Paolo VI Catechesi 29121

Mercoledì, 29 dicembre 1971

29121

Faremo oggi una visita al presepio. Ci invita la festa del Santo Natale, che abbiamo testé celebrata e che prolunga il suo influsso liturgico in questo successivo periodo. Ci invita la profondità del mistero dell’Incarnazione, il quale nel Natale esprime il proprio avvenimento storico, s’inserisce cio’è nel tempo, si localizza in un dato punto della terra, a Betleem, si pone al vertice delle profezie messianiche e alla radice della tradizione cristiana diffusa nel mondo e giunta fino a noi. Ci invita la ricchezza teologica, liturgica, spirituale, folcloristica, che fa del Natale una delle date più solenni e più belle dell’anno. Ci invita la stessa difficoltà di classificare la complessità della materia religiosa, che si riferisce al Natale, e che, dopo d’averci incantati per il modo con cui esso si presenta nella scena evangelica, tutto povertà, tutto semplicità, tutto poesia, tutto terra e cielo, tutto notte e luce, solleva questioni essenziali tanto gravi e difficili, sia per la sua comprensione dottrinale, sia per il suo riflesso esemplare su quanti hanno la timida audacia d’avvicinarlo, da offrire loro pretesto per ogni distrazione: ce ne accorgiamo dalle manifestazioni esteriori profane che caratterizzano variamente questa festa nel costume popolare e perfino mondano.


TRE FASI

La Nostra visita, breve e semplice come si addice a questo momento, non pretende di dare saggio d’erudizione, né tanto meno di insegnare cose nuove e originali. Essa semplifica assai sommariamente il quadro che il Natale ci presenta in tre aspetti principali, i quali possono in qualche modo essere classificati in tre periodi della storia ecclesiastica. Press’a poco così: abbiamo un primo periodo, durante i primi tre secoli del cristianesimo, nel quale il Natale non ha una sua celebrazione liturgica vera e propria, non ha dappertutto la medesima data, e non ha per unico scopo quello di esaltare la nascita di Cristo, ma anche quello di sostituire la festa pagana del Sole, del «Sole invitto», onorato a Roma da un tempio splendido inaugurato dall’Imperatore Aureliano (a. 274), con quella di Cristo, il sole dell’umanità. Ma subito l’idea dottrinale, che illustra la nascita di Cristo è, in questo periodo, principalmente rivolta alla considerazione della sua divinità; è l’apparizione del Figlio di Dio nella carne umana, che attrae l’attenzione e la devozione; la Chiesa contempla il mistero dell’unione ipostatica, cioè della duplice natura di Cristo, divina ed umana, viventi l’una e l’altra nell’unica Persona del Verbo. Così specialmente S. Giovanni Crisostomo, S. Agostino, S. Leone Magno. La teofania definisce il Natale: Cristo nell’umiltà è il Dio con noi (Cfr. S. AG., Sermones in Natale Domini, PL 38, 995, ss.; «humilis Deus», De cath. rud. IV, PL 40, 366). Non mancano certo in questa magnifica letteratura sul Natale anche accenti di tenerezza circa il bambino Gesù; così, ad esempio, S. Ambrogio commentando il Vangelo di S. Luca: Me illius infantiae vagientis abluunt fletus, mea lacrymae illae delicta laverunt; le lacrime di quel bambino piangente lavano le mie colpe (PL 15, 1649). Ma la divinità di Cristo prevale nell’interesse celebrativo di questo primo periodo: il Concilio di Nicea (325), che afferma contro gli Ariani la divinità di Cristo, e poi quello successivo di Costantinopoli (381), quello di Efeso (43 l), e quello di Calcedonia (451) offrono il quadro teologico sulla Divinità: Dio, Uno e Trino; sulla Maternità umano-divina della Madonna; e sulla Cristologia nella sua formula essenziale e completa in misura principale la liturgia natalizia.


LA PIETÀ MEDIOEVALE

La pietà medioevale, senza nulla togliere al contenuto dottrinale ora ricordato, è caratterizzata dall’attrattiva verso la umanità di Cristo, di Cristo bambino, la teologia illumina l’antropologia del Salvatore, e l’affettività diventa l’espressione appropriata al Natale. La scena del presepio attira l’interesse dei fedeli. Già S. Girolamo, nell’elogio funebre dedicato alla vedova Paola, una dama romana trasferitasi in Palestina, e rivolto alla figlia di lei, Eustochio, descrive la pietà della pellegrina che visita Betleem, ed entra nella grotta della natività, in specum Salvatoris e vede, oculis fidei, con gli occhi di una fede immaginativa, infantem pannis involutum, vagientem in praesepi, il bambino Gesù, involto nelle fasce, che vagisce nel presepio (
Ep 108,10 PL Ep 22, 884, anno Ep 404). Il paradigma del presepio, già delineato dall’Evangelista Luca (2, 6-19), si impone; il presepio è eretto, non tanto come elemento figurativo liturgico, ma come scena rappresentativa popolare, che non finirà più di avvincere la fede, la pietà, l’arte, il sentimento del popolo cristiano, con una simpatia incantevole e una gioia speciale per i bambini, i poveri, gli umili, le famiglie, ed i Santi. San Francesco anche qui è tipico: chi non ricorda che il primo presepio fu da lui composto, a Greccio, nella notte di Natale del 1223 (l’anno prima della Verna), in una grotta, con il bue e l’asinello, animali vivi, e un po’ di fieno, ma senza le figure dei Personaggi del Vangelo: sopra la grotta si celebrò la S. Messa (Cfr. TOMMASO DA CELANO, 1, 84-87, Quaracchi). Veramente la devozione al presepio ha precedenti storici importanti, primo fra questi il presepio riprodotto, forse da Papa Sisto III, il costruttore di S. Maria Maggiore, detta S. Maria ad praesepe, e onorato da altri Papi successivi (Cfr. Liber Pontificalis, 385, 418): era collocato in un oratorio, e Papa Sisto V lo fece trasferire dal Fontana nella Cappella del Sacramento, dove ora si trova. Esiste una tradizione di scrittori e di Santi, innamorati dell’infanzia di Gesù, celebre fra questi S. Bernardo (Cfr. Sermones, PL 183, 87-152). Questo culto cordiale a Cristo, piccolo bambino, è prevalente nella pietà dei nostri giorni; e sta bene. Esso è pieno di umana simpatia, di familiare pietà e di elementare poesia; è vero, è facile, è consolante; rende onore alla umanità di Cristo.

Pensiamo al Bambino Gesù di Praga; e qui a Roma al Bambino di Aracoeli.

Con la devozione all’infanzia di Cristo si profila un terzo periodo, o piuttosto una nuova spiritualità derivata dal fatto e dal mistero del presepio. Un grande maestro di spiritualità, del secolo decimosesto e settimo, il Card. Pietro de Bérulle (1575-1629), fedele al suo principio di associare il dogma alla pietà, darà grande rilievo alla devozione al Verbo Incarnato, e educherà la scuola spirituale, che da lui deriva, a contemplare, ancora prima che le azioni, gli «stati» assunti, nella sua vita temporale ed eterna, da Nostro Signore; e fra questi stati primo è l’infanzia, che deve riflettere nel culto interiore dell’anima cristiana la contemplazione e quasi un’assimilazione d’un tale stato della vita di Gesù. Ben inteso che «tutti i suoi giorni e tutti i suoi momenti sono adorabili»; ma ormai la devozione all’Infanzia di Gesù ha avuto nel de Bérulle un autorevole promotore, seguito poi da altri insigni discepoli (Cfr. H. BREMOND, Histoire litt. du sent. vel., vol. III).


UNA NUOVA SPIRITUALITÀ

Saltiamo tutto il resto e non è poco; e veniamo a colei che ha insegnato ai nostri giorni «lo spirito d’infanzia», S. Teresa del Bambin Gesù. Una parola sola. L’infanzia spirituale è una delle correnti vivaci nella religiosità del nostro tempo; essa non ha nulla di puerile e di affettato. Si esprime in linguaggio semplice ed innocente; derivato senz’altro dalla paradossale, ma sempre divina parola di Gesu: «Se non vi farete piccoli come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). E Gesù ha altre parole che fanno l’apologia dell’infanzia (Cfr. Mt 11,25 Mt 18,4 Mt 19,14 Mt 25,40). La base evangelica di questa spiritualità non potrebbe essere più autorevole. Essa si svolge secondo una umiltà non solo morale, ma teologica e metafisica, se così si può dire; l’umiltà della Madonna (Cfr. Lc 1,38 Lc 48); l’umiltà sapiente, che ha il senso della trascendenza di Dio e della dipendenza assoluta della creatura rispetto al Creatore; umiltà tanto più doverosa quanto più la creatura è qualche cosa, perché tutto dipende da Dio, e perché il confronto fra ogni nostra misura e l’Infinito, obbliga a curvare la fronte. E all’umiltà questa scuola spirituale unisce la confidenza; perché troppi segni Iddio ci ha dati della sua bontà e del suo amore. Se Egli vuol essere chiamato Padre il nostro spirito deve riempirsi del senso della figliolanza (Cfr. 1 Io. 3, 1), e d’una figliolanza, d’un’infanzia piena di fiducia e di abbandono. Questa è l’Infanzia spirituale, che, alla scuola della tradizione della Chiesa, S. Teresa del Bambino Gesù riassume così: «È il cammino della confidenza e del totale abbandono».

Parole da ricordare. come frutto del santo Natale.


«BEATI I MITI PERCHÉ POSSEDERANNO LA TERRA»

Abbiamo contemplato il mistero del Natale, che è un mistero di bontà e di umanità. Tanto di più avvertiamo e deploriamo che la scena del mondo, proprio in questi giorni, ci ripresenti il triste spettacolo di irriducibili conflitti, di rappresaglie vendicative, di bombardamenti, di violenze, quasi che simili procedimenti potessero servire a preparare la pace. Davanti a tanto nuovo strazio di umanità ed a tali insorgenti minacce di depravazione del senso circa i beni supremi nel mondo e di imponderabili sofferenze d’innocenti popolazioni, noi dobbiamo innalzare a Dio nuove preghiere per la concordia e per la ricerca di vie pacifiche di riconciliazione, ricordando sempre le parole del codice di Cristo: «beati i miti, perché possederanno la terra» (Mt 5,4). Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Il XXV della F.I.D.A.E.

Accogliamo volentieri e salutiamo con affetto paterno i rappresentanti della FIDAE, cioé dell’Organismo che riunisce gli Istituti di Educazione e le Scuole Cattoliche Italiane di ogni ordine e grado, e che sta celebrando, proprio in questi giorni, l’ormai tradizionale convegno di fine d’anno, il quale, essendo il XXV della serie e coincidendo col XX anno di vita, meriterebbe certo da parte Nostra una più distesa e più diffusa parola. Se non ci è stato possibile riservare a voi un incontro particolare, ci è però assai gradito rivolgervi il Nostro incoraggiamento per i generosi propositi che ispirano il vostro apostolato.

Scorrendo i testi preparati in vista della vostra Assemblea, ci ha colpito l’accento che, molto opportunamente, è stato posto sul momento educativo come cardine dell’attività scolastica. Ciò significa che siete vivamente coscienti della priorità che la funzione formativa ha nel complesso di tutto il processo che è proprio della scuola. Tra le tante discussioni ed i tanti progetti, cui han dato origine, ai nostri giorni, il progresso delle discipline pedagogiche e psicologiche e la più matura visione delle realtà umane voi intendete far centro su ciò che interessa propriamente l’uomo, e - per il ruolo specifico degli Istituti scolastici cattolici - il cristiano. Ci ha fatto piacere leggere nei vostri programmi il riferimento al Documento-base della Conferenza Episcopale Italiana sul rinnovamento della catechesi; anche questo è indizio del rilievo che vi ripromettete di dare, nel contesto educativo, alla problematica religiosa dei giovani ed alla loro formazione spirituale. Questa insistenza si esprime, altresì, nel desiderio di sviluppare i rapporti tra Scuola e Famiglia nell’ambito della «partecipazione sociale», che è caratteristica del nostro tempo. Tali rapporti sono stati sempre a cuore ai dirigenti delle Scuole Cattoliche e ne costituiscono un autentico vanto; ma oggi voi intendete fare di più, perché più acuto è il senso della «funzione sociale» che spetta a queste due società.

Sì, l’opera educativa si è fatta più complessa, più difficile e più esigente: si ripete che la scuola, meglio che in passato, deve preparare alla vita; si afferma che al nuovo mondo che nasce deve corrispondere una scuola rinnovata. Al di là delle implicazioni tecniche ed organizzative di queste richieste rimane il problema di fondo dell’educare, come a dire di ricavare e di saper trarre, con felice arte pedagogica, che è sensibilità, intuito e dedizione, quel che è latente nel cuore e nella mente dell’educando. Bisogna educare al vero, al bello, al bene; bisogna educare alla fede e alla pace; bisogna educare alla giustizia, ha aggiunto il recente Sinodo dei Vescovi, che a questo ideale ha dedicato un non trascurabile paragrafo del suo «voto» sulla giustizia nel mondo. Da questo confluire di istanze e di sollecitazioni appare, oggi, enormemente dilatato il compito dell’insegnante e dell’educatore.

Lavorate con sempre costante impegno, cari figli: la consapevolezza delle più alte responsabilità sorregga i vostri sforzi. La Dichiarazione conciliare sull’Educazione cristiana sia per voi la magna charta, che vi guida nell’oneroso servizio. Ai suoi figli, Religiosi e laici, che operano nel campo dell’educazione, la Chiesa non si stanca di ripetere l’invito a lavorare, spendendo il massimo delle loro energie.

Aggiungiamo un fervido augurio per i benemeriti della Scuola Cattolica, che sono stati premiati, mentre a tutti voi qui presenti, al vostro Presidente Generale, ai membri del Consiglio Nazionale, ai giovani e alle giovani delle Scuole Cattoliche Italiane, impartiamo di cuore la Benedizione Apostolica.

Le Religiose Passioniste

Ed ora il nostro cordiale e benedicente saluto va alle Suore Passioniste di San Paolo della Croce, riunite in Roma per il loro Capitolo speciale dedicato all’aggiornamento delle Costituzioni.

Vi siamo grati di questa visita, figlie carissime, e cogliamo l’occasione volentieri per aprirvi il Nostro animo e farvi sentire tutto l’affetto e la stima che portiamo al vostro Istituto, che attinge la sua linfa vitale da quella ricchissima sorgente di autentica spiritualità, la quale fu aperta nella Chiesa da San Paolo della Croce. Nell’esprimervi i Nostri voti per l’importante avvenimento che state celebrando, non possiamo fare a meno di ricordarvi il criterio fondamentale, indicato dal Concilio Ecumenico, che deve guidarvi nel vostro lavoro: «Il rinnovamento della vita religiosa comporta un ritorno continuo alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo degli Istituti» (Perfectae caritatis PC 2). Il vostro aggiornamento quindi dovrà significare, sì, rinnovamento della vostra vita religiosa, ma con sentimenti, con idee, con propositi, con metodi conformi alla vostra specifica vocazione, mettendo in pratica la parola del Divino Maestro che simboleggia la sapienza del Regno dei Cieli nel padre di famiglia «il quale trae fuori dal suo tesoro cose nuove e vecchie» (Mt 13,52). E poiché avete fatto proprio il carisma di San Paolo della Croce di essere le testimoni viventi della Passione del Signore, Noi vi esortiamo a non temere l’affermazione del vostro severo stile di vita, che tanto vi distingue dallo stile del nostro secolo; anzi, quanto meno sarà consono agli imperativi del suo gusto e della sua moda, per l’amore al sacrificio, alla mortificazione, al distacco dal mondo, alla povertà, tanto più risulterà efficace nella Chiesa la testimonianza della vostra vita e del vostro apostolato.

Intanto Noi vi accompagniamo col Nostro pensiero e con la Nostra preghiera, figlie carissime, e ci auguriamo di cuore che il vostro Istituto si trovi, grazie alle vostre decisioni, sempre più autenticamente aderente ai suoi fini e alla sua spiritualità, e sempre più dinamico e adatto alle responsabilità dell’ora presente.

In questa fiducia Noi impartiamo la Benedizione Apostolica non soltanto a voi qui presenti, ma a tutte le vostre Consorelle e a tutte le anime affidate alle vostre cure.

I «Legionarios de Cristo»

Un afectuoso saludo a vosotros, nuevos sacerdotes, Legionarios de Cristo, que habéis recibido la sagrada Ordenación en la Vigilia de Navidad y que con vuestra presencia en esta audiencia nos manifestáis una filial devoción que cordialmente os agradecemos .

Os acompañan Nuestros fervientes votos para que vuestro sacerdocio, nacido con la venida de Cristo al mundo, resplandezca por su dedicación constante al anuncio de la Palabra de Dias y al servicio de los hombres, quienes esperan con ansiedad la salvación traída por Cristo.

A vosotros, a vuestros familiares, a los Superiores y alumnos del Colegio Máximo de los Legionarios de Cristo, de Roma, otorgamos de corazón una especial Bendición Apostólica.





Mercoledì, 5 gennaio 1972

50172

Queste nostre brevi parole vogliono assumere, come al solito, il carattere d’una familiare conversazione. Con una categoria di persone, giovani specialmente, che ci sembra proporla a noi con un atteggiamento comune a persone del nostro tempo, atteggiamento di spregiudicata franchezza di parola, di stile, di sincerità mentale, e nello stesso tempo di dubbio, d’incertezza, di disagio, che dimostra un intimo bisogno di sicurezza, di verità.


L'ATTEGGIAMENTO DEI GIOVANI

Pare a noi d’incontrarli questi amici, arditi e timidi insieme, che sembrano al primo momento partire da zero, non voler rispettare alcun protocollo formale, e voler piuttosto assumere un tono altrettanto semplice che aggressivo. Nulla è vero, ci dicono, nulla resiste alla prova critica del nostro pensiero di gente nuova e staccata dalle convenzioni tradizionali dell’ambiente; tutto è fittizio, tutto è privo d’intrinseca verità; oggi si vive di abitudini mentali ereditate, che non hanno più sufficiente ragion d’essere; si avrebbe voglia di buttare tutto per aria; si prova la vertigine della rivoluzione, dell’anarchia, il fascino della negazione, del nulla. Si respira la sfiducia, anche se empiricamente si vive di intensità, nello studio, nel lavoro, nella esperienza del mondo esteriore, e nella ricerca interiore d’una pienezza, d’una certezza, anche provvisoria e pragmatica, che in realtà non si raggiunge, se non creando altre pseudo-verità. La vita, dunque, è vuota? Non vale nulla in realtà? Anche la religione, anche la fede, come si sostiene? A questo punto la tormentosa questione diviene decisiva: avverte colui ch’è trascinato da questo incalzante scetticismo che questo è l’ultimo baluardo, e che il problema religioso è centrale nella ricerca d’un concetto organico e globale della vita, specialmente se per religione s’intende quella cristiana, quella cattolica, che proprio si qualifica per la sua affermazione d’essere quella vera, quella a cui corrisponde obiettivamente la Realtà, soggettivamente la Salvezza.

No, è impossibile, ci confida? o ci grida il nostro caro interlocutore; io, egli afferma, non ho più fede.

Comunque si pronunci questa conclusione, si sa che oggi circola sotto questa generica e tanto grave etichetta: crisi della fede.


DEBOLEZZA DI FEDE

Crisi della fede. A volere sondare le cause di simile crisi ci si dovrebbe affondare nel pelago immenso della psicologia contemporanea; lasciamo agli psicologi, ai maestri di spirito, ai filosofi il farlo; a noi basti ora osservare che la capacità speculativa (secondo le regole del pensiero, che solo nel processo scientifico, quantitativo, sono rigorosamente rispettate) della gente del nostro tempo è rudimentale e povera; essa infatti davanti ai grandi problemi della verità e della realtà si trova sprovvista di nomenclatura esatta, di logica costruttiva e di principi razionali consistenti, cioè d’una filosofia valida, anche se elementare e non riflessa, di quel «senso comune» autentico e radicato nella profondità della sapienza umana perenne. La disintegrazione della razionalità, mediante le recenti esperienze unilaterali del pensiero filosofico (positivismo, soggettivismo, idealismo, esistenzialismo, strutturalismo . . .) predispone al dubbio negativo, alla critica demolitrice, alle certezze fenomeniche e parziali, ecc., per cui la mente moderna, davanti alle novità culturali e alle trasformazioni sociali, si trova inesperta a formulare analisi accurate e sintesi complete, si fida delle opinioni correnti, crede ai maestri di moda, si abitua alla superficialità tendenziosa della stampa di parte o di svago, preferisce giudicare con j sensi, oggi riccamente serviti dai magnifici mezzi audiovisivi; e alla fine sperimenta quella insicurezza interiore, per cui tutto diventa problema e per cui altra soluzione non sembra rimanere che il rischio di pensare e di vivere come pare e piace.

La così detta libertà di pensiero, il così detto libero esame, il così detto pluralismo filosofico e religioso vengono in soccorso allo smarrito alunno della mentalità moderna, dandogli lo pseudo farmaco corroborante d’una sua propria autonomia di idee, che confina con l’infallibilità.


LA QUESTIONE CAPITALE

Ma tanto non basta per gli spiriti veramente liberi e onesti. La questione capitale della verità rimane, e li tormenta segretamente, incitandoli a ricominciare l’insonne ricerca. E per quanto riguarda la fede presenta strane soluzioni: l’accettazione cieca, il fideismo, per una nativa propensione ad abbandonarsi al sentimento religioso; ovvero la demitizzazione, cioè lo spogliamento di tutto quanto di concreto, di storico, di esteriore, di autoritario la fede religiosa può essere rivestita, nell’illusione che questa purificazione, cioè che questa operazione negativa, basti a soddisfare l’aspirazione ad una fede autentica ed essenziale; oppure un prudente ritorno all’ordinamento religioso tradizionale, purché inquadrato in un ambito teologico determinato e moderno. Ed avviene che sulle soglie di questo ingresso nel regno della fede occorre una chiave, non sempre disponibile, occorre una «grazia», la grazia della fede, perché la fede, ancor prima d’essere virtù nel suo felice esercizio, è grazia, è dono, è effusione misteriosa dello Spirito Santo, che la rende accetta e possibile.

Qui il nostro interlocutore può sentirsi smarrito. Anzi convinto d’aver ragione nell’aver subito una crisi di fede, d’aver perduto la fede. Se così è, egli è tentato di dire, la fede oggi è impossibile; essa appartiene ad un regno dello spirito, dove l’uomo moderno non può e non vuole arrivare.


L'INCONTRO CON IL DIO VIVO

Eppure proprio qui, sulla sponda dell’abisso fra la conoscenza naturale e il mistero della rivelazione soprannaturale, qui può essere fissato l’appuntamento per l’incontro con il Dio vivo della fede. Perché e come sia così, ora non diciamo. Ma diciamo soltanto che proprio qui il problema religioso si fa straordinariamente attraente ed impellente. L’uomo avverte, come mai, dopo il cammino estenuante attraverso le esperienze spirituali del nostro tempo, la necessità - sì, la necessità -, d’una soluzione positiva, d’una certezza vitale, d’una Verità vera.

Ci basti questo per ora; riscontrare cioè che la questione religiosa, sia nell’interpretazione del mondo, del cosmo, oggi affannosamente e trionfalmente esplorato, sia nel reperimento d’un rimedio alla crescente angoscia interiore dell’uomo moderno, risorge, si ripresenta ed invita a nuovo colloquio.

Noi siamo tutti invitati. I giovani specialmente.

Voglia Lui, l’Iddio ch’è venuto a noi incontro, nella storia, anzi nella comunione con la nostra stessa natura, e che abbiamo celebrato nel recente Natale, che non ci trovi assenti («Sui Eum non receperunt», i suoi non Lo hanno ricevuto:
Jn 1,11), ma ci trovi disponibili ad ascoltare, in linguaggio umano, la sua Parola salvatrice e beatificante (Cfr. S. AUG. Solil. 1, 3; PL 32, 870; S. Th. Contra G., 1, prooemium).

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 12 gennaio 1972

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Noi diciamo che l’uomo moderno, alunno e maestro dello studio scientifico, non può essere alla conclusione dello sforzo della sua intelligenza completamente appagato perché il pensiero umano tende non solo a conoscere le cose, ma a scoprirne altresì le ragioni, il perché, le cause essenziali delle cose stesse; e quanto più questo nostro pensiero si inoltra nel campo sconfinato delle ricerche e delle scoperte, tanto più è spinto ad un dato momento a due successive e sempre più inquietanti domande; una speculativa (filosofica, metafisica): che cosa vi è nelle profondità di queste cose, mute e passive per un verso - il loro essere -, eloquenti e operanti per un altro verso - i principi e le leggi che le pervadono? Cioè sente il tormento d’una spiegazione, che dev’essere dentro le cose stesse, come il segreto di un indovinello, e dev’essere fuori e sopra di esse; è il tormento supremo dell’intelligenza, il tormento religioso (l’intelletto che cerca la fede; mentre poi dirà S. Anselmo: «la fede cerca l’intelletto»). L’altra domanda è pratica (o piuttosto psicologica e morale): lo studioso si chiede: a me, alla mia vita, al mio cuore, al mio destino personale tutto questo universo che cosa serve? È un immenso deserto o è una casa per la mia vita? Che cosa valgono per il mio spirito, per il mio interiore bisogno di verità, di amore, di felicità tutte queste enciclopediche ricchezze scientifiche? E le loro stesse strabilianti applicazioni tecniche mi rendono più uomo, più buono, più felice? Se non sono coordinate con il problema della mia esistenza personale, della mia irrinunciabile immortalità, che valgono esse per me?

In questi profondi e inesorabili quesiti trova le sue radici il bisogno religioso, la religiosità naturale, che oggi molti cercano di contenere e di soffocare, come una dispersione dello spirito al di fuori della zona chiara, concreta, positiva del sapere moderno. Ma l’uomo è l’uomo: se non lo si vuole comprimere e privare delle sue vere dimensioni spirituali non dovremo privarlo delle sue ali aperte per sorvolare il panorama materialista e positivista, non dovremo imprigionarlo nella cella angusta e cieca dell’ateismo che non spiega nulla, e che anzi rende tutto il cosmo un pauroso mistero; ma dovremo piuttosto allenare la mente evoluta dallo sviluppo scientifico e culturale al suo sforzo trascendente, a volare nel cielo della luce e dell’immensità religiosa. Dovremo abituare il nostro mondo scolastico e lavoratore al desiderio e alla ricerca di Dio. «Spiritum nolite extinguere», non spegnete lo spirito (
1Th 5,19). La religione è il respiro di cui l’uomo moderno ha sempre maggiore bisogno: per vivere!

Ma a questo punto il dramma umano non è concluso; piuttosto si apre verso un’aspirazione, che potrebbe essere disperata. La religiosità, cioè l’attitudine e l’atteggiamento dell’uomo verso la conquista di Dio non è di per sé sufficiente per placare questa aspirazione. La religiosità è un grido lanciato nelle immensità misteriose dell’Essere; ma essa non ha la sicurezza d’ottenere una risposta adeguata all’ampiezza dei suoi desideri; anzi quel poco, anzi quel molto, che essa, cioè la virtù conoscitiva naturale, riesce a raggiungere del mondo divino (come l’esistenza di Dio) (Cfr. DENZ.-SCH. DS 2755-2756 DS 2853 DS 3875), non le è sufficiente. Non basta all’uomo levare le braccia verso Dio, vuole raggiungerlo, vuole incontrarlo, vuole stabilire un rapporto bilaterale, veramente religioso . . . Lo può? Qui si apre al nostro sguardo un quadro sconcertante: quello delle religioni; delle religioni inventate dall’uomo; tentativi alle volte audacissimi e nobilissimi, altre volte e più spesso conati vani, fantastici, superstiziosi, e perfino diabolici; problema cioè circa il giudizio che dobbiamo dare sul fatto che nel mondo e nella sua storia esistono molte, moltissime religioni. Che cosa dobbiamo pensarne?


L'INSEGNAMENTO DEL CONCILIO

Il Concilio ci ha luminosamente istruiti a tale riguardo. L’umanità è unica; unica dovrà essere la verità, cioè la religione, che la mette in autentico rapporto con Dio. Ma il fatto non si può negare: la molteplicità delle religioni. «Gli uomini, dice il Concilio, attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana che, ieri come oggi, turbano profondamente il cuore dell’uomo . . . La Chiesa Cattolica nulla rigetta di ciò che è vero e santo in queste religioni . . .» (Nostra aetate, NAE 1-2). Sapremo come comportarci. Ma succede questo: che mentre cresce ai nostri giorni l’interesse culturale rispetto alle varie religioni, - si vedano le poderose enciclopedie pubblicate a tale riguardo in questi ultimi tempi (in Italia, ad esempio, quella del P. Pietro Tacchi Venturi, e quella in via di pubblicazione, diretta da Alfonso Di Nola e coordinata da Mario Gozzini), cresce al tempo stesso l’agnosticismo religioso, cioè il dubbio, anzi l’indifferenza e la negazione sul contenuto obiettivo d’ogni religione, non esclusa la nostra. Nel caso migliore si ripete sotto i nostri occhi l’avventura di Paolo ad Atene, citata come abilissima introduzione al suo discorso nell’Areopago: «Ateniesi - egli dice - io vi vedo dappertutto singolarmente interessati alla religione. Tanto è vero che vedendo i vostri simulacri ho trovato perfino un altare con questa iscrizione: "al Dio ignoto". Ora quello che voi onorate senza conoscerlo, io lo annuncio a voi» (Ac 17,22-23).

Questo, uditori carissimi, è un fatto di estrema importanza, perché dice due cose capitali; la prima, diciamo così, di diritto; e cioè alla religiosità soggettiva dell’uomo deve corrispondere una religione positiva, obiettiva di fatto; e la seconda è che tale risposta è data autenticamente e pienamente soltanto dalla religione cristiana. Qui è il cardine della storia umana; qui è la realtà dei destini umani. Ancora e sempre, noi lo dobbiamo proclamare col recente Concilio (ib. NAE 2): «Cristo è la via, la verità e la vita, nel quale gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a Se stesso tutte le cose» (Cfr. 2Co 5,18-19).


SPERANZA NEI GIOVANI

Sappiamo di enunciare una cosa enorme. Il passaggio dell’uomo pensante dall’ignoranza agnostica o atea al riconoscimento d’una religione naturale necessaria è un processo difficile, ma, per forza di cose, inevitabile; il secondo passaggio, da un senso religioso, anche sincero e profondo, ma vago e incerto, ad una verità religiosa determinata e risolutiva, è un processo ancora più difficile e dovuto ad un’estrema onestà di pensiero e di vita (Cfr. Jn 3,21), in concomitanza ad un segreto intervento divino. È ciò che nella nostra nomenclatura chiamiamo «conversione» (Cfr. Mc 1,15), vera epifania della grazia, vera metamorfosi dell’uomo vecchio nell’uomo nuovo, vera fenomenologia psicologica e morale, di cui nulla v’è di più interessante nella letteratura dello spirito umano. Tanto per intenderci: ricordiamo Nicodemo, ricordiamo S. Paolo, S. Agostino...; perché non ricordare Papini . . . E, col beneficio dell’inventario, cioè con la libertà d’un giudizio critico, perché non ricordare quei giovani «hippies», che abbiamo visti fotografati con iscrizioni di maiuscola evidenza sui loro rudimentali indumenti: «I love Jesus», io amo Gesù. Snobismo, dilettantismo? Chi sa! Speriamo di no: ciò almeno indicherebbe che l’orientamento verso la conclusione risolutiva del problema religioso oggi può avvenire anche mediante forme imprevedibili, anche improvvise, capricciose e mimetiche; e avvenire per la via dei Giovani. Che siano i Giovani oggi a riconoscere il Cristo? Come nel giorno delle Palme? Noi lo speriamo; anzi sappiamo che vi è fra loro, fra i più seri di loro, fra i più coraggiosi, qualcuno che sa ascoltare l’invito frecciante di Lui, e sa subito annunciare agli amici: «Abbiamo trovato il Messia» (Jn 1,41).

Dio voglia! Con la nostra Apostolica Benedizione.



Parrocchiani di S. Maria «Regina Mundi» in Roma

Siamo particolarmente lieti di salutare il folto numero di appartenenti alla Famiglia parrocchiale romana di S. Maria Regina Mundi, di Torrespaccata, guidati dal loro Parroco P. Nazareno Mauri, venuti per restituirci, come si suol dire, la nostra recente visita della mattina del Santo Natale, e per rinnovarci i sentimenti di filiale venerazione dell’intero quartiere.

Vi sono anche dirigenti, educatori ed alunni dell’Istituto Nazionale per l’assistenza agli Orfani dei Lavoratori Italiani e una rappresentanza di professori e allievi della Scuola Media «Luigi Capuana».

Ma oltre il delicato pensiero di tornare a vederci, questo incontro vuole significare un doveroso atto di riconoscenza a Dio per il primo decennio di fondazione della Parrocchia, istituita dal nostro Predecessore di v. m. Giovanni XXIII, alla confluenza di due importanti vie consolari, in una zona di largo respiro e abitata da laboriosa popolazione.

E non può non meritare il nostro compiacimento il sapere che la Comunità ecclesiale di S. Maria Regina Mundi, in armonia ai voti espressi dal Concilio Vaticano II, è animatrice di iniziative culturali, sociali e missionarie: il gruppo di Teologia e di formazione all’Apostolato dei Laici, quello dei generosi donatori del sangue in continuo aumento, i sacri tempi dell’Avvento e della Quaresima dedicati al sacrificio per trarne i mezzi atti a finanziare una scuola dell’Indonesia.

Mentre vi manifestiamo la nostra soddisfazione per il ribadito impegno di fedeltà, così palese nel vostro entusiasmo, e per quanto abbiamo ricordato, vi esortiamo a proseguire in santa emulazione nella via intrapresa, a crescere in Cristo nella fedele dedizione a Maria.

Sui vostri propositi, sulle vostre famiglie discenda propiziatrice la nostra Benedizione, che volentieri estendiamo a tutta la Comunità parrocchiale.

Artisti e personale del Circo Orfei

Siamo lieti di porgere un saluto cordiale ai dirigenti, agli artisti e agli addetti ai servizi del Circorama Orfei, oggi venuti con i loro familiari. La vostra presenza porta certo una nota inconsueta a questa Udienza; e mentre vi ringraziamo per il delicato atto di omaggio, che avete voluto compiere per ricevere la nostra benedizione, vi esprimiamo un particolare augurio per la vostra attività professionale. Sappiamo a quanti rischi, a quanti disagi essa sia esposta; voi non avete mai una stabile dimora, voi peregrinate di città in città per dare uno svago ai bambini e agli adulti, che li fa vivere per qualche ora in un mondo esotico e variopinto, ove le forti emozioni si susseguono alle pause di serenità. Comprendiamo il vostro lavoro, auguriamo che esso sia sempre apportatore di letizia sana e costruttiva; e vi siamo vicini, esortandovi a vivere in codesta vostra condizione una delle principali condizioni dell’esistenza cristiana: «Non abbiamo qui una dimora che permane, ma cerchiamo quella futura» (He 13,14): quella del Cielo, a cui tutti siano rivolti, con la speranza nel cuore, con l’amore a Dio e al prossimo. In pegno della nostra benevolenza, di cuore vi benediciamo, pregando il Signore per voi, affinché non vi manchi mai il conforto della continua assistenza divina.

Studenti del «Field Service»

Con sincera gioia accogliamo stamane anche un gruppo di giovani, provenienti da diversi Paesi, che trascorrono un anno di studio in Italia presso scuole medie superiori, a cura dell’American Field Service - Associazione Italiana.

Vi salutiamo cordialmente, carissimi giovani, e auguriamo a ciascuno di voi un fecondo profitto, non solo sul piano culturale, ma altresì e soprattutto su quello personale, nell’esperienza di contatti fraterni, di comprensione reciproca, di affinamento e di arricchimento interiore. Vogliamo incoraggiare lo sforzo cosciente e lieto, con cui attendete ad acquisire una completa formazione intellettuale, spirituale e morale, per porre le basi sicure e valide del vostro domani. Da questa preparazione integrale dipendono in gran parte - e voi ben lo sapete - la vostra felicità personale e il vostro vero successo, come pure il progresso culturale e civile dell’ambiente nel quale lavorerete.

Siate volenterosi nell’applicazione agli studi, siate docili alla disciplina, disposti a far fruttificare i talenti della vostra giovinezza, pensosi sempre della verità e del bene. Con questi voti, che vi porgiamo con cuore di Padre, e con l’assicurazione della nostra preghiera per l’avveramento delle aspirazioni e dei propositi, che all’odierno incontro voi avete inteso recare con animo di figli devoti, diamo volentieri ad ognuno di voi, ai Dirigenti e ai collaboratori dell’Associazione che vi assiste, alle rispettive famiglie, ai vostri insegnanti e condiscepoli la nostra Benedizione.


Mercoledì, 19 gennaio 1972


Paolo VI Catechesi 29121