Paolo VI Catechesi 29372

Mercoledì Santo, 29 marzo 1972

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L'imminenza della Pasqua ci obbliga ad entrare nel cuore della concezione del cristianesimo. È come entrare nell’interno di un immenso edificio. La visita ad una cattedrale ci dà l’impressione sensibile della costruzione dottrinale della nostra religione. La religione nostra non è semplice; è un complesso monumentale di verità naturali, storiche, umane, rivelate soprannaturali, escatologiche, personali e universali, che, a prima vista ci sbalordiscono, tanto sono grandi, profonde, trascendenti e immanenti. San Paolo parla di quattro dimensioni: la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità (Cfr.
Ep 3,18). L’universo, cielo e terra, ci sovrasta. Il tempo assume forme vertiginose: vi si parla di secoli come fossero istanti; e l’istante assurge ad importanza d’una attualità, che sembra concentrare destini decisivi. Ci si accorge, alle prime impressioni, che siamo davanti ad una visione misteriosa; e non può essere che tale il risultato d’un tentativo di fissare lo sguardo nel mondo divino; ed insieme ci si avvede che, entrati in questo cosmo religioso, tutto è per noi; siamo a casa nostra. Noi, sì, personalmente non vi siamo estranei, ma più che invitati; non vi siamo, come ancora dice S. Paolo, semplicemente ospiti e forestieri (turisti curiosi ed occasionali, potremmo oggi dire), ma concittadini dei santi e della famiglia di Dio (Cfr. Ep 2,19), che ivi dimorano. Istintivamente cerchiamo il centro focale di questo disegno dalle innumerevoli diramazioni; cerchiamo la base, la pietra d’angolo, la quale subito ci appare: è Gesù Cristo. Ma in quale forma, in quale funzione? Cominciamo ad orizzontarci: il cristianesimo, fondato appunto su Gesù Cristo, è una religione di salvezza; Gesù vuol dire «salvatore» (Cfr. Mt 1,21 Lc 1,31); questa è la ragione immediata della sua venuta al mondo; recitando il Credo alla Messa lo diciamo chiaramente: «Per noi e per la nostra salute Egli discese dai cieli» (Cfr. S. TH. III 46,0-59; J. RIVIÈRE, Le dogme de la Rédemption; B. DE MARGERIE, Le Christ pour le monde; G. BEVILACQUA, L’uomo che conosce il soffrire; ecc.).


LA REALTÀ DEL PECCATO

Sì, la Pasqua è la festa della Redenzione. Il mistero della salvezza vi ha la sua celebrazione principale, commemorata nel suo divino autore, Gesù: rinnovata ritualmente e sacramentalmente nella Chiesa e nei singoli fedeli che vi prendono parte degnamente.

Ma detto questo noi abbiamo sollevato una rete di ricchissime dottrine. La Redenzione suppone una condizione infelice della umanità, a cui essa è destinata; suppone il peccato. E il peccato è una storia estremamente lunga e complicata: suppone una caduta di Adamo; suppone un’eredità che travasa con la nascita stessa uno stato di privazione della grazia, cioè del rapporto soprannaturale dell’uomo con Dio; suppone in noi una disfunzione psico-morale che c’induce nei nostri peccati personali; suppone la perdita della pienezza di vita alla quale Dio ci aveva destinati oltre le esigenze del nostro essere naturale; suppone cioè un bisogno di espiazione e di riparazione, impossibili alle nostre sole forze; suppone l’avvertenza d’una giustizia implacabile, di per sé considerata; suppone una concezione, di per sé ancora, pessimista delle sorti umane; suppone una sconfitta della vita e un macabro trionfo della morte. Suppone, o meglio reclama, un disegno di misericordia divina, divinamente restauratore (Cfr. Apostolicam Actuositatem AA 5 AA 7).


IL GRANDE ANNUNCIO

Ed ecco allora il grande annuncio di Cristo entrando nel mondo: Verrò Io! (Cfr. He 10,5-10) Gesù viene come Salvatore, come Redentore, cioè come Colui che paga, che soddisfa per tutta l’umanità, per noi. Proviamo a scandagliare il significato di questa parola: vittima. Gesù viene nel mondo come la vittima espiatrice, come la sintesi della giustizia compiuta e della misericordia riparatrice. Il Vangelo, per la voce del Precursore, ha di Cristo la definizione più esatta, e per noi più impressionante e commovente: «Ecco l’Agnello di Dio (cioè la vittima, finalmente degna di Dio ed efficace per noi), ecco colui che toglie il peccato del mondo» (Jn 1,29). Gesù è l’oblazione volontaria (Cfr. Is 53,7 He 9,14 Ep 5,2) di se stesso, Sacerdote e vittima, che paga per tutti il debito da noi insolvibile della giustizia divina, e lo trasforma in trofeo di misericordia. Non per nulla il Crocifisso è posto sui nostri altari; Egli è sospeso, come chiave di volta, in alto, nell’edificio, che chiamiamo Chiesa, perché nelle sue pareti noi Chiesa redenta diventiamo.


L’AMORE DI CRISTO

Dunque una collana di verità basilari cristiane è sospesa al mistero pasquale, che stiamo per celebrare. Pensate: nessuna manifestazione umana, individuale o sociale, realizza la «solidarietà» come questo mistero. Nessuno come questo mistero ci dà l’evidenza della «reversibilità» delle colpe e dei meriti. Nessuno ci conforta come questo a meditare e ad imitare la grande legge morale del morire per vivere. Nessuno c’insegna di più la gravità del peccato; nessuno ci ammaestra in modo più persuasivo e più consolante circa la possibilità di fare del dolore un valore, un prezzo, un merito. Ma soprattutto nessun aspetto del cristianesimo ci svela con altrettanta infuocata violenza, come il mistero pasquale, l’amore di Cristo per noi: «Egli mi amò, e sacrificò se stesso per me» (Ga 2,20 Rm 8,7 Ep 2,4 2Th 2,15 ecc). «Per primo Dio ci amò e diede il Figlio suo come propiziazione per i nostri peccati» (Jn 4,10 Jn 4,19). Gratuitamente! col solo desiderio d’essere capito, d’essere creduto (Cfr. Jn 4,16), d’essere riamato: «Perseverate nel mio amore», Egli sembra ripetutamente supplicare all’ultima cena (Cfr. Jn 15,9-10).

Siamo in piena atmosfera mistica. Ma quanto reale, quanto vicina, quanto pratica. Come può ossigenare le nostre anime inaridite, e come può dare respiro alla socialità moderna, tanto avida di sapere amare: chi e perché e come! Una definizione, non completa, ma esatta e stupenda, lasciata al nostro secolo devastato dagli egoismi più avidi e dalle guerre più feroci da un grande spirito religioso, non cattolico, ma innamorato di Cristo, Dietrich Bonhoeffer, suona così: Gesù è «l’uomo per gli altri». È vero. Da ricordare. S. Paolo ce lo aveva già detto (Cfr. Rm 14,7-9); il Concilio lo ha ripetuto (Cfr. Gaudium et Spes GS 32). Da ricordare per la Pasqua che viene. Con la nostra Benedizione Apostolica.


Funzionari e studenti

Visitatori giapponesi

Dear friends from Japan,

We weolcome you very warmly. The contacts betwen your homeland and the Holy See go back a long time. We are thinking in particular of the young Japanese nobles who came to Rome and took part in the coronation ceremony of Pope Sixtus V in the year 1585.

This present meeting allows us once again to express our special love and respect for the Japanese people. We express to you our confidence that your people will be wise and courageous enough to defend the great human values which you have maintained for so long and which are so greatly threatened at this time. The deepest respect is owed to such qualities as diligence in work, a sense of natural morality, reverence for the family and authority, love of children and recognition of the value of human life.

These are qualities that have sustained your forebears in the past. With God’s help they will assist you long into the future. They are precious qualities and irreplaceable values. By holding to what is good in your venerable traditions and at the same time thankfully welcoming the benefits brought by material progress, you will be for the world an example and a challenge of what it means to live according to the highest ideals of morality and of the spirit. In this regard we believe that the Church’s proclamation of Christ’s Gospel offers you light and strength, since in Christ are fulfilled the noblest aspirations of mankind.

We pray that Almighty God will bless all of you here present, your families at home and your entire country.

Incontro universitario internazionale


Mercoledì, 5 aprile 1972

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Vi salutiamo tutti, Fratelli e Figli carissimi, presenti a questa Udienza, alla quale ci sembra doveroso attribuire un valore pasquale : è infatti la grande festività pasquale che ha condotto a Roma ciascuno di voi e ciascuno dei vostri gruppi. Il vostro viaggio romano e la vostra presenza a questo incontro con noi acquista significato di pellegrinaggio dal momento religioso, che la Chiesa sta celebrando in questi giorni, il momento pasquale, e mette gli animi vostri di fronte all’avvenimento unico e strepitoso, che fa da perno a tutta la storia umana e al destino di ciascuno di noi; questo avvenimento, voi lo sapete, è la risurrezione di Cristo, è la Pasqua. Non è soltanto una passeggiata turistica, che qua vi conduce, ovvero una semplice curiosità spirituale esteriore; è una partecipazione, che vi assorbe in una adesione, che impegna la vostra libera personalità, e vuole decidere circa il vostro interesse, circa la vostra fede a riguardo del fatto che Gesù, il Maestro del Vangelo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, colui che fu crudelmente crocifisso, e emettendo una grande voce (
Mc 15,37), all’ora nona del venerdì santo, spirò piegando il capo (Jn 19,30) ormai privo di vita, e fu sepolto regolarmente e sigillato nella tomba, quel Gesù, all’alba del terzo giorno, risuscitò! Impossibile? Risuscitò.

Incredibile? Risuscitò, come era stato predetto, dalle Scritture sacre e da Lui stesso. Apparentemente, nella visione immaginaria ed estatica di alcune donne inconsolabili e ancora affascinate dalla straordinaria figura di Gesù, le quali trovato il sepolcro vuoto, si suggestionarono di rivederlo vivo? No, risuscitò realmente, nella sua stessa identica umanità. Forse la suggestione diventò collettiva, e si diffuse nel gruppo dei fedelissimi? No, anche perché questi non erano affatto disposti a lasciarsi incantare, ma proprio perché questi lo videro con i loro occhi, lo toccarono con le loro mani, e perfino mangiarono e bevvero con lui (Ac 10,41). Eccetera. Conoscete le narrazioni realistiche del Vangelo circa la risurrezione del Signore, e lo scorcio non meno concreto e realistico che ne fece S. Paolo, scrivendo ai Corinti (1Co 15).

Ma se era proprio vivo, in carne ed ossa, come mai, nei racconti scritturali su Gesù risorto. Egli appare e scompare? Entra a porte chiuse (Jn 20,19 Jn 20,26), e solo il gruppo dei discepoli gode di queste visioni? (Ac 10,41)

Il dramma si fa mistero. Notate due cose. Prima: Gesù risorto col corpo stesso che aveva preso da Maria Vergine, ma in condizioni nuove, vivificato da un’animazione nuova e immortale, la quale impone alla carne fisica di Cristo le leggi e le energie dello Spirito. La meraviglia non annulla la realtà, anzi è la nuova realtà.

Seconda cosa: questa nuova realtà, che si è documentata nelle inespugnabili prove del Vangelo e poi della Chiesa vivente di quelle testimonianze, è così superiore alle nostre capacità conoscitive e perfino immaginative, che bisognerà farle posto nei nostri animi per via di fede. Ricordate l’episodio tipico di Tommaso, che volle vedere e toccare. Gesù gli fece vedere e toccare, ma gli soggiunse: «Beati coloro che, pur non vedendo, crederanno» (Jn 20,29).

Gesù risorto fondava così sulla fede - sulla fede, ragionevole e credibile, ma sulla fede, non sensibile: ma sperimentata, ma fondata sulla testimonianza apostolica e sulla sua divina Parola - la sua società religiosa, la sua Chiesa, alla quale noi abbiamo la sorte di appartenere, per sua bontà e per nostra fortuna.

Noi vi chiediamo perciò, Figli e Fratelli carissimi, di dare al vostro viaggio pasquale romano, a questa udienza che tutti ci raccoglie nel ricordo e nella perennità del mistero della risurrezione, il valore d’un atto di certezza in quella stessa fede che scoppio alla fine, dopo l’ammonizione di Cristo: «Non voler essere incredulo, ma credente» nel cuore e sulle labbra di Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (Jn 20,27-28).

Con la nostra Benedizione Apostolica.


Religiose e studenti

Pellegrini del Madagascar



Mercoledì, 12 aprile 1972

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A noi premerebbe di accendere nei vostri animi la scintilla profetica della testimonianza. Quale testimonianza? La testimonianza della risurrezione di Cristo. Voi avete diritto di chiederci: come sarebbe a dire? Noi ricordiamo che da ragazzi si faceva a gara fra quelli che riuscissero prima a salutare un altro col grido gioioso: è Pasqua! e sappiamo che nella Chiesa Orientale è sempre in uso, per il giorno di Pasqua, lo scambio del saluto: Cristo è risorto! al quale saluto la persona incontrata risponde con pari entusiasmo: è risorto davvero!


IL PRINCIPIO INTERIORE DELL'APOSTOLATO

Ma voi ci direte ora: la Pasqua è passata; l’annuncio non è più tempestivo. È vero: come saluto d’occasione è per questo anno superato; ma come testimonianza del fatto miracoloso, misterioso, strepitoso della risurrezione del Signore rimane d’attualità, anzi rimane dovere. Diremo allora: non è scintilla, ma fiamma. Fiamma accesa; non soltanto lume per uso personale di ogni fedele, ma lume anche per chi ci circonda. È testimonianza, dicevamo; è il principio interiore dell’apostolato esteriore. Come è nato il cristianesimo? Come si è formata la Chiesa? E che cosa costituisce l’elemento originale ed energetico della Chiesa? La fede. La fede in Chi ed in che cosa? Nella risurrezione del Signore. Scrive San Paolo: «Questa è la parola della fede che noi annunziamo. Se tu confessi con la bocca il Signore Gesù, e nel tuo cuore hai fede che Dio lo ha risuscitato da morte, sarai salvo» (
Rm 10,9 ). Avete ancora bene presente allo spirito la narrazione evangelica dei fatti relativi alla risurrezione del Signore? Avete anche qualche ricordo della prima predicazione degli Apostoli dopo la Pentecoste? (Cfr. Ac 2,36) E certo voi sapete come nella predicazione di San Paolo e specialmente nella sua prima lettera ai Corinti (1Co 15), egli aveva un fatto da asserire come fondamento di tutta la dottrina nuova di Cristo, e cioè la risurrezione del Signore, e come egli si erigeva a storico e a maestro di questo prodigio capitale del Vangelo della salvezza, dal quale la nuova religione, anzi la nuova società, cioè la Chiesa, traeva la sua origine e la sua ragion di essere.

Da tutto questo noi vediamo l’importanza essenziale della «testimonianza» circa l’avvenuta risurrezione di Gesù. Perché, da un lato, questo fatto prodigioso fu manifestato, sì, ad esempio, in modo diretto, sperimentale e agli occhi, all’udito, al tatto agli Undici e agli altri ch’erano riuniti con loro a Gerusalemme, tanto che il Signore disse loro: «Perché vi turbate, e quali dubbi sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani ed i miei piedi; sono proprio Io; palpate e guardate, perché uno spirito non ha carne ed ossa come voi vedete che Io ho in questo momento . . .» (Lc 24,38-39); ma questa esperienza sensibile non fu continua e non fu per tutti, tanto che San Pietro, nel suo discorso nella casa del centurione Cornelio, spiegando l’ordine degli eventi che stavano realizzandosi, ebbe a dire circa Gesù di Nazareth: «Dio lo ha risuscitato il terzo giorno, ed ha fatto sì che Egli si rendesse visibile, ma non a tutto il popolo, ma a testimoni prestabiliti da Dio» (Ac 10,40-41). D’altro lato, dunque, la certezza della risurrezione del Signore è stata data, salvo a pochi (sebbene non pochissimi; San Paolo parla di «più di cinquecento fratelli in una volta», dei quali i più erano allora ancora viventi - ), non per via di conoscenza sensibile e diretta, ma per via di testimonianza, cioè per fede; fede umana, ma subito suffragata da un’altra testimonianza interiore, dalla grazia dello Spirito Santo (Cfr. Jn 15,26-27).


LA CERTEZZA DELLA RISURREZIONE

Ma ora ciò che a noi preme notare è la funzione che nel disegno del cristianesimo assume la testimonianza, cioè la trasmissione del Vangelo per mezzo di un insegnamento originale e autorizzato, sul quale la fede trova il suo fondamento. Che cosa significa testimonianza? È questa una parola spesso ricorrente e gonfia di significato, che vale la pena di esaminare. Testimonianza significa, per ciò che ci riguarda, l’attestazione d’una verità; significa l’affermazione della realtà d’una cosa o d’un fatto, che assume certezza per la credibilità di chi la riferisce e per una certa rispondenza della parola intrinseca alle disposizioni spirituali di chi ascolta (Cfr. Lc 24,32 Rm 10,17). E quando la testimonianza evangelica cominciò ad essere cosciente della sua missione? Essa cominciò ad essere clamorosa e potente con la Pentecoste; e ciò proprio a riguardo principalmente del fatto reale e misterioso della Risurrezione. Gesù congedandosi dai suoi discepoli aveva loro detto, preannunciando la venuta dello Spirito Santo: «Voi mi sarete testimoni, in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e nella Samaria»; e poi, spalancando i confini verso tutto il mondo: «e fino alle estremità della terra» (Ac 1,8). E chi medita su questa nascita del cristianesimo vede che i discepoli, quelli prescelti specialmente, diventano Apostoli; e gli Apostoli sono invasi da vento profetico, per annunciare l’avvenimento strabiliante e innovatore: Cristo è risorto.

«Noi siamo testimoni» ripeteranno gli Apostoli (Cfr. Ac 2,32 Ac 3,15 Ac 5,32; etc.). Di qui la fede, di qui la Chiesa.


IL FONDAMENTO DELLA FEDE

E di qui una fontana di altre verità, dalle quali non può prescindere l’autenticità della nostra professione cristiana. Sorge dapprima il concetto di tradizione; concetto che dev’essere assai cautamente precisato, se lo vogliamo prendere nel suo significato vivente, vincolante e costitutivo di eco fedele della Parola di Dio, enunciata dagli Apostoli, cioè dai testimoni autorizzati a trasmetterla (Cfr. Dei Verbum DV 8). Con la tradizione si fonde il senso storico e dottrinale della salvezza, cioè del compimento del disegno di Dio nel tempo. Non siamo padroni delle intenzioni supreme di questo disegno; le dobbiamo riconoscere e ammirare nella lentezza dei secoli, che descrivono le due grandi fasi della storia, l’antico e il nuovo Testamento ed hanno in Cristo il punto focale, discriminante del prima e del poi (Cfr. Ep 1,10 Ga 4,4); e dobbiamo osservare e conservare gelosamente nel tumulto degli avvenimenti e nella pluralità delle situazioni, come un tesoro intangibile da non perdere; è il «deposito» prezioso, di cui S. Paolo due volte scrive a Timoteo (1Tm 6,20 2Tm 1,14). E ad illuminare questo senso storico e dottrinale, per quanto riguarda la fecondità di sapienza del deposito stesso, e la sua inesauribile applicabilità alle condizioni sempre varie dell’umanità, occorrerà un ministero di autentica derivazione apostolica, che oggi si chiama magistero ecclesiastico, al quale è affidato da Cristo la garanzia della verità e dell’unità per il Popolo di Dio a riguardo della divina rivelazione (Cfr. Lc 10,16 Mc 16,16 Dei Verbum DV 10 Lumen Gentium LG 12).


L’ESEMPIO DEL MARTIRE STEFANO

Sono verità semplici e grandi. Le quali devono tenere acceso nei cuori fedeli il mistero pasquale, e far respingere alcune moderne forme d’interpretazione esegetica di non felice autenticità, infondendo in essi la sicurezza ed il gaudio della risurrezione di Cristo, alla quale siamo chiamati ad essere noi pure associati; e possono fare di ogni credente un testimonio e un apostolo della fede cristiana.

Così che sia stimolante per ciascuno di noi l’esempio del primo eroico testimonio, il martire Stefano, «pieno di fede e di Spirito Santo» (Ac 6,5), che vide Gesù risorto e glorioso «stare alla destra di Dio» (Ac 7,55-56).

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 19 aprile 1972

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Ancora pensiero, parola, cuore bevono alla fontana pasquale. A Chi ha compreso che la prima conseguenza della vita cristiana è personale, è interiore alla persona stessa, non può celebrare la Pasqua, come noi siamo invitati a fare dalla Chiesa, solo nel giorno celebrativo della risurrezione del Signore, ma altresì nel periodo che succede a questa festività, non può non avvertire che tale conseguenza ha una sua espressione psicologica dominante, che è la gioia. Prima della gioia, lo sappiamo, vi è la grazia e con la grazia, la pace; ma questa, di per sé, supera la nostra interiore sensibilità (Cfr.
Ph 4,7), sebbene diffonda in tutto l’essere umano un certo ineffabile benessere, un equilibrio, un vigore, una fiducia, uno «spirito», che dà all’anima un senso nuovo di sé, della vita e delle cose. Ma la gioia è, più d’ogni altro frutto spirituale derivante dalla grazia, dalla carità, il suo effetto dominante (Ga 5,22), tanto che la gioia pervade la liturgia pasquale, col suo «alleluia» e con tutta l’onda di letizia diffusa nello stile del costume cristiano di questa stagione. Anzi noi scopriamo, celebrando il mistero pasquale, che la gioia si effonde in tutta la vita cristiana oltre ogni limite di calendario; è la sua atmosfera, la sua nota caratteristica. Ricordate l’esortazione dell’Apostolo Paolo: «siate lieti sempre nel Signore; lo ripeto, siate lieti!» (Ph 4,4 Ph 3,1). Non può un cristiano essere veramente triste, radicalmente pessimista. Il cristiano non conosce la disperazione; non conosce l’angoscia, la quale sembra essere il traguardo della psicologia moderna, quand’è cosciente di sé, sia essa una «dolce vita», o anche una vita intensa e sofferta, ma senza ideali e senza fede. Si può dire che la gioia, la vera gioia, quella della coscienza, quella del cuore, è un tesoro proprio del cristiano, proprio di colui che veramente crede in Cristo risorto, a Lui aderisce, di Lui vive. Una gioia limpida, che pur troppo non sempre troviamo in coloro che interpretano l’esigenza del Vangelo, come oggi spesso è di moda, quasi un atteggiamento critico ed aspro verso la Chiesa di Dio, e le offrono, invece del franco e lieto saluto della fraternità, lo sfogo acerbo d’un qualche rimprovero, talora offensivo e sovversivo, dove indarno si cerca l’accento amico d’un comune gaudio pasquale. Il gaudio pasquale è lo stile della spiritualità cristiana; non è spensieratezza superficiale; è sapienza alimentata dalle tre virtù teologali; non è allegria esteriore e rumorosa; è letizia che nasce da profondi motivi interiori; né tanto meno è abbandono gaudente al facile piacere d’istintive e incontrollate passioni, ma è vigore di spirito che sa, che vuole, che ama; è l’esultanza della vita nuova che invade, ad un tempo, il mondo e l’anima (Cfr. Prefazio di Pentecoste).



LA CROCE E LA PENITENZA

Ma qui sorge una difficoltà. Non è la croce il segno del cristiano? Non è la tristezza della penitenza altrettanto normale ed obbligante quanto la gioia irradiante dalla novità vitale della risurrezione? Cristiani, non siamo educati ad una certa alleanza col dolore? Ad onorarlo, a tollerarlo, a valorizzarlo fondendolo con la passione del Signore? (Cfr. Col 1,24) E poi: tutte le virtù, così dette passive, come l’umiltà, la pazienza, l’obbedienza, il perdono delle offese, il servizio ai fratelli, ecc., non solcano sul volto cristiano le stigmate della sua autentica fisionomia? E il punto-vertice della grandezza cristiana non è il sacrificio? Dov’è la gioia?

Come mettere d’accordo queste due opposte espressioni della vita cristiana, la sofferenza e la gioia? La domanda è spontanea e la risposta non è facile. Cerchiamola dapprima nel dramma dello stesso mistero pasquale, cioè della redenzione, che realizza in Cristo la sintesi della giustizia e della misericordia, dell’espiazione e del riscatto, della morte e della vita. Dolore e gioia non sono più irriducibili nemici. La legge sovrana del morire per vivere è la chiave per comprendere Cristo sacerdote e vittima (Cfr. Jn 12,24-25), cioè nella sua essenziale definizione di Salvatore.


IL MESSAGGIO EVANGELICO DELLE BEATITUDINI

E cerchiamo la risposta al problema dell’armonia fra gioia e dolore nella vita cristiana nell’applicazione sacramentale della salvezza di Cristo alle nostre singole personali esistenze, nel battesimo e nell’eucaristia specialmente. Cerchiamola nella successione delle fasi diverse in cui si distribuisce il disegno della nostra vita presente: il messaggio evangelico delle beatitudini non è forse la rivelazione d’un nesso fra un presente infelice, povero, mortificato, oppresso, e un domani di beatitudine, di rivincita e di pienezza? Beati, in un futuro domani (fin d’ora pregustato), quelli che oggi sono poveri, sono piangenti, sono oppressi . . . proclama Gesù; la soluzione fa perno sulla speranza, e in Cristo «la speranza non delude» (Rm 5,5). «Voi piangerete, mentre il mondo godrà; ma la tristezza vostra si convertirà in gaudio» dice ancora Gesù (Jn 16,20).


UNA DUPLICE VITA

Anzi, a ben guardare, nella esperienza fedele della vita cristiana i due momenti, quello della sofferenza e quello della gioia, si possono sovrapporre e rendersi simultanei, almeno in parziale misura. S. Paolo lo afferma in una frase scultorea: «Io sovrabbondo di gaudio in tutte le mie tribolazioni» (2Co 7,4). Gioia e dolore possono convivere. È questo uno dei punti più alti, più interessanti e più complessi della psicologia del cristiano, quasi ch’egli vivesse, e in realtà vive, una duplice vita; la propria, umana, terrena, soggetta a mille avversità, e quella di Cristo che in lui è stata già inizialmente, ma realmente infusa. «Non sono più io che vivo, dice ancora l’Apostolo; è Cristo che vive in me» (Ga 2,20).

E Cristo, ricordiamolo, è la gioia!

Auguriamoci tutti di farne l’ineffabile esperienza.

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Le «Pie Madri della Nigrizia»

Tra gli altri gruppi, che affollano l’udienza, si trovano duecento Religiose Missionarie comboniane, le «Pie Madri della Nigrizia», che ricordano il primo Centenario di fondazione del loro Istituto. Vi esprimiamo affetto e riconoscenza per l’apostolato, che, in stretta collaborazione con la Sacra Gerarchia e con le direttive della Santa Sede, la Congregazione ha svolto in questi cento anni. Essa è sorta con intenti esclusivamente missionari, nella fioritura di santità e di opere, che seguì alla celebrazione del Concilio Vaticano I; è passata attraverso eventi e trasformazioni, che hanno segnato la storia recente con l’evoluzione e il progresso del Terzo Mondo; ed è significativo che la celebrazione commemorativa, col suo andare alle origini, cada in questo tempo Post-conciliare di presenza pastorale e missionaria della Chiesa. I propositi, che farete in questa circostanza, ripensando allo spirito da cui è sorta la vostra Famiglia Religiosa, non possono essere che di sempre più completa donazione a Cristo e alle anime, nelle linee direttive del Decreto Conciliare Ad Gentes; di piena, leale e disinteressata disponibilità al servizio della Chiesa e della Gerarchia; di fraterna unità nella vita interna della Comunità, affinché la vostra azione di affiancamento missionario tragga dalla carità l’ispirazione e la forza continua. Il Signore benedica le vostre schiere generose, e accompagni l’ulteriore cammino dell’Istituto con l’effusione di ogni suo dono: ve lo auguriamo di cuore, con la nostra Benedizione Apostolica.

La scuola «Mater Divinae Gratiae»

Ci piace ora rivolgere un particolare saluto al gruppo ben numeroso di Religiose che, venute a Roma a frequentare un corso di formazione per Maestre di Noviziato presso la Scuola «Mater Divinae Gratiae», partecipano a questo incontro e da noi attendono una parola di conforto e di incoraggiamento.

Rispondiamo volentieri, Figlie carissime, al vostro desiderio; e il nostro saluto non può che ricordarvi l’Esortazione Evangelica Testificatio, che è stata la continuazione ideale del discorso del Concilio intorno al rinnovamento della vita religiosa. Per voi - diremo - essa ha un particolare valore, in quanto siete destinate a renderla familiare alle vostre Consorelle. Non occorre sottolineare l’importanza del lavoro che svolgerete, tra breve, nelle vostre Case. Ma, intanto, il prepararsi ad esso sarà semplice acquisizione di nuove ed aggiornate nozioni, o perfezionamento di un’adeguata tecnica pedagogica? Sì, anche questo, ma non solo questo! Se volete divenire maestre, non potete prescindere da Colui che - come dice il Vangelo - unus est . . . Magister vester (Mt 23,8). Sappiate cogliere, in questo rapido cenno, l’importanza, anzi la necessità di subordinare il vostro magistero - come, del resto, ogni magistero che, a qualsiasi livello, esiste nella Chiesa - al magistero supremo del Figlio di Dio.

Questa disposizione di fondo vi insegnerà l’umiltà ed il discernimento necessario per entrare nei cuori; vi favorirà nel raccoglimento interiore per ascoltare la voce dello Spirito che parla nel segreto; vi porterà a considerare come sussidiaria, eppur preziosa, la vostra missione rispetto all’azione di Dio; vi solleciterà, infine, ad integrare l’insegnamento con la testimonianza esemplare della vostra vita di anime consacrate.

Vogliamo accompagnare il nostro augurio con una speciale Benedizione, che impartiamo di cuore a voi, alle consorelle delle Famiglie e Nazioni a cui presto ritornerete, ed ai vostri insegnanti.

Soyez les bienvenues, chères Filles de langue française; en vous bénissant de grand coeur, Nous prions Dieu de vous donner la lumière et la force qui vous permettront demain d’aider vos Soeurs à répondre avec joie et générosité à l’appel du Seigneur.

We wish to stress, beloved daughters in Christ, the esteem we have for the religious life. We would like you to understand how much the Lord loves you and how much the word needs the witness of your dedication and of your fidelity. Our prayer today is that your mission of service will be effettive for the glory of God’s name and that he will fill you with his joy. To each of you goes our Apostolic Blessing.

Os acompañamos con nuestros mejores votos para vosotras y vuestra labor, y os aseguramos nuestras plegarias para que sepais guiar a las jóvenes que con amor, gozo y esperanza desean consagrarse al total servicio de Dios y de sus hermanos. Una especial Bendición Apostólica.

Congresso internazionale di chirurgia

Salutiamo i membri della International Academy of Cosmetic Surgery e della Società Italiana di Chirurgia Estetica, venuti a Roma, con i loro familiari, per partecipare al loro primo Congresso Internazionale. Mediante l’impiego dei moderni mezzi di chirurgia voi cercate di ridurre anomalie congenite o acquisite per riabilitare al lavoro persone menomate, e per migliorare i rapporti familiari e sociali; e applicate terapie ausiliarie in soggetti affetti da turbe psichiche o psicosomatiche, derivanti dal confronto quotidiano, oggi particolarmente acuito, con la normalità fisica ed estetica degli altri. La vostra mano paziente di chirurghi sa perciò restituire alla serenità e alla fiducia nella vita persone, che traumi o alterazioni della propria figura conducono ad acuto senso di inferiorità, di sofferenza, talora di rivolta. Il nostro Predecessore Pio XII di v.m., in occasione dell’inaugurazione del reparto di Chirurgia Plastica nell’ospedale romano di S. Eugenio, tracciava un quadro profondo e chiaro della vostra professione, dando i fondamentali principi teologici e morali che debbono regolarla (4 ott. 1958; Discorsi e Radiomessaggi, XX, PP 415-427): tra l’altro, egli sottolineava che «da un lato, l’analogia, sia pure pallida e lontana, tra l’opera del chirurgo plastico con quella divina del Creatore, che plasmò dal limo della terra il primo corpo umano, infondendovi la vita; dall’altro il sollievo che ne deriva a così gran numero di sofferenti; infine l’indefinita varietà dei trattamenti concorrono ad accrescere l’alto interesse di questa parte della chirurgia» (Ibid., p. 421). Quell’allocuzione, la penultima da Lui pronunciata, resta un esemplare trattato di deontologia morale della vostra arte, e ad essa vi rimandiamo perché l’azione che svolgete sia sempre rispettosa delle leggi divine, e improntata alla nobilissima intenzione di aiutare i menomati che soffrono, diciamo cioè, ispirata alla virtù cristiana della carità, al di sopra di interessi particolaristici di affermazione, di prestigio, di lucro.

Ci è gradito cogliere questa occasione per esprimervi il nostro incoraggiamento e assicurarvi la nostra preghiera, affinché il Signore sempre vi assista.

We would like to add a word of greeting in English to the members of the International Academy of Cosmetic Surgery and of the Italian Society of Aesthetic Surgery and their families. Trusting that your International Congress will favour the progress of your branch of surgery, we invoke upon you all the choicest blessings of God.

Il Consiglio per brevetti europei

Alunni del Seminario Maggiore di Graz

Ein wort herzlicher Begrußung richter Wir an den anwesenden Bischof von Graz-Seckau, Msgr. Weber, der mit den Alumnen seines Großen Priesterseminars und ihren Vorgesetzten zu den Gräbern der Apostelfürsten nach Rom gepilgert ist. Es bedeutet für den Papst immer einen besonderen Trost, zu den künftigen Priestern der Kirche einige Worte sprechen zu können.

Liebe Freunde! Heiligkeit und Wissenschaft sind die beiden großen Leuchten, die Ihr junges Leben erhellen und formen sollen. Eignen Sie sich durch eifriges Studium ein gründliches theologisches Wissen an, so wie es vom zustaìändigen Lehramt der Kirche in den Konzilsdokumenten niedergelegt ist. Stellen Sie in den Mittelpunkt Ihres religiösen Lebens die Anbetung der heiligen Eucharistie und eine glaubensstarke Verehrung der Gottesmutter. Dann steht es gut um Sie und Sie werden einmal würdige Diener des Heiligtums sein. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden aus der Ftille des Herzens Unseren Apostolischen Segen.

Studenti ed insegnanti italiani

Carissimi giovani!

Ci fa piacere trovarci in mezzo a voi, e vorremmo salutarvi ad uno ad uno, insieme con i vostri Insegnanti e con i vostri familiari che vi hanno accompagnati, o che, sia pure lontani, sono qui col pensiero e con l’affetto.

A tutti vogliamo assicurare che vi siamo vicini, vi comprendiamo nell’ansia di autenticità, di rinnovamento che vi muove, e tutti vi incoraggiamo a non lasciarvi andare alle mode mutevoli delle ideologie che passano, ma a restare fedelmente attaccati alla Verità che rimane: quella verità che è Cristo, Iute delle nostre menti, che permea di sé le espressioni della cultura, dell’arte, della conoscenza scientifica, perché tutto quanto è luce, bellezza, armonia, ordine, nel cosmo, nella natura, nelle civiltà tutto ha attinto un raggio da Lui, Logos creatore, Verbo seminale del Padre, e a Lui tutto si rapporta nella creazione e nella storia dell’uomo.

Sia Lui la vostra vita, cercatelo con sforzo costante nella fatica dello studio, vivete di Lui, della sua Parola, della sua presenza, della sua grazia. E che il periodo fecondo dei vostri studi sia veramente fondamentale per la formazione della vostra personalità, umana e cristiana.

Con questi voti vi benediciamo di cuore, con i vostri cari e con tutte le benemerite persone che si dedicano a prepararvi alla vita.



Paolo VI Catechesi 29372