata Missionaria. Se qualcuno di voi era presente comprenderà certamente e condividerà i nostri sentimenti. Ognuno, del resto, anche se non ebbe la fortuna di assistervi, può facilmente farne l’esperienza pensando al significato della cerimonia stessa. Perché, ancor più che il rito (e fu tanto bello, tanto eloquente), il suo significato ci sembra degno di ricordo e di riflessione, specialmente per chi, come voi che insieme a noi guardate con amore alla Chiesa, la quale solo per via di amore si può intimamente capire, cioè con «intelletto d’amore» (Cfr. Purg 21, 51).


IL SIGNIFICATO DELLA CELEBRAZIONE DI DOMENICA

Il significato di quella Messa non poteva essere che missionario. Ricordate alcune note esteriori che le hanno dato a buon titolo questa qualifica. Vi era, più evidente per i suoi sfarzosi costumi, il gruppo dei pellegrini Samoani, provenienti dall’Oceania per restituirci la visita che noi loro facemmo lo scorso anno; ve ne erano altri di altri Paesi lontani; vi erano i Vescovi del Sinodo rappresentanti tutta la Famiglia della Chiesa cattolica sparsa sulla terra; vi erano fedeli d’ogni razza e colore, un campionario assortito dell’umanità vivente sul nostro globo: la universalità della Chiesa, la sua cattolicità era evidente. Noi pensavamo al canto dell’Apocalisse: «Tu, Signore, ci hai redenti a Dio da ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (
Ap 5,9), e al racconto della Pentecoste, quando tutti annunziavano, ebbri di Spiriti Santo, nelle proprie lingue «la grandezza di Dio» (Ac 2,11); pensavamo con lo stupore d’allora e di sempre nel vedere che anche nelle Nazioni, al di là delle frontiere dell’Antico Testamento, si effonde la grazia dello Spirito Santo (Cfr. Ac 10,45). Dunque ci chiedevamo, è compiuta la profezia: «Per tutta la terra si è sparsa la loro voce (la voce degli Apostoli e dei Missionari), e fino agli ultimi confini della terra abitata sono giunte le loro parole»? (Ps 18,5 Rm 10,18) L’aspetto umano, etnico, sociale, sconfinato della Chiesa era là documentato, straordinariamente vario, bello, pacifico . . .


UNITÀ SPIRITUALE

Sì, pacifico; perché un altro aspetto, più profondo, ed ancora più bello ed eloquente, lì risplendeva: l’unità. Gente così diversa, e così unita; gente, che nemmeno si conosce fra sé, e si sente fraterna; gente, così fiera e gelosa della propria diversificata cultura, che abbandona ad una comunione senza ambiguità, senza riserve, ciò che ha di proprio, di più personale, il proprio pensiero, il proprio cuore, nella unica fede, nella unica carità, nella convinzione d’essere un solo corpo con un solo Spirito animatore, nel gaudio d’una solidarietà a tutti aperta, ma ben distinta da chi non la condivide, e nell’esperienza di esprimere nella più ibrida varietà di linguaggi la medesima voce, la medesima preghiera, il medesimo canto all’unico Dio Padre di tutti (Cfr. Ep 4,3-6). L’unità cattolica: fenomeno senza paragone; l’unità è aspirazione somma della umanità, ma è ancora a stento e imperfettamente realizzata nel piano temporale; qui invece unità già vera e reale nel piano spirituale, e piano visibile ed organico; un Popolo solo, il Popolo di Dio; un Corpo solo, il Corpo mistico di Cristo; la Chiesa, la Chiesa una e cattolica.

Oh! questa è la Chiesa? Ma come mai? Come si realizza questo prodigio? Anche di questo prodigio lì abbiamo osservato una qualche rivelazione, nei suoi elementi umani, resi segno, resi sacramento dell’elemento divino, la grazia cristificante, la quale chiama e trasfigura uomini e donne di questo mondo, del quale conosciamo la grandezza e la bassezza, le doti e le debolezze, gli eroismi e le viltà, del nostro mondo colto, raffinato e corrotto; uomini e donne, questa volta oltre quattrocento nella nostra cerimonia, che ad un certo momento escono dalla folla dei fedeli, e vengono a noi, servo dei Servi di Dio; salgono a noi, all’altare, dicendo con questo atto silenzioso, ma più espressivo d’ogni parola, in risposta alla duplice vocazione: quella della Chiesa, esteriore, invitante, implorante; quella di Cristo, interiore, parlante dolcemente e drammaticamente nei cuori fedelissimi, dicendo la parola profetica: «Ecco, io sono qui, manda me!» (Is 6,8); voglio essere «segregato per il Vangelo di Dio» (Cfr. Rm 1,1 Ga 1,15 Ac 13,2). Vengono per essere riconosciuti Missionari. Che cosa daremo loro, ci siamo chiesti, se non il Crocifisso, che tutto significa, e che in quella mano tremante e coraggiosa che lo riceve sembra subito presagire una storia di imitazione, di dedizione, di amore: di vittoria, qualunque sia per essere la storia del Missionario, che così è pronto a partire? Il sacrificio di Cristo continua, il sacrificio che salva il mondo.


UMILE E TACITA TESTIMONIANZA

Ma esiste ancora il carisma del sacrificio ai nostri giorni? Oh, sì! e in quale abbondanza, in quale grandezza! Il tempo nostro, che ha sofferto l’esperienza delle guerre, ben lo sa. Ma quanto poi lo rifiuta, facendo dell’egoismo e del godimento il programma ideale della vita. Ben lo sa, e lo onora; ma più negli altri che per sé; ognuno anzi da sé lo respinge. Non ognuno, per la verità. Qualcuno lo accetta, anche nella sua più autentica espressione, quella volontaria. L’onore allora diventa gloria; e per fortuna di questa gloria si alimentano ancora le migliori virtù della nostra convivenza civile. Che cosa non ha detto, con l’esempio suo, uno Schweitzer alla nostra generazione! Ci uniamo volentieri al tributo di ammirazione e di encomio, che un tale Uomo ben merita; ma senza invidiosa emulazione ci si consenta rendere analoga, se pur umile e tacita, testimonianza all’innumerevole legione di Missionari e di Missionarie, che hanno dato e che danno la vita intera, con sacrificio senza misura e senza pubblicità, senza encomio e senza alcuna mercede, alle sofferenze fisiche ed ai bisogni morali di miseri fratelli (perché fratelli, in Cristo, sono considerati) nelle terre di missioni, ancora alle soglie della moderna cultura. Quale tesoro di sacrificio possiede, oggi più che mai, questa Chiesa di Dio, Chiesa comunitaria e gerarchica, Chiesa istituzionale ed operante, che la Provvidenza ci ha concesso di chiamare nostra!

La nostra apologia della Chiesa vuol essere ancora pedagogica per quanti di noi dubitano della sua autenticità, si sottraggono alla sua comunione vissuta, si sentono imbarazzati e vergognosi di militare nelle sue file. La Chiesa missionaria ci giudica con la sua fede apostolica, con il suo amore positivo, con la sua dedizione totale al nome di Cristo, al servizio e alla liberazione dei fratelli. Né sterili critiche, né amare contestazioni, né retoriche velleità, né spiritualismi effimeri essa c’insegna; essa è una Scuola di realismo evangelico; essa c’invita alla serietà e al gaudio della positiva sequela di Cristo.

Ma troppe cose ancora sarebbero da dire. Vogliamo bene alla Chiesa missionaria, e non ci saranno nascoste.

Con la Nostra Apostolica Benedizione.


Le Dame della Carità di San Vincenzo

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Our special welcome goes to our beloved sons and daughters from Samoa. Your presence recalls once again the joy We experienced in visiting you. Many times We have thought of your hospitality and kndness and of the happy moments We spent together. On this occasion We renew our good wishes for the authorities of your land and for the spiritual and material well-being of all the People of Samoa.

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Ein besonderes Wort der Begrußung richten Wir an die Vertretung des Ältestenrates des Landtags von Baden-Württemberg, der in dieser Audienz mit seinem Herrn Präsident anwesend ist.

Sie bekleiden, sehr geehrte Herren, im öffentlichen Leben den schweren, aber ehrenvollen Beruf des Politikers. Ihre Aufgabe ist es, unter Hintansetzung des eigenen Vorteils dem Gemeinwohl zu dienen. Mögen Sie darum in unserer aufgewühlten Zeit mutig gegen alles Unrecht vorgehen und sich mit Nachdruck ftir die hohen Werte der säkularen christlichen Tradition Ihrer Heimat einsetzen. So dienen Sie am besten dem wahren Fortschritt Ihres Landes und Ihrer Mitbürger.

Herzlichen Willkommgruß entbieten Wir auch dem Pilgerzug des Verbandes katholischer holländischer Arbeiter! Liebe Söhne und Töchter! Wir freuen Uns über euren Besuch und danken euch für euer Kommen. Wie ihr wißt, hat die Kirche in ihren Sozialschreiben immer die Bedeutung und den Segen der Arbeit wie auch die hohe Verantwortung der Arbeitgeber und Arbeitnehmer hervorgehoben. Erfüllt in lebendigem Glauben Tag um Tag eure Berufsarbeit. Dann bleibt ihr innerlich froh und zufrieden, denn euer Leben wird «ein geistiges Opfer, wohlgefällig vor Gott durch Jesus Christus» (1P 2,5).

Von Herzen erteilen Wir euch und allen anwesenden Besuchern Unseren Apostolischen Segen.



Mercoledì, 3 novembre 1971

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Ancora noi parleremo del volto della Chiesa, cioè della Chiesa come appare ai nostri occhi, per vedere quello che essa è, e quello che essa fa, in concreto, nella sua realtà umana e subito conoscibile. Voi sapete il motivo che ci suggerisce questa osservazione intuitiva, questo sguardo immediato; è il desiderio di vedere la sua faccia solare, la sua bellezza nativa; è il bisogno di confortare tanti spiriti buoni e intelligenti, che soffrono nella scoperta continua e inesauribile dei difetti, delle deformità, degli scandali, che la critica odierna, fuori e dentro di casa nostra, riscontra in tanti aspetti della Chiesa, così che si diffonde l’antipatia verso questa vecchia istituzione, e nasce in molti il triste proposito di abbandonarla e di osteggiarla, come inutile, come superata, come infedele, come scheletro inaridito, ovvero sorge in non pochi altri il proposito generoso forse, ma presuntuoso, di rianimarla e di riformarla nel suo disegno costitutivo e tradizionale, attribuendole una forma nuova e immaginaria la quale ondeggia fra uno spiritualismo carismatico raffinato, che non si sa bene come consistente, ed un conformismo umanistico alle realtà presenti e fuggenti, proprie della società temporale.


FONDAMENTALE MISSIONE RELIGIOSA

Questa nostra altra e realistica visione della Chiesa invece non dice oggi alcun che di nuovo; anzi si limita ad un’osservazione tanto ovvia ed empirica da sembrare banale: la Chiesa che cosa è? È una comunità che prega. Pensate: è un Popolo salmodiante e pregante, un Popolo di Dio! Questo è il segno della sua filosofia e della sua teologia; è l’uomo che ha bisogno di Dio (Cfr.
2Co 3,5); e che a Dio deve tutto (Cfr. Mt 22,38).

Perciò il suo atteggiamento fondamentale e caratteristico è quello cultuale. La Chiesa è innanzi tutto una società religiosa. Ciò che più le preme è la preghiera. La Chiesa si propone uno scopo primario: quello di mettere gli uomini in comunicazione, anzi in comunione con Dio; essa è, come dice il Concilio, «segno e strumento dell’intima unione con Dio» (Lumen gentium LG 1). La Chiesa unisce uomini a sé fedeli per renderli fedeli a Dio. La Chiesa attualizza nella storia, con la parola, con la carità e con i sacramenti, il Cristo del Vangelo, l’unico mediatore valido e indispensabile fra Dio e gli Uomini. Questa è la sua fondamentale missione, quella religiosa. E a questa missione collettiva, interiore ed esteriore, quali ferme e forti strutture sono necessarie! La Chiesa poi pretende, e a buon diritto, di offrire all’umanità la soluzione definitiva della questione religiosa, la quale, come tutti sanno, ha enormemente interessato e affaticato l’umanità. Essa sostiene anche dinanzi all’estesissima indifferenza e all’accanita negazione del nostro secolo che non solo la religione ha sempre, e oggi più che mai, ragion d’essere, ma che la formula religiosa da lei offerta è il «fondamento e il coronamento» della vita umana, del sapere e dell’agire dell’uomo; è la luce, è il sostegno, è il termine, è la beatitudine della nostra esistenza sulla terra, è la prima ed ultima parola, l’alfa e l’omega del mondo. Per questa sua concezione generale e suprema, umana e cosmica della religione cattolica, cioè per la sua fede, la Chiesa è organizzata, esiste, ama, lavora, soffre, e sempre svolgendo il suo duplice colloquio con Dio e con l’uomo, pregando.

Piacerà o non piacerà, ma questo è il volto della Chiesa, quello del grande coro ordinato e inneggiante dell’umanità, che adora il Padre «in spirito e verità» (Jn 4,23). Ed è un volto splendido, irradiante spiritualità e socialità, vigore morale e bontà caritatevole, mistero e chiarezza, quali nessuna altra istituzione terrena può o pretende offrire alla gente del nostro tempo. E questa irradiazione si effonde dal volto della Chiesa come un riflesso del volto di Dio (Cfr. Ps 4,7). Così è la Chiesa orante.


COLLOQUIO CON DIO E CON L’UOMO

La Chiesa orante, come si sa, ha avuto nel Concilio la sua magnifica esaltazione. Non lo possiamo dimenticare anche per il fatto stimolante della riforma liturgica. Questa riforma, per l’intenzione stessa che l’ha provocata, quella pastorale, di ravvivare l’orazione nel Popolo di Dio, un’orazione pura e partecipata, cioè interiore e personale, e al tempo stesso pubblica e comunitaria, merita grande considerazione anche al confronto delle condizioni spirituali del ‘mando moderno. Non è un semplice fatto rituale, di sacrestia, o di erudizione arcaica e puramente liturgica; è un’affermazione religiosa piena di fede e di vita, è una scuola apologetica per tutti i ricercatori della verità vivificante, è una sfida spirituale in mezzo al mondo ateo, pagano, secolarizzato.


UN ONORE E UN OBBLIGO

In occasione della recente pubblicazione del nuovo Breviario Noi riceviamo, fra le tante, una lettera confidenziale, ma singolarmente espressiva, che dice, tra l’altro, quanto sarebbe utile esortare i fedeli «in momenti di generale tensione degli animi, per ricordare l’eccellenza della lettura, dell’esposizione, della meditazione della parola di Dio, con la certezza che tale esortazione sarebbe salutarmente accolta da ogni anima, quasi sigillo al nuovo libro sacro, e degna memoria, al tempo stesso, dell’opportunità di una preghiera alla cui composizione secoli e secoli hanno lavorato, e nella quale Padri, Dottiri, Teologi e Santi della Chiesa fanno sentire la loro voce perenne . . .». È vero; ed è ciò che anche con queste familiari parole Noi ora facciamo, specialmente per il Clero e per i Religiosi, a cui in modo particolare compete l’onore e l’obbligo di tenere accesa la fiamma dell’orazione in seno alla Chiesa, e per quei suoi figli ardenti, ai quali è noto come ogni rinnovamento nella Chiesa medesima, ogni sua vitalità, ogni suo superamento di difficoltà e di crisi, ogni sua capacità di servire a liberazione e a salvamento i fratelli vicini e lontani, è alimentata dalla preghiera; dalla preghiera intima e personale (Cfr. Mt 6,4), e non meno da quella comunitaria, sacerdotale e pubblica, che chiamiamo liturgia.

Noi vogliamo credere che voi tutti siate di ciò persuasi, e con voi lo siano quanti ricevono l’eco di queste parole; perciò mettiamo subito in esercizio la comune fiducia nell’orazione chiedendo a tutti di pregare per il felice esito del Sinodo episcopale, ormai alle sue conclusioni, affinché ne abbia profitto di grazia e di gaudio, di fortezza e di santità il ministero sacerdotale nella Chiesa, e ne abbiano lume e conforto la giustizia e la pace nel mondo, ai quali temi il Sinodo ha dedicato il suo studio amoroso e sapiente.

Pregate dunque; preghiamo. Così dobbiamo essere Chiesa.

Con la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 10 novembre 1971

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Ora che il Sinodo dei Vescovi è finito Noi ci rimettiamo nella posizione mentale di chi guarda la Chiesa dal di fuori e ne vede gli aspetti più apparenti, offerti all’osservazione di tutti; e, dopo aver sentito tanto parlare della Chiesa, si chiede: ma insomma, che cosa è questa Chiesa? questo fenomeno storico, umano, religioso, che cosa è? La curiosità si rivolgerebbe volentieri al Sinodo, anzi piuttosto alle questioni trattate dal Sinodo, delle quali il pubblico ha avuto notizia e sulle quali vorrebbe avere qualche informazione conclusiva. Lasciamo ancora lavorare i tecnici, cioè le persone competenti incaricate di mettere in ordine logico e dottrinale i testi ufficiali approvati, ma obbligati a tenere conto delle molte osservazioni (i così detti «modi») suggerite dai membri del Sinodo, cioè dai «Padri». Non è ancora il momento, né questa forse la sede, di rispondere a tale legittima curiosità. Noi ci fermiamo ora un istante ad una curiosità più elementare e più profonda, quella che s’interroga addirittura sulla definizione empirica della Chiesa: che cosa è la Chiesa? e cerchiamo di rispondervi con gli elementi di prima evidenza, senza pretendere di dare alla domanda una risposta adeguata.

La Chiesa è una società, una società religiosa. È evidente. E basta già questa immediata, ma fondamentale osservazione per ricordare che noi non potremo presumere di appartenere alla Chiesa, di professare la religione che in essa si personifica, in altri termini: di essere veri cristiani, d’avere una nostra religione, un nostro modo personale d’essere cristiani autentici, senza essere nello stesso tempo membri di questa società, che si chiama la Chiesa. Il cristianesimo è un fatto sociale. Non è semplicemente una corrente ideologica, che consente a ciascuno di concepirla a suo modo e di custodirla nel segreto della propria coscienza. La religione professata dalla Chiesa costituisce una comunità, una comunione di pensiero e di costume, genera un popolo, il Popolo di Dio. La concezione d’una Chiesa puramente spirituale, e perciò invisibile, interiore e non decifrabile esteriormente, non interpreta integralmente la realtà del cristianesimo. La Chiesa non è soltanto un’«anima»; è anche un «corpo». Anche i cristiani, che si sono separati dalla Chiesa, con l’intenzione di concepirne un’altra, puramente spirituale ed invisibile, e perciò non soggetta ad alcun vincolo sociale, non sostenuta da alcun rapporto esteriore, e perciò autorevole e giuridico, si accorgono d’essere andati fuori del pensiero costituzionale della religione fondata da Cristo, e rivendicano a se stessi il titolo di «chiesa», che esige una socialità visibile, determinata, incarnata in un organismo umano, che reclama l’unità. È la logica dell’Incarnazione. Fin dai suoi tempi S. Agostino lamentava, scrivendo a gente religiosa, ma aberrante di Madaura: «Voi certamente vedete che molti sono tagliati via dalla radice della società cristiana, la quale mediante la sede apostolica e la successione dei Vescovi si diffonde nel mondo con una propagazione sicura» (
Ep 232, PL 33, 1028). «Cristo, ci ricorda S. Tommaso, ha compiuto l’opera della nostra salvezza in quanto Egli era Dio e uomo, affinché in quanto uomo patisse per la nostra redenzione, e in quanto Dio la sua passione fosse per noi salutare» (Contra gentiles, SCG 4,74). I termini: Dio, religione, Cristo, Chiesa, salvezza sono essenzialmente disposti sulla medesima linea discendente, la quale può essere percorsa in senso ascendente: se vogliamo salvarci, cioè realizzare il nostro vero destino, dobbiamo trovare nella Chiesa il ministero che ci dà Cristo, mediatore di quella religione, che a Dio, l’ineffabile Principe vivente, ci conduce.

Ma a questo punto l’aspetto personale della Chiesa prende risalto nell’aspetto sociale. Ed è ciò che distingue la società ecclesiale dalla società civile, per il fatto che a questa, alla società civile, apparteniamo per nascita, cioè per un titolo, che non dipende direttamente dalla nostra volontà: mentre alla società ecclesiale apparteniamo per inserzione, che suppone nel bambino (battezzato sulla fede dei genitori, dei padrini, della comunità) e che esige nel cristiano cosciente e adulto un atto libero e voluto di fede. Uomini si nasce, cristiani si diventa. Dunque ecco il sovrano profilo della Chiesa; essa è, sì, una società, ma una società libera. Questa parola, pronunciata oggi, sembra una ripetizione, una coincidenza in favore del linguaggio corrente applicato alla convivenza moderna. Ne possiamo godere. Non v’è una fede se non libera. Ma dovremo avvertire come il termine «libertà» riferito alla nostra vita religiosa abbia una profondità costitutiva sua propria, e non solo il significato operativo, che esso assume nella vita naturale; ciò che rende la vita religiosa, quella della Chiesa di cui ora parliamo, non solo degna d’essere annoverata fra i primi e più sacri diritti dell’uomo, ma estremamente importante e drammatica, per ogni persona, e anche per l’insieme della collettività umana, in seno alla quale l’esercizio di questo genere di libertà, decisiva del destino supremo dell’uomo, trova praticamente il suo svolgimento.

La Chiesa ci si presenta dunque come la società nella quale l’uso sacro dell’umana libertà raggiunge le sue esigenze e le sue espressioni più alte e più piene, perché la fede, cioè la nostra relazione con Dio, nulla la deve costringere, nulla la deve impedire. Qui si potrebbe fare il processo storico circa l’osservanza e circa la violazione di questo canone fondamentale. Ma lo possiamo riservare ad altra sede competente, per rivolgere invece l’attenzione ad un altro requisito di somma importanza, integrativo della libertà propria della vita personale religiosa, e anch’esso qualificante quel volto della Chiesa, di cui stiamo cercando l’immediata definizione. Questo requisito è la responsabilità. Libertà e responsabilità sono gli attributi genuini e profondi che caratterizzano i membri di questa originale società, che chiamiamo la Chiesa.

In nessuna altra condizione umana noi troveremo la responsabilità nell’urgenza delle sue esigenze psicologiche e morali, come nella religione nostra, nella Chiesa, a tal punto da costituire lo stimolo più vigilante, più autorevole, più confortante di quell’atto spirituale nostro fra tutti umanissimo, che chiamiamo coscienza. È cosa nota, ed è cosa vissuta nel costume cristiano. Il bambino l’avverte, l’uomo la vive. Qui è la sorgente del dramma antico e moderno; ma, mentre oggi, dopo aver tanto magnificato la coscienza sensibile e psicologica, si cerca di spegnere la coscienza religiosa e di anestetizzare la coscienza morale, cancellando, senza poterla del tutto annullare, la nozione di peccato, cioè di responsabilità totale, di fronte a Dio, di fronte alla società, di fronte alla propria personalità, e di rendere così la libertà irresponsabile davanti alle sue supreme istanze, la Chiesa si regge sopra questo immanente senso di responsabilità, che scaturisce dalla sua libera fede ‘e la rende capace di agire nell’amore, nella fortezza, nella vivacità dell’impiego d’ogni talento di cui sia ricca la vita dell’uomo.

La Chiesa dunque è una società religiosa, al sommo libera e responsabile. Proviamo ora ad applicare a noi stessi questa definizione, perché ognuno di noi è membro della Chiesa. Si tratta d’un’iniziazione pedagogica, ma essa c’introduce nella intelligenza e nel godimento d’essere Chiesa.

Con la Nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 17 novembre 1971

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La nostra attenzione è ancora rivolta all’inesauribile tema, la Chiesa. Chiesa, che cosa significa? La domanda fa ora risalire la sua curiosità al significato etimologico della parola. Chiesa, nel linguaggio biblico, significa un’assemblea convocata di carattere religioso. Così fin dall’antico Testamento, Cristo fece proprio questo vocabolo e vi attribuì un senso suo proprio: «la mia Chiesa» (
Mt 16,18). Il nucleo etimologico centrale del termine «Chiesa» che è quello di convocazione, di chiamata, ci aiuta a comprendere il suo valore espressivo, che manifesta un’intenzione, un pensiero, indicativo d’un fatto, qualificativo d’una realtà. La Chiesa è una vocazione. Questo senso intimo e originario del nome e dell’essere della Chiesa dice molte cose, istruttive non solo per una esatta teologia della Chiesa, ma altresì per una sua feconda e corretta comprensione spirituale.

La Chiesa suppone una chiamata; facciamo attenzione: una chiamata divina. Questa osservazione offre subito un canone di ortodossia, che non dovremo mai dimenticare: la voce che convoca l’assemblea, insignita del nome di Chiesa, non è voce umana, se non per via di mistero trasmittente, è voce trascendente, voce che viene dalle profondità divine, e che subito ci dirà che la Chiesa è un mistero; un mistero nel duplice significato della parola, la quale vuol dire verità nascosta, e vuol dire realtà soprannaturale; ci porta così in una sfera, che solo la rivelazione rende accessibile (Cfr. Col 2,2 Col 1,26 Rm 16,25); è il mistero del disegno divino relativo al nuovo rapporto che Dio si degna offrire all’umanità, nell’ambito di Cristo mediatore, in ordine alla salvezza dell’umanità (Cfr. Ep 1,3-14). La vita e la storia della Chiesa sono vincolate a questa prima interpretazione del suo nome, cioè della sua origine e della sua realtà; ella non è fondazione umana; ella nasce da un’iniziativa divina. E qui subito profittiamo di questa fondamentale dottrina per cogliere da essa una prima ed esuberante consolazione: l’ortodossia circa la Chiesa, cioè la fedeltà alla chiamata di cui è ministra, alla sua verità, è al tempo stesso esigente, perché non ammette arbitri, equivoci, surrogati, incertezze, ed è beatificante, perché apre la porta all’immenso regno di Dio, alla scoperta della Verità e dell’Amore, alla conversazione con Dio, alla fortuna della vera Vita.

Ma l’attenzione ora si concentra sul fatto che la Chiesa nasce da una vocazione. Dicevamo, una vocazione divina. La Parola di Dio che è a noi rivolta. Il Verbo di Dio, ch’è venuto a parlarci (Cfr. He 1,2); il che comporta da parte nostra un’ascoltazione (Cfr. He 2,1-4). La prima generazione cristiana, quella registrata nel nuovo Testamento, ha vivissima coscienza d’essere stata chiamata. A cominciare dagli Apostoli; il loro gruppo risulta dalla chiamata che a ciascuno di loro rivolse Gesù: «Vieni e seguimi» (Cfr. Mt 4,19-22 Mt 9,9 Jn 21,19); ma non si sono messi insieme da sé gli Apostoli; sono stati scelti da Cristo stesso, che loro dirà: «Non voi avete scelto me, ma Io ho scelto voi . . .» (Jn 15,16 Jn 15,19 Lc 6,13). E San Paolo userà senza fine questo concetto di vocazione, come costitutivo della Chiesa primitiva (Cfr. Rm 8,30 Ga 1,6 1Th 2,12 ecc); e San Pietro parimente (Cfr. 1P 1,15 1P 2,9 1P 5,10 2P 1,3). Così che la vocazione segna la traiettoria della Parola invitante di Dio, la quale si libra sul mondo, e ferisce le singole coscienze, quelle che la ricevono sono convocate con altre, egualmente fedeli, e formano subito comunità, la Chiesa, la società dei «chiamati di Gesù Cristo» (Rm 1,6). Colui che è chiamato non rimane solo, a sé, autonomo, ma è ipso facto inserito come membro in un corpo, il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa (Cfr. Col 2,19 Col 3,15 Ep 4,16).

Questo aspetto della Chiesa, come assemblea, divinamente pensata e voluta, di esseri umani, chiamati ma comporla in ordine ad un disegno organico e soprannaturale, ci fa scoprire che nella Chiesa gli uomini, i quali hanno la fortuna di appartenervi, trovano in essa il proprio destino, trovano la loro ragion d’essere, trovano un invito che li valorizza ad una missione, li impegna alla coscienza di un dovere e di una speranza, che sovente manca all’uomo rimasto senza la chiamata misteriosa. L’uomo infatti, da sé, non ha una chiara e sicura consapevolezza della propria ragione di vivere; avviene così che quanto più egli si fa riflessivo tanto più si sente invaso da un dubbio sul perché della propria esistenza, e diventa facilmente vittima dell’aristocratica tentazione dello scetticismo (a che serve vivere?), o di quella empirica del pragmatismo (fare per fare, ma perché?), o di quella, peggiore, dell’edonismo (godere la vita, ecco tutto; carpe diem!); è questo un tormento che cresce col crescere della cultura e del possesso temporale della civiltà: il senso del nonsenso, dell’inutilità della vita. Ecco che la letteratura ha assai spesso uno sbocco pessimista; ecco perché la disperazione sembra il traguardo obbligato dell’uomo: «nessuno ci ha chiamati». Ricordate la parabola evangelica dei disoccupati, che sono poi reclutati per lavorare nella vigna del «padre di famiglia»? (Mt 20) La Chiesa invece è il risultato del reclutamento ad un lavoro adeguato ed entusiasmante, che dà scopo e merito alla vita: il «regno dei cieli». E la Chiesa è per ciò stesso la matrice delle vocazioni, l’ufficio di reclutamento, potremmo dire, per gli uomini in cerca d’uno scopo per cui valga la pena di vivere, di cercare, di amare, di operare, di soffrire, di morire. Nessuno nella Chiesa è ozioso, nessuno è inutile, nessuno è disoccupato, nessuno senza la sua vocazione; nessuno ha davanti a sé un vuoto di ideali, una vanità di fatica; nessuno è sperduto, nessuno è disperato. E avviene che spesso le esistenze più misere diventano mediante la vocazione cristiana le più degne e le più preziose: i piccoli, i poveri, i sofferenti. La Chiesa offre a ciascuno un «qualche cosa da fare», che conferisce senso, valore, dignità, speranza all’umana esistenza. Ciascuno è chiamato, ciascuno è valorizzato anche per la vita presente, se questa lo è per quella futura. Quale ricchezza di ideali e di energie è così profusa nel mondo!

Noi dunque, che cerchiamo di vedere l’aspetto positivo della Chiesa, quel suo volto illuminato dal sole divino, dobbiamo dare grande importanza al fatto ch’ella rappresenta per Noi la grande chiamata, l’invito autentico al regno di Dio: è lei, la Chiesa, che trasmette a noi la Parola di Dio, ella la custodisce, la insegna, la interpreta, sempre con gelosa obiettività; è lei che stimola ad ascoltare e approfondire la Parola di Dio, che per tutti deve sonare vocazione alla sequela di Cristo, e che per alcuni diventa carisma, cioè quel dono dello Spirito che reclama in risposta il dono dell’uditore stesso; ed è lei che decide di questa vocazione intima e psicologica, se possa trarne un ministero, o un’oblazione per la propria edificazione comunitaria.

Se ne parla assai oggi; e si nota che le vocazioni, sia quelle comuni ad una semplice integrità cosciente ed operante di vita cristiana, sia quelle speciali al sacerdozio o allo stato religioso, sono in diminuzione; sì, l’orecchio dell’uomo moderno è assordato dal fragore del progresso esteriore, o incantato dalla magia della nostra loquace cultura; non sente, non ascolta la voce arcana di Cristo. E se qualche cosa questo orecchio profano percepisce dell’eco evangelica, spesso da sé la vuole interpretare; cioè più vi ascolta se stesso, che non l’autentico richiamo dello Spirito; così, quante ricchezze sciupate, quanti destini umani, anche nell’ambito del fatto religioso, non giungono a maturazione! Fra i più gravi avvenimenti della storia rimane doloroso e tremendo quello presagito da Cristo in lacrime, sotto le mura di Gerusalemme, rimasta sorda alla sua chiamata profetica e cieca davanti alla sua venuta messianica: «Oh! se tu conoscessi, e proprio in questo tuo giorno, ciò che giova alla tua pace! Invece ora queste cose sono rimaste nascoste ai tuoi occhi . . .» (Lc 19,42).

Ma la Chiesa, l’umanità chiamata da Cristo, è ancora qui e continua la sua missione; e a sua volta, nel nome di Cristo, chiama con lo stesso dolce e fatidico invito: vieni!

Così possiamo noi intenderlo, e capire dove esso conduce.

Con la Nostra Apostolica Benedizione.

La stampa cattolica di provincia nella Francia

Al centro «Mondo migliore» e per le iniziative missionarie del Consiglio Generale delle Chiese

We extend a special greeting of grace and peace in the Lord to father Riccardo Lombardi, S.J., and to those with him who are pursuing a special course at the International Centre of Postconciliar Spirituality. We are pleased that you are dedicating yourselves to prayer and study. As you strive humbly to open wide your hearts to the promptings of the Holy Spirit, may you truly “acquire a fresh, spiritual way of thinking” and “put on that new man created in God’s image, whose justice and holiness are born of truth” (Ep 4,23-24).

May the Lord Jesus bless you and make you true servant of authentic renewal in his Church.

* * *

Dr. Potter and staff members of the Commission on World Mission and Evangelism,

We welcome you to Rome!

We know of the work which your Commission does on behalf of the Churches who for the World Council of Churches. It is a generous and important work, full of zeal for the cause of Christ. We are pleased that you could come to Rome to make contacts and have discussions which will be mutually useful. May they serve to promote the unity of Christian people and to affirm the witness of Christians before the world.

We have heard that you are celebrating the fiftieth anniversary of the International Missionary Council from which your Commission has developed. To the many good wishes you will be receiving on this occasion We would like to add those of your brethren of the Catholic Church.

Let us pray for one another that our Lord may sustain the desire we have to serve him faithfully and to spread his Gospel with generous and loving hearts.

Cordoglio per la sciagura aviatoria di Livorno

Prima di rivolgere a Voi, cari visitatori appartenenti alle file dell’Esercito italiano, il Nostro saluto, Noi sentiamo il dovere di ripetere a voi, ai vostri Superiori ed ai vostri commilitoni le Nostre profonde condoglianze per la sciagura aviatoria accaduta ieri nel mare di Livorno, e le estendiamo alle famiglie dei 46 militari Italiani scomparsi, come a quelle dei 6 militari Inglesi periti con loro in questa tremenda disgrazia. Noi abbiamo pregato per queste giovani vittime affinché Dio accolga le loro anime nella sua pace e perché voglia confortare quanti ne piangono l’improvvisa e tragica fine. Valga anche questo luttuoso avvenimento, che accomuna tutti nel dolore e nel rimpianto, a rendere più buoni e più uniti i nostri animi nella solidarietà dei sentimenti e dei propositi per la concordia e per la pace, e nel ricorso consolatore della speranza cristiana.



Mercoledì, 24 novembre 1971


Paolo VI Catechesi 27101