Paolo VI Catechesi 7672

Mercoledì, 7 giugno 1972

7672

La nostra oggi sia una meditazione postuma alla festa di Pentecoste. Non ricordate che quella festività ci fece commemorare e celebrare la discesa dello Spirito Santo sopra la prima comunità dei seguaci di Cristo, e quella discesa fu come l’infusione dell’anima nel corpo mistico di Cristo medesimo, e nacque così quella estensione di Lui nell’umanità, che chiamiamo la Chiesa?

Guardiamo la Chiesa come la vide, e la vede Gesù dal cielo, pervasa, accesa, santificata dal suo Spirito. Ascoltiamo S. Paolo. Gesù la vede in bellezza, come sposa; Egli l’aveva dapprima amata: «Cristo, dice l’Apostolo, amò la Chiesa e diede se stesso in sacrificio per lei» (
Ep 5,25). E poi aggiunge: «per santificarla, purificandola col lavacro mediante la parola di vita, e per farsela lui stesso comparire davanti, la Chiesa, gloriosa, senza alcuna macchia, senza alcuna imperfezione, ma santa ed immacolata» (Cfr. Ibid. Ep 5,26-27). S. Ambrogio vuole che Cristo veda la sua Chiesa rivestita d’indumenti candidi, subito dopo il battesimo (ogni anima battezzata è tipica e riflette in sé lo splendore della Chiesa) (Cfr. DE LUBAC, Méd. p. 270); perché «nella sua bellezza è disceso dal cielo lo Spirito Santo» (S. AMRR. De Mysteriis, 7, 37; CSEL, p. 104). Nell’uomo la bellezza produce l’amore; in Cristo l’amore precede e produce la bellezza della Chiesa, cioè l’avvenenza dell’umanità da Lui amata e redenta, e ricondotta così alla perfezione primigenia, all’ordine ideale della creazione, irradiante in intuitivo splendore. La Chiesa, in cui arde lo Spirito di Cristo, è come una lampada accesa. Noi dovremmo guardarla così.

Ma qui sorge una difficoltà. La Chiesa, anche dopo la Pentecoste, è composta di uomini. Gli uomini di Chiesa non risplendono sempre e tutti di luce divina. Anche i più virtuosi, quelli che chiamiamo santi, hanno pure i loro difetti; anche molti santi sono naufraghi salvati, spesso drammaticamente, o mediante avventurose esperienze, e condotti alla riva della salvezza per misericordia divina, potremmo dire, in linguaggio profano, per caso fortunato. E per di più non pochi che si professano cristiani, veri cristiani non sono; e che sono ministri e maestri nella Chiesa, non confermano con l’esempio la loro funzione. Anzi la storia stessa della Chiesa ha lunghe e molte pagine punto edificanti.

La difficoltà esiste, grave e complessa. Se ne scandalizzano, sia quelli che avversano la Chiesa, sia quelli che, in qualche modo, le sono fedeli. Dov’è questa bellezza della Chiesa? dov’è questa trasparenza della sua trascendente santità? Non è giustificata la contestazione, oggi da ogni parte scoppiata? Non doverosa e legittima l’esigenza della riforma della Chiesa? Non è autorizzato dalla natura stessa della Chiesa il ripudio delle sue strutture, delle sue forme istituzionali per dare preferenza, esclusiva e radicale per alcuni, ai soli valori spirituali ch’essa pretende di portare con sé?

La difficoltà esiste, ed esigerebbe lunga e ponderata risposta (Cfr. CONGAR, Vraie et fausse réforme dans l’Eglise, Cerf 1968).

In un accenno, così semplice e breve come quello concesso a queste parole, limitiamoci a offrire una chiave di soluzione, ossia un’indicazione di metodo, o meglio, di stato d’animo. Ed è questa. Vi sono due atteggiamenti generali di spirito per giudicare la Chiesa: ostile il primo, amichevole il secondo.

L’atteggiamento ostile, anche a prescindere da pregiudizi morali, è oggi molto diffuso, e quasi imposto dalla mentalità laica, profana, secolare. La quale può essere legittima nel campo suo (Cfr. Lumen Gentium LG 36 Gaudium et Spes GS 36), quando non si fa aprioristica e inibisce a se stessa la ricerca della verità, per qualsiasi campo in cui essa possa spaziare. Chi tiene aperta la mente, con coraggiosa onestà, presto o tardi, se Dio l’aiuta, vede, ad un dato momento, albeggiare davanti a sé una luce nuova, proprio quella luce che parte forse da una lampada vecchia e difettosa (Cfr. Jn 3,21), e intravede nella Chiesa qualche cosa, forse non subito spiegabile, che non consente più un giudizio del tutto negativo e definitivo; forse anzi balena allo sguardo interiore il volto di un’umanità, vicina e quasi inavvertita, splendente d’una concezione ideale (Cfr. il bel capitolo 30, 1. 1, del De morihus Ecclesiae catholicae di S. Agostino; PL 32, 1336-1337).

E vi è l’atteggiamento amichevole; vogliamo dire filiale. Il nostro. Il quale non è per ciò stesso ingenuo e adulatore. Resta obiettivo, anzi critico e, se occorre, severo. Ma filiale; cioè parte dall’amore, come quello di Cristo. Non è a priori orientato a cercare i difetti, a divulgarli di proposito, a limitarsi ad una funzione contestatrice e denigratrice (non vi sono oggi pubblicazioni, sedicenti cattoliche, che hanno fatto di tale ingrato mestiere il proprio programma?). «La carità è . . . benigna - dice S. Paolo facendo l’apoteosi del primo fra i carismi - . . . non pensa male, non gode sopra l’iniquità», ecc (Cfr. 1Co 13,4 ss.). E poi, quella visione che Cristo ha della sua Chiesa si riferisce solo in parte, solo in fieri, alla nostra Chiesa pellegrina in questo mondo peccatore, solo agli innocenti, solo ai rivestiti di grazia, solo ai fedeli uniti a Cristo nell’Eucaristia (Cfr. S. IOAN. CRYSOST. Homil. XX), insomma solo ai «santi» (e sono certo assai più numerosi dei pochi che veneriamo sugli altari); ma sicuramente la visione di Cristo, che si è modellato in perfetta bellezza la sua Sposa, si riferisce al paradiso, ch’è realtà quasi impensabile ora da noi, ma realtà che basta a riempire i nostri spiriti d’entusiasmo per la Chiesa di oggi e dell’eternità; la Chiesa dell’Apocalisse, quella dove «lo Spirito e la Sposa dicono: “ Vieni ”» (Ap 22,17).

Sì, lo Spirito e la Sposa di Cristo, la Chiesa, la nostra Chiesa umana e pellegrina e, pur troppo alle volte peccatrice, invocano insieme, nello sforzo della carità nel tempo, l’avvento della carità finale. E tanto basti a confortare la nostra fedeltà, il nostro amore alla nostra Madre e Maestra, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.

Con la nostra benedizione.

La parrocchia romana di San Valentino Martire

Dobbiamo una parola di saluto e di elogio al gruppo della parrocchia romana di San Valentino Martire, al Villaggio Olimpico. Il saluto nasce spontaneo dal ricordo della nostra visita di tre anni or sono, il 5 giugno 1969, per celebrare tra voi la solennità del «Corpus Domini»; e l’elogio vi è dovuto per le buone notizie che ci portate circa la vostra vita parrocchiale: i rappresentanti delle varie associazioni, maschili e femminili, dei giovani e degli adulti, ci attestano con la loro presenza che vi fiorisce l’apostolato dei laici; il gruppo di adorazione settimanale, con numerosi componenti, ci dice come la Parrocchia sia incentrata sul culto eucaristico, principio di coesione di ogni comunità ecclesiale; la giornata mariana di riparazione contro l’oltraggio recato alla «Pietà», celebrata a conclusione del mese di maggio, attesta la vostra devozione alla Madonna; il decennio di fondazione della Parrocchia, che avete voluto ricordare con questo pellegrinaggio, ci dice che la Parrocchia è vitale e operante e che, dalla fede saldamente poggiata sulla Roccia di Pietro, vuol trarre impulso per il suo crescente consolidamento; l’affetto che dimostrate al vostro parroco rivela infine che volete seguirne fedelmente gli insegnamenti e incoraggiarne le iniziative. L’Eucaristia, la Madonna, il Papa, il sacerdozio: questi gli ideali, di cui ci parla la vostra presenza. Possano essi fare delle vostre famiglie veri centri di irradiazione apostolica, che facciano argine ai pericoli della società permissiva e dare lieta e costante testimonianza a Cristo e alla sua Chiesa.

È il nostro augurio, avvalorato dalla nostra Benedizione, che impartiamo all’intera parrocchia, in special modo alla gioventù, ai poveri, agli ammalati.

Pellegrini di Ratisbona

Ein besonderer Wort der Begrüßung richten Wir an den Jubiläums-Pilgerzug der Diözese Regensburg. Zur offiziellen Einleitung der Feierlichkeiten anläßlich des tausendjährigen Gedenktages der Ernennung Ihres Diözesanpatrons des hl. Wolfgang zum Bischof von Regensburg sind Sie zusammen mit Ihrem verehrten Diözesanbischof Msgr. Rudolf Graber und dem neuernannten Weihbischof Msgr. Guggenberger nach Rom gepilgert, um sich an den Gräbern der Apostelfürsten in dankbarer Freude in Ihrem heiligen Glauben zu bestärken. Die geistliche Frucht des St. Wolfgang- Jahres möge also für Sie alle sein: Vertiefung im katholischen Glauben; Verbundenheit mit der Weltkirche; geistige und geistliche Erneuerung, wie sie das Konzil den Gläubigen vor Augen stellte.

Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden von Herzen Unseren Apostolischen Segen.

Sempre benvenuti i prediletti del Signore

Fanciulli carissimi,

Con la nostra presenza, così numerosa e festante, voi oggi ci offrite un magnifico spettacolo che allieta i nostri occhi e più ancora il nostro cuore paterno. Ben volentieri quindi noi vi rivolgiamo una breve parola che sia come il ricordo di questo vostro incontro col Supremo Pastore della Chiesa.

Ci è stato detto che molti di voi si sono accostati per la prima volta alla Mensa Eucaristica. Voi, dunque, che avete gustato la gioia ineffabile della prima Comunione, insieme al sorriso della vostra infanzia, insieme al candore della vostra innocenza, ci portate anche l’incanto delle vostre anime, ancora piene di santa commozione per il contatto avuto per la prima volta col Divin Salvatore. Per questo motivo il Papa vi accoglie tanto volentieri nella sua Casa e desidera dedicarvi un po’ del suo tempo per stare con voi, e soprattutto per esortarvi a mantenervi sempre degni del gran dono che avete ricevuto, e a ricambiare il suo amore di predilezione verso di voi, vivendo di Lui ogni istante della vostra vita e indirizzando a Lui tutte le fresche energie della vostra età, che è bella come la primavera.

L’espressione della nostra compiacenza e del nostro affetto vada anche agli altri fanciulli e adolescenti di varie scuole italiane, che hanno voluto venire quest’oggi a portarci il loro saluto e a ricevere la nostra Benedizione. Questo vostro gentile pensiero, figlioli carissimi, ci è assai gradito e ve ne ringraziamo di cuore. Esso ci manifesta che voi amate Gesù e il suo Vicario in terra, e volete essere sempre buoni, diligenti nei vostri doveri di famiglia e di scuola e, in particolare, figli sempre fedeli e devoti della Santa Chiesa. Tutto questo vi fa onore; e noi, nel Nome di Gesù, di cui facciamo le veci, vi diciamo il nostro incoraggiamento pieno di tenerezza, mentre con tanto affetto vi benediciamo insieme con i vostri genitori, i vostri insegnanti e tutti i vostri cari.

* * *

Ed ora con paterna commozione salutiamo uno scelto gruppo di bambini delle Scuole elementari di Roma e provincia, che hanno partecipato ad un concorso riguardante il Natale.

Ci rallegriamo con voi, bambini carissimi. Esaminando le vostre affettuose letterine e le belle scene del Presepio disegnate da voi, abbiamo potuto comprendere che questo concorso è stato per voi qualcosa di più di una semplice gara per riuscire primi sugli altri. È stato per voi come un incontro con Gesù, e come una risposta del vostro amore a Colui che si è fatto bambino per salvarci, che tanto ci ama, e che è l’amico soprattutto dei piccoli. Il vostro incontro con Gesù, che vi tende le braccia con il sorriso di letizia e di pace, rinnovatelo spesso, figliuoli. Fatelo specialmente nella preghiera, che sarà senza dubbio ascoltata dal Signore, perché la vostra voce innocente possiede sul suo Cuore una forza particolare. PregateLo per il Papa, per la Chiesa, per la pace nel mondo, per tanti bambini che soffrono. Ecco il nostro ardente desiderio!

Noi vi accompagniamo con la nostra Benedizione, che impartiamo volentieri a voi e a tutti i vostri cari.


Mercoledì, 14 giugno 1972

14672

Ancora ci segue il fascio di luce proiettato sulla nostra mentalità dal mistero celebrato nella festa di Pentecoste, quello dell’effusione dello Spirito Santo sopra i seguaci di Cristo, così da fare di essi un organismo solo, il Corpo mistico di Cristo medesimo, la sua Chiesa, e da infondere in ciascuno di essi - in ciascuno di noi - un nuovo principio di vita, un principio soprannaturale, la grazia.

Questo aspetto individuale dell’economia della redenzione, tutti lo sappiamo, ci riguarda personalmente. A differenza di quanto avviene nelle dottrine o nelle opinioni sociologiche, di cui sovrabbonda oggi la pubblica conversazione, l’uomo, come unità originale, come persona, nella sociologia religiosa cattolica, nella Chiesa, non è ridotto ad un semplice numero, ad un cittadino senza volto suo proprio, ad un’entità astratta distinta da un’altra mediante l’etichetta d’un nome qualsiasi, ma conserva, anzi arricchisce la sua inconfondibile singolarità, la sua personalità, la sua umana e sovrumana pienezza. Come mai questa crescita di esistenza non solo nella dignità giuridica (come avviene analogamente per l’appartenenza di un cittadino ad una società civile ed evoluta), d’ogni singolo componente di questo corpo sociale e spirituale ch’è la Chiesa, ma altresì nell’efficienza vitale? San Paolo risponde: «Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se qualcuno guasta il tempio di Dio, Dio lo punirà; poiché il tempio di Dio è santo, quali appunto voi siete» (
1Co 3,16-17).

Lo storico Eusebio di Cesarea narra che il martire d’Alessandria d’Egitto, Leonida, padre di Origene, primo dei suoi sette figli, uno dei più insigni talenti ch’ebbe l’umanità, lieto della mirabile precocità d’un tale figlio, ringraziando Iddio d’averglielo dato, mentre questi dormiva si curvava sul fanciullo e gli baciava il petto, pensando che lo Spirito Santo vi dimorava (EUSEBIO di C. Storia Eccl., 1. VI, c. II, 11). Questo è il segreto della vita soprannaturale del cristiano: l’essere dimora, anzi l’essere vitalizzati dalla grazia, cioè dall’azione dello Spirito Santo.


RELIGIONE E SANTITÀ

Ora questo fatto ha un’importanza massima nella nostra teologia, cioè nella nostra concezione del vero rapporto che Cristo ha instaurato con l’umanità. La dottrina della giustificazione deriva da questo fatto. Il Vangelo, S. Paolo, S. Agostino, il Concilio di Trento ne sono le fonti inesauste. Il recente Concilio Vaticano secondo, nella sua grande lezione sulla Chiesa, non poteva omettere di parlarne. E quale aspetto di questa dottrina mette in luce il Concilio? Notiamo bene: l’universale vocazione della Chiesa alla santità.

La santità: parola assai usata, ma di non facile definizione. Essa richiama alla mente il pensiero di Dio, al quale essa si riferisce in senso assoluto e totale; tre volte santo lo sentiamo celebrare nella Sacra Scrittura (Cfr. Is 6,3 Ap 4,8). I concetti di perfezione trascendente, di eccellenza, d’immacolata purezza, di bontà infinita, d’ineffabile felicità, di gloria invincibile e d’incomparabile bellezza . . . circolano nel nostro povero cervello quando la liturgia ci fa esclamare, alla Messa: Santo, santo, santo, o Dio onnipotente . . . Questa osservazione ci avverte che religione e santità sono due concetti distinti, che in realtà coincidono (Cfr. s. TH. II-II 81,2). Il che vuol dire che non potremo occuparci di religione senza occuparci di santità; e viceversa: la santità non ha senso completo se non in ordine alla religione. E potremmo ragionando arrivare alla conclusione che denuncia come incompleto, per non dire inaccettabile, il concetto di secolarizzazione come programma di vita d’un cristiano in cerca di autenticità.

Ma quello che ora ci preme mettere in rilievo è l’affermazione solenne del Concilio (Lumen Gentium LG 39), la quale ci ammonisce che «tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla Gerarchia, sia che da essa siano guidati, sono chiamati alla Santità, secondo il detto dell’Apostolo: certamente la volontà di Dio è questa, che voi vi santifichiate (1Th 4,3 Ep 1,4)». A prima vista questa sembra una pretesa eccessiva. Ma non aveva già detto Cristo Signore, nel Vangelo: «Siate perfetti, come il Padre vostro celeste è perfetto»? (Mt 5,48)


VIVERE CRISTIANAMENTE

Vien fatto di chiedersi: è possibile che tanto ci sia richiesto? Di quale santità si tratta? Di quale perfezione? Rispondiamo intanto con alcune domande: la vita cristiana è concepibile come mediocre? Moralmente insignificante? Pur troppo, sì, vi sono molti cristiani mediocri; e non solo perché sono deboli o mancanti di formazione, ma perché vogliono essere mediocri e perché hanno le loro così dette buone ragioni del «giusto mezzo», del ne quid nimis, della «libertà del Vangelo», quasi che il Vangelo fosse una scuola d’indolenza morale, o quasi che esso autorizzasse l’ambiguità del servire a due, o a più padroni (giacché per molti, che parlano di liberazione, lo scopo è di servire al conformismo di moda, come se poi questo rendesse più comoda la vita e più rispettabile). Non è forse apparenza codesta, e non già autenticità umana o cristiana? non è ipocrisia? Incoerenza? Relativismo secondo il vento che tira? Non è togliere la croce dal proprio cristianesimo? (Cfr. 1Co 1,17)


IL POSSESSO DELLA CARITÀ DIVINA

Ma l’obiezione rimane: come rispondere a tanto impegno? Che cosa è la santità? Questa è pure una domanda difficile e complessa. Semplifichiamo la risposta ricordando come questa santità, alla quale siamo chiamati, risulta da due fattori componenti, dei quali il primo, possiamo dire quello vero, quello essenziale è la grazia stessa dello Spirito Santo. Da Colui che alla santità, alla perfezione ci chiama, viene il potere di conquistarla, perché è Lui stesso che la offre, è Lui stesso che la dona. Essere in grazia di Dio è tutto per noi. La nostra perfezione è il possesso della Carità divina. Non resta altro da fare? No, occorre un altro fattore, e da parte nostra questo, se non vogliamo cadere nel quietismo o nell’indifferenza morale; ed è il nostro sì; è la nostra disponibilità allo Spirito, e l’accettare, il volere anzi la volontà di Dio che ama e che salva; un sì che si può graduare secondo la nostra libertà, la quale è chiamata. È chiamata alla generosità, all’audacia, alla grandezza, all’eroismo, al sacrificio. Ecco il paradosso cristiano: è chiamata alla perfezione, all’amore. L’incontro della Volontà amorosa e salvatrice di Dio con la volontà obbediente e felice del nostro cuore umano è la perfezione, è la santità (Cfr. Ph 2,13).

I giovani, di solito, comprendono la verità, la bellezza, la vocazione di questo incontro, posto al vertice di una stupenda tensione. E sono i santi quelli che vi arrivano, nel segreto dello Spirito che soffia ove vuole.

Da meditare. Con la nostra Apostolica Benedizione.


Pellegrini dell’Alto Lazio

Sentimenti di viva compiacenza ci inondano l’animo nell’accogliere oggi alla nostra presenza un folto gruppo di pellegrini delle Diocesi di Viterbo e Tuscania, Montefiascone, Acquapendente e Bagnoregio. Porgiamo a tutti il nostro affettuoso e cordiale saluto, in particolar modo al degno comune Pastore, che li accompagna, Monsignor Luigi Boccadoro, da noi tanto venerato per lo zelo pastorale che lo distingue.

Il vostro pellegrinaggio, figli carissimi, richiama al nostro animo buone e laboriose popolazioni, caratterizzate lungo i secoli da una fervida adesione alla fede cristiana e da un franco e sincero attaccamento alla Sede Apostolica.

Accogliendo stamane voi, che siete venuti a temprare la vostra fede presso la tomba di San Pietro, non abbiamo miglior voto da esprimervi se non questo, che sappiate non solo conservare così prezioso patrimonio di tradizioni religiose, ma farlo altresì rivivere in nuove e gloriose testimonianze di fede cattolica nelle odierne generazioni.

Grazie adunque, figlioli, di questa vostra visita; grazie soprattutto delle preghiere che in ogni parrocchia delle vostre diocesi sono state fatte per noi durante tutto il mese mariano; e grazie infine della vostra testimonianza di affetto, che volentieri ricambiamo, assicurandovi un particolare ricordo nelle nostre suppliche al Signore Gesù. E nel Suo Nome a tutti con effusione di cuore impartiamo la propiziatrice Apostolica Benedizione.

Il primo centenario dell’Istituto «Serve di Gesù della Carità»

Nos complacemos en dirigir un especial saludo a vosotras, Superiora General y Religiosas «Siervas de Jesús de la Caridad», que habéis querido visitarnos al finalizar las celebraciones del primer centenario de fundacion de vuestro Instituto.

Queremos felicitaros y daros las gratias por vuestro admirable testimonio, silencioso y oculto, con que ponéis la más pura caridad cristiana al servicio de la humanidad que sufre, al servicio de los enfermos: lo que hacéis por cada uno de ellos, es corno si lo hicierais por el mismo Cristo.

En este fecundo ministerio de amor os acompañamos con nuestro afecto y nuestra bendición para vosotras, para todas las religiosas del Instituto y para los enfermos que atendéis. Y os exhortamos de corazón para que vuestra consagración al Señor sea cada vez más total, vuestra vida interior más intensa, y vuestra dedicación a los hermanos más sacrificada y generosa.

Cura, rispetto, difesa per i fanciulli

Si rinnova, questa mattina, una manifestazione che tanto ci ha allietato nelle Udienze di questi mesi: vediamo numerosi gruppi di bambini, che hanno ricevuto per la prima volta la Comunione, e sono qui convenuti per esprimerci la loro gioia, spinti dalla loro pietà e sicuri di essere da noi compresi e incoraggiati nei loro generosi propositi.

Ebbene, ci è caro ripetere anche a voi: il Papa, Padre di tutto il Popolo di Dio e che tutti ama in Cristo, vi predilige come il Divin Maestro.

Voi, infatti, santificati dal contatto intimo con Gesù nel Sacramento dell’Eucaristia, siete il termine di paragone usato dallo stesso Redentore per indicare la via che porta al Regno dei cieli: «Se non diventerete piccoli come fanciulli non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3).

Mentre vi esortiamo a mantenere sempre viva questa trasparenza, rinnovando i vostri incontri con Cristo e mediante l’approfondita conoscenza del Vangelo, vogliamo cogliere l’occasione per ricordare quanto grave sia la responsabilità di chi osasse offendere e contaminare la purezza e la semplicità del vostro cuore. Un’esortazione anche a voi, alunni delle Scuole Medie, affinché siate sempre consapevoli della predilezione di Gesù per i puri e gli umili di cuore.

Voi sapete che la purezza e l’umiltà, lungi dal limitare e, tanto meno, dal diminuire il prestigio della vostra dignità, costituiscono mezzi meravigliosi di spirituale conquista. Poter ben guidare se stessi e saper riconoscere i propri limiti, significa sollevarsi spiritualmente ed agire nella verità: porre, cioè, come oggetto dell’intelligenza umana, condizionata perché creata, l’m finita grandezza di Dio e, in questa luce, dare una risposta ai grandi interrogativi della vita.

Mentre attendete ad arricchire con lo studio la vostra mente, procurate altresì di far crescere nel vostro animo questo santo anelito: essere, nelle attività e nelle responsabilità del domani, testimoni e operatori della verità.

Su voi tutti, su gli educatori e gli insegnanti, nonché sulle vostre famiglie invochiamo la divina assistenza, di cui è pegno la nostra paterna Benedizione.


Mercoledì, 21 giugno 1972

21672
Ci è oggi doveroso, in via eccezionale, e pressati come siamo da tanti segni di devozione e di affezione, dirvi una parola su cosa che ci riguarda personalmente, su l’anniversario cioè della nostra elezione a Vescovo di Roma e perciò stesso alla successione dell’Apostolo Pietro in questa sua cattedra, alla quale è affidata con la cura pastorale dell’Urbe quella della Chiesa cattolica, diffusa nell’orbe. Non certo per fare un discorso sopra tema tanto grave e complesso, e nemmeno per narrarvi la storia, del resto molto semplice e breve, e a tutti nota, di questo avvenimento, ma solo per accennare ad alcune impressioni, fra le tante, rimaste nel nostro animo circa quel fatto, e utili forse alla consolazione della Chiesa, tanto prodiga verso di noi, in questa annuale ricorrenza, della sua bontà e della sua pietà. Ci sembrerebbe infatti ingratitudine verso il Signore e scortesia verso Fratelli e verso Figli fedeli soffocare in assoluto silenzio i sentimenti che riempiono il nostro animo nell’odierna circostanza.



ALTISSIMA RESPONSABILITÀ MA SALDA FIDUCIA

Fu come oggi, nove anni or sono, e proprio a quest’ora poco prima di mezzogiorno, nella Cappella Sistina, che si compì la scelta della nostra umile persona alla sede del Papato Romano; eravamo in tal modo tolti da un altro gravissimo e altissimo ufficio, quello di Arcivescovo di Milano, la sede episcopale che fu dei Santi Ambrogio e Carlo, e dei Servi di Dio i Cardinali Andrea Ferrari e Ildefonso Schuster, ed eravamo chiamati in questa Romana Sede Apostolica a succedere al Servo di Dio, il Papa Giovanni XXIII, sempre compianto ed amato. Non faremo alcuna considerazione d’occasione; ciascuno, se vuole, le può facilmente fare da sé, ricordando il fatto nella prospettiva del quadro storico e spirituale d’allora: basti ricordare che il Concilio aveva appena celebrato la sua prima non facile sessione, mettendo negli animi di tutti, nella Chiesa e nel mondo, grandi attese e vivi fermenti.


IL PRIMATO DI PIETRO FARO CHE GUIDA ALL'UNITÀ

Diciamo soltanto, molto semplicemente, una nostra impressione relativa a quella giornata, e tuttora presente nel nostro spirito. Parve allora a noi d’essere sopraffatti dal gioco, meccanico o misterioso che fosse, d’una vicenda estranea e superiore alla nostra volontà; non avevamo mai minimamente desiderato, né tanto meno favorito la nostra elezione. Ci si vorrà credere. Anzi il nostro anteriore servizio, umilmente e lungamente prestato alle dipendenze di Papa Pio XI, di grande e venerata memoria, e poi d’un altro venerato Servo di Dio, Papa Pio XII, troppo ci aveva edotto circa l’enorme mole di doveri, di difficoltà, di bisogni, che le chiavi di San Pietro portano con sé, perché noi non avessimo la consapevolezza della preparazione necessaria a così formidabile ufficio, e non conoscessimo la nostra carenza dei carismi adeguati a così arduo ministero.

Troviamo in certe nostre note personali a tale riguardo: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio non già perché io vi abbia qualche attitudine, o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva». Vi confidiamo questo nostro sentimento non certo per fare atto pubblico, e perciò vanitoso, di umiltà, ma perché anche a voi sia dato godere della tranquillità che ne proviamo noi stessi, pensando che non la nostra mano debole e inesperta è al timone della barca di Pietro, sì bene quella invisibile, ma forte ed amorosa, del Signore Gesù. E vorremmo così che anche in voi, come in tutta la Chiesa, turbata talvolta per le debolezze che la affliggono, avesse a prevalere il senso evangelico di fede-fiducia, richiesto da Cristo ai suoi seguaci, e non avesse mai la paura o lo scoraggiamento ad intristire l’ardimento ed il gaudio dell’operare cristiano. Quanto a noi, andiamo ancora ripetendo nel cuore la parola d’un altro grande Papa, Leone I, inserita in uno dei suoi classici sermoni pronunciati proprio nella celebrazione annuale della sua elevazione al Pontificato: dabit virtutem, qui contulit dignitatem, darà la forza, Colui che ha conferito la dignità (Sermo II; PL 54, 143).


CONSAPEVOLEZZA DI TOTALE SERVIZIO

A proposito di dignità, un’altra impressione provammo allorquando, dopo la famosa fumata bianca, ci sentimmo circondati da ogni sorta di omaggi, ed ebbimo qualche coscienza, con pericolo di vertigine, dell’altezza della nostra funzione apostolica, e subito l’avvertenza del distacco che poteva derivarne, per la nostra modesta persona ed anche per il nostro eccelso ministero, dalle persone care, dai nostri amici, e specialmente dal popolo per il cui bene spirituale eravamo investiti della sublime ed eccezionale dignità di Vicario di Cristo. La scala gerarchica può forse talora costituire una distanza fra l’eletto e la comunità, e generare coscienza di privilegio. Noi, rievocando quella giornata (come quella, del resto, del nostro ingresso ufficiale a Milano, accanto all’onorevole Sindaco, l’ottimo e valente Prof. Virgilio Ferrari), dobbiamo ringraziare il Signore di essere stati interiormente invasi da un sentimento di immensa simpatia per coloro al cui servizio noi eravamo deputati; avvertimmo nell’intimo del cuore la nostra nuova definizione: servo dei servi di Dio, con tutte le sapienti esortazioni pastorali d’un altro nostro predecessore, lontano nel tempo e vicino nel magistero, S. Gregorio Magno; ma ancor più su di lui ci sembrò vibrante e profonda la voce stessa di Cristo: amas me plus his? ecco il privilegio vero del Papa: mi ami tu, Simone Pietro, figlio di Giovanni, più degli altri? Pasce!, sii pastore! (Cfr.
Jn 21,15) Autorità e carità diventavano, come in visione interiore, una cosa sola; una cosa così grande da dilatarsi fino ai confini del mondo, e da estendersi a tutti i bisogni dell’umanità; comprendemmo in un lampo la missione sociale della Santa Sede. Una cosa così vera, dall’intuirne la finale, segreta sostanza: l’unità della Chiesa, e anche del mondo, in un certo senso; come pure, nell’ora suprema della sua vita nel tempo, Gesù aveva auspicato, parlando estaticamente al Padre: «siano tutti uno, come Noi lo siamo» (Jn 17,11).

Noi comprendemmo allora il paradosso, che ancora fa ostacolo alla consumazione dell’ecumenismo: il primato di Pietro. Esso non è lo spettro repellente dall’unità, ma il faro che all’unità deve guidare per fare della cristianità divisa un solo Popolo di Dio (Cfr. Ep 4,3-7). Allora, ed ancora lo pensiamo, nostro sogno; o meglio, nostra speranza. Tante, tante altre cose, come potete immaginare, affluirono allora come torrenti nel nostro cuore, per fargli sentire la necessità di tenersi sospeso alla virtù di Dio più che appoggiato sulla sabbia terrena; ed il bisogno, Fratelli e Figli carissimi, dell’aiuto della vostra comunione e della vostra preghiera.

Ve ne sia stimolo e premio la nostra Benedizione Apostolica.


La Piccola Opera della Divina Provvidenza

Sono presenti all’udienza di stamane anche i rappresentanti della Piccola Opera della Divina Provvidenza, convenuti a Roma allo scopo di verificare le deliberazioni del loro Capitolo Generale, in ordine specialmente alle nuove Costituzioni e agli Statuti Generali.

Vi salutiamo, figli carissimi, con l’affetto con cui siamo soliti accogliere i tanto benemeriti membri della famiglia religiosa di Don Orione. Sappiamo che la festività liturgica di San Luigi dà a questo vostro incontro col Papa una particolare impronta di letizia e di riconoscenza; ne prendiamo atto per riconfermare la benevolenza e la fiducia che abbiamo sempre nutrito verso di voi. La vostra presenza nel mondo è l’eco tuttora viva degli esempi e degli insegnamenti del vostro incomparabile Fondatore, che fece della carità di Cristo la ragione di tutta la sua vita, la sorgente di una generosità che non conobbe limiti, la molla segreta di uno slancio apostolico verso i piccoli, i poveri e le classi lavoratrici, che ha suscitato l’universale ammirazione e che trova in voi i degnissimi ed instancabili continuatori. Noi siamo certi che i lavori della vostra Assemblea Generale costituiranno per tutti i vostri confratelli un nuovo stimolo sulla via della perfetta conformità a Cristo e del servizio dei fratelli più bisognosi secondo la vostra specifica vocazione. La nostra preghiera vi accompagna in tale luminoso cammino, e vi invoca fin d’ora copiose grazie celesti, delle quali vuol essere pegno la nostra Apostolica Benedizione, che di gran cuore impartiamo a voi, qui presenti, e a tutti i membri della vostra Congregazione religiosa.

Pellegrini di Ungheria

Il nostro saluto si rivolge ora con paterno compiacimento al gruppo di pellegrini ungheresi venuti da diverse parrocchie della diocesi di Vác.

Siate i benvenuti, figli carissimi! Con questo pellegrinaggio, intrapreso a costo di non pochi sacrifici, voi desiderate esprimere i sentimenti del vostro amore e della vostra devozione al Papa, nel giorno anniversario della Sua elezione al Sommo Pontificato. Comprenderete allora facilmente quanto sia grande la nostra soddisfazione di potervi accogliere, di ringraziarvi per il delicato pensiero e di assicurarvi l’assistenza della nostra preghiera per voi, per i vostri familiari e per la vostra cara Patria, che noi tanto amiamo.

Che il Signore vi aiuti a mantenervi sempre saldi in quella fermezza di fede e di propositi di vita cristiana, che siete venuti a testimoniare e ad alimentare presso la tomba del Principe degli Apostoli; e conceda a voi, ritornati in Patria, di conservare a lungo nei vostri cuori la gioia, che oggi esperimentate in maniera tutta particolare, di appartenere alla grande, universale famiglia della Chiesa Cattolica.

A tal fine vi impartiamo con effusione di cuore la propiziatrice Apostolica Benedizione.

Sacerdoti dell’arcidiocesi di Milano

Ultimi nella mattinata , ma particolarmente graditi, sono giunti al Papa i voti augurali dell’Archidiocesi di Milano per il nono anniversario dell’elezione al Pontificato. Glieli ha recati un folto gruppo di sacerdoti che hanno ricevuto l’ordinazione venticinque anni or sono, insieme ai quali era una rappresentanza dei sacerdoti che celebrano quest’anno il cinquantesimo anniversario dell’inizio del loro ministero. Era presente all’udienza Monsignor Corbella, della Curia Arcivescovile di Milano.

Il Papa manifesta il suo compiacimento per il ‘momento di comunione spirituale consentito dalla odierna ricorrenza e dalla memoria dell’anniversario dell’ordinazione dei visitatori. Fa poi un accenno all’attuale crisi, alla contestazione di cui si vuol circondare il sacerdozio, invitando i presenti alla fiducia e alla sicurezza. Li esorta a rendere grazie ogni giorno al Signore per il dono che ha fatto loro, ed a prendere coscienza del grande valore di ciò che hanno ricevuto. Quindi Paolo VI invita i sacerdoti milanesi a guardare con serenità all’avvenire, e a non lasciar passare alcun giorno senza aver riempito l’anima del colloquio con Dio e senza essersi adoperati per irradiare i tesori di cui sono dispensatori e custodi. «Abbiamo ancora tanto da fare» - dice - sottolineando peraltro che col tempo crescono anche le possibilità oggettive di espletare il compito apostolico.

Paolo VI assicura quindi ai presenti il suo ricordo e la sua preghiera. Segue uno scambio di doni: i sacerdoti offrono al Papa tre calici; egli dona loro copie del volume contenente i suoi discorsi per la Settimana Santa e la Pasqua. Infine il Santo Padre imparte la Benedizione Apostolica, intrattenendosi poi ancora affabilmente con questi ospiti la cui presenza richiama alla sua memoria tanti ricordi.

Giammai siano offuscate la purezza e la grazia della Prima Comunione

Vi esprimiamo, carissimi figliuoli, tutta la nostra letizia per questo incontro, ormai abituale, con gruppi sempre più numerosi di fanciulli, che vogliono vedere, sentire il Papa, il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, per manifestargli il loro ardente amore. Ed eccoci oggi in mezzo a voi, come il Padre in mezzo ai suoi figli prediletti, perché i più piccoli.

Sappiamo che parecchi di voi hanno ricevuto in questi giorni, per la prima volta, Gesù presente nel sacramento dell’Eucaristia, in un incontro unico e singolare, nel quale Egli, Verbo di Dio fatto uomo, si è donato completamente a voi, come si donò agli Apostoli nell’ultima cena.

Che la gioia, la purezza e la grazia della Prima Comunione non siano mai offuscate o diminuite nel vostro cuore. Al dono infinito di Gesù dovete rispondere, giorno per giorno, con quella grande generosità, di cui voi fanciulli siete veramente capaci. Approfondite questa soprannaturale amicizia con Gesù attraverso la meditata lettura della sua Parola, contenuta nel Santo Vangelo, ma specialmente moltiplicando nella vostra vita gli incontri con Lui nell’Eucaristia.

E a voi, alunni degli Istituti Italiani, venuti nella Città Eterna per ammirarne i monumenti storici e le bellezze artistiche, desideriamo dire il nostro paterno affetto. Nelle vostre famiglie, nella scuola siate sempre un autentico esempio concreto di vita cristiana, in una gioiosa adesione alla dottrina di Cristo, in una carità fattiva verso i poveri e gli umili, in una purezza limpida e serena.

A tutti voi, alle vostre famiglie, ai vostri educatori ed insegnanti impartiamo di cuore la propiziatrice Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 28 giugno 1972


Paolo VI Catechesi 7672