Paolo VI Catechesi 8873

Mercoledì, 8 agosto 1973

8873
Un ideale muove e muoverà sempre la Chiesa di Dio, quello di attuare in sé e di annunciare d’intorno a sé, al mondo che la circonda e in cui ella è praticamente immersa, il messaggio cristiano, la vita cristiana autentica, quale deriva dal Vangelo e dalla tradizione fedelmente dal Vangelo sgorgata, come pianta da seme. Questo ideale assume impegno ed urgenza dopo il Concilio, quasi a superamento positivo delle manifestazioni molteplici e spesso disorganiche, esplose in seno alla Chiesa stessa durante questi ultimi anni, ma covate da tempo in qualche suo interiore cenacolo, più recettivo delle degradanti correnti culturali esteriori d’un cristianismo semplificato e ridotto ad espressioni secolarizzate, che non degli impulsi sempre vivi ed impellenti delle proprie interiori sorgenti; ed assume questo ideale uno speciale impegno ed una più pressante urgenza nella prossimità dell’Anno Santo, che vorremmo restituisse al Popolo di Dio un senso di pienezza e di contentezza nella coscienza e nella professione della sua genuina vocazione.

Se non che questa coraggiosa aspirazione fa sorgere in noi il senso e quasi l’esperienza delle difficoltà che un’auspicata vita cristiana autentica incontra nella fase storico-spirituale, nella quale la Provvidenza colloca la nostra presente esistenza. Il cristianesimo, dicevamo altra volta, non è facile, specialmente ai nostri giorni. È in corso tutto un movimento di pensiero e di azione, più rischioso, che veramente saggio, per presentare all’opinione pubblica formule cristiane di facile applicazione, snervate dalle loro intrinseche esigenze e insensibilmente assimilabili a quelle storico-sociologiche dominanti nel mondo. Dicevamo questo a proposito della fede. Dobbiamo analogamente dire la stessa cosa per la morale.

È facile la vita morale cristiana, oggi?

No, fratelli e figli carissimi, non è facile. L’osservanza della norma morale, quale noi crediamo si possa dire cristiana, costituisce una delle principali difficoltà per quella forte e genuina affermazione di vita etico-religiosa moderna, che noi andiamo auspicando. Non è facile, diciamo, non per spaventarvi e per togliervi la speranza d’un vittorioso successo al proposito, che confidiamo condiviso da tanti e tanti membri della Chiesa rinascente, ma per dovere di sincerità e per dare coraggio alle vostre coscienze nelle attuali contingenze.

E prima di tutto perché da sempre la sequela di Cristo ha reclamato questa visione realistica e questo immanente coraggio. «Non tutti quelli che mi dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi entrerà nel regno de cieli» (
Mt 7,21 Rm 2,13 Jc 1,25); «Entrate per la porta stretta . . . . quanto angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita . . .». «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, e porti la sua croce, e mi segua. Poiché chi vorrà salvare l’anima sua (cioè la propria vita), la perderà; e chi perderà l’anima sua per amor mio, la troverà» (Mt 16,24-25). Sono parole di Gesù. E non è dubbio che gli Apostoli, con la prima generazione cristiana, hanno subito interpretato la forma operativa della loro nuova religione come una rigorosa ed ascetica osservanza della nuova legge morale cristiana (Cfr. Ep. Diognetum, V; S. IGNATII ANT. Ad Rom., VII, etc. ). Quel dominante richiamo al distacco dai valori esteriori e temporali, quella celebrazione della povertà dello spirito, quella sequenza di beatitudini, esalanti come inebrianti profumi dalle amarezze o dalle eroiche virtù della nostra piatta esistenza, quel perdonare le offese e offrire l’altra guancia a chi ti ha percosso su quella destra, quella purezza di cuore che spinge fino ad inibire ogni sguardo disonesto, eccetera, sono il tessuto del Vangelo, che da una moralità legale ed esteriore riporta la verità umana del bene e male nell’intimo del cuore (Cfr. Mt 15,11); e ciò rende certamente ardua la perfezione delle virtù cristiane; ma sappiamo che questo genere di difficoltà è compensato dalla sintesi dei doveri cristiani in quello supremo dell’amor di Dio, e in quello che subito lo segue, dell’amor del prossima (Mt 22,38), e poi dalla liberazione dal peccato, non che dall’osservanza delle prescrizioni legali dell’antica legge, ormai superate, come ciascuno sa, dall’economia della fede e dall’aiuto della grazia, sempre pronto a chi umilmente e fiduciosamente lo implora (1Co 10,13).

Ma non è di questa dura, ma felice milizia per la virtù cristiana, pur degna del nostro vivissimo interesse (Cfr. Ep 6,17 1Th 5,8), che vogliamo ora discorrere. È piuttosto di quel decadimento del senso morale, che caratterizza il nostro tempo. Discorrere precisamente, no; il tema troppo grande sarebbe; ci basti far cenno, con alcune poche osservazioni.

Possiamo noi, ad esempio, escludere dalla nostra mentalità morale il senso del peccato? Non possiamo, perché il peccato incide sul nostro rapporto con Dio. È una delle verità basilari della nostra concezione etico-religiosa: ogni nostra azione termina, positivamente o negativamente nell’ordine voluto da Dio a nostro riguardo. Ora la mentalità radicalmente laica del nostro tempo annulla la prima e più genetica responsabilità morale, negando o trascurando il riflesso delle nostre azioni allo sguardo di Dio, il riflesso negativo specialmente, cioè l’offesa fatta a Dio, che è il peccato. Il cristiano non può certo rassegnarsi a questa capitale flessione del sistema morale. Vi è implicata tutta l’economia della Redenzione.

E basta ritenersi responsabili di fronte alla propria coscienza? La coscienza morale è certamente il criterio prossimo e indispensabile circa l’onestà delle nostre azioni; e Dio voglia ch’essa sia sempre tenuta in onore nell’educazione della personalità umana; ma la coscienza ha bisogno d’essere istruita, informata, guidata circa la bontà obiettiva dell’azione da compiere; il suo giudizio istintivo e intuitivo non basta; occorre una norma, occorre una legge; altrimenti tale suo giudizio può alterarsi sotto l’impulso delle passioni, degli interessi, o degli esempi altrui. Altrimenti la vita morale vive di utopie, o d’istinti; ed è, come oggi avviene, una vita morale pieghevole alle circostanze esteriori, alle situazioni, con tutte le conseguenze di relativismo e di servilismo che ne derivano, fino a compromettere quella dirittura di coscienza che chiamiamo il carattere e a fare degli uomini una massa di «canne sbattute dal vento» (Mt 11,7). Sentirete dire che bisogna dare alla propria vita un carattere di sincerità; e per sincerità qui s’intende concedere la propria libertà autonoma e personale agli impulsi della propria animalità, della propria smania di godere, senza superiori e logiche inibizioni, al proprio ignobile egoismo. Sentirete affermare che oggi tutto il castello della moralità tradizionale è crollante a causa delle trasformazioni della vita moderna, e che il criterio direttivo della nostra condotta dev’essere antropologico-sociale, cioè deve essere la conformità al costume dominante, senza che questo abbia a corrispondere a criteri superiori di bene e di male. E sentirete forse perfino nell’ambiente cristiano polemizzare contro la fedeltà tradizionale sia alla «legge naturale», di cui si contesta perfino l’esistenza, sia al magistero della Chiesa, quando essa si pronuncia a difesa dei diritti fondamentali e sacri della vita e del costume che ancora meritino il nome di umano e di cristiano.

Voi comprendete a quali fenomeni etici, sociali, politici il contrasto fra la ferma moralità cristiana e la permissività amorale, o la provvisorietà, etica oggi di moda, può riferirsi. Quale tempesta avanza sul mondo, quale possibile naufragio della civiltà si può prospettare! E comprendete come l’imitazione di Cristo, più intelligente e penetrante di quella consuetudinaria e contumace di tanti che si dicono cristiani, debba risalire alla direzione delle nostre coscienze e debba desumere dal battesimo, da cui siamo stati rigenerati, come figli del Dio vivente, il suo originale statuto e la sua soprannaturale energia per la vita nuova, a cui siamo stati chiamati ed impegnati.

Così sia, con la nostra Apostolica Benedizione.

Capitolari dei Minimi

Rivolgiamo ora un particolare ed affettuoso saluto ai Membri del Capitolo Generale Speciale dell’Ordine dei Minimi, che sono presenti a questa Udienza insieme col loro Superiore Generale. Padre Andrea Maria Lia.

Figli carissimi! Ci fa piacere che voi, nella fase conclusiva del vostro Capitolo, in cui state dedicando particolare attenzione alla finalità ed attualità del messaggio penitenziale, alla luce anche del movimento spirituale dell’Anno Santo, avete desiderato di riconfermare la vostra fedeltà e devozione alla Sede Apostolica.

Grazie vivissime non solo per questa vostra testimonianza di filiale pietà, ma anche e soprattutto per lo spirito buono che anima i vostri lavori ed i vostri propositi, per mantenere lo spirito e le forme penitenziali del vostro Ordine, per adeguarle al tempo di oggi, e per renderle sempre più atte ad esprimere la totale adesione al Vangelo (Cfr. Mc 1,15). La pratica della penitenza, anche esterna e fisica, che voi avete voluto ribadire, nella scia del vostro Fondatore S. Francesco di Paola, è un segno manifesto dei buoni principii ascetici, che regolano la vostra vita religiosa, perché la vera penitenza «non può prescindere, in nessun tempo, da una ascesi anche fisica: tutto il nostro essere, infatti, anima e corpo ... deve partecipare attivamente a questo atto religioso, con cui la creatura riconosce la santità e maestà divina» (Poenitemini, II).

Benedica il Signore l’opera di santificazione, a cui ciascuno di voi è impegnato, per sé e per i confratelli, con rinnovato fervore e fecondi i propositi di apostolato che certamente ne scaturiranno.

Vi accompagni in questo sforzo la nostra speciale Benedizione, che impartiamo di cuore a voi, dilettissimi figli, ed all’intero benemerito Istituto.

Alunne dell’Istituto Internazionale di scienze dell’educazione

Il nostro saluto va ora alle insegnanti e alunne, di varie nazioni, che frequentano, qui a Castel Gandolfo, l’Istituto Internazionale di Scienze dell’Educazione. Ci compiacciamo sinceramente con voi, come facciamo ogni anno con le partecipanti ai vostri corsi, per l’attenzione dimostrata verso uno dei problemi più importanti della società, di oggi e di sempre: quello dell’educazione.

L’istituto, presso il quale compite il perfezionamento dei vostri studi, è una prova di quella fioritura di iniziative pedagogiche che il Concilio Vaticano II ha indetto come un indice della maturità del tempo nostro, in cui «si moltiplicano e si sviluppano largamente le scuole, come pure si fondano altri istituti di educazione; attraverso nuove esperienze si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini» (Gravissimum Educationis GE 1). Che cosa vi diremo? Di profittare dei mezzi posti a vostra disposizione in questo tempo prezioso della vostra età, per acquistare e perfezionare l’arte di educare e di fare educare: arte senza dubbio difficile e delicata, ma arte meravigliosa e sublime, perché non rivolta come le altre a dominare le cose insensibili per trarne i capolavori dell’espressione, ma a plasmare l’animo dell’uomo di domani, la sua volontà, il suo carattere e a renderlo conscio della sua grandezza e responsabilità di figlio di Dio, capolavoro dell’intera creazione. A questo voi vi preparate; e ci piace affidarvi un pensiero del nostro Predecessore Pio XI, a ricordo di questa Udienza: che «le buone scuole sono frutto non tanto dei buoni ordinamenti, quanto principalmente dei buoni maestri, i quali, egregiamente preparati e istruiti . . . ardano di amore puro e divino per i giovani loro affidati, come amano Gesù Cristo e la sua Chiesa» (Enc. Divini illius Magistri: AAS 22, 1930, 80-81).

A tanto vi incoraggi la nostra Benedizione, che di cuore impartiamo a voi, ai vostri Professori e ai vostri cari lontani.

Piccolo clero di Malta

Anche quest'anno, siamo lieti di dare il nostro particolare ben- A venuto ai 35 membri del Piccolo Clero, dell’arcidiocesi di Malta, i quali vengono, così volenterosi, a prestare servizio liturgico nella Patriarcale Basilica Vaticana per la durata di quasi due mesi, durante l’estate.

Bravi, ragazzi carissimi! Meritate tutto il nostro plauso e il nostro ringraziamento per lo spirito di generosità e di amore alla Chiesa, che dimostrate col vostro impegno: prima, col prepararvi intensamente con un apposito corso di selezione, poi col mettervi a disposizione nel periodo delle vacanze, sacrificando il vostro tempo, e per di più lontani dalle famiglie, per assicurare alla Basilica di San Pietro il suo rinomato decoro, proprio nei mesi in cui il numero dei sacerdoti e dei pellegrini diventa più intenso.

Apprezziamo lo sforzo, lodiamo la buona volontà, incoraggiamo l’iniziativa; in voi vediamo i fedeli di Malta, sempre vicini e devoti alla Chiesa di Roma; e soprattutto per voi, per i vostri genitori, per i vostri amici che non hanno purtroppo potuto seguirvi, pur avendo frequentato le lezioni preparatorie, preghiamo il Primo degli Apostoli, San Pietro, affinché vi protegga sempre e interceda per voi, perché cresciate buoni, bravi, puri, sereni, perseveranti, attingendo dai Divini Misteri la forza di essere esemplari soldati di Cristo, speranza lieta della Chiesa e della vostra cara Patria.

In pegno di questi voti, a tutti impartiamo la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Due gruppi di Libanesi


Mercoledì, 22 agosto 1973

22873

Quando noi ci proponiamo di promuovere un rinnovamento religioso, per forza di cose noi pensiamo ad una ripresa della preghiera, sia individuale che collettiva. Non indarno la costituzione sulla sacra Liturgia, cioè su l’orazione ufficiale della Chiesa, primeggia fra i documenti del recente Concilio. L’orazione (o preghiera) è l’atto caratteristico della religione (Cfr. S. TH.
II-II 83,3); perciò volendo imprimere alla vita religiosa una coscienza e un’espressione corrispondenti ai bisogni e alle attitudini degli uomini del nostro tempo, bisogna che li invitiamo e li educhiamo a pregare. Quale tema senza confini! Lo sappiamo; ma ci sia lecito di ridurre il nostro discorso alle più elementari osservazioni.

Con una domanda innanzi tutto: prega oggi l’uomo?

Dove la Chiesa vive, sì. La preghiera è il respiro del Corpo mistico, è la sua conversazione con Dio, è l’espressione della sua carità, è lo sforzo di arrivare al Padre, è il riconoscimento della sua provvidenza nella dinamica degli avvenimenti nel mondo, è la supplica alla sua misericordia e all’intervento del suo aiuto nella deficienza delle nostre forze, è la confessione della sua necessità e della sua gloria, è la gioia del Popolo di Dio di poter inneggiare a Lui, Dio, e al tutto che da Lui ci viene, è la scuola della vita cristiana. Cioè la preghiera è un fiore che germina sopra una duplice radice viva e profonda: il senso religioso (radice naturale), e la grazia dello Spirito (radice soprannaturale), che anima in noi la preghiera (Cfr. Rm 8,26; H. BREMOND, Introduction à la Philosophie de la Prière, p, 224, etc.) Anzi si può dire che la preghiera è l’espressione-vertice della Chiesa, ma ne è altresì l’alimento, il principio: è il momento classico in cui la vita divina comincia a circolare nella Chiesa; perciò ne dovremo avere massima cura e altissima stima, ben ricordando, come dice il Concilio, che «la sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa; infatti è necessario che prima . . . gli uomini siano chiamati alla fede e alla conversione» (Sacrosanctum Concilium SC 9).

E allora ecco un altro colossale ostacolo al rinnovamento religioso, auspicato dal passato Concilio e programmato dal prossimo Anno Santo: come far pregare oggi gli uomini?

Perché dobbiamo riconoscere che l’irreligiosità di tanta gente del nostro tempo rende ben difficile l’accensione della preghiera facile, spontanea, gaudiosa negli animi dei nostri contemporanei. Semplificando, diremo per due ordini di obiezioni; quello che contesta radicalmente la ragion d’essere d’una preghiera, quasi essa fosse priva del divino Interlocutore, a cui si rivolge, e perciò superflua, inutile, anzi nociva all’autosufficienza umana e quindi alla personalità dell’uomo moderno; e quello che trascura praticamente di misurarsi con questa esperienza, e tiene le labbra e il cuore chiusi, come chi non osa pronunciarsi in una lingua straniera ignota, e si è abituato a concepire la vita senza alcun rapporto con Dio («Style Françoise Sagan, qui disait un jour à un reporter: “Dieu! je n’y pense jamais!”» : CH. MOELLER, L’homme moderne devant le salut. p. 18).

Colossale ostacolo, dicevamo; ma non è insuperabile. Per un motivo semplicissimo: perché, volere o no, il bisogno di Dio è connaturato nel cuore umano. Il quale tante volte soffre, o si degrada in illogico scetticismo, perché ha represso dentro di sé la voce, che per mille stimoli vorrebbe esprimersi al cielo, non come a un cosmo vuoto e terribilmente misterioso, ma come all’Essere primo, assoluto, creatore, al Dio vivente (Cfr. R. GUARDINI, Dieu vivant; P. C. LANDUCCI, Il Dio in cui crediamo; SIMONE WEIL, Attente de Dieu: morta ad Ashford, proprio trent’anni fa, il 24 agosto 1943). Difatti, per quel che valgono almeno come fenomeni psico-sociali, si avvertono nella presente generazione giovanile strane espressioni di misticismo collettivo, che non è sempre mistificazione artificiale, e che pare invece sete di Dio, inconscia forse ancora della fonte vera a cui dissetarsi, ma sincera nel pronunciarsi silenziosamente qual è: sete, profonda sete.

Comunque sia, noi daremo al problema della preghiera, sia personale, e quindi graduata secondo le esigenze dell’età e dell’ambiente, sia comunitaria, e quindi proporzionata alla vita collettiva, un’attenzione particolare, proprio in ordine alla rinascita spirituale, che andiamo sperando e preparando.

Noi possiamo raccogliere empiricamente quasi un decalogo di suggerimenti a noi rivolti da tanti valenti operatori nel campo contemporaneo del regno di Dio. Eccolo, a titolo di semplice, ma non forse vana informazione.

I. Occorre dare applicazione fedele, intelligente e diligente, alla riforma liturgica, promossa dal Concilio e precisata dalle competenti autorità della Chiesa. Chi la impedisce, o la rallenta senza giudizio, perde il momento provvidenziale d’una vera reviviscenza e d’una felice diffusione della religione cattolica nel nostro tempo. Chi poi profitta della riforma per darsi ad arbitrari esperimenti, disperde energie e offende il senso ecclesiale.

È venuta l’ora d’una geniale e concorde osservanza di questa solenne lex orandi nella Chiesa di Dio: la riforma liturgica.

II. Sarà sempre opportuna una catechesi, filosofica, scritturale, teologica, pastorale, circa il culto divino, quale la Chiesa oggi professa: la preghiera non è sentimento cieco, è proiezione dell’anima illuminata dalla verità e mossa dalla carità (Cfr. S. TH. II-IIae, 83, 1, ad 2).

III. Voci autorevoli ci raccomandano di consigliare grande cautela nel processo di riforma di tradizionali costumi popolari religiosi, badando a non spegnere il sentimento religioso, nell’atto di rivestirlo, di nuove e più autentiche espressioni spirituali: il gusto del vero, del bello, del semplice, del comunitario, e anche del tradizionale (ove merita d’essere onorato), deve presiedere alle manifestazioni esteriori del culto, cercando di conservarvi l’affezione del popolo.

IV. Grande scuola di pietà, di spiritualità, di fedeltà religiosa dev’essere la famiglia. La Chiesa ha grande fiducia nella delicata, autorevole, insostituibile azione pedagogico-religiosa dei Genitori!

V. Conserva, più che mai, la sua gravità e la sua fondamentale importanza l’osservanza del precetto festivo. La Chiesa ha concesso agevolazioni per renderla possibile. Chi ha coscienza del contenuto e della funzionalità di questo precetto, dovrebbe considerarlo non solo un dovere primario, ma altresì un diritto, un bisogno, un onore, una fortuna, al cui adempimento un credente vivo e intelligente non può, senza motivi, rinunziare.

VI. La comunità costituita afferma la prerogativa d’avere per sé la presenza di tutti i suoi fedeli, ad alcuni dei quali, se è consentita una certa autonomia nella pratica religiosa in gruppi distinti, omogenei, non deve mancare la comprensione del genio ecclesiale, ch’è quello di essere popolo, con un Cuor solo e un’anima sola, d’essere cioè, anche socialmente, unità, d’essere Chiesa.

VII. Lo svolgimento delle celebrazioni del culto divino, della santa Messa specialmente, è sempre atto molto serio. Esso dev’essere perciò preparato e compiuto con molta cura, sotto ogni aspetto, anche esteriore (gravità, dignità, orario, durata, svolgimento, ecc.; la parola vi sia sempre semplice e sacra). I ministri del culto hanno in questo campo grande responsabilità, nell’esecuzione e nell’esemplarità.

VIII. L’assistenza dei fedeli deve parimente collaborare al degno compimento del culto sacro: puntualità, compostezza, silenzio, e, principalmente, partecipazione; è questo il punto principale della riforma liturgica: tutto è stato detto, ma quanto ancora da fare!

IX. La preghiera abbia i suoi due momenti in pienezza, personale e collettiva; com’è detto nelle norme liturgiche.

X. Il canto! quale problema! Coraggio. Non è insolubile. Sorge una nuova epoca per la Musica Sacra. Da molti è domandato che sia conservato per tutti i Paesi il canto latino e gregoriano del Gloria, del Credo, del Sanctus, dell’Agnus Dei: Dio voglia che così sia. Si potrà ristudiare come.

Quante cose! Ma quanto belle, quanto semplici in fondo! E quanta forza avrebbe, se osservate, la loro nuova infusione spirituale nelle comunità dei nostri fedeli per riportare nella Chiesa e nel mondo il desiderato rinnovamento religioso!



Pellegrinaggio di Caltagirone

Abbiamo il piacere di salutare il numeroso gruppo di fedeli della Diocesi di Caltagirone, i quali, guidati dal loro Vescovo, Monsignore Carmelo Canzonieri, hanno voluto renderci omaggio nella sosta del loro pellegrinaggio a Lourdes.

Nell’esprimervi, carissimi figli, sincera riconoscenza per questa visita, desideriamo significarvi la gioia che ci procurate con la vostra testimonianza di devozione alla Madonna.

Di qui la nostra esortazione: che la Vergine Santa sia per voi il continuo punto di riferimento a Cristo, suo divin Figlio; sia, con la sua generosa disponibilità al volere del Padre celeste, l’esempio costante per accogliere con serenità, nella prospera e nell’avversa sorte, le disposizioni della Provvidenza; v’insegni con la sua umiltà ad esser docili agli insegnamenti della Chiesa e dei suoi legittimi rappresentanti per una sempre più fruttuosa vostra partecipazione al Corpo mistico di Cristo.

Accompagniamo questi nostri voti con la Benedizione Apostolica, che di cuore impartiamo a voi, alle vostre famiglie e a tutte le persone care.

I partecipanti ai corsi estivi dell’Università del Sacro Cuore

Come ogni anno, rivolgiamo un particolare saluto ai partecipanti ai Corsi estivi internazionali di lingua e cultura italiana per stranieri, organizzati dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il numero degli alunni, provenienti da tutti i Paesi del mondo, e il ripetersi ormai regolare della iniziativa ci dicono che essa risponde ad un’esigenza sentita di un approfondimento culturale, che essa è ben organizzata e ben collaudata. Lode dunque alla sempre diletta Università Cattolica, ai suoi dirigenti, e ai docenti dei Corsi; e lode a voi, carissimi giovani, che sapete impiegare così utilmente il vostro tempo da dedicarvi allo studio della lingua e della civiltà italiana anche in questi mesi estivi, forse dopo un intenso anno di altri studi. Siamo certi che, con la vostra sensibilità, saprete scoprire i valori altamente spirituali e umani della Nazione, in cui soggiornate, e vederne soprattutto le tracce nella storia religiosa e civile, nell’impronta sacra, nella magnificenza artistica di Roma. E facciam voti che questa scoperta, o riscoperta, che voi fate a contatto con giovani di altri Paesi e di diverse culture, contribuisca a maturare sempre più la vostra formazione umana, e lasci tracce profonde nel vostro spirito e nel vostro cuore.

Dio vi benedica!

L’«Opera a servizio della Divina Misericordia»

Rivolgiamo ora un cordiale saluto ai numerosi rappresentanti dei vari Istituti religiosi e secolari dell’Opera a servizio della Divina Misericordia, i quali si sono preparati a questo incontro con alcune giornate di preghiera e di studio.

Sappiamo che quest’anno ricorre il trentesimo anniversario di fondazione di questa pluriforme Famiglia, che al presente svolge la sua attività in Italia, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, nel Messico ed in Venezuela.

A voi tutti, Figli carissimi, il nostro sincero grazie per il bene che svolgete in seno alla Chiesa, con l’augurio che l’alto ideale del Sacerdozio, da voi avvalorato e vissuto in modo particolare, possa brillare di luce ognor più sfolgorante e risvegliare nel cuore di tanti giovani generosi la volontà di seguire più da vicino Cristo Sacerdote e Vittima.

Guidi il Signore benevolmente il vostro apostolato, e confermi i vostri propositi la nostra Benedizione, che di gran cuore impartiamo al Rev, Labellarte, qui presente, a voi e a tutti i membri della vostra giovane Famiglia.

Pellegrini dell’arcidiocesi di Zagabria

Dobbiamo ora il nostro particolare, affettuoso benvenuto ai centoventi pellegrini dell’arcidiocesi di Zagreb, in Jugoslavia, venuti in Italia col loro zelante Pastore, Monsignore Francesco Kuharic, in occasione del 650° anniversario della morte del Beato Agostino Kazotic, che fu Arcivescovo della loro città e poi Vescovo di Lucera. Essi infatti sono di ritorno da quella città del Beneventano, ove riposano le spoglie mortali del Beato, il quale è anche gloria dell’ordine Domenicano, e sono venuti a portare a noi l’espressione della loro fede.

Carissimi sacerdoti e laici! L’attaccamento che dimostrate al vostro Beato, la vostra fedeltà ai suoi esempi ed insegnamenti, la venerazione che vi ha spinti a seguirne le tracce nel vostro viaggio in Italia, sono davvero esemplari: e di tanto vi lodiamo pubblicamente. E bene fate a ricordare quella lontana figura di campione della vita cattolica! Infatti, il Beato Agostino è tuttora attuale per lo zelo appassionato di predicatore e di Vescovo, per le sofferenze sopportate nel servire e nel difendere la libertà della Chiesa, per il suo singolare amore al Papa e alla Sede di Pietro, per la sua devozione mariana, per cui volle che la sua sede vescovile di Lucera diventasse «la città di Maria».

Vi ringraziamo per aver richiamato, con la vostra presenza, il ricordo di un Beato che merita certo di essere più conosciuto. Vi assista egli con la sua intercessione, vi incoraggi nei vostri propositi di fedeltà cristiana, vi rafforzi nel vostro impegno quotidiano di adesione al Vangelo. Noi Io preghiamo con voi; e nell’invocare ogni dono celeste per la fioritura spirituale e per la prosperità civile della vostra arcidiocesi, di cuore impartiamo a voi, e a tutti i suoi membri, la particolare Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 29 agosto 1973

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Come faremo, Fratelli e Figli carissimi, come faremo a risolvere i problemi, a superare le difficoltà, che il programma, a sé proposto dalla Chiesa per l’Anno Santo, solleva e mette nelle loro enormi dimensioni? Perché, ripetiamolo, l’Anno Santo, che si avvicina e che già svolge il suo sforzo operante nelle Chiese locali, vuole avere questo carattere di generale riconciliazione e di sincero rinnovamento di vita cristiana, al quale l’eredità del recente Concilio ci impegna, e di cui abbiamo ormai più volte parlato. Vogliamo imprimere a questo avvenimento, o meglio a questo movimento dell’Anno Santo, un aspetto di serietà e di efficacia; abbiamo già più volte accennato alle grosse difficoltà, che incontra questo nostro proposito, condiviso, noi speriamo, dalla Chiesa cattolica intera; e mano mano che ci appressiamo alla realtà morale, sociologica e storica del nostro tempo, nel quale dobbiamo dar prova della validità dei nostri intenti, l’attualità ci scopre nuovi problemi e nuovi ostacoli; cioè esige da noi una sapiente penetrazione delle presenti condizioni religiose e morali, e un «preventivo» più generoso, e più fondato sulla fiducia nella divina assistenza.

Come faremo, ad esempio, a superare la difficoltà della divisione, della disgregazione, che, purtroppo, s’incontra ora in non pochi ceti della Chiesa? Non è, per verità, che la Chiesa sia dichiaratamente divisa in se stessa; anzi quelli stessi che le infliggono il disagio, e talora lo strazio interiore di dissensi e di arbitrii inconciliabili, affermano più che mai di voler essere nella Chiesa, o meglio di voler essere «Chiesa», tanto è imperioso il bisogno, risultante dalla vocazione cristiana, dell’unità organica e visibile del Corpo mistico. Non mai s’è tanto parlato di comunione quanto ora e sovente proprio da quelli che promuovono forme associative che sono il contrario della vera comunione; cercano cioè la distinzione, la separazione dall’autentica società dei fratelli, dall’univoca famiglia ecclesiale. Dopo d’aver forse cercato di screditare l’aspetto canonico, cioè giuridico, istituzionale della Chiesa, si vorrebbe da costoro legalizzare, con ogni pretesa tolleranza, la propria appartenenza ufficiale alla Chiesa, abolendo ogni ipotesi di scisma, o di autoscomunica. Cioè la divisione, di cui oggi soffre la Chiesa cattolica, non è tanto nella sua compagine strutturale, quanto piuttosto è negli animi, è nelle idee, è nel contegno di molti, che ancora, e spesso con ostinata convinzione di superiorità, si dichiarano cattolici, ma a modo loro, con libera e soggettiva emancipazione di pensieri e di atteggiamenti, ed insieme con fiera ambizione d’intangibile autenticità.

Oh! voi conoscete certamente i fenomeni, alcuni almeno, di questa situazione, e voi potete comprendere quanto essi ci riempiano il cuore di amoroso dolore. La ricomposizione dell’unità, spirituale e reale, all’interno stesso della Chiesa, è oggi uno dei più gravi e dei più urgenti problemi della Chiesa. Non vogliamo turbare i vostri animi con paurosi fantasmi, ma piuttosto vogliamo invitare ciascuno di voi a rimontare, in occasione dell’Anno Santo, nella Chiesa il senso effettivo della sua costituzionale unità, l’amore e il sacrificio per la sua pace interiore, il gusto e la passione della sua sincera armonia di fede e di carità.

Come ci consente il carattere elementare di questo discorso, noi riduciamo a due punti, che crediamo principali, la diagnosi negativa di questo deplorevole stato di cose.

Il primo punto riguarda lo spirito di contestazione, che oggi è diventato di moda, e che tutti quelli che nel campo ecclesiale pretendono ad essere moderni, popolari e personali, si arrogano spesso con irresponsabile disinvoltura. Per sé, la contestazione vorrebbe rivolgersi a individuare e a correggere difetti meritevoli di riprensione, e perciò mirare ad una conversione, ad una riforma, ad un aumento di buona volontà; e noi non esorcizzeremo una positiva contestazione, se essa tale rimane. Ma, ahimé!, la contestazione è diventata una forma di autolesionismo, troppo spesso privo di sapienza e di amore; è diventata un vezzo facile, che vela lo sguardo sui propri difetti e lo apre invece su quelli altrui; essa abitua ad un giudizio, spesso temerario, sui falli della Chiesa, e indulge, fino alla simpatia e alla connivenza, a quelli degli avversari della Chiesa, dei negatori del nome di Dio, dei sovvertitori dell’ordine sociale; essa si schiera radicalmente per le riforme più audaci e pericolose, e sottrae poi la propria adesione, umile e filiale, allo sforzo rinnovatore che il cattolicesimo tenta di stabilire in ogni settore della vita e dell’attività umana. Scaturisce da tale spirito negativo un facile istinto alla propria distinzione dalla comunità, alla preferenza egoistica del proprio gruppo, al rifiuto della solidarietà per le grandi cause dell’apostolato per il regno di Dio; parla di liberazione, e naviga, anche senza volerlo, amara e senza gioia, verso «un libero esame», verso cioè un’affermazione soggettiva, che non è certamente conforme al genio della carità.

La quale carità deve guarire la Chiesa da questo contagio della critica contestatrice e corrosiva, ch’è penetrato qua e là anche nel tessuto del Corpo mistico: il carisma della carità dev’essere ricollocato al posto dovuto, il primo: «la carità è paziente, è benefica; la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si adira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto sopporta, a tutto si accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sostiene» (
1Co 13,4-7). E così via. Ricordate questo inno di San Paolo alla carità; questa, la carità, deve purificare la legittima, e talora doverosa contestazione; e riabituare la Chiesa a ritrovare in se stessa il proprio cuore, nel quale pulsa nel profondo il cuore divino, dolce e forte, di Cristo: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore!» (Mt 11,29).

E il secondo punto? Questo riguarda una distinzione, che dall’ordine logico passa facilmente, ma abusivamente, a quello vissuto; la distinzione, diciamo, della Chiesa istituzionale da quella carismatica; dalla Chiesa di Gesù Cristo a quella del Popolo guidato dallo Spirito Santo; dalla Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, ad una Chiesa concepita secondo i propri lumi personali, o anche i propri gusti spirituali soggettivi. Anche questo punto meriterà la nostra riflessione, in ordine specialmente alle conseguenze negative, che derivano dalla superficiale preferenza, che oggi molti sogliono dare ad una così detta Chiesa carismatica nei confronti della tradizionale Chiesa istituzionale. E le conseguenze negative sono principalmente due: la disobbedienza e un pluralismo oltre i suoi legittimi dr limiti; temi questi che esigerebbero ampi e onesti sviluppi. Sarà, a Dio piacendo, per altra volta.

Ma ora noi ci limitiamo a negare la distinzione sostanziale fra la Chiesa istituzionale e una presunta Chiesa puramente carismatica. Quale Chiesa infatti ha fondato Gesù? Gesù ha fondato la sua Chiesa su Pietro, su gli Apostoli, non altre. Non esistono diverse Chiese; piena e perfetta, nella sua concezione, ne esiste una sola. Ed è a questa Chiesa che Gesù ha mandato lo Spirito Santo, affinché la Chiesa istituzionale viva dell’animazione dello Spirito Santo, e dello Spirito Santo sia custode e ministra. I carismi, cioè i doni speciali che lo Spirito infonde anche nei fedeli, sono a profitto dell’unica Chiesa esistente e per la sua dilatazione nel mondo; come si sa (Cfr. 1Co 12).

Perciò noi dovremo restaurare quel vero «senso della Chiesa» che risponda alle divine intenzioni, e che conferisca alla Chiesa quell’unità interiore, quella vitalità, quella gioia di essere e di operare, che diano testimonianza a noi, al nostro tempo della presenza e della salvezza di Cristo (Cfr. Jn 17).

Cristo ci assista con la sua, ora nostra Benedizione.

Quarto centenario del Seminario maggiore di Mondovì

Il nostro deferente saluto va ora al Vescovo di Mondovì, Monsignore Francesco Brustia, che ha condotto a questa Udienza i numerosi alunni dei Seminari, maggiore e minore, della sua diocesi. L’occasione che qui vi ha tratti, carissimi Seminaristi, è il IV Centenario di fondazione del vostro Seminario, avvenuta nel 1.573 per opera del Vescovo, il Cardinale Vincenzo Lauro, che fu amico dei due grandi Santi della riforma tridentina, San Pio V, che fu anch’Egli Vescovo di Mondovì, e San Carlo Borromeo. Il ricordare quelle antiche vicende dev’essere per voi stimolo a seguire le orme di santità, di cultura, di disciplina, di amore alla Chiesa e alle anime, che sono state impresse, con tanto vigore, nella storia religiosa del vostro seminario, anzi dell’intera diocesi. Sappiamo bene che questa è sempre stata ricca di vocazione, e ciò è indice di profonda religiosità, di sanità morale, e di una saggia educazione familiare; e facciamo voti che questa prerogativa continui ad essere titolo di o’nore, e fattivo impegno pastorale per la diocesi monregalese. E voi, carissimi alunni, sappiate prepararvi degnamente al grande ministero di riconciliazione, che vi sarà affidato un giorno con l’ordinazione sacra: prepararvi nella preghiera vissuta, nel sacrificio di sé, e nello studio approfondito, specie delle aspettative del mondo moderno e dei metodi di apostolato, oggi necessari per stabilire fecondi contatti con la gioventù, con i lavoratori, con gli studenti, eccetera. Avete dietro di voi una grande tradizione di vita sacerdotale: seguitela. E la Vergine Santissima, Regina Mentis Regalis, vi accompagni e vi assista nella vostra formazione. Tutti vi benediciamo, unitamente ai vostri insegnanti, e particolarmente ai genitori che vi hanno donato alla Chiesa. Dio li ricompensi!

Il Movimento «Crociata del Vangelo»

Sono intervenuti a questa Udienza i partecipanti al XXIV Convegno Nazionale del Movimento «Crociata del Vangelo», che si sta svolgendo a Frascati, sul tema «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Vi salutiamo cordialmente, lieti di potervi dire, quest’anno a viva voce, il Nostro compiacimento per la vostra attività, e il Nostro incoraggiamento a far sì che essa sia sempre più fruttuosamente dedicata alla conoscenza del Vangelo, alla sua diffusione, alla sua irradiazione nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle varie forme della vita sociale. È un apostolato molto importante, anzi indispensabile, quello che svolgete: siatene sempre consapevoli, profondamente presi, per spendere in quest’opera magnifica tutte le vostre forze. Il Vangelo! Che cosa mai potremo dire su di un tema così grande, le cui profondità insondabili e le cui bellezze sovrumane hanno alimentato la predicazione degli Apostoli, l’insegnamento infallibile della Chiesa, la parola dei Dottori, la meditazione dei santi, la imitazione dei generosi, la fantasia degli artisti? le cui pagine ci riportano tuttora viva l’eco della parola di Cristo, il fascino inimitabile della sua Persona, la testimonianza dei suoi miracoli, la forza dei suoi comandi, i palpiti del suo cuore misericordioso, i culmini del suo amore crocifisso? Nel Vangelo è il Cristo, «nel quale trova compimento tutta intera la rivelazione del Sommo Iddio» (Dei Verbum DV 7): esso perciò è il libro più santo e prezioso. Chiediamoci: è conosciuto abbastanza? È studiato abbastanza? È vissuto abbastanza? Lode a voi, che ne fate il programma dei vostri studi, dei vostri convegni, delle vostre iniziative : e auguriamo che il vostro impegno sia di valido aiuto ai sacri Pastori perché il Vangelo sia sempre di più vissuto e praticato.

A tanto vi conforti la nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini di Strasburgo

La delegazione brasiliana delle Conferenze di San Vincenzo

Ao saudar cordialmente todos os visitantes de língua portuguesa, queremos dizer uma palavra particular aos membros da Delegação Brasileira ao Congresso Mundial das Conferências de São Vicente de Paulo, a caminho de Dublin e aqui presentes.

Dilectos Filhos:

Em vós, nesta hora, vemos os vicentinos que, na vossa Pátria, como no mundo inteiro, vivem e actuam a caridade, segundo a fórmula lançada por Ozanam. Conhecemos as benemerências e a vitalidade das Conferências de São Vicente de Paulo no Brasil; e enchem-nos a alma sentimentos de louvor a Deus e de apreço pelo bem que fazem. Que continuem a ser sempre «fermentos na massa», com a prática do Amor, pelo qual o próprio Deus quis definir-se! (Cfr. 1Jn 4,8).

Sede intérpretes deste nosso apreço e estímulo junto dos confrades, vossos compatriotas. E levai-lhes esta lembrança: amando coma Cristo amou, ao distribuírem bens materiais, estão a testemunhá- Lo e a comungar nas riquezas da Sua graça, que para todos imploramos, corn a nossa Bênção Apostólica.

Torneo internazionale di baseball

Our special welcome goes to the Baseball players who are present at this audience. We are happy to have the occasion to greet you and to express our good wishes for your stay in Rome. We want you to know that we admire your enthusiasm and your youthful dedication to the wholesome activities of sport, for we believe that these activities give you the opportunity of authentic development in an area of praiseworthy human skills. You have likewise the possibility of furnishing the diversion of legitimate enjoyment to numerous spectators and this can be an expression of true service to the community. You are, moreover, in an excellent position to promote brotherhood among men. And for us, this is an important element of our Christian teaching. Although you come from different nations and races-in the words of the Gospel, in the words of Christ-“you are all brothers” (Mt 23,8). We pray that God will give to each of you his choicest gifts, that he will bless you, your families and your dear ones. And may God’s love be always in your hearts. * * *

Nos complacemos en dirigir un saludo especial a los dirigentes y jugadores de habla española, que han querido visitarnos: para ellos y para sus familiares y amigos invocamos la constante protección divina y les otorgamos de corazón nuestra Bendición Apostólica.


Mercoledì, 5 settembre 1973


Paolo VI Catechesi 8873