Paolo VI Catechesi 28273

Mercoledì, 28 febbraio 1973

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Un problema difficile, ed anche insolubile in termini scientifici, ma problema reale ed estremamente importante è quello che possiamo definire la sociologia della grazia. Se un pastore d’anime, un Parroco, ad esempio, si domanda: quanti dei miei fedeli vivono in grazia di Dio? non potrà certo soddisfare la sua pastorale curiosità; spontanea curiosità, ma essa oltrepassa i confini della nostra possibile esperienza. La domanda però insiste, perché lo scopo essenziale del suo ministero, è quello di mettere le anime in grazia di Dio. Così, chiunque consideri le condizioni religiose d’una popolazione, d’una comunità, o anche d’un solo individuo è tentato di chiedersi se, dove, come vi arrivi la grazia di Dio, sapendo quale sia l’importanza della grazia per la vita interiore dell’uomo, per la sua moralità, e infine per il suo rapporto con Dio e per il suo finale destino.

Il problema è interessante, sotto l’aspetto speculativo, anche per questa sua doppia faccia: la sua impenetrabilità e la sua inesorabile necessità: siamo o non siamo in grazia di Dio? Potremmo contentarci di domande più superficiali: com’è praticata, in un dato campo. la religione? come è diffusa l’osservanza religiosa? come è radicata ed operante la fede? come ascoltata e valutata la parola di Dio? come frequentati i sacramenti? come considerata la Chiesa? Se noi vogliamo renderci conto, anche empiricamente, delle condizioni effettive del cristianesimo nel nostro tempo, se vogliamo prevedere quale può essere la sua sorte all’incontro con i tempi nuovi, dobbiamo ricorrere a questi parametri delle osservanze normali del costume religioso, e poi cercare quali manifestazioni culturali, etiche, sociali ne traducono gli influssi, positivi o negativi che siano. Ma questa indagine, oggi di moda, utilissima, doverosa anzi, per chi osserva i fenomeni generali della società, non arriva che alle soglie dell’essenza intrinseca del fenomeno religioso. Qual è questa essenza? è la comunicazione con Dio. E per noi cattolici e credenti in che cosa consiste questa comunicazione? Per formulare una risposta a quest’ultima domanda dobbiamo rilevare una novità nella vicenda spirituale contemporanea; e non solo in quella di casa nostra, ma anche in quella dei nostri vicini, e talora perfino dei nostri lontani. La novità è questa: la valutazione degli elementi carismatici della religione sopra quelli così detti istituzionali, la ricerca anzi di fatti spirituali nei quali gioca una indefinibile ed estranea energia che rende persuaso, in certa misura, chi la subisce d’essere in comunicazione con Dio, o più genericamente col Divino, con lo Spirito, indeterminatamente. Noi che ne diciamo? diciamo che questa tendenza è molto rischiosa, perché s’inoltra in un campo dove l’autosuggestione, o l’influsso d’imponderabili cause psichiche possono condurre nell’equivoco spirituale, ma può talora guidare alla grande economia cristiana del contatto sopra-naturale con Dio; contatto che ora, per brevità, chiamiamo «grazia» e contiene in sé un mondo teologico e mistico.

È infatti da ricordare che la nostra vera, vitale, indispensabile comunicazione con Dio non è soltanto quella naturale, raggiunta con i nostri tentativi razionali o sentimentali, ma è quella stabilita da Gesù Cristo, quella appunto dell’ordine soprannaturale, quello della grazia.

E che cosa è la grazia? oh! non ce lo domandate in questa momentanea conversazione! Del resto voi lo sapete: è un dono di Dio; è un intervento del suo Amore, dello Spirito nel libero movimento del nostro animo, anzi misteriosamente lo previene e lo suscita, senza esonerarlo della sua responsabilità (Cfr. DENZ.-SCHÖN.
DS 1541). È una qualità dell’anima, la grazia creata, infusa da Dio-Amore, lo Spirito Santo, Grazia increata; è la causa formale, immanente della nostra giustificazione (Cfr. S. TH. I-II 113,8); è la nostra elevazione alla dignità e all’esistenza, quantunque uomini di questo mondo, di figli adottivi di Dio, di fratelli di Cristo, di tabernacoli dello Spirito Santo; è Dio che vive in noi; è il contatto vivo con la Vita divina; è quindi il nostro vincolo con la salvezza in questa e nell’altra vita. L’essere o non essere in grazia di Dio è questione di vita o di morte. Non avremo mai abbastanza sopravalutato la grazia di Dio; non avremo mai speso indarno studio, sforzo, speranza, gioia per tenere la grazia al vertice del nostro spirito. Bisogna assolutamente vivere in grazia di Dio. Noi così viviamo? quanti, che cristiani si chiamano, vivono in questo stato di grazia? santi si chiamavano nei primi tempi del cristianesimo coloro ch’erano entrati con la fede, col battesimo, con la penitenza e con l’onestà della vita, e specialmente con l’amore a Dio-Amore, e al prossimo primo termine pratico del nostro amore cristiano (Cfr. 1Jn 4,20), nella sfera della grazia, cioè della comunione soprannaturale con Dio.

Faremo bene nella prossimità della quaresima a fissare la nostra considerazione, e può essere decisivo per il nostro destino, su questo problema della grazia. Non ci sarà grave ricorrere a qualche saggia rinuncia, a qualche «igiene» spirituale per ricuperare e difendere in noi lo stato di grazia; e ci sarà quasi connaturale dare alla nostra vita uno stile morale forte e diritto: può essere debole, ambiguo, bifronte, gaudente uno che vive in sé il mistero di divina presenza, ch’è la grazia?

Tonificare in noi questo autentico spiritualismo ci darà il bisogno e il gaudio dei sacramenti, e lungi dall’appartarci dalla Chiesa in gruppi separati e selezionati arbitrariamente, ce ne fa gustare e vivere la comunione: la «comunione» infatti è per noi la sociologia della grazia. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Giovani religiosi di San Francesco

Con paternal afecto nos complacemos en dirigir un especial saludo a vosotros, amadisimos Franciscanos Españoles del Convento de «Santi Quaranta», que habéis querido visitarnos al hacer su Profesión Solemne siete de vuestros Religiosos jóvenes.

Os felicitamos de corazón por esta generosa entrega de toda la vida al Señor y al servicio de la Iglesia, siguiendo la senda luminosa de San Francisco de Asís: este gesto ha de ser un estímulo para toda la Comunidad, un ejemplo y un testimonio para cuantos buscan a Cristo, como para Nos es motivo de íntima alegría y consuelo.

Implorando la continua asistencia divina sobre vuestras personas y vuestros trabajos apostólicos y de estudio, a todos os impartimos nuestra especial Bendición Apostólica.





Mercoledì delle Ceneri, 7 marzo 1973

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Le Ceneri: giorno singolare nella vita spirituale del cristiano, per il carattere ascetico, che invade la preghiera, e per l’intenzione programmatica, che lo mette all’inizio della quaresima, cioè d’un periodo di quaranta giorni (oltre le sei domeniche non calcolate numericamente in tale durata), di preparazione alla celebrazione del mistero pasquale. Per chi vuol prendere sul serio questa pedagogia della Chiesa, per chi vuol vivere la sua storia nel tempo, per chi vuole lasciarsi penetrare dalla sua più fervorosa spiritualità, questa è la stagione propizia, è la primavera dell’anima, sia per ogni singolo fedele, sia per ogni comunità, che trova la sua pienezza spirituale nella sinfonia dei pensieri, delle preghiere, degli esercizi ascetici. Superfluo ricordare che esiste una copiosissima letteratura, distesa lungo i secoli del cristianesimo, fino ai nostri giorni, e preceduta da significative prefazioni nell’Antico Testamento, sopra questo genere d’intensità religiosa. Tutti conosciamo certamente, almeno qualche cosa, del significato di questo rito delle Ceneri, tanto semplice nella parte cerimoniale, ma profondo e aggressivo nel messaggio che conficca nelle coscienze.

Un messaggio tremendamente pessimista, e indiscutibilmente verista.

Esso impone una meditazione esistenziale e radicale: chi siamo? Siamo esseri effimeri, fragili, dissolubili. Siamo esseri compositi, vivi di anima e di corpo, due elementi diversissimi, e meravigliosamente uniti, interdipendenti, formanti una vita sola, di cui l’anima è il principio immortale, è il «noi», a noi stessi misterioso, e solo noto mediante l’espressione e la natura di certi suoi atti, di cui il corpo ci dà notizia, e per cui il corpo è per noi tanto importante; il corpo è l’orologio della nostra esistenza nel tempo, la quale tanto dura appunto quanto il corpo, al quale l’anima, per un ereditario castigo, non riesce a dare vita immortale. L’anima ha un suo indipendente destino, la sopravvivenza; come? dove? - quando il corpo cade, si corrompe, e diventa polvere, cenere. Quale sorte spaventosa! e lo abbiamo tanto apprezzato, goduto, curato questo corpo mortale! E l’anima? quale sarà il suo modo di vivere senza lo strumento corporeo? e il suo destino? un destino fuori del tempo, cioè delle cose che passano, un destino, c’insegna la dottrina nostra, fissato dal giudizio di Dio, e carico ancora d’una finale prodigiosa avventura, quella futura della risurrezione della carne e della vita eterna . . . o dannazione eterna? V’è di che rabbrividire! Incubi fantastici? no; siamo nel dominio della potenza di Dio, di quel Dio, che ci ha amati senza misura, ma appunto per rendere possibile ed esultante l’incontro col suo Amore, ci ha fatto il dono della libertà . . .

La meditazione prosegue ritornando sul binario della vita presente, che scorre appunto sul binario estremamente importante del tempo e della libertà responsabile. Che cosa è il tempo? i pagani dicono: è Saturno che divora i suoi figli. 1 cristiani dicono è una vigilia in attesa di una venuta finale del Padrone divino rimuneratore, dello Sposo divino selettivo, del Figlio dell’uomo nella sua maestà giudicante. Ricordate le parabole escatologiche di Gesù, cioè quelle in cui il Maestro ha figurato la scena finale della storia umana. La stazione d’arrivo della rotaia del tempo, la quale s’è curvata secondo l’impero capriccioso, responsabile, decisivo della nostra individuale libertà.

La meditazione potrebbe continuare nella certezza e nella gravità dei così detti «novissimi», cioè delle prospettive ultime verso le quali è rivolto il corso della nostra esistenza nel tempo. Ne dovrebbe risultare la concezione grandiosa della vita umana, qual è nella realtà del disegno di Dio, Creatore e Redentore, e qual è riflessa nella coscienza del cristiano. Dalla visione escatologica, e cioè risolutiva e terminale della vita, la coscienza cristiana è tutta penetrata dal senso della propria incombente responsabilità; coscienza mobile come un respiro che sale da una pressione di timore ad un’espressione d’amore: dal timore di Dio all’amore di Dio.

Ecco allora rintracciata la ragione di questo rito inaugurale dell’itinerario del nostro cammino quaresimale verso la Pasqua: dal naturale realismo spietato della morte al realismo soprannaturale e ineffabile della vita, cioè della salvezza, che Cristo, morendo e risorgendo, ha meritato per noi, e che noi alla scuola della penitenza, della preghiera, della carità, alla quale scuola la Chiesa ora ci invita, dobbiamo felicemente conseguire.

In cammino allora, con la nostra Apostolica Benedizione.

Il rito della benedizione e imposizione delle Ceneri si svolge con una breve Liturgia della Parola di carattere penitenziale, che è presieduta dal Santo Padre. Giunto in basilica, accompagnato dall’arciprete, il Signor Cardinale Paolo Marella, Paolo VI all’inizio rivolge il saluto liturgico ai fedeli e recita una speciale colletta di supplica al Signore perché infonda, a tutti i partecipanti a quest’incontro di preghiera, lo spirito necessario al rinnovamento interiore suggerito dal periodo quaresimale. Un seminarista legge, quindi, un brano della seconda Lettera dì S. Paolo ai Corinti in cui l’Apostolo sottolinea la necessità della riconciliazione con Dio in questo tempo accettevole per la salvezza. Dopo la recita del salmo responsoriale comprendente alcuni versetti del «Miserere» , alternata tra il lettore e l’assemblea, il diacono legge il brano del Vangelo di S. Matteo (6, 16-18) che ricorda il monito di Cristo di esercitare la carità con segreta discrezione per essere accetti al Padre, che vede nell’intimo delle anime. Subito dopo il Santo Padre procede con le formule liturgiche alla benedizione delle Ceneri. Quindi il Signor Cardinale Marella si porta dinanzi al Papa e gli impone sul capo le Ceneri benedette, ripetendo l’antica formula liturgica. Paolo VI a sua volta ripete il simbolico gesto allo stesso Porporato, ai Presuli, presenti all’udienza, ai rappresentanti del Capitolo vaticano, al collegio dei Penitenzieri vaticani O. F. M. Conv. e a una rappresentanza di fedeli.


Mercoledì, 21 marzo 1973

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Che cosa vi diremo? Il periodo liturgico, al quale la Chiesa, in preparazione della Pasqua, dà tanta importanza, richiama il nostro pensiero, e ci offre una serie di temi fondamentali per la nostra vita religiosa e morale, i quali, anche se appena accennati in un breve colloquio come questo, ci possono introdurre nella scoperta dei punti decisivi della mentalità moderna positiva in ordine alla nostra professione cristiana.

Possiamo subito dire che questa professione cristiana è molto legata al corso del tempo: ogni giorno ha il suo orario. Vi è una «liturgia delle ore»; ogni buon cristiano ha in ogni giornata qualche momento di preghiera. Come ogni settimana ha il suo giorno del Signore, la domenica, che deve essere contrassegnata da un atto religioso pieno di significato e di valore, la Messa; e così tutto il corso dell’anno è scandito dalle sue feste, celebrative dei misteri di Cristo e dei Santi. Il calendario della Chiesa non è solo un fatto di costume consuetudinario; è un programma di vita spirituale. Ora la presente stagione, che chiamiamo quaresima, esige una particolare avvertenza da parte di chi vuol essere fedele alla pedagogia religiosa della Chiesa, esige un impegno più attento e osservante di quanto ella propone alle singole anime e alle varie comunità. Facciamo perno dei nostri pensieri interiori sulle parole, che appunto la Liturgia mette in risalto all’inizio di questo periodo d’intensità spirituale e che sono mutuate da San Paolo: «Noi come collaboratori (di Cristo) vi esortiamo a non ricevere indarno la grazia di Dio. Poiché Egli dice: nel tempo favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso (
Is 49,8); ecco, è adesso il tempo veramente propizio; ecco, questo è il giorno della salvezza» (Cor. 6, 1-2).

Dunque, prima cosa: avere il senso del tempo, collegato col nostro destino; bisogna essere «tempisti», avere la presenza dello spirito nell’attualità, e sapere quando è il momento buono, quando è l’ora della grazia, quando è «il passaggio del Signore» (Cfr. Exod. 12, 11). Colui che disse: timeo transeuntem Deum, io temo l’Iddio che passa, ha imposto alla coscienza un tema di ben grave considerazione: la nostra sorte può dipendere da circostanze disposte da un disegno provvidenziale, le quali possono non ripetersi più.

Noi moderni, la cui vita si svolge nel complicatissimo congegno dell’organizzazione strumentale e sociale, abbiamo continuamente davanti la misura del tempo, le scadenze dei nostri diritti e dei nostri doveri, la durata delle nostre azioni, le esigenze dei nostri calendari, i calcoli dei nostri orologi e dei nostri cronometri; non dovremmo quindi sentirci vessati dalle premure, con cui la Chiesa adopera il corso del tempo per sollecitare il nostro spirito alla puntualità che riguarda i ritmi delle sue fortune. Del resto, l’avvertenza dell’ora stabilita per lo svolgimento del suo disegno messianico non è ricorrente nella parola stessa di Cristo? (cfr. specialmente nel Vangelo di Giovanni).

E svegliata così la coscienza circa l’arrivo dell’ora favorevole, la domanda nasce da sé: l’ora favorevole per fare che cosa? Alla quale domanda fa eco la risposta caratteristica del tempo quaresimale, ma comprensiva di tutta la durata della nostra esistenza temporale: per convertirsi. Per convertirsi? Sì, questa è l’ora della conversione. Non siamo già convertiti? cioè non siamo già nell’ordine della salvezza? cioè della fede, della grazia, della Chiesa? non siamo forse cattolici?

Questa parola «conversione» merita da parte di tutti una riflessione speciale. Gli esegeti ci diranno che nel caso nostro, cioè nel linguaggio biblico, travasato in quello liturgico, il termine «conversione» è in stretta parentela, quasi di sinonimia, con altri due, che sono: la penitenza (in gr. metánoia) e orientazione nuova (in gr. epistrofé). Così Gesù inaugura la sua predicazione secondo l’Evangelista Marco: «Egli diceva: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: fate penitenza (cioè convertitevi), e credete al Vangelo (alla buona novella)».

Noi possiamo ora contentarci di tradurre in termine pratico questa austera parola della conversione, chiamandola riforma interiore. A questa riforma siamo chiamati; la quale ci fa capire subito molte cose. La prima riguarda l’analisi interiore del nostro spirito; sì, una specie di psicanalisi religiosa e morale: dobbiamo ripiegarci sopra noi stessi per esaminare quale sia la vera direzione principale della nostra vita, quale sia cioè il movente abituale e prevalente del nostro modo di pensare e di agire, quale sia la nostra ragione di vivere, quale lo stile morale della nostra personalità: possiamo dirci uomini onesti? cristiani coerenti e fedeli? Il timone della nostra rotta è rivolto verso la giusta meta? ovvero la sua direzione ha bisogno d’essere rettificata? Questa è la prima conversione; e nessuno vorrà contestare l’opportunità d’una tale verifica. Anche a questo riguardo la vita profana offre modello per quella spirituale: non facciamo noi i bilanci annuali delle nostre amministrazioni economiche? come vanno i nostri affari? e gli affari della vita religiosa e morale? non è la disciplina quaresimale, specialmente se corroborata dai così detti «esercizi spirituali», tutta rivolta a verificare la rettitudine fondamentale del nostro vivere?

Poi questo studio su se stessi ci metterà in grado di scoprire il groviglio della nostra psicologia operativa; troveremo forse peccati, o almeno debolezze che avrebbero bisogno di penitenza, di riforma profonda. Vedremo, ad esempio, che certi caratteri salienti della nostra personalità sono spesso tutt’altro che lodevoli, specialmente dove le nostre passioni ci danno il gusto di operare, e perciò l’illusione d’essere liberi, mentre siamo vittime di noi stessi, cioè di queste energie istintive, cieche e punto degne d’un uomo perfetto, e tanto meno d’un seguace di Cristo; così vedremo finalmente l’enorme influsso che ha sopra la libera e ragionevole scelta delle nostre idee e il governo personale delle nostre azioni l’ambiente esteriore nel quale viviamo. Quante crisi, giovanili specialmente, qualificate sotto il vessillo dell’emancipazione, sono tutt’altro che libere, ma momenti interiori di conformismo, e talora di viltà verso la prevalenza della moda, dell’interesse e della forza!

La conversione, a cui la ricorrente revisione prepasquale ci invita, ci offre occasione, ed insieme i mezzi a ciò necessari, d’una «psicoterapia» rinnovatrice. Anche dalla creta dell’«uomo vecchio», che siamo noi, specialmente se abbandonati al gioco guasto del nostro essere decaduto, può venir fuori, su l’esempio e con l’ausilio di Cristo per noi morto e risorto «l’uomo nuovo», predestinato a felici, eterni destini. Lo auguriamo per tutti con la nostra Apostolica Benedizione.

Sacro ministero fra gli emigranti

Figli carissimi,

desideriamo dirvi, con grande sincerità, la nostra profonda letizia e la nostra paterna compiacenza, perché alla conclusione del corso di aggiornamento e alla vigilia di ritornare a svolgere il vostro impegnativo ministero in mezzo agli emigranti, sparsi nei vari continenti, avete desiderato ardentemente questo incontro, per esprimerci i sentimenti della vostra devozione e per ricevere una nostra parola di sprone, di incoraggiamento, di conforto.

In mezzo ai vostri fratelli emigranti dovete continuare a rendere concreta, con la vostra azione instancabile e generosa, la presenza viva, materna ed operante della Chiesa, la quale, nel ritmo sempre crescente delle trasformazioni sociali ed economiche, guarda con particolare amore e con preoccupata attenzione a tutti coloro che, per la legittima esigenza di assicurare un onesto e dignitoso sostentamento a sé ed ai propri familiari, sono costretti a vivere lontani dalla patria, dagli amici e, spesso, dai loro affetti più cari.

Nella vostra esperienza missionaria voi avete potuto rilevare quali e quanti problemi di carattere spirituale, morale, psicologico ed economico devono affrontare gli emigranti, specialmente all’inizio della loro nuova, e talvolta drammatica, situazione.

Siate accanto a loro, con loro, mediante la vostra azione sacerdotale, fondata sull’unione con Cristo, corroborata dalla preghiera, permeata di autentica povertà, di ardente carità, di delicata comprensione, confortati dal pensiero che la vostra opera è grandemente meritoria presso Gesù, il quale considera come fatto a sé ogni minimo gesto di dedizione rivolto ai fratelli, e presso la Chiesa, la quale vi esprime la sua incessante gratitudine.

Con questi voti, vogliamo manifestarvi tutta la nostra benevolenza, mentre vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione, che estendiamo altresì a tutte le persone che vi sono care.

Il settimanale «La Fedeltà»

Un particolare saluto desideriamo ora rivolgere al Pellegrinaggio dei dirigenti e lettori del settimanale diocesano «La Fedeltà» di Fossano. Accompagnati dal loro Pastore, il venerato Monsignore Giovanni Dadone, sono venuti a portarci l’attestato della loro devozione e a chiedere una parola di incoraggiamento e di benedizione in occasione del 75° anno di pubblicazione del loro periodico.

Noi volentieri ve la concediamo, carissimi figli, questa parola, perché il vostro antico settimanale ha ben meritato della formazione cristiana della vostra comunità. Per questa opera di apostolato della stampa che voi svolgete, figlioli, siate benedetti dal Signore. Noi auspichiamo che il vostro settimanale sia sempre la voce amica, che reca puntualmente nelle vostre famiglie la buona parola che istruisce, conforta, ammonisce e tien desta ed operosa la coscienza del bene. L’apostolato del giornale cattolico è ciò di cui la Chiesa oggi ha particolarmente bisogno. È il grande compito dell’ora.

E desideriamo altresì che facciate onore al titolo, che il vostro periodico porta. Nato come un atto di amore alla Chiesa, esso ha ricevuto la parola d’ordine del suo fondatore, Monsignore Emiliano Manacorda, di mantener fede al Papa, «sempre, senza tergiversare e senza equivoci». È nel solco di questa avita fedeltà che noi auguriamo al vostro settimanale di rinnovare la sua giovinezza e di continuare per l’avvenire il suo cammino.

Con tale auspicio paternamente vi benediciamo.

Gruppi di lingua inglese

We are pleased to welcome a group of students and teachers from Marymount International School in Rome, together with members of the Parents’ Association. We offer our best wishes to the Religious of the Sacred Heart of Mary for the continued prosperity of their undertaking on behalf of young people. It is our prayer that the education offered by the School will be for all who receive it a source of ever deeper appreciation of the grace they have been given, and will help them to realize ever more fully their dignity as children of God.

We also welcome today two bands: that of Archbishop Carroll High School in Washington, and the “ Marching Kings ” from Rochester, New York, whom we had the pleasure of meeting a year ago. By using your talents you bring pleasure and happiness to many people. We thank God for the abilities which he has given you, and we pray that he will ever bless your activities.

A special greeting to a group of Canadian students from Ontario. We thank you for wishing to pay us this visit. It is our hope that your stay in Rome will be enjoyable, and an experience that you will remember for many years. May it also bring you many graces. We ask you to take our cordial good wishes to your families at home, and we assure you of our prayer that the Holy Spirit will guide you in your studies.

With our Apostolic Blessing.

Gli sportivi del «Manchester United»

We are pleased to welcome the members of the Manchester United football team, led by Sir Matt Busby, whose name is so well known in the world of sport.

We hope that your visit to Rome will be a pleasant one. Rome is a city full of history and memories, a city which through the course of the centuries has played an important part in the story of God’s dealing with his creatures and of man’s search for happiness and salvation. During your stay, we trust that you may have some experience of the special atmosphere of the city, and that you will take away with you memories that will remain for many years to come.

You have come to Rome in the cause of sport. Through your skill you give pleasure to vast numbers of people, and in particular to the young. As you are well aware, your names and the name of your team are familiar in millions of homes, schools, colleges and wherever football is played, not only in your own country but in many parts of the world. We need hardly remind you of the great responsibilities that follow from this. Your activities are followed, in every detail, by so many individuals, who admire your abilities and who look up to you.

What we would say to you therefore is this: never cease to be conscious of the influence for good that you can exercise. Always seek to live up to the finest ideals, both of sport and of right living. Always strive to give an example of manliness, honesty and courtesy, both on the field of sport and in your daily lives. Be worthy of imitation by those whose eyes are constantly upon you.

We say to you once more: welcome to Rome. We thank you for wishing to visit us today. Upon you all and upon your dear ones we invoke the blessings of God.




Mercoledì, 28 marzo 1973

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Noi vi richiameremo anche quest’oggi alla spiritualità della quaresima. Essa si pone sulla linea teologica e pedagogica del mistero pasquale, l’opera della Redenzione da parte di Cristo, il raggiungimento della salvezza da parte nostra. La quaresima costituisce la raggiera delle vie preparatorie che si concentrano nel mistero pasquale. Cerchiamo di conoscere e di percorrere queste vie. È cosa che investe non solo gli esercizi della nostra devozione religiosa, ma che mette in evidenza i problemi fondamentali della nostra coscienza morale e religiosa, quali si presentano nei loro termini ricorrenti e generali, come pure nella loro esperienza attuale e personale.

È chiaro, ad esempio, che la disciplina quaresimale mira, tra l’altro, a risvegliare in noi l’avvertenza del peccato, che è nel mondo, e che è ed è stato in noi. Questo del peccato è uno dei temi principali di questo periodo penitenziale, che tende cioé a individuare i nostri peccati, a espiarli, a ripararli. È un tema, si può dire, antipatico, come lo sono le malattie e le disgrazie nella vita dell’uomo; ma tema inevitabile, e assai importante, se da esso dipende il nostro essere cristiano e il nostro eterno destino. Tema immenso, che risale, niente meno, al primo uomo, nel quale si apre tragicamente il dramma della storia, e dal quale deriva, per via di generazione, a ogni figlio di Adamo la triste eredità del peccato originale, con tutte le disfunzioni psicologico-morali della nostra natura, con la perdita della nostra vitale amicizia con Dio, e con la necessità di una rinascita nella grazia del battesimo (Cfr.
Jn 3,5), quale appunto la Pasqua ci farà celebrare nel rito sacramentale per i catecumeni, nella memoria e nel sacramento della penitenza per ciascuno di noi; di quanti cioè «faranno Pasqua».

Disegno grande, profondo, nel quale l’amore misericordioso di Dio viene in traccia di noi per ristabilirci nella sua vita, nella gioia e nella pace, vale a dire nel rapporto religioso perfetto, che ha in sé il pegno di dilatarsi e di eternarsi nel regno futuro di Cristo e di Dio.

Ma a questo punto ci accorgiamo che una parola fa cardine inferiore di tutto il sistema; ed è la parola «peccato»: peccato, che cos’è? Parliamo adesso non più del peccato originale, ma di quello che il catechismo chiama attuale. E la difficoltà dell’uomo profano moderno a parlare di peccato nasce dal fatto che nel concetto di peccato si include un riferimento a Dio; e Dio non dev’essere più chiamato in causa nel linguaggio, anzi nel pensiero, nella coscienza dell’uomo secolarizzato, quale vuol essere il figlio del nostro tempo; il quale, occorrendo, parlerà di infrazione all’ordine (. . . ma l’ordine non reclama esso pure un riferimento trascendente a Dio?), ovvero di colpa, oppure di libero esercizio delle proprie facoltà, e così via, ma non di peccato, che implica un concetto morale, collegato per via metafisica al primo Principio d’ogni cosa, ch’è Dio.

Ebbene questa è una delle lezioni basilari che la quaresima ci ricorda e ci inculca: ogni nostra azione, libera e cosciente, oltrepassa il confine personale e segreto della nostra persona; e, volere o no, è registrata dall’occhio onnipresente di Dio; è responsabile non solo davanti al giudizio riflesso della nostra coscienza, e non solo davanti a quello del complesso sociale in cui si vive; è responsabile davanti a Dio; e senz’alcuna fatica, senza alcuno artificio psicologico, senza alcuna flessione illogica o falsamente sentimentale, chi avverte di aver commesso una infrazione al proprio dovere, una violazione voluta alla rettitudine morale, scoppia, dentro di sé, nel grido biblico : «Contro te solo [o Dio], io ho peccato, e ho fatto ciò ch’è male ai tuoi occhi» (Ps 50,6). Ricordate la stessa voce del figlio prodigo del Vangelo: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te» ().

Questo è importantissimo per comprendere e per vivere il cristianesimo: avere il senso del peccato. Il che comporta avere una visione limpida della propria coscienza: viene qui spontanea la raccomandazione pedagogica, filosofica, ascetica del «conosci te stesso»; cioè dell’utilità dell’esame di coscienza, della ricerca dell’onestà interiore (Cfr. Mt 15,11); della sensibilità morale e spirituale, potremmo dire della mondezza dell’anima (Cfr. S. Caterina da Genova; cfr. DANTE, Purg. III, 8: «. . o dignitosa coscienza e netta») dell’igiene dello spirito. V’è chi teme che questa riflessione critica su se stessi sia causa di debolezza e di scrupoli, mentre l’effetto normale dovrebbe essere l’opposto, cioè la virile franchezza, la sincerità interiore, la maturità del proprio giudizio, l’emancipazione dalle facili viltà di chi ascolta piuttosto le pressioni dell’ambiente, che non l’imperativo liberatore della coscienza (Cfr. la vita di S. Tommaso Moro).

Una obiezione può sorgere proprio a riguardo della coscienza: non basta essa a stabilire la norma del nostro agire? non abolisce la coscienza i decaloghi, i codici, i regolamenti che ci vengono imposti dal di fuori, dalle autorità, dalle strutture sociali? Problema attualissimo, ma assai delicato. Ripetiamo ora semplicemente: la coscienza soggettiva è la prima e immediata norma del nostro agire, ma essa ha bisogno di luce, cioè di vedere qual è la norma da seguire, specialmente quando l’azione non ha in se stessa l’evidenza delle proprie esigenze morali; ha bisogno d’essere edotta e allenata circa la scelta corretta e ottimale dal magistero d’una legge pubblica, o comunque informata e sapiente circa l’ordine globale in cui si svolge la nostra vita; e docile a questa saggezza è essa stessa che trova giusta e doverosa l’obbedienza all’ordine legittimo.

Ma ci basti per ora l’accenno fatto alla necessità di considerare le nostre azioni responsabili davanti a Dio, e di riconoscerle, se disordinate, quali purtroppo sono, peccati. Dai quali il fiume di novità e di grazia della celebrazione del mistero pasquale ci deve felicemente purificare e guarire. Come noi auguriamo a tutti, con la nostra Benedizione Apostolica.



I mercati europei del carbone

L’Istituto del Sacra Cuore alla Trinità dei Monti

Al Consiglio mondiale delle Chiese

We also welcome the members of the Urban and Industrial Mission Advisory Group of the World Council of Churches. We greet you in friendship and brotherhood. We are glad that you have decided to hold your meeting in this venerable city, so rich in history and culture and so precious to Christians. The task you have set yourselves it to work for the poor. We pray that in your deliberations you will be enlightened and guided by the Holy Spirit.

Visitatori del Giappone

We extend a warm greeting to the members of the “Ab Ortu Solis” group from Japan, led by the Fathers of the Divine Word Seminary in Nagoya. It is always a great pleasure for us to welcome visitors from your country. While thanking you for wishing to be here today, we express the hope that your stay in the city of Rome will be an enjoyable one, and that you will take back with you to Japan memories that will always remain fresh in your minds. We assure you of our prayers, and we ask you to convey our best wishes to your families and friends at home.

Facoltà medica della «Loyola University»

It is also our pleasure today to greet a group of doctors: the members of the nineteen forty-eight class of graduates of the Strich School of Medicine of Loyola University in Chicago, together with their wives and members of the University faculty. We need not say how much we appreciate the vital service that you render to society. In your work for your fellow men may you always be faithful to the high principles of your profession., and mindful of the sacredness and dignity of human life, We trust that your visit will be a memorable part of your celebration of the silver jubilee of your graduation.

With our Apostolic Blessing.




Mercoledì, 11 aprile 1973


Paolo VI Catechesi 28273