Paolo VI Catechesi 27122

Mercoledì, 27 dicembre 1972

27122

È passato il Natale.

E adesso ritorneremo, un po’ stanchi e un po’ frettolosi, alle solite occupazioni, le quali per noi, figli del nostro tempo, sono di solito febbrili, assorbenti, e rivolte al mondo ch’è fuori di noi. Noi viviamo ordinariamente nel campo degli interessi esteriori. Il nostro pensiero, la nostra attività sono estroflessi. Non abbiamo tempo, non abbiamo modo di pensare a noi stessi; vogliamo dire, non sappiamo riflettere, stabilire un po’ di silenzio, un po’ di solitudine, un po’ di tranquillità dentro noi stessi. Anche quando la nostra attività si fa personale, cioè quando pensiamo, leggiamo, studiamo, la nostra attenzione è impegnata al di là d’un atto di coscienza soggettiva. Questo è saputo. Anzi è voluto. Caratteristica del nostro programma di vita è l’intensità delle operazioni esteriori, che occupano il nostro tempo, con orari fissi e serrati, è il lavoro assunto a un grado di pressione estenuante, tal che, appena esso ci concede qualche momento, ora o giorno che sia, abbiamo bisogno di «distrarci», cioè di uscire ancora, con ritmo e con scopo diverso, dal nostro cenacolo interiore, dal colloquio che forse vorremmo fare personalmente con noi stessi; ma abbiamo timore di sentirci soli, nel vuoto e nella noia. Abbiamo timore di scoprire la vanità delle cose (Cfr. il libro dell’Ecclesiaste, designato nella Bibbia col vocabolo ebraico di Qohèlet; e PASCAL, Pensées, 166, ss.). Ma no. Se la celebrazione della festa ha avuto davvero qualche importanza spirituale per noi, essa deve in qualche maniera rimanere, non solo nel ricordo, che subito impallidisce e si confonde nella farragine delle memorie del passato, ma nei motivi ricorrenti del nostro pensiero e negli stimoli della nostra condotta. Rimanere, cioè essere assorbito nella nostra psicologia, e segnare un’impronta nel nostro volto spirituale. Deve rimanere tanto nel dono di grazia, che il Natale avrà portato con sé, quanto nell’efficacia pedagogica, che la partecipazione alla liturgia va gradualmente svolgendo in chi da essa attinge, come da scuola perenne, l’insegnamento della perfezione cristiana.

Rimanere; siamo pratici, che cosa comporta?

Comporta un atto semplicissimo, ma di grande importanza, com’è quella d’un seme che caduto in buon terreno, mette radice, e cresce in vegetazione e alla fine porta frutto (Cfr.
Mt 13,3, ss.); comporta un «pensarci su», un ripensamento, cioè una riflessione, un tentativo di approfondimento, sia speculativo, che affettivo, una meditazione teologica, o puramente spirituale che sia. Il Natale di Cristo è un fatto di tale importanza, un mistero di tale ricchezza, che merita questo secondo momento di considerazione.

Abbiamo in proposito un esempio, che a noi è sembrato sempre di grande interesse. È quello di Maria, la Madre di Gesù. Vi ricordate come S. Luca, quasi a indicare la fonte autentica del suo incantevole racconto circa la notte di Betlemme, lo concluda con questa preziosa testimonianza: «Maria poi conservava (dentro di sé) tutte queste cose, meditandole in Cuor suo» (Lc 2,19). È una confidenza delicatissima e stupenda. Essa ci rivela la vita interiore della Madonna, una seconda forma di far sua la vicenda esteriore della nascita di Gesù, della quale ella, beatissima, era stata la protagonista, la Madre. Ella ripensava, riviveva. Ella stessa cercava di meglio comprendere, di rendersi conto, di tradurre in termini di pensiero e di amore (quale pensiero e quale amore in quell’essere immacolato!), ciò che in lei e mediante lei era avvenuto in termini di fatto, di storia concreta, nelle circostanze esteriori, che noi qualifichiamo come reali. Ella cercava la realtà superiore e totale di tale fatto, nel suo significato profetico, cioè nel pensiero divino, di cui essa era espressione; cercava di penetrare, di afferrare per quanto possibile, di godere il mistero. Ella, come c’insegna il Concilio, progrediva nella fede (Lumen Gentium LG 61-65). Così dev’essere analogamente, noi supponiamo, in ogni madre, che rigenera nel cuore il proprio figlio generato nelle sue viscere; deve essere così che si forma il cuore materno. Ma quale dovette essere questo processo spirituale in Maria, partecipe, come nessun altro, dell’economia divina dell’Incarnazione, se noi troviamo nel medesimo Vangelo di Luca, ripetuto con le stesse parole quel suo atteggiamento contemplativo, a complemento della narrazione dell’episodio, avvenuto dodici anni dopo, dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù fanciullo nel tempio di Gerusalemme? Ripete infatti il Vangelo: «sua Madre custodiva nel cuore tutte queste cose» (Lc 2,51). La devozione e l’imitazione dei devoti di Maria trovano in questo spiraglio della vita interiore di lei uno stimolo delizioso e sapiente. L’esempio sublime parli anche a noi. Diciamo a noi, uomini poveri di vita interiore, perché siamo tanto ricchi di vita esteriore. Non sarebbe bello che il Natale generasse dentro di noi il Cristo interiore? cioè una qualche abitudine alla meditazione, ad un ricordo vivo del grande mistero che abbiamo solennemente commemorato? ad una persuasione di fede, ormai acquisita e riconfortata: bisogna vivere la nostra vita in unione con la vita di Cristo?

Ripensare il Natale: Dio che si fa uomo per stare con noi (Jn 1,13), per conversare con noi (Cfr. Ba 3,38), per esserci compagno di viaggio, amico, maestro, immagine del Dio invisibile (Jn 1,18 Jn 13,9), salvatore, in una parola (Lc 2,11), Natale: un lume che non si deve spegnere; il lume della vita interiore, nostra, personale, che non potrà essere solitaria e desolata, ma quasi insensibilmente si farà dialogo, si farà preghiera. Esperienza nuova, umile, facile, bellissima.

Provateci, figli carissimi.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Religiose cistercensi in partenza per l’Argentina Carissime

Figlie in Cristo, Vogliamo rivolgere un cordiale saluto a voi, religiose della comunità cistercense di Vitorchiano, che vi preparate a recarvi in Argentina, per fondare in quella Nazione un monastero di vita contemplativa.

Mentre vi esprimiamo il nostro compiacimento, desideriamo ricordare che anche oggi, anzi oggi più che mai, è necessaria in mezzo al mondo, come un prezioso seme, la presenza e la testimonianza di voi, anime consacrate a Dio con i santi voti, perché proclamiate e viviate il valore e la gioia della povertà evangelica, che configura a Gesù povero e sofferente; della castità, che è anticipazione di beni futuri; dell’obbedienza a Cristo e alla Chiesa, condizione fondamentale di autentica fecondità spirituale. «Afferrate da Dio - scrivevamo nella nostra Esortazione Apostolica sul rinnovamento della vita religiosa - voi vi abbandonate alla sua azione sovrana, che verso di Lui vi solleva ed in Lui vi trasforma, mentre vi prepara a quella contemplazione eterna, che costituisce la nostra comune vocazione» (Evangelica Testificatio, AAS 63, 1971, p. 502).

Rispondete sempre con tutto il vostro essere all’appello di Dio e fate della vostra nascente comunità un centro di irradiazione del messaggio evangelico, vissuto nell’umiltà, nel silenzio, nel nascondimento, nel sacrificio.

Vi accompagna la nostra preghiera al Signore e alla Vergine, alla cui materna protezione affidiamo i vostri generosi propositi.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Legionari di Cristo sacerdoti novelli

Ecco qui presenti sei novelli sacerdoti del Collegio dei Legionari di Cristo, ai quali fanno corona i loro familiari, venuti dal Messico, dalla Spagna, dall’Irlanda. Carissimi figli e fratelli in Cristo Sacerdote, la vostra presenza ci commuove e ci riempie l’animo di speranza: voi siete i continuatori della missione santificatrice, profetica e regale di Cristo, ai cui poteri voi partecipate a titolo tutto speciale, in virtù del sacerdozio ministeriale, che vi ha segregati per l’Evangelo (Cfr. Rm 1,1) affinché foste tutti consacrati alla Chiesa e alle anime. Questa designazione sacramentale è avvenuta per voi la vigilia della Natività del Signore, del mistero, cioè, che ci ricorda come il Figlio di Dio, entrando nel mondo, si sia offerto totalmente al Padre per fare la sua volontà e donarsi in olocausto per gli uomini (Cfr. He 10,5 Ps 39,7, ss.). La luce, la forza, la ricchezza spirituale di questo giorno santo non si cancelli più dal vostro cuore e vi accompagni per tutta la vita. È l’augurio che vi rivolgiamo, assicurandovi le nostre preghiere per la fecondità del ministero, a cui sarete chiamati; mentre ringraziamo i vostri genitori e familiari che, emulandovi in generosità, vi hanno offerti alla Chiesa. A tutti la nostra Benedizione, che estendiamo ai vostri Superiori e Confratelli.

Approfondire gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana

Un gruppo numeroso di giovani attira oggi la nostra attenzione e merita un particolare saluto: sono i circa duecento partecipanti alle Giornate Internazionali, organizzate a Roma dall’Ufficio Centrale per gli Studenti Esteri in Italia.

Vi accogliamo con particolare affetto, e vi esprimiamo il nostro apprezzamento per il duplice motivo che vi ha mossi a celebrare queste giornate: primo, rendere una testimonianza di fraternità agli studenti asiatici, africani, latino-americani, lontani dalle loro famiglie, facendoli così sentire meno soli in questi giorni del Natale, in cui i ricordi vanno a quanto di più caro abbiamo al mondo, con sentimenti che la luce del Figlio di Dio incarnato rende più intimi e sacri; secondo, per esprimere insieme le vostre idee circa l’elevazione e il progresso umano, civile, sociale di quei Paesi, detti del Terzo Mondo, a cui va la nostra speciale premura e sollecitudine. Voi sapete come tale progresso sia costante preoccupazione nostra e di questa Sede Apostolica, come di tutta la sacra Gerarchia e della Chiesa intera; e auspichiamo che gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana, da voi approfonditi, ispirino sempre il vostro pensiero e la vostra attività, e vi diano un fermento di salutare inquietudine per il bene dei fratelli che soffrono. La vostra generosità per gli altri vi renda più maturi, più aperti, più pensosi del dovere di prepararvi, nello studio e nel severo impegno morale, a essere domani i costruttori di una società sempre più giusta e rispettosa degli umani diritti. È il nostro augurio, che accompagniamo con la particolare Benedizione Apostolica, che estendiamo anche a tutti i vostri cari lontani.

Missionari della Costa d’Avorio

«La Cruz de los Angeles»

Nuestra cordial bienvenida a vosotros, Niños españioles de «La Cruz de los Angeles», de Madrid.

En esta Navidad, habéis querido haceros eco de la Buena Nueva anunciada por el ángel en Belén, llevando a otros niños, corno vosotros, sentimientos de paz y de fraternidad. Que el encuentro con Jesús, nacido pobre y humilde en un portal, os anime en vuestros ideales de servir a Dios en los hermanos.

Con nuestra Bendición Apostólica para vosotros, para vuestros compañeros y para vuestros maestros.





Mercoledì, 10 gennaio 1973

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Una parola solo accenda la nostra riflessione, la parola «dopo». Dopo che cosa? Dopo ciò che costituisce la premessa della nostra vita cristiana. Quale premessa? L’immenso patrimonio di fede e di grazia, che abbiamo ricevuto, e che ci costituisce cristiani, patrimonio sia storico, che personale. Viviamo nella Chiesa, nel flusso della sua tradizione, nella compagine della sua comunione, nella problematica della sua esperienza: la nostra esistenza, se non vuole essere infedele e degenere, non può, non deve prescindere da quanto ci precede nel tempo e che ci è consegnato come tesoro inestimabile. Potremo, nell’atto stesso di diventare coscienti di questo fatto che ci fa eredi d’una forma religiosa di concepire la vita, assumere un atteggiamento critico, non per rinnegare a priori, ma per valutare con giudizio proprio e attivo e per fare la nostra scelta con libera volontà. Ma dovremo sentirci responsabili. Riflettere sul fatto che noi veniamo dopo, e che siamo innestati in una solidarietà, almeno di fatto, con quanto ci precede nel campo della concezione religiosa della vita e del mondo, riveste un’enorme importanza, con momenti interiori forse drammatici, con conseguenze orientative forse fatali.

Questa vicenda postuma può essere considerata in ordine al giudizio generale circa il nostro tempo: la scelta della modernità, del rinnovamento, dell’atteggiamento di rottura rivoluzionaria, ovvero di progresso costruttivo, di logica sociale, di attività morale, ecc. non avviene dopo un bilancio analitico, o sommario di quanto precede circa la condizione della nostra esistenza? E può essere considerata in rapporto con cose più prossime alla cronaca della nostra esperienza, come avviene dopo la celebrazione di qualche avvenimento o solennità religiosa. Per noi, ad esempio - ed è ciò che ora qui ci interessa - dopo il Concilio, che aveva scopo e virtù di rinnovare, non di sovvertire la nostra adesione alla vita della Chiesa, che cosa è avvenuto? quali conseguenze abbiamo noi ammesse come legittime e salutari, quali invece come eversive e perturbatrici? Avviciniamo a questi ultimi giorni la nostra questione sul « dopo »; vogliamo dire alle feste natalizie, testé celebrate. Spenti i lumi delle belle celebrazioni, sia spirituali, che profane, nulla rimane? tutto ritorna come prima, e forse meno bene di prima? Dobbiamo ricordare che la celebrazione religiosa, quella liturgica in particolare, tende a produrre effetto duraturo; essa fa parte della pedagogia sempre riformatrice e sempre perfettiva, con cui la Chiesa «madre e maestra», educa i suoi figli fedeli a migliore comprensione e a maggiore professione della nostra vocazione cristiana: il calendario religioso non gira nel tempo sempre sulla stessa orbita, ma tende a salire a spirale, e a svolgere verso una progressiva santificazione il corso del nostro pellegrinaggio temporale.

Noi dovremmo, come i buoni commercianti fanno alla fine del loro esercizio contabile, fare i nostri conti su quello che abbiamo guadagnato dalla partecipazione alle feste religiose: impressioni spirituali, approfondimento di qualche Parola di Dio o di qualche mistero di grazia, propositi fatti o rinnovati in ordine alla pratica osservanza della norma cristiana, e così via.

Potremmo, a questo punto, ripensare al Vangelo per ravvisare quanto la bontà di Cristo, ed in genere l’economia di misericordia propria della nostra religione, non sia indifferente alla nostra rispondenza. Il «dopo» l’abbondanza dei doni divini ha una valutazione molto attenta nel pensiero divino. Accenniamo appena. Valutazione positiva per chi ha accolto e ben usato tali doni; ricordate i premi che il Signore promette a chi ha bene trafficato i «talenti» ricevuti; ricordate quelle sue singolari parole: «a chi ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha, anche ciò che ha, gli sarà tolto» (
Mt 13,21); ricordate la curiosa parabola: «un uomo aveva due figli, ed accostatosi al primo gli disse: figlio, va’ oggi a lavorare nella mia vigna; e quegli rispose: no, non voglio: ma poi, pentitosi, vi andò. E (il padre) avvicinandosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose : vado, signore! Ma non vi andò. Quale dei due fece la volontà del padre?» (Mt 21,28-31). Parole queste che ci avvertono circa la dovuta serietà dei nostri rapporti con Dio, e che ricordano quelle altre parole di Gesù: «non chiunque mi dice: Signore! Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli!» (Ibid. Mt 7,21). E non diciamo poi del terribile discorso di Cristo, che rinfaccia alle città favorite da tanti segni della sua bontà e della sua potenza, e rimaste insensibili al suo richiamo di conversione effettiva (Cfr. Mt 11,20 ss.).

La vocazione cristiana è una grande fortuna, ma esige impegno e coerenza.

Possiamo forse accusare la vita cristiana d’una colpa fondamentale: l’incoerenza. Alle premesse, alle promesse non sempre corrispondono i fatti. Non siamo logici col Signore, non siamo fedeli. Siamo spesso velleitari, non positivi, non realisti. Manca in noi, troppe volte, la connessione fra il pensiero e l’azione. La testimonianza delle parole, talora gravi e critiche verso gli altri, non trova la sua conferma nella personale condotta. Il nostro «dopo» smentisce il nostro «prima». Sono sovente quelli fra noi più doverosamente impegnati ad una data ed esemplare professione cristiana, che oppongono pur troppo ai fratelli lo scandalo della loro pratica infedeltà.

L’analisi di questo doloroso fenomeno, che svigorisce l’energia del nostro cristianesimo moderno, potrebbe essere approfondita. Essa ci porterebbe a individuare le cause di questa diffusa incapacità ad armonizzare fede e condotta, principii e loro applicazione, sia logica che pratica e sociale. Le troveremmo principalmente nella inconsistenza stessa del nostro modo di pensare, impoverito della forza e dell’arte della razionalità sicura e normale della nostra «filosofia perenne», sostituita o snervata da certe forme di pensiero, invalse nella mentalità di moda, ma prive di fondamento gnoseologico e metafisico, di cui si alimenta un valido pensiero religioso; e le troveremmo nel dissolvimento della obbligazione morale obiettiva, il quale confonde la licenza, l’istinto, l’interesse soggettivo con la libertà e la coscienza trascendente del dovere e del bene. Analisi lunghe e difficili, ma di grande attualità . . .

A noi basti ora la ricerca dell’armonia fra il prima ed il poi della nostra condotta cristiana!

Con la nostra Benedizione Apostolica.

«Orchestra Nova» di Rapallo

Ad allietare l’Udienza di stamane ecco vicini a noi i fanciulli dell’Associazione Musicale «Orchestra Nova» della parrocchia dei Santi Gervasio e Protasio di Rapallo.

Siete venuti, figlioli carissimi, per offrire al Papa un saggio del vostro repertorio musicale. Come ringraziarvi del gentile pensiero e della consolazione che ci procura la vostra gioiosa presenza? Noi volentieri ci rallegriamo con voi per le nobili iniziative della vostra associazione e il successo che dovunque incontrano le vostre belle esecuzioni. L’entusiasmo con cui vi applicate a coltivare il vostro talento artistico, vi aiuti ad amare e desiderare sempre tutto ciò che è bello, tutto ciò che è puro, tutto ciò che è santo, affinché possiate così crescere ogni giorno più nell’amore a Gesù, che deve essere per voi il vostro Maestro, il vostro Amico, la vostra Guida. Ecco l’augurio che ci suggerisce l’affetto che nutriamo per voi, mentre vi impartiamo l’Apostolica Benedizione che di cuore estendiamo ai vostri genitori e a tutti i vostri bravi e benemeriti educatori.

Le Suore Missionarie Francescane di Maria

Con paterno compiacimento accogliamo stamane anche l’eletta rappresentanza delle Suore Francescane Missionarie di Maria, riunite in questi giorni a Grottaferrata per il loro Capitolo Generale.

Ricambiando di cuore il gentile pensiero che vi ha qui condotte, Figlie carissime, siamo lieti di esprimere a voi e a tutte le vostre Consorelle la nostra sincera riconoscenza per il generoso e prezioso servizio da voi reso alla Chiesa nel vasto campo delle Missioni.

Nella preghiera e nella riflessione di questi giorni voi, accogliendo i voti del Concilio e aderendo alle successive indicazioni della Sede Apostolica, attendete alla redazione delle norme che dovranno servire di guida nel prossimo avvenire alla vostra Famiglia Religiosa. Sappiamo le difficoltà del vostro compito che, se richiede comprensione dei tempi e sapiente revisione dei metodi di lavoro secondo le profonde trasformazioni avvenute in questi ultimi tempi nei paesi di missione, non per questo significa adeguamento allo spirito del mondo o minore stima e fiducia nei valori fondamentali della vita religiosa. Proprio per dare un nuovo e più efficace impulso al vostro lavoro missionario, la vostra consacrazione a Dio oggi più che mai deve essere vissuta nella sua genuina integrità e nelle sue alte e severe esigenze.

Intanto noi vi assicuriamo di seguirvi con la nostra preghiera. La luce dello Spirito Santo illumini le vostre menti, ed il vostro Istituto possa attingere dagli sforzi che state compiendo il necessario vigore per adempiere con sempre maggiore fecondità la missione che è chiamato a svolgere nella Chiesa. Di questi aiuti del Cielo sia pegno la nostra propiziatrice Apostolica Benedizione.

Fratelli dell’Istruzione Cristiana di Ploërmel

Nous Nous Tournons maintenant avec affection vers les Frères de l'Instruction chrétienne de Ploërmel, réunis depuis six semaines à Rome pour une session consacrée à la pastorale des vocations. Venus de nombreux pays, vous avez cherché ensemble, à la lumière du récent Concile, les moyens de faire face aux graves problèmes et aux espérances de votre apostolat. Vous savez quelles sont les difficultés actuelles, naissant d’un milieu souvent imperméable au spirituel, ou surgissant au sein même des communautés chrétiennes ou religieuses, suscitées par le découragement, le doute, parfois, aussi le désir de nouveauté à tout prix.

Nous voulons, chers Fils, vous exhorter à poursuivre votre oeuvre avec une confiance renouvelée. Comment votre Congrégation, entièrement vouée à l’éducation chrétienne de la jeunesse, pourrait-elle renoncer, si peu que ce soit, à la tâche, délicate mais exaltante, d’éveiller et de former les vocations? Elle est essentielle: les vocations de jeunes sont possibles, elles existent. Croyez donc à la valeur propre de vos institutions de formation, juvénats et noviciats. Pour leur adaptation judicieuse aux nécessités actuelles, vous avez l’enseignement explicite du Concile, les orientations précises de notre Congrégation pour l’Education Catholique, les claires directives de vos Supérieurs.

Suivez-les avec confiance et générosité: le Seigneur, Nous en sommes sûr, bénira vos efforts et le développement de votre Institut contribuera, pour sa part, au progrès de toute l'Eglise. A vous-mêmes, à votre Congrégation et aux jeunes dont elle a la charge, à tous ceux qui vous sont chers, Nous donnons de grand coe ur notre paternelle Bénédiction Apostolique.


Mercoledì, 17 gennaio 1973

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Perché venite a questo incontro?

Che cosa cercate da colui che è felice di ricevervi, di conoscervi, di parlarvi, di sentirsi con voi? Un uomo singolare? un fenomeno storico? un testimonio che grida nel deserto?

Noi sappiamo che voi venite qua, non tanto per cercare, quanto piuttosto per trovare. Per trovare uno che, sebbene forse non l’abbiate mai né visto, né avvicinato, voi conoscete benissimo, come un padre, un fratello di tutti, un amico, un maestro, un rappresentante di quel Cristo, a cui voi stessi appartenete e di cui, come cristiani, portate il nome e le sembianze, un suo ministro, un successore di colui al quale Cristo confidò le chiavi, cioè i poteri, di quel regno dei cieli, di quella religione che Egli era venuto a instaurare, e a fondare come una società nuova, visibile, spirituale e universale, la Chiesa, e a costruirla proprio su quell’umile uomo dopo di allora chiamato Pietro, la base, il centro, il principio costitutivo dell’edificio, il servitore, il pastore della umanità autenticamente collegata con Cristo stesso. Sì, voi venite da noi, perché credete e sapete che qui è la Chiesa, nella sua espressione più genuina e caratteristica, come disse S. Ambrogio: ubi Petrus, ibi Ecclesia, dove è Pietro, ivi è la Chiesa (In Ps 40,30, PL 14, 1082). Ciò, ben inteso, indipendentemente dalla esiguità e dall’indegnità della persona fisica che ora vi parla; ciò, anzi, proprio per il senso religioso che qua vi guida è tanto più bello e più consolante.

Perché bello e perché consolante? Perché ciò contrasta con un atteggiamento, anch’esso caratteristico e diffuso in determinati casi nel mondo moderno; l’atteggiamento negativo verso tutto quello che ha attinenza alla religione, alla fede, alla Chiesa, a Cristo, a Dio. Noi vorremmo che in questo momento di confidente conversazione voi ci leggeste nel cuore uno dei pensieri più costanti e più amari, al quale ci obbliga, da un lato, il nostro ufficio apostolico e profetico di assertore e promotore del regno di Dio, dall’altro, l’osservazione dell’assenza di Dio in tanta parte della mentalità e della vita dell’uomo contemporaneo.

Ebbene, riflettete un istante con noi a questo fatto che sembra qualificare la storia e la civiltà del nostro tempo: l’assenza di Dio. Si è tanto parlato e scritto circa questo fatto: l’ateismo, in tante sue espressioni, il secolarismo, cioè l’esclusione d’ogni riferimento religioso dalla vita vissuta dell’uomo e della società, la negazione intenzionale e praticamente radicale del nome stesso di Dio dalle manifestazioni della cultura e della concezione scientifica del mondo e dell’umana esistenza. Una rinomata rivista francese, ad esempio, c’informava in questi giorni del divieto posto in un determinato Paese, pur di grandi tradizioni religiose, a scrivere il nome di Dio con la lettera maiuscola (Revue des Deux Mondes, Genn. 1973, W. d’Ormesson, p. 124). A tanto ancor oggi si giunge!

Taluni rappresentanti dell’uomo moderno sono forse diventati nemici perfino del santo e ineffabile nome di Dio? Questo non è che l’aspetto estremo ed esterno dell’ateismo moderno. Ma vi sono altri aspetti che meritano la nostra riflessione. L’uomo moderno, si dice, è allergico alla religione. Egli non ha più l’attitudine a pensare, a cercare, a pregare Dio. È indifferente, è spiritualmente insensibile. In fondo vi è un’obbiezione più grave e tacitamente, ma fortemente, operante: noi, uomini di oggi, non abbiamo bisogno di Dio; la religione è inutile, non serve a nulla, anzi costituisce un freno, un imbarazzo, un problema superfluo e paralizzante; oggi l’uomo si è affrancato dalle vecchie ideologie teologiche, mitiche, pietistiche; e convinto di conquistare una libertà superiore ha spento la lucerna della religione: meglio il buio dell’incredulità che la mistificazione delle speculazioni superstiziose.

Quanta gente la pensa così? e sarebbe vero - ma non vogliamo crederlo - che la gioventù, la nuova generazione si orienta verso questa facile e vittoriosa irreligiosità? Oggi lo spirito della gente è saturo di conoscenze concrete, sia empiriche che scientifiche, ed è tutto impegnato nel dominio delle cose utili, le macchine ad esempio, o nell’interesse delle cose futili, il divertimento ad esempio; si direbbe che non gli manca nulla. Il mondo dell’economia e del piacere, il mondo sperimentale e sensibile, il mondo così detto delle vere realtà, tangibili e commensurabili dell’esperienza, gli bastano, e non ha né voglia, né bisogno di cercare nella sfera dell’invisibile, del trascendente, del mistero il complemento e la pienezza al vuoto interiore, che, si dice, non esiste più.

Questa assenza di Dio ci affligge profondamente, e dà a noi la desolata impressione di una anacronistica solitudine.

Ecco, fratelli e figli, uno dei motivi che ci rendono graditissima la vostra visita; essa ci porta il conforto non solo della vostra presenza d’intorno al nostro ministero, superstite nei secoli e nella moderna vicenda umana, ma altresì della presenza di Dio nell’attualità della vita.

Ed ecco che il dialogo con voi, sia pure contingente e brevissimo, ci conferma, per un verso, della suprema ed armonica necessità della religione, della fede, della preghiera, e ci istruisce, per un altro verso, sull’origine e sulla natura di certi paurosi fenomeni della mentalità moderna: l’inquietudine, la confusione, la ribellione, l’intima infelicità di una parte dell’uomo contemporaneo. Egli ha perduto il senso profondo, metafisico delle cose, il significato della propria vita, la speranza in un destino qualsiasi. Sì, s’è spenta la luce che rischiarava tutto l’ambiente, e tutti vanno come ciechi cercando un punto di orientamento e d’appoggio, urtandosi e abbracciandosi, come per caso. Babele risorge? e soffia negli animi della gente quello «spirito di vertigine», di stordimento, di cui parla il profeta Isaia? (
Is 19,14) Ovvero in codesta negazione del nome di Dio si nasconde un’intenzione iconoclasta sì, ma contro le false concezioni della divinità, contro le religioni imperfette o corrotte, e perciò risolubile nella ricerca, forse inconsapevole del Dio-ignoto? (Cfr. Ac 17,23) d’un Dio-Verità? d’un Dio-bontà? d’un Dio-Vita? Cioè l’odierna assenza di Dio non sarebbe che un’oscura e tormentosa aspirazione ad una presenza di un Dio-salvezza? Cioè, alla fine, ad un Messia, ad un Cristo, luce del mondo, in cui l’uomo d’oggi possa ritrovare simultaneamente se stesso e il Dio Padre, suo principio e suo fine? sua speranza e sua gioia? Pensiamoci: è il grande problema del nostro tempo. Quanto a noi, noi abbiamo questa fiducia; e in questa penosa assenza stiamo fermi e diritti, tendendo ancora le braccia all’umanità dolorante, e ripetendo le parole di Cristo: «Venite a me voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi consolerò» (Mt 11,28).

Con la nostra Benedizione Apostolica.

La «Ohio Contractors Association»

We extend our cordial greetings to the Ohio Contractors Association, and we express to the members here present our grateful appreciation of their wish to visit us during their stay in Rome. We know that you bear great responsibilities in society and we hope that you will always fulfil them with concern for justice and respect for the ethical principles which must be normative of every enterprise and undertaking. We invoke upon you and your families the grate and guidante of Almighty God.


Mercoledì, 24 gennaio 1973

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Oggi, Fratelli e Figli carissimi, un pensiero, - un’idea, una Verità, una Realtà - si accende davanti agli occhi dei nostri animi, richiama i nostri sguardi, li assorbe, li riempie, al tempo stesso, d’entusiasmo e di affanno, com’è proprio delle cose che captano l’amore. Qual è questo pensiero? È quello dell’unità della Chiesa. Appena capito nel suo significato generale, esso ci prende, esso ci domina. L’unità: subito si impone per la sua forza logica e metafisica; riferito alla Chiesa, cioè all’umanità chiamata da Cristo ad essere una cosa sola con Lui e in se stessa; esso c’incanta per la sua profondità teologica; esso poi ci tormenta per il suo volto storico, di ieri e ancora di oggi, sanguinante e sofferente come quello di Cristo crocifisso; esso ci rimprovera e ci risveglia, come un suono di tromba, il quale ci chiama con l’urgenza d’una vocazione, che diventa attuale e caratteristica nel tempo nostro; esso, il pensiero dell’unità, irradia sulla scena del mondo cosparso dalle avulse, magnifiche membra e dalle rovine di tante Chiese, isolate alcune come autosufficienti, frantumate altre in centinaia di sette, tutte invase ora da due forze contrastanti in una commovente tensione, centrifuga l’una, fuggente, autonomista, verso mete scismatiche ed eretiche; centripeta l’altra, la quale esige con rinata nostalgia la ricomposizione dell’unità, che Roma, non priva certo di colpe e carica per se stessa d’immensa responsabilità, si ostina, come proprio dovere, che sa di testimonianza e di martirio, materna e impavida, ad affermare ed a promuovere, la forza autenticamente ecumenica ed unitaria, che va cercando il suo principio e il suo centro, la base, che Cristo, la vera pietra d’angolo dell’edificio ecclesiale, scelse e fissò, in sua vece, per significare e perpetuare il cardine del suo regno . . . . e ancora esso, questo pensiero dell’unità, si riverbera nel foro interno di tante anime pensose e religiose, suscitando in esse un problema spirituale: come rispondo io a questo imperativo dell’unità?

«Credo nella Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica». Quanto spesso queste parole del Credo salgono alle nostre labbra durante le preghiere pubbliche o private; e quanto spesso noi dobbiamo considerarle e meditarle perché esprimono la grande verità che «Cristo ha costituito sulla terra e incessantemente sostenuta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità» (Lumen Gentium
LG 8) e comunicando il suo Spirito per essa opera in noi e con noi nel mondo per la sua salvezza.

«La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Ibid. LG 1).

Se ogni parola di questa nostra professione di fede merita di essere meditata, le circostanze particolari di questo momento ci suggeriscono di considerare, oggi insieme, una parte di essa: Credo nella Chiesa Una. Infatti noi siamo oggi impegnati nella celebrazione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, e in questo periodo particolare i Cristiani di tutto il mondo pregano il Signore nostro Padre, affinché l’unità ecclesiale che professiamo nel Credo, si realizzi concretamente e in modo visibile nella nostra vita.

Noi abbiamo letto ed udito frequentemente le parole dell’Apostolo Paolo: «Un solo corpo e un solo Spirito, siccome anche, grazie alla vostra vocazione, siete stati chiamati a una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, e agisce per mezzo di tutti, ed è in tutti» (Ep 4,4-6); «Tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Ga 3,28); «Ora vi è varietà di doni, ma è lo stesso Spirito; vi è varietà di ministeri, ma è lo stesso Signore, vi è varietà di operazioni, ma è lo stesso Dio che opera tutto in tutti» (1Co 12,4-6); «E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, poiché ad essa foste pure chiamati formando un solo corpo» (Col 3,15).

E soprattutto le parole sublimi del Signore ci sollecitano irresistibilmente: «Affinché tutti siano una sola cosa, siccome tu, o Padre, sei in me ed io in te, anch’essi siano uno in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Jn 17,21).

Queste parole di nostro Signore e del Suo grande Apostolo hanno un valore universale. Esse sono destinate a toccare le menti ed i cuori di tutti i Cristiani, ad essere fonte di ispirazione e a guidare le azioni di tutti coloro che portano il nome di Cristo. Ci ricordano il dono divino dell’unità, ma nello stesso tempo anche l’obbligo che incombe agli uomini, all’unità. Il Concilio Vaticano II, quasi riassumendo la propria dottrina sul mistero della Chiesa, dice: «È questa l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, e che il Salvatore nostro, dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (Cfr. Jn 21,17), affidandone a lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida (Mt 28,18 ss.), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità» (Cfr. 1Tm 3,15 Lumen Gentium LG 8).

Le lettere di S. Paolo citate sopra contengono una teologia profonda, ma non costituiscono un trattato teorico. Esse erano dirette alla situazione concreta nelle Chiese di Efeso, Corinto, Colossi. Nella preghiera sacerdotale per l’unità Gesù parlava nell’intimo circolo dei suoi Apostoli, riferendosi però a tutti quelli che per la parola degli Apostoli crederanno in Lui (Cfr. Jn 17,20).

Perciò se i principii enunciati da Gesù e dall’Apostolo hanno un valore universale, per tutti i Cristiani di ogni tempo, essi ricevono la loro concreta attuazione in comunità particolari e attraverso queste comunità.

L’unità che è un vero dono di Cristo, si sviluppa e cresce nella situazione concreta rappresentata dalla vita delle comunità cristiane. La comprensione dell’importante ruolo delle comunità particolari, delle Chiese particolari è stata formulata chiaramente dal Concilio: «I singoli Vescovi sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l’una e l’unica Chiesa cattolica» (Lumen Gentium LG 23 cfr. BOSSUET, OEuvrer, vol. XI, lettre IV, PP 114 ss.).

Infatti l’unità della Chiesa, che, come dicevamo, nel carisma storico della Chiesa cattolica intera e romana in ispecie, è già realtà, nonostante le deficienze degli uomini che la compongono, tuttavia non è completa, non è perfetta nel quadro statistico e sociale del mondo, non è universale. Unità e cattolicità non si pareggiano, sia nella sfera che più esige tale corrispondenza, la sfera dei battezzati e dei credenti in Cristo, e sia tanto più in quella dell’intera umanità vivente sulla terra, dove la maggior parte dei viventi ancora non aderisce al Vangelo. Sono questi i due grandi problemi della Chiesa, quello ecumenico e quello missionario, drammatico l’uno e l’altro.

Noi oggi parliamo del primo, cioè dell’unione dei Cristiani in un’unica Chiesa.

E vorremmo indicare come una delle vie di soluzione, anche se già nota, lunga, delicata e difficile, il dovere e la possibilità di interessare alla questione ecumenica le Chiese locali, in armonia, s’intende (se non vogliamo peggiorare, piuttosto che migliorare la situazione), con la Chiesa universale e centrale.

Noi vediamo quanto sia importante che le Chiese particolari della comunione cattolica valutino i loro compiti e le loro responsabilità ecumeniche caratteristiche.

Mediante la Chiesa particolare la Chiesa cattolica è presente nello stesso ambito locale e regionale nel quale vivono ed operano anche altre Chiese e Comunità cristiane. Spesso la instaurazione di contatti e relazioni fraterne si rivela più facile in questo contesto.

Con tutto il nostro cuore, perciò, noi esortiamo tutti i nostri Fratelli e Figli a far sì che l’impegno per l’unità dei Cristiani divenga parte integrale della vita anche delle Chiese particolari.

«Il dialogo di carità», l’espressione tanto cara al nostro venerato e compianto fratello, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora, si può realizzare pienamente tra persone e comunità che hanno un frequente contatto reciproco, condividono sofferenze e speranze, si aprono l’una all’altra, e, insieme, allo Spirito operante in loro nel corso delle concrete esperienze della loro vita.

La cattolicità e l’unità della Chiesa si manifestano nella capacità delle Chiese particolari e dell’insieme di radicarsi in mondi, tempi e luoghi diversi; di ritrovarsi in ogni mondo, tempo e luogo in comunione vicendevole.

L’unità a livello locale è sempre un segno e una manifestazione del mistero dell’unità che è il dono del Signore alla Chiesa. Le Chiese particolari possono essere con le loro esperienze di arricchimento per il movimento ecumenico nel suo insieme, possono dare un contributo fecondo per tutta la Chiesa. Nello stesso tempo riceveranno suggerimenti e direttive provenienti dal Centro dell’unità cioè dalla Sede Apostolica, «universo caritatis coetui praesidens» (IGN Ad Rom., Inscr.), per essere aiutate nei loro problemi e per saper giudicare della validità e della fecondità delle proprie esperienze.

«Credo nella Chiesa Una» - questa professione di fede ci sospinge, allora, a consacrare noi stessi alla causa dell’unità dei Cristiani, con tutto l’ardore di cui siamo capaci, e con tutte le possibilità che la vita della Chiesa ci offre a molti livelli.

Cari Figli, in questa settimana di preghiera per l’unità comune a tutti i Cristiani, noi tutti chiediamo perdono per i difetti commessi contro questo grande dono superiore ad ogni nostro merito. Uniamoci di cuore con la sublime preghiera di Gesù, che Egli, come sacerdote e come vittima, rivolse al Padre per la sua Chiesa: «perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, Egli disse, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Jn 17,21).

Sicuri che questa voce divina trovi eco nelle vostre anime, noi mandiamo oggi ai Fratelli separati un affettuoso, rispettoso saluto; e tutti di cuore vi benediciamo.



Maestranze della «So-Lac» di Frosinone

Porgiamo un saluto ai dirigenti e alle maestranze della «So- Lac» di Frosinone, che hanno desiderato di ricevere la nostra Benedizione nella lieta circostanza del primo ventennio di attività della loro azienda. Noi siamo ben lieti di corrispondere alla vostra nobile aspirazione, carissimi figli e figlie. Sappiamo che la vostra Società è sorta come risposta alle esigenze di assistenza alimentare dell’Amministrazione per le Attività Assistenziali Italiane e Internazionali, e che, nel suo sviluppo, non ha perduto di vista le finalità sociali che le diedero la spinta iniziale. Effettivamente, la vostra opera si colloca su di un piano di servizio alla comunità dei fratelli, per provvedere un alimento di prima necessità, specialmente per i piccoli e per gli anziani: e per tale impegno vi elogiamo, come vi incoraggiamo a mantenere sempre alto questo spirito di sensibilità verso la necessità dei fratelli, che deve formare la caratteristica principale del cristiano che svolge la sua attività, qualunque essa sia, per la elevazione del mondo. È questo, fra l’altro, l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa: rimanendovi fedeli, costruirete sempre qualcosa di buono, di valido, di duraturo, per la società come per voi stessi. È il nostro augurio, e la nostra preghiera, con cui invochiamo le abbondanti grazie del Signore su di voi e sulle vostre care famiglie.


Mercoledì, 31 gennaio 1973


Paolo VI Catechesi 27122