Paolo VI Catechesi 28672

Mercoledì, 28 giugno 1972

28672
Domani è S. Pietro. È la festa del primo Apostolo, celebrata a Roma, già fino dal terzo secolo insieme con la festa di S. Paolo, cioè: «quella di S. Pietro in Vaticano; quella di S. Paolo sulla via Ostiense; di entrambi alle catacombe», dove ora si trova la basilica di S. Sebastiano (Cfr. KIRSCH, Jahrbuch f. Lithurgiewiss., 1923, 38, riassumendo il Martirologio così detto Geroniminiano; M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro, p. 141 ss.).

Grande festa, a Roma specialmente, come si sa; l’Urbe sembra risvegliarsi nelle sue venerande memorie, tanto più care e stimolanti ora che i recenti scavi e gli studi nuovissimi ci hanno dato la commozione e la gioia della confermata autenticità della tomba e anche delle reliquie dell’Apostolo Pietro, custodite sotto la cupola della Basilica a lui dedicata.

Ma può succedere questo: che la meraviglia e la venerazione delle cose consuete e vicine si attenuano, se la riflessione non ce ne ricorda il senso ed il valore. Bisogna riflettere. E la riflessione, la quale ci porterebbe a profonde e interminabili escursioni nella sacra Scrittura, nella Teologia, nella Storia, nell’Agiografia, e soprattutto nell’Ecclesiologia, ci è facilitata e semplificata, ad uso almeno di questo nostro breve sermone popolare, dai simboli di cui la figura di Pietro è circondata.


IL NOME

A cominciare proprio dal nome stesso di Pietro. Conoscete il racconto evangelico (Cfr.
Mt 16,18). Chi diede questo nome a Simone, figlio di Giovanni? perché tale era il suo nome originario. Fu Gesù Cristo stesso, che, dopo la dichiarazione ispirata, fatta a Lui dall’Apostolo: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo», proclamò: «. . . e Io dico a te, che tu sei Pietro, e su questa Pietra, Io edificherò la mia Chiesa». Che cosa comporta questa metamorfosi, operata da Cristo stesso, di Simone trasformato in Pietro, e messo al posto della pietra angolare della costruzione progettata da Cristo; posto che solo al Signore stesso deve spettare? (Cfr. Mt 21,42 Ac 4,11 Rm 9,33 1P 2,6) Quali concetti richiama, quali doveri impone, quali prerogative conferisce, quali disegni divini rivela, quale ecclesiologia stabilisce, quale prodigio storico permanente annuncia . . . la scelta d’un tale nome inventato ed imposto dal Signore al suo discepolo, il quale, umanamente parlando, non sembrava esservi predisposto? Provate a pensarci (Cfr. S. Aug. Sermo 293; PL 38, 1348).


LE CHIAVI

Un altro simbolo: le chiavi. Cristo a Pietro preannuncia la consegna delle chiavi. Quali chiavi? «Le chiavi del regno dei cieli» dice il Signore. Che cosa vuol dire? le chiavi indicano la potestà, indicano la facoltà di disporre, di aprire e di chiudere per incarico del padrone di casa. Di quale casa? il regno dei cieli, cioè l’economia della salvezza, il disegno misterioso dell’ordine soprannaturale nascosto da secoli e instaurato da Cristo fra Dio e gli uomini (Cfr. Col 1,26 Ep 1,7 ss.). «Il dono delle chiavi è dunque l’investitura del potere su tutta la casa» (LAGRANGE, MT 16,13). Pietro, e con lui il collegio degli altri Apostoli, è nominato intermediario necessario per l’accesso regolare al regno dei cieli . . . Anche questo simbolo così semplice e così chiaro, ma così denso di significato, invita a pensare.


LA RETE

E la rete? la vedete appesa sulla porta della Basilica, stilizzata in forma abbastanza strana, ma che dice il concetto, e tanto basta. Il concetto, qual è? È quello che ricorda l’umile, ma bella professione di Simon Pietro. Egli era pescatore. E Gesù si vale di questa qualifica, relativa al mestiere del discepolo e di altri parimente con lui, per significare sotto la figura della pesca la missione a cui Pietro e gli Apostoli saranno destinati: «Vi farò diventare, dice il Signore dopo Ia sorpresa della pesca miracolosa, pescatori di uomini!» (Mt 4,19). Pescare gli uomini! Cioè: avvicinarli, conoscerne i costumi ed i bisogni, saperli aspettare, sapersi adattare alla loro mobilità, avere l’arte di attrarli, il cuore capace di amarli, la sapienza di convincerli; ecco l’ufficio apostolico, ecco l’esercizio d’un ministero paziente, ecco la prospettiva di un’estensione universale della predicazione evangelica, ecco la tacita promessa di Cristo, che la temeraria impresa di convertire a Lui il mondo potrà avere, non per abilità umana, e nonostante l’ostinata resistenza degli uomini, ma per divina virtù, un insperato esito felice.


LA BARCA

Pietro pescatore ci fa pensare ad un altro segno che lo caratterizza: la sua barca; quella barca sulla quale salì Gesù come sopra una cattedra, ed ivi seduto ammaestrava le turbe «raccolte sulla riva del lago di Genezareth» (Lc 5,3); quella barca donde Gesù ordinò di lanciare le reti, e furono piene di pesci a tal punto che un’altra barca fu chiamata al soccorso, ma non senza temere che entrambe facessero naufragio, così che Pietro, uomo del mestiere, notò subito il carattere miracoloso del fatto e proruppe in uno stupendo atto di umiltà, cadendo in ginocchio davanti a Gesù ed esclamando: «Via da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Ibid. Lc 5,8); quella barca, su cui Gesù, sedendo a poppa (v’era, osserva Marco forse informato da Pietro, anche un cuscino), misteriosamente s’addormentò; e infuriando un’improvvisa tempesta, i discepoli atterriti lo svegliarono, e Gesù alzatosi intimò al vento furioso di calmarsi e al mare fremente di tacere; e subito fu grande calma (Mc 4,35-41); quella barca, che sembra simboleggiare l’aspetto mobile e relativo della Chiesa, che naviga sulle onde del tempo e della storia, e che ancora figura come stemma di Pietro nel sigillo adoperato tuttora per dare autenticità ai documenti più gravi della Chiesa, segnati dall’«anello del Pescatore».


IL GALLO

E ancora un altro segno ci narra la storia di Pietro, il gallo. Quel gallo implacabile che cantò nella notte della negazione, la notte del processo di Gesù, come Gesù aveva predetto: «Prima che il gallo canti per la seconda volta, mi rinnegherai» (Mt 14,72). Pietro uomo ci appare nella sua drammatica complessità psicologica, nella sua fragilità umana; era buono, sincero, era esuberante di sentimenti e di parole; si fidava, così trasportato dal suo entusiasmo, si fidava di sé, Il demonio prevalse su di lui (1P 5,8). E subito la paura l’invase, e negò, e mentì alla fedeltà e all’amore: «Non lo conosco!» (Mc 14,71). Per fortuna - oh! quale bontà di Cristo per il suo debole e prescelto testimonio! - Gesù, proprio in quel momento, «si voltò e guardò Pietro» (Lc 22,61); e tanto bastò per sconvolgere nel rimorso e nel pianto il povero apostolo, che fuggì, ma non disperò. Gesù gli aveva anche predetto ch’egli si sarebbe ripreso e che sarebbe stato poi suo compito di «confermare i suoi fratelli» (Ibid. Lc 22,32).

Possiamo concludere questa serie di simboli ricordando l’ultimo, quello del Pastore, altro titolo proprio di Gesù, che il Signore risorto, dopo aver fatto salire dal cuore di Pietro tre volte la professione dell’amore, tre volte gli affida la missione d’essere per eccellenza il pastore del gregge di Cristo; il pastore, in sua vece, della sua Chiesa (Jn 21,15 ss.). Meditate: Pietro Pastore, vivente nei suoi successori, «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità» (Lumen Gentium LG 23), nella fede, nella speranza, nella carità!

Chi ora vi parla, esulta e trema rievocando queste immagini evangeliche, relative a Pietro, in cui oggi la Chiesa onora Gesù Cristo; e voi potete comprendere perché. Abbiate allora, Fratelli e Figli carissimi, una preghiera anche per noi, che indegni, ma veri successori di Pietro, tutti di cuore vi benediciamo.


Pellegrini di Acireale

Un particolare saluto desideriamo rivolgere ai numerosi pellegrini di Acireale, i quali, in occasione del primo centenario della esecuzione della Bolla Pontificia che istituiva la loro Diocesi, sono venuti a Roma, per manifestare la loro fede indefettibile in Cristo e la loro costante devozione alla Cattedra di Pietro.

Vogliamo esprimervi in questa lieta circostanza, carissimi figli, il nostro compiacimento per la generosa e fattiva vitalità dimostrata dalla vostra Diocesi nelle molteplici opere sorte sotto la guida di Vescovi operosi ed esemplari, come Monsignor Giambattista Arista, del quale è in corso il processo informativo di Beatificazione, Monsignor Salvatore Russo, da noi conosciuto, e per 32 lunghi anni vostro amato Pastore, e il venerando Cardinale Fernando Cento, il quale nel suo, pur breve, servizio episcopale nella vostra Diocesi, ha lasciato una profonda orma di bontà pastorale.

Noi auspichiamo che questa ricorrenza centenaria non sia soltanto una celebrazione del passato, ma un invito e uno sprone per il futuro. A voi, fedeli di Acireale, ma, in particolar modo, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai seminaristi, ai laici impegnati nei vari campi dell’apostolato, vogliamo raccomandare che siate saldamente radicati nel Cristo, mediante una inconcussa fedeltà al suo Vangelo e una perfetta unione con i vostri Pastori, affinché si manifesti, sempre più, nella vostra Comunità diocesana la presenza e l’opera salvifica della Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e Apostolica (Cfr. Christus Dominus CD 11).

Con questi voti e in segno della nostra paterna benevolenza, vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Sacerdoti di Napoli

Occasione di particolare conforto è per noi accogliere in questa Udienza il nostro venerabile Fratello Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli, e il gruppo di sacerdoti da lui guidati nella circostanza del XXV della loro ordinazione sacerdotale.

La vostra esultanza, carissimi figli, non può non essere da noi condivisa e incoraggiata per le nobili motivazioni di cui è espressione sincera.

Essa ci manifesta, infatti, la vostra testimonianza di fedeltà a Cristo Eterno Sacerdote e alla Chiesa sacramento di salvezza: a Cristo, che vi ha scelti, vi ha chiamati e amati con amore di predilezione, che vi ha sostenuti durante le fatiche del vostro ministero; alla Chiesa, che maternamente vi ha seguiti con i suoi consigli e le sue esortazioni, sempre disposta a comprendere le vostre aspirazioni, a stimolare le vostre forme di apostolato, a dimostrarvi piena fiducia. Lasciate, pertanto, che ci congratuliamo con voi per il bene che, con l’aiuto del Signore, avete sinora operato in mezzo al Popolo di Dio, certi come siamo che non lascerete trascorrere quest’ora di grazia senza riconsiderare, con impegno pari alla grandezza del dono ricevuto, la dignità della vostra missione di testimoni e di maestri di verità.

Facciamo voti che, a imitazione del divin Maestro, sappiate sempre dispensare la verità e la grazia, avvalorando il vostro servizio sacerdotale con l’esempio della vita, santificata dalla preghiera e dal sacrificio.

Con tale auspicio, paternamente vi benediciamo.

L’Istituto Teologico per Laici «S. Tommaso d’Aquino»

Desideriamo ora porgere un cordiale benvenuto al gruppo degli iscritti al corso di teologia, promosso dall’Istituto Teologico per Laici «San Tommaso d’Aquino», con sede nella città di Sora. Siamo lieti di rilevare l’importanza di questa Istituzione, rispondente alla necessità di intensificare nel Popolo di Dio la conoscenza delle dottrine sacre per la «formazione di un maturo laicato cristiano» (Ad Gentes AGD 21), e dovuta allo zelo del Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo, Monsignor Carlo Minchiatti, qui presente; a lui e a quanti lo coadiuvano vada la nostra gratitudine e il nostro plauso.

Ma noi confidiamo che primi a comprendere il valore di questa iniziativa pastorale, siate voi, figli carissimi, che ad essa avete aderito con entusiasmo. Vi esprimiamo il nostro compiacimento per l’impegno così dimostrato, e in pari tempo vi ringraziamo per la testimonianza di devozione filiale, che avete voluto offrirci con l’odierna visita. Ed eccovi la nostra esortazione: procurate di perseverare nello studio approfondito delle sacre dottrine, per trarne costante alimento al vostro spirito, e per attingervi l’aiuto necessario a pensare e ad agire nella pienezza cosciente della vostra fede. Saprete così apprezzare anche meglio lo sforzo che la Chiesa in questi anni sta facendo, con sofferta fedeltà e con pastorale bontà, per promuovere il rinnovamento religioso; e sarete stimolati a diventare voi stessi gli apostoli della verità, in adesione riconoscente ai maestri della fede, e nel generoso adempimento del dovere che il Concilio Vaticano II ha tratteggiato per tutti i laici cristiani, affinché vivano la propria vocazione configurati a Cristo Signore, a servizio dei propri fratelli.

In questo senso noi auguriamo il felice conseguimento delle finalità a cui tende l’Istituto Teologico per Laici, intitolato al grande Dottore della Chiesa San Tommaso d’Aquino. Avvaloriamo i nostri voti con la propiziatrice Benedizione Apostolica, che ci è caro impartire a ciascuno di voi e ai vostri docenti, e con particolare pensiero al vostro degno Pastore, estendendola altresì all’intera Comunità diocesana, affidata alle sue sollecitudini pastorali.

L’arciconfraternita della Misericordia di Firenze

Un particolare saluto rivolgiamo ora al pellegrinaggio della Arciconfraternita della Misericordia di Firenze, venuto a portarci l’attestato della propria devozione e a chiedere una parola di incoraggiamento e di benedizione.

Noi siamo in dovere di concedervela, carissimi figli, questa parola, perché il vostro antichissimo e tuttora fiorente sodalizio la merita per diversi titoli: per il numero dei suoi iscritti, per il suo spirito e le sue finalità, per il suo tradizionale attaccamento alla Santa Chiesa, e soprattutto per la sua attività, benefica e sollecita, a favore di tanti ammalati ai quali porta l’impareggiabile conforto di una assistenza fraterna sia negli ambulatori, sia a domicilio, sia negli ospedali, nei ricoveri, negli orfanotrofi. Per quest’opera di vera misericordia che voi svolgete, figlioli, siate benedetti dal Signore. E permetteteci di rivolgervi una duplice raccomandazione: amate la vostra associazione! Essa è una grande scuola per voi. Vi rende sensibili alle necessità del prossimo e affina in voi i più nobili impulsi del cuore, per lo spirito di sacrificio che esige. E inoltre la vostra attività continui con sempre rinnovato impegno nel solco regale della genuina carità cristiana: è tanto più facile, tanto più bello, tanto più meritorio, quando si assiste il dolore umano per amore di Cristo, il grande misterioso Paziente, che soffre in ciascuno di coloro sui quali si curva la vostra premurosa sollecitudine.

Noi chiediamo perciò al Signore di benedire le vostre molteplici iniziative; e mentre vi ringraziamo della visita, impartiamo di gran cuore a voi e a tutti i vostri soci la nostra Apostolica Benedizione.

Neo-comunicati di varie regioni

Ancora una volta si rinnova nel nostro spirito la gioia di trovarci tra i fanciulli e gli adolescenti, i prediletti di Gesù, tra i quali Egli amava sostare, abbracciandoli e indicandoli a esempio da imitare: «Se non diverrete come uno di questi piccoli, non entrerete nel Regno dei Cieli» (Cfr. Mt 18,3).

Come al Salvatore Divino, che ha voluto chiamarci ad essere suo umile rappresentante, anche a noi è caro soffermarci in mezzo a voi, per dirvi la nostra benevolenza, la nostra speranza, il nostro compiacimento.

Ci sono tra voi coloro, che per la prima volta hanno ricevuto Cristo Signore nell’Eucaristia, iniziando una consuetudine di amicizia con lui, che non si dovrà troncare più, ma crescere d’intensità e di convinzione man mano che passeranno gli anni; altri sono alunni di Scuole medie che, terminati i loro corsi, hanno fatto un altro passo in avanti nella formazione alla vita, alle cui responsabilità si preparano con lo studio e con la padronanza di sé.

Agli uni e agli altri diciamo con intimo affetto: restate fedeli ai propositi che vi hanno animato finora; fate sempre onore a Cristo con una vita gentile, buona e generosa, spesa per un ideale che valga; non mettete mai in pericolo la ricchezza della fede, che avete approfondito, e la santità della vita, che l’incontro col Signore ha improntato della sua forte presenza; e - ve lo diciamo con San Paolo, di cui nove anni fa scegliemmo il nome - «siate sempre lieti nel Signore, siate lieti . . . Tutto ciò che vi ha di vero, di nobile, di giusto, di puro, di amabile, di onorevole, tutto ciò che è virtuoso e degno di lode, questo formi l’oggetto dei vostri pensieri» (Ph 4,4 Ph 4,8). La vita, cristianamente vissuta, è bella, è grande, è destinata ad alte mete, e merita di essere accettata nella sua totalità, come risposta al Signore che ci ha amati per primo, e attende il nostro impegno di servizio, a lui ed ai fratelli.

Lo farete sempre, vero? Ne siamo certi; e, per confermare questi voti, di cuore vi impartiamo la nostra Benedizione Apostolica, che estendiamo anche ai vostri genitori ed educatori. Tutti accompagni la grazia del Signore!

Visitatori giapponesi

We are happy to speak a special word of greeting to the Japanese pilgrims from the Parish of Saint Elizabeth in Tokyo. We welcome you as representatives of the Church in Japan and of your noble nation. We greet the priests as members of the Franciscan family, which has a long tradition of serving Christ in the persons of the poor. And we thank you warmly for coming to visit us, in spite of the sacrifices that such a journey has involved.

Un coro olandese

Liebe Sänger und Pilger aus Holland!

Von herzen begrüssen Wir Sie in der Ewigen Stadt und heissen Sie willkommen hier in der neuen Audienzhalle. Wir danken Ihnen, auch im Namen der hier anwesenden Pilger, für Ihre ausgezeichneten gesanglichen Darbietungen.

Ihr Name «Deo Sacrum» zeigt deutlich die hohen Zielsetzungen Ihres Chores. Denn die Pflege der Kirchenmusik bedeutet für Sie eine heilige Aufgabe: Sie verherrlichen Gott und erheben die Herzen Ihrer Zuhörer zur Gottesliebe. Die Heilige Schrift wie auch die Kirchenväter haben den gottesdienstlichen Gesängen hohes Lob gespendet. Und das Zweite Vatikanische Konzil betont in seiner Konstitution über die Liturgie: «Der Schatz der Kirchenmusik möge mit grösster Sorge bewahrt und gepflegt werden».

Fahren Sie also fort, liebe Sänger, mit froher Begeisterung zur Ehre Gottes und zur Erbauung der Mitmenschen das geistliche Lied zu pflegen. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden von Herzen Unseren Apostolischen Segen.



Mercoledì, 5 luglio 1972

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Noi prendiamo lo stimolo a questo breve colloquio dalla stagione in cui ci troviamo. Siamo in questo atteggiamento tutti figli del nostro tempo; cioè facciamo dell’esperienza, vissuta in un dato momento, il libro dei nostri pensieri. La stagione estiva offre a ciascuno un’esperienza nuova; ciascuno durante le così dette vacanze, chi più, chi meno, è messo a contatto con luoghi diversi, con forme di vita insolite, con conoscenze nuove, con esperienze originali. Chi ripensa dentro di sé queste forme inconsuete, fossero pure del tutto occasionali e superficiali, di esperienze (come avviene, ad esempio, viaggiando), è sollecitato a proporsi uno dei più grandi e complessi problemi: che cosa è la vita? che cosa la qualifica in modo essenziale?

Nasce da questa elementare, ma fondamentale questione una prima risposta, che vale la pena di ricordare; la vita è fatta per l’azione; non è statica, è dinamica; essa cambia, si sviluppa, si muove, cerca, desidera, lavora, tende a qualche scopo. Non basta esistere, bisogna impiegare l’esistenza per raggiungere qualche cosa di nuovo, di più, di perfetto, di buono, di felice. Se l’esperienza ha risvegliato in noi questa concezione della vita in cerca d’un fine, noi siamo arrivati alle soglie del problema morale, problema umano per eccellenza; se l’azione infatti, che dà incremento e significato alla vita, impegna ciò che in noi vi è di più umano, il pensiero, la volontà, e perciò la libertà, dire atto morale e dire atto umano è la stessa cosa (Cfr. S. TH.
I-II 1,3). Questa prima osservazione è già una conquista, che inviterebbe a farvi sosta con altre riflessioni, tra cui questa per ora ci basti: non si può prescindere dal valore morale della nostra vita.

Ora qui nasce una seconda osservazione; ed è questa: nel mondo in cui viviamo esiste, anzi resiste ancora un sistema morale, il quale imprima alla vita il suo volto umano, quale noi finora siamo abituati a considerare normale e autentico? Notiamo alcuni aspetti generali del nostro tempo, dai quali la nostra vita è profondamente sconvolta. Per esempio, uno degli aspetti più generali della storia presente è il cambiamento: tutto cambia. Non vi è angolo della nostra vita che rimanga immune da cambiamento. Ogni scienza, ogni arte, ogni attività, ogni rapporto sociale, ogni fenomeno collettivo, come la scuola, i trasporti, l’economia, l’assistenza sanitaria e sociale, i quadri legislativi e politici . . . . tutto cambia, la mentalità pubblica, il costume, . . . tanto che la storia del nostro tempo si caratterizza con i termini di evoluzione, di progresso, di rivoluzione. Il «tipo» umano non muta anch’esso? Che cosa rimane di umano, di morale, in tanta vertiginosa trasformazione della vita? Noi possediamo un patrimonio ereditato di concetti, di valutazioni, di tradizioni . . . Che cosa è da conservare? che cosa da mutare?

Anche nel campo della Chiesa, custodito da secoli, quante forme di vita, quante usanze, quanti valori subiscono un processo critico circa la validità della loro permanenza; l’«aggiornamento», di cui tanto si parla, si traduce forse in un trasformismo, che altera non solo i connotati esteriori della vita ecclesiastica: lingua, abito, rito, attività . . . . ma altresì i concetti interiori su cui si fonda, la fede, il culto, la compagine di carità e di disciplina? Avvertiamo tutti, da un lato, che qualche cosa può e forse deve essere cambiato, ma nello stesso tempo, sappiamo d’altro lato che qualche altra cosa è così importante (non foss’altro per certo valore suo proprio, come l’arte, la storia, la tradizione, il tesoro di istituzioni e di civiltà accumulato nei secoli . ..). ed è così essenziale, come la verità divina e la costituzione ecclesiastica che ne è derivata autorevolmente e legittimamente, che non deve cedere a questa travolgente ondata di trasformismo, di abdicazioni, di infedeltà, ma deve essere difeso, conservato, riaffermato, rinnovato nel sentimento interiore e nelle forme esteriori, assolutamente.

Cioè, siamo davanti ad un dovere nuovo, proprio del nostro tempo, quello del discernimento fra ciò che è caduto, o forse meglio: perfezionabile, e ciò invece che dev’essere stabile e fisso, pena la vita, vogliamo dire la ragion d’essere inalienabile e permanente. Diciamo subito: questo discernimento non lo potremo compiere arbitrariamente da noi stessi. Membri, come siamo d’un corpo sociale organizzato e civile, dovremo essere riflessivi e rispettosi di quanto la società legittima e stabilita ci ordina e ci comanda; un problema d’autorità subito si impone, anche se questo non vieta soluzioni evolutive, che oggi anzi le costituzioni civili ammettono e promuovono. E ciò tanto più nel corpo sociale e mistico, che si chiama la Chiesa, nel quale l’elemento divino esige un continuo sforzo di perfezionamento, e nel tempo stesso impone un ossequio fedele, fino all’eroismo, alla sua identità dogmatica ed ortodossa, tutelata e custodita, insegnata e interpretata da un’autorità legittima, a cui divinamente è stato commesso questo servizio di carità per la verità.

Ma concludiamo subito con due osservazioni, anzi due esortazioni.

La prima: dobbiamo renderci conto senza timore e senza interiore sfiducia verso il nostro tempo, che la Provvidenza ci ha fatto nascere in un’ora storica come la nostra, caratterizzata, dicevamo, dal cambiamento, dal progresso. Procuriamo di capire questa condizione dell’umanità in via di sviluppo, e benediciamo con cuore saggio ed aperto le cose buone che lo sforzo umano sa offrire alla vita umana.

La seconda: non lasciamoci prendere dal capogiro delle metamorfosi che avvengono intorno a noi; ché anzi procuriamo di scoprire in esse un bisogno tanto più logico di principii superiori che devono fare da cardini ai movimenti in cui siamo impegnati, affinché questi non siano né travolgenti, né anarchici, né amorfi, ma piuttosto inviti ed impulsi a percorrere nel tempo le vie di Dio, che oltre il tempo ci devono condurre.

Con la nostra apostolica benedizione.

Il Centro di Aggiornamento Pastorale

Abbiamo la consolazione di ricevere i circa trecento partecipanti alla XXII Settimana Nazionale di Aggiornamento Pastorale, promossa dal Centro di Orientamento Pastorale, sotto gli auspici della Conferenza Episcopale Italiana, sul tema «Uomini nuovi per una comunità nuova». Il valore dell’iniziativa, l’importanza dell’argomento, il numero e la qualificazione dei membri, ci rendono particolarmente caro questo incontro, a cui avremmo voluto dedicare, se ce lo avesse consentito il tempo a disposizione, una Udienza particolare, come è avvenuto altre volte.

Ma basti a voi, che siete esperti nel campo dell’azione pastorale, che vi riconfermiamo tutta la stima, la benevolenza e l’interesse con cui seguiamo la vostra attività, e rinnoviamo l’auspicio che essa sia un fermento veramente operante nella realtà ecclesiale italiana. L’ampliarsi assai notevole e significativo dei punti di contatto tra il Centro di Orientamento Pastorale e le varie istituzioni che operano sul piano pastorale, ciascuna secondo le proprie competenze, che quest’anno partecipano al Convegno, ci dice meglio di ogni parola che il problema della pastorale organica è sempre più profondamente sentito, anche in Italia, e stimola energie e movimenti a mettere in comune le proprie possibilità per non disperdersi, ma per raggiungere meglio i propri fini. Oggi non si può più concepire il lavoro non coordinato; solo la comunione dei reciproci sforzi li integra e avvalora; è finito il tempo dell’isolamento e dell’improvvisazione. Ne abbiamo parlato diffusamente ai vostri amatissimi Vescovi, in occasione della recente Assemblea della C.E.I. (Cfr. L’Osservatore Romano, 18 giugno 1972): e richiamiamo queste idee a voi, non tanto per ribadirne la necessità, quanto per esprimervi il nostro compiacimento, per l’impegno con cui volete vivere questa nuova dimensione dell’odierna azione pastorale: tant’è vero che avete fatto oggetto dei vostri studi Ia comunione ecclesiale, che richiede «uomini nuovi», cioè purificati da un continuo sforzo di conversione per contribuire alla salvezza dei fratelli. Nella Chiesa la realtà della comunione, della koinonia, è essenziale: essa è riflesso dell’intima unità della vita trinitaria; e, come ha detto il Concilio Vaticano II, corrisponde al piano eterno della Rivelazione e dell’alleanza di Dio col suo Popolo nuovo (Lumen Gentium LG 9; Dei Verbum DV 2), è animata dall’azione dello Spirito, che appunto «unifica la Chiesa nella comunione e nel ministero» (Dei Verbum DV 4), e alimentata dal Sacramento della unità, l’Eucaristia. Solo vivendo in questa prospettiva di comunione, bandendo via ogni individualismo o egoistico o disgregatore, si può veramente realizzare il concetto di Chiesa, essere Chiesa, secondo il piano salvifico di Dio.

Possano i vostri studi, e soprattutto la vostra azione, contribuire a realizzare tale impostazione dell’azione pastorale; ve lo auguriamo di cuore, mentre, in pegno della continua assistenza divina, impartiamo a voi, qui presenti, e in particolare a Monsignor Ceriani e ai Maestri del Corso, la nostra Benedizione.

Ex-alunne delle Suore Dorotee

Abbiamo la gioia di incontrarci stamane anche col gruppo delle ex-Alunne Dorotee della Frassinetti, riunite a Roma per il loro primo Congresso internazionale.

Ci fa piacere, ci commuove anzi, figlie carissime, nel vedervi così unite tra voi e con l’Istituto da cui avete ricevuto la vostra educazione cristiana. Ciò significa che il buon seme gettato nelle vostre anime durante gli anni giovanili ha trovato un terreno fecondo. E ci ha procurato non minore consolazione essere informati del vostro Congresso. Si tratta di una iniziativa che molto opportunamente mira a formare in voi una sempre maggiore consapevolezza delle responsabilità del cristiano nell’ora presente.

Desideriamo perciò rivolgervi una calda esortazione a proseguire sulla via intrapresa. La testimonianza della vostra fede nella vita privata e pubblica, il rendervi utili ai fratelli, l’impegno nelle opere di apostolato - sono questi i temi che vi occupano in questi giorni - non costituiscono una pura convenienza suggerita dalle circostanze, ma uno stile di vita a cui ogni cristiano è chiamato, un dovere che traduce sul piano pratico le grandi lezioni del Vangelo, fonte primaria di ispirazione e suprema regola di condotta per i figli della Chiesa.

Vi assista in questo impegno la grazia del Signore, che copiosa invochiamo su voi tutte e sul vostro Congresso, mentre di cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Il «Coetus Internationalis Ministrantium»

Gruppo di Ucraini

We are especially happy to welcome the professors and students of the Ukrainian-sponsored initiative dedicated to a deepening of theological and secular learning. It is our fervent hope that these weeks spent in Rome will be deeply profitable for all of you in knowledge and in faith. As we extend to our greeting we are pleased to express our prayerful affection for the land of your origin and for the religious traditions of the beloved Ukrainian people. To all of you we repeat with the Apostle Paul: "Remember your leaders, those who spoke to you the word of God; consider the outcome of their life, and imitate their faith. Jesus Christ is the same yesterday and today and for ever" (He 13,7-8).

With our special Apostolic Blessing.

Ad alcuni Fratelli separati

We often have the joy of welcoming here, on the historic threshold of Saint Peter’s, visitors from other Christian communions. On this occasion our pleasure is the greater in that you come with Catholic friends. We know that your visit is inspired by and organized for a serious dialogue, part of that search for Christian unity which is a noble sign of our times. Your days are occupied with a common study of Saint Paul’s great Epistle to the Romans, with a discussion of the ethical problems which our age, like others presents to Christians, and with deepening your knowledge of this city which, ever since the blood of martyrs first enriched it, has meant so much in the history of Christianity.

With all our heart we welcome you and invoke God’s blessings on your undertaking, on your country and on all those dear to you.

«Siate missionari di Gesù»

Dopo l'udienza generale abbiamo voluto riservarci il tempo anche per un breve colloquio con voi, fanciulli carissimi, che procurate tanto conforto al nostro animo con la vostra presenza così numerosa e affettuosa, ma pure tanto varia.

Molti di voi si sono accostati per la prima volta alla Santa Comunione. Altri provengono dalle diverse Parrocchie e Scuole d’Italia. Altri ancora sono giunti dalle varie nazioni d’Europa, d’Africa, d’Asia e delle due Americhe: sono i ragazzi del movimento «Generazione Nuova», raccolti nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa per il loro Congresso.

In mezzo a tanta varietà di età, di lingua, di colore, di Nazione, c’è tuttavia una cosa che avete in comune e che riempie il nostro cuore di tanta consolazione: è il vostro ardente amore per Gesù, manifestato dal desiderio di vedere il Papa che, come ben sapete, è il Suo rappresentante sulla terra. Grazie di cuore adunque, figlioli carissimi!

Ed ora cosa vi dirà il Papa a ricordo di questo incontro? quale augurio vi farà? Questo: che il vostro amore per Gesù cresca sempre di più in voi e vi faccia diventare Suoi piccoli missionari. Sì, bambini, poiché missionari di Gesù non sono solo quelli che lasciano la famiglia e la patria per recarsi a predicare Cristo in terre lontane a coloro che ancora non lo conoscono. Ogni cristiano può esserlo, e potete esserlo fin d’ora anche voi. Non occorre per questo compiere imprese straordinarie, ma basta che sappiate irradiare intorno a voi l’amore che portate a Gesù, e che vogliate testimoniare la vostra fede senza rispetto umano e senza paura, anzi con entusiasmo e con gioia, per mezzo della parola e soprattutto dei buoni esempi della vostra vita.

È questo l’augurio che vi facciamo, ed è questo pure il ricordo che vi lasciamo; con la nostra Benedizione Apostolica che di cuore impartiamo a voi e a tutti i vostri cari.



Mercoledì, 12 luglio 1972


Paolo VI Catechesi 28672