Paolo VI Catechesi 50973

Mercoledì, 5 settembre 1973

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Ripensare la Chiesa: questo è stato uno dei temi, il principale forse, del recente Concilio. Come non mai questo bisogno d’un atto di riflessione su se stessa sia maturato in seno alla Chiesa è materia di studio, molto interessante e molto feconda in questo ultimo periodo storico, che dalla teologia propriamente detta, contemplatrice e esploratrice del mistero di Dio e della sua rivelazione in Cristo Signore, è passato anche alla ecclesiologia; si è visto che la Chiesa non è soltanto maestra della fede, ma oggetto essa stessa di fede: «credo, noi diciamo nella nostra professione consueta, recitando il Simbolo alla Messa (Cfr. DENZ.-SCHÖN.
DS 150): credo la Chiesa, una, santa, cattolica, ed apostolica». Tutti sanno come lo studio dottrinale sulla Chiesa sia relativamente recente; manca nella Somma di S. Tommaso un trattato vero e proprio su questo tema; bisogna attendere la crisi della Riforma per avere un’esposizione sistematica e organica sulla Chiesa; famosa poi quella di S. Roberto Bellarmino (De militanti Ecclesia). Nei tempi recenti invece l’ecclesiologia è stata oggetto di grande interesse; infatti sia l’aspetto storico dell’economia della salvezza, sia l’aspetto propriamente teologico circa l’instaurazione dei rapporti soprannaturali, mediante Cristo e nello Spirito Santo, tra Dio e l’umanità, attrassero l’attenzione della Chiesa sopra il proprio mistero; noi abbiamo nella celebre Enciclica Mystici Corporis, di Papa Pio XII (1943), una sintesi magistrale su questo tema, che fu ripreso dal Concilio da un punto prospettico proprio, attribuendo alla Chiesa (nella sua più ampia accezione) il titolo ora prevalso di Popolo di Dio, sotto il quale titolo è delineata la sintesi dell’ecclesiologia cattolica, in ordine alla realtà divino-umana propria della Chiesa, in ordine al disegno storico in cui essa si attesta nel corso dei secoli, prima, durante e dopo Cristo, e in ordine anche alla mentalità moderna circa i fatti sociali.

Ripetiamo: ripensare la Chiesa è una delle questioni salienti del pensiero religioso contemporaneo; e noi faremo bene a farci obbligo di uno studio particolare in proposito, se vogliamo, alla scuola del Concilio, attendere a quel rinnovamento spirituale e morale, di cui l’Anno Santo fa suo programma.

Innanzi tutto per avere idee chiare circa la Chiesa. E la prima idea sarà riconoscerne il mistero, cioè la eccedenza del suo essere rispetto alla nostra capacità intellettiva. Essa non è un fatto puramente naturale (e già la profondità dei fatti naturali sorpassa di solito il nostro potere di adeguarne Ia realtà al nostro pensiero); essa è un pensiero divino, un disegno di Dio che si innesta nella vita e nella storia dell’uomo; si veda, fra i primi documenti, la lettera di S. Paolo agli Efesini; la meraviglia dapprima, la fede poi, e l’entusiasmo della carità infine devono essere i nostri fondamentali atteggiamenti dinanzi a tale rivelazione. E non ci dobbiamo stupire se tale mistero non trova, nel nostro linguaggio, termini adeguati per definirlo; ce lo dice il Concilio, il quale elenca alcune espressioni relative al mistero, che tutte vanno bene, ma tutte hanno bisogno d’essere integrate con altre analoghe. La Chiesa è adombrata nell’annuncio evangelico del titolo di Regno di Dio, e poi di regno di Cristo e di Dio; e diventa l’ovile di Cristo, il campo di Dio, l’edificio di Dio; diventa il Corpo mistico di Cristo, diventa la Sposa di Cristo (Cfr. Lumen Gentium LG 5-7). «La Chiesa è il nuovo Popolo di Dio destinato a realizzare il suo regno sulla terra» (MÖRSDORF; cfr. O. SEMMELROTH, nel vol. L’Eglise de Vatican II, vol. II, 395-409).

Questo straripante concetto di società umana, costituita da cittadini tutti eguali, e organizzata da ministeri potestativi e gerarchici, terrestre e insieme celeste, percorsa da un’animazione di Spirito Santo, destinata ad effondersi su tutta la terra (Cfr. Lumen Gentium LG 8), deve costituire oggetto d’una nostra appassionata e realistica riflessione, se vogliamo superare innanzi tutto lo scetticismo, di cui ordinariamente è imbevuta la mentalità profana, la quale, di per sé, è all’oscuro dei veri e supremi destini dell’umanità, e solo intravede qualche bagliore, che emana dall’esperienza naturale, circa le mete superlative, a cui la civiltà è incamminata: l’unità, la fratellanza, la giustizia, il dominio della creazione, la pace; e se vogliamo camminare nella vita presente come «figli della luce» (Ep 5,8). Dobbiamo in secondo luogo difenderci dalla tentazione di costruire da noi stessi, col nostro cervello, o con la nostra cultura, un tipo nuovo di Chiesa, uno schema artificiale di società religiosa, diverso dal concetto evangelico ed apostolico, elaborandone uno statuto estraneo, o contrario a quello che la Chiesa stessa, nelle sue espressioni responsabili, ha storicamente stabilito. La riforma degli aspetti umani e caduchi della Chiesa è sempre doverosa e possibile; ma essa non autorizza alcuno ad assumere posizioni critiche e polemiche eversive, o puramente particolari; la riforma deve concorrere a costruire, non a demolire la Chiesa, giudice in ciò chi ha legittima investitura di istruire e di guidare il Popolo di Dio.

Procureremo poi di educare la nostra mentalità religiosa a concepire la Chiesa in conformità a questa definizione che il Concilio ha fatto propria: Popolo di Dio. Essa è una definizione densa e feconda. Ci ricorda come l’iniziativa di radunare una umanità dispersa o autocefala per farne un Popolo, concorde e molteplice, libero e docile, saggio ed umile, forte ed inerme, unito nella fede, nella speranza e nella carità, risale a Dio, e sempre da Lui deriva e per Lui si giustifica.

Dice ancora il Concilio: «Dio volle santificare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di essi un Popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (Lumen Gentium LG 9).

Il Concilio poi, valendosi di questo appellativo «Popolo di Dio», riannoda, con sempre devota e cordiale memoria, la Chiesa all’economia dell’Antico Testamento, in cui si celebra l’alleanza privilegiata, stabilita da Dio con Israele, in preparazione della nuova alleanza, conclusa da Cristo: non più semplice patto di amicizia, ma comunione; e non più ristretto ad un ceppo etnico, ma aperta a tutti gli uomini pronti alla fede, membra perciò d’un nuovo mistico corpo, rivestite ognuna d’una personalità soprannaturale, come scrive S. Pietro: «voi, stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo di acquisto» (1P 2,9; cfr. S. AUG. De catechizandis radibus III, 6: PL 40, 313).

Quant’altre cose comporterebbe il tema magnifico, la Chiesa! Quella Chiesa che «Cristo amò, e per la quale Egli sacrificò la sua vita»! (Ep 5,25) Ma ora ci basti ricordare l’importanza che il concetto autentico e luminoso della Chiesa può avere nella nostra formazione cristiana e cattolica, e nello sforzo che dobbiamo intraprendere per il rinnovamento e per la riconciliazione degli uomini del nostro tempo. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Congresso europeo dei «Garden Centers»

Gruppo di buddisti giapponesi

It is a great pleasure for us to welcome the members of the Japanese Buddhists Europe Tour, honoured followers of the Sôtô-shû sect of Buddhism. After an extensive tour of various European countries you have wished to come to Rome and to pay us this visit. We thank you for your courtesy. The purpose of your journey has been to work for greater understanding between Christians and Buddhists, a purpose which we appreciate and favour. At the Second Vatican Council the Catholic Church exhorted her sons and daughters to study and evaluate the religious traditions of mankind, and to “learn by sincere and patient dialogue what treasures a bountiful Go,d has distributed among the nations of the earth” (Ad Gentes AGD 11). We ourself have set up in Rome a Secretariat for dialogue with the members of non-Christian religions. Buddhism is one of the riches of Asia: you teach men to seek truth and peace in the kingdom of the Eternal, beyond the horizon of visible things: you likewise strive to encourage the qualities of goodness, meekness and non-violence. We too as Christians, following the example of Jesus Christ, seek to be “self-restrained and live good and religious lives here in this present world, while we are waiting in hope.” (Tt 2,13) We assure you once more of our pleasure at your visit. And we express the hope that dialogue and good relations with the Catholic Church in your country and in the entire world will develop and be strengthened, for the goo.d of all. May Almighty God bless you and your dear homeland.

«Operación Plus Ultra»

Con paternal afecto os damos la bienvenida a vosotros, amadísimos niños de la «Operación Plus Ultra», que habéis querido hacernos esta visita.

Os felicitamos por vuestros gestos de bondad, que nos llenan de gozo y de esperanza, porque hacen comprender a todos la belleza de saber pasar por el mundo haciendo el bien.

Os exhortamos a vivir siempre el ideal del amor y de la compasión por el sufrimiento ajeno, de modo que cuantos os rodean puedan ver en vosotros testimonios vivos del mensaje de Cristo.

A vosotros ye a vuestras familias y amigos nos complacemos en impartir de corazón una especial Bendición Apostólica.



Mercoledì, 12 settembre 1973

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Noi siamo alla ricerca delle migliori condizioni di spirito, nelle quali tutti dovremmo metterci per celebrare bene l’Anno Santo non come un semplice avvenimento occasionale, ma come un incentivo dapprima, un movimento poi per dare alla nostra coscienza cristiana quella «conversione», quella novità spirituale e pratica, che il passato Concilio ha predicato per la Chiesa di Dio e per quanti hanno la fortuna e la responsabilità di appartenerle.

Quali sono queste migliori condizioni di spirito? Molte, moltissime, com’è chiaro; a volerle elencare e descrivere il discorso non avrebbe più fine. Limitiamoci per ora ad una sola: al nostro atteggiamento verso la Chiesa. Qual è il nostro sentimento profondo e personale, quello dominante almeno? Richiamiamo l’attenzione su questo punto, perché può essere influente e forse determinante circa il modo e l’efficacia della nostra celebrazione dell’Anno Santo.

Interroghiamo allora noi stessi: qual è il nostro atteggiamento verso la Chiesa? quella Chiesa per la quale Cristo per primo, Lui fondatore, Lui Maestro, Lui Redentore, ebbe tanti pensieri, tanti desideri, tante cure, e, per dir tutto in una parola, tanto amore: «Egli amò la Chiesa, scrive San Paolo e immolò se stesso per lei» (
Ep 5,25).

Potremmo tentare di classificarci secondo certe generiche categorie di facile identificazione. La prima categoria è quella degli indifferenti. Oggi è categoria molto vasta; possiamo iscrivervi quanti non si curano della questione religiosa, come di questione vitale, e quanti pensano che tale questione si è oramai non risolta, ma dissolta per la prevalenza della mentalità scientifica, per il secolarismo che circoscrive la sfera del nostro interesse al regno dell’esperienza e a quello dei rapporti economico-sociali che ci circondano. Verso questa categoria noi ci sentiamo assai distanti, per la loro incuranza dei valori religiosi, che noi sappiamo sommi, sappiamo veri, sappiamo necessari, e che noi attingiamo dalla e nella Chiesa, con una controprova interiore di certezza e di felicità (Cfr. Rm 8,16). Fare dell’indifferenza religiosa, e precisamente nei riguardi della Chiesa, la nostra scelta, falsamente comoda e razionale, sarebbe un’abdicazione al nostro diritto-dovere di esseri costituzionalmente destinati a tendere e a raggiungere, in qualche misura, l’Essere supremo, il Dio vivente (Cfr. S . AUG. Confess. 1, 1). E verso questa stessa categoria vogliamo essere, nello stesso tempo, pastoralmente assai vicini, come a fratelli erranti nel deserto del mistero che ha invaso ogni cosa.

Un’altra categoria, oggi di moda, è quella dei critici. Vi sono due specie di critici; chiamiamo positiva la prima, ed è formata da quei critici orientati verso la verità e, per ciò che si riferisce alla Chiesa, verso l’introspezione della sua vera natura, oltre le sue esteriori ed umane sembianze, verso la sua immanente e inestinguibile definizione di Corpo mistico di Cristo; una critica questa, che non nasconde nulla, ma che ci rende tanto più appassionati ed amorosi della Chiesa di Cristo, quanto più essa ci svela i difetti, le incoerenze, i falli, le sofferenze, i bisogni del volto umano della Chiesa stessa: critici di questa specie vorremmo essere un po’ tutti quanti della Chiesa ci diciamo fedeli, figli e membra solidali (Cfr. 2Co 13,8). L’altra specie di critici è quella negativa, animata cioè da uno spirito maligno, che, contrariamente al carisma della carità, cogitat malum, gaudet super iniquitate (Cfr. 1Co 13,5-6). È pur troppo abbastanza diffuso oggi questo spirito pessimista, che altro occhio non ha per la Chiesa, se non per denunciarne, vere o false che siano, le deformità, e per trarne argomento farisaico a propria lode e a sua condanna (Cfr. Lc 18,11-12). Vorremmo invitare questi critici tanto severi, e talora prevenuti e ingenerosi, a maggiore serenità; quella serenità che rende possibile il dialogo, e che riaccende nel cuore l’amore. Come potremmo pretendere di costruire senza l’amore la Chiesa?

E intitoliamo dunque all’amore la terza, la grande categoria di coloro che lo vogliono assumere per qualificare il proprio atteggiamento verso la Chiesa, in atto di cosciente rinnovamento per l’Anno Santo. Noi auspichiamo che questo momento di pienezza della santa Chiesa sia celebrato nel segno dell’amore, della medesima ed alla medesima santa Chiesa. Amare la Chiesa, questo dev’essere il nostro atteggiamento primo e nuovo in questa stagione spirituale e storica. Nella sua realtà mistica e terrena, la ameremo la Chiesa, in ciò che ha di misterioso e di divino, ed anche in ciò che ella ha di umano e perciò di limitato e difettoso, nella sua concretezza, qual è, perfetta nel pensiero di Cristo (Cfr. Ep 5,27), perfettibile nella nostra esperienza e nel nostro desiderio, senza evadere nella distinzione fra una Chiesa carismatica, immaginata da un nostro gratuito idealismo, e una Chiesa istituzionale, di cui stentiamo a riconoscere l’identità e il bisogno ch’ella ha della nostra umile e filiale adesione per riapparire bella come Sposa di Cristo.

Amare la Chiesa, con fervore e dedizione, rigenerati nella certezza della sua credibilità e della nostra necessità d’esserle membra sane ed operanti. A chi va, con questo voto, il nostro affettuoso pensiero? A voi, figli e fratelli, sacerdoti e religiosi che alla Chiesa già siete impegnati con i vincoli d’oro dell’amore totale; bisogna ritrovarlo questo amore, confermarlo e riaccenderlo del fuoco primitivo del nostro cordiale entusiasmo, della nostra piena fiducia.

E poi diciamo a voi, Giovani, con cuore pieno di speranza: amate la Chiesa. Forse già la amate, nelle vostre inquiete ed ideali aspirazioni, e non vi accorgete ch'ella è perfettamente al vertice dei vostri ideali di autenticità, di perfezione tesa nello sforzo d’essere tale, e poi sull’orizzonte dei comuni e validi sogni di universalità, di giustizia, di pace. E lo diremo anche ai lontani, sperando che anche a loro giunga un’eco almeno della nostra voce: amate la Chiesa! ella è la vera unità, ella è la vera bontà; ella è l’umanità che soffre, pensa, opera e vive per ciò che merita d’essere scopo dell’umana esistenza, per ciò che alla fine non delude e non muore.

Amare la Chiesa; questa è la formula buona.

Proviamola, con nuova fiducia.

E con la nostra Apostolica Benedizione.



Settimana biblica per Religiose

Quest'oggi abbiamo il conforto di salutare il cospicuo gruppo di Religiose che in questi giorni frequentano la V Settimana Biblica Nazionale, organizzata per iniziativa de!la benemerita Associazione Biblica Italiana.

Vi siamo riconoscenti, figliole carissime, di questa visita particolarmente gradita, e dei sentimenti di devozione filiale che l’hanno suggerita. Diamo a voi tutte di gran cuore il nostro benvenuto.

Abbiamo già avuto occasione di manifestare l’alta considerazione in cui noi teniamo i Corsi a cui voi partecipate e la loro finalità. Essi tendono a far sì che la Bibbia non rimanga un libro quasi chiuso per le anime religiose, ma la sua conoscenza, con gli ampi panorami che essa apre sulla storia e sullo sviluppo del Popolo di Dio, diventi «cibo dell’anima, sorgente pura e perenne di vita spirituale» (Dei Verbum DV 21). Si viene incontro così da parte vostra al voto del Concilio Ecumenico, che «esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Ph 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture» (Dei Verbum DV 25).

Ecco perché noi guardiamo con simpatia e con fiducia il vostro Corso. Iniziative di questo genere costituiscono uno dei servizi più efficaci perché le religiose possano comprendere più pienamente la loro consacrazione a Dio e assolvere la loro missione conforme alla propria vocazione e alle necessità dei tempi.

Ci rallegriamo perciò vivamente con voi, e per conseguenza volentieri incoraggiamo i vostri Corsi, li benediciamo, invocando su quanti li dirigono, li promuovono e li frequentano con tanto impegno e così alta coscienza dei bisogni della Chiesa, la continua assistenza del Signore.

La Società delle Divine Vocazioni

Figli carissimi,

a vostra presenza ci riempie il cuore di consolazione e di speranza. Nel ricevere, infatti, una così qualificata rappresentanza della benemerita Società delle Divine Vocazioni, si offre spontaneamente alla nostra considerazione non soltanto l’alto valore, ma altresì la viva attualità della missione a cui voi dedicate le vostre energie e la vostra attività.

Adoperarsi affinché anime ardenti e generose si consacrino al servizio di Dio e delle anime, significa lavorare per ciò di cui la Chiesa ha maggiormente bisogno. Ben conoscete con quanta sollecitudine il Concilio Ecumenico ha ripetutamente sottolineato la preminenza e l’urgenza di tale problema, che è di vitale importanza per la Chiesa (Cfr. Presbyterorum Ordinis Optatam totius, 2).

D’altra parte, mai forse come oggi il problema delle vocazioni ha suscitato tante preoccupazioni nel campo pastorale. Le condizioni della vita moderna, la corsa non sempre ordinata verso un maggiore benessere materiale, il modificato ambiente delle famiglie hanno portato, come di riflesso, ad una diminuzione degli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa. È forse il Signore che chiama di meno o la Sua voce ha perduto la sua efficacia? No di certo. Si tratta, invece, che sono venute a mancare le condizioni favorevoli perché la chiamata divina possa essere ascoltata e seguita. Occorre quindi porre ogni cura e diligenza nel lavoro di ricerca e di educazione delle vocazioni.

È un lavoro, questo, che deve impegnare tutti, sacerdoti, religiosi e laici, in una stretta collaborazione. È il compito a cui siete specificamente chiamati voi, figli carissimi. Continuate ad assolverlo con spirito di fede e di sacrificio, seguendo le orme del vostro venerato Fondatore. Ciò richiede pazienza, grandezza di animo, cure assidue, dedizione, amore: ma questi sforzi non mancheranno di produrre a loro tempo frutti abbondanti, specialmente se saprete presentare ai giovani, generosi e forti per natura, l’ideale della vita sacerdotale e religiosa nella sua completezza, non nascondendo le severe esigenze che esso comporta, ma illustrando tutto il suo alto significato ed il suo valore. Ed è bello e significativo che questo impegno sia riaffermato da voi, membri del Consiglio Generale qui davanti al Papa, e circondati da questa eletta schiera di sacerdoti novelli, così ricca di promesse per il domani del vostro Istituto.

Non ci resta, cari figli, che invocare la protezione specialissima del Cielo per la felice continuazione della vostra missione. Lo facciamo con tutto il cuore, mentre a voi qui presenti e a tutti i vostri confratelli, in pegno delle divine grazie, impartiamo una larga e paterna Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 19 settembre 1973

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Una volta ancora noi ci riferiamo all’Anno Santo che viene, e che vorremmo fosse largamente e profondamente un’occasione di rinnovamento cristiano, al quale il Concilio ci ha invitati. Il nostro vecchio e insidiato cristianesimo deve esprimersi in mentalità e in forme di condotta, che dimostrino due cose: la sua autenticità e la sua vitalità; e ciò al confronto, primo, della sua migliore tradizione; secondo, al confronto delle condizioni concrete, in cui oggi la nostra vita, presa nelle maglie formidabili del costume vigente, si svolge; e terzo, al confronto del mondo profano, che si professa laico e tutto orientato verso un modo di pensare e di vivere, non certo con coerenza cristiana, mentre il cristianesimo ha la missione di penetrarlo del suo spirito a profitto ed a salvezza del mondo stesso, in Cristo Signore.

Pensiamo cioè che convenga rendersi conto fin d’ora delle difficoltà che un tale programma presenta. Come altra volta dicemmo, le difficoltà sono molte e sono gravi; bisogna almeno conoscerle, studiarle se si può, e predisporre le condizioni di spirito opportune per superarle con la nostra personale testimonianza, fidando nella virtù dello Spirito Santo.

Una di queste difficoltà è costituita dalla decadenza del senso morale. Se ne è già accennato; ma non è superfluo richiamare la nostra attenzione su questo enorme ostacolo che si oppone alla diffusione del messaggio cristiano e alla sua effettiva efficacia.

Che cosa intendiamo per senso morale? Domanda importante. È l’innata coscienza del bene e del male; confortata dal giudizio rivolto non soltanto a ciò che è bene e ciò che è male, ma altresì a ciò che deve essere bene per noi e che deve essere evitato perché male per noi. È un concetto nodale, che Implica intelligenza e volontà circa le cose da farsi e da non farsi; implica il gioco decisivo della libertà, quello perciò del dovere, e quello successivo della legge, della norma direttiva delle nostre azioni, e quindi quello dell’autorità da cui emana la legge. Possiamo dire (prescindendo ora dalle esigenze verbali filosofiche) che è l’avvertenza, cioè la coscienza dell’ordine da compiere dentro e fuori di noi. Questo istinto, questo orientamento spontaneo dapprima, pensato e voluto poi, dell’obbligazione morale, convalidata da un magistero estrinseco e sociale, ovvero da quello religioso, e rivolta all’azione conforme ad un piano naturale, esso stesso intuito come riflesso di una Intenzione trascendente, e noi la chiamiamo moralità. Quali sono le forze, gli stimoli, che entrano in gioco? il dovere? le passioni? gli interessi? il costume? l’abitudine? l’esempio? il comando? il timore? . . . È tutta una gamma che l’educatore ben conosce, e che la coscienza, cioè la riflessione personale è chiamata a valutare nella sua onestà e a dosare con scelta volontaria nell’efficienza dei suoi influssi esecutivi.

Accenniamo soltanto a questo complesso groviglio operativo perché ci possiamo rendere conto della densità di significato della comunissima e stupenda espressione: «essere buoni», che vuol dire essere positivamente morali; e perché non ci sorprenda il fatto del facile disordine che può introdursi nel complicato meccanismo psicologico dell’agire umano; disordine, ahimé!, che esiste già allo stato potenziale nell’uomo dopo il guasto introdotto dal peccato originale, con efficacia più o meno contenuta e contenibile.

Ed allora ci domandiamo (Cfr.
1Co 10,13): è possibile essere buoni? conformi alla legge del bene, e vittoriosi di fronte alle tentazioni del male? Questo è il dramma quotidiano d’ogni essere umano; questa è la prova a cui è sottoposta la nostra vita presente. Ma noi dobbiamo essere ottimisti, e dobbiamo rispondere che sì, è possibile; ’ l’uomo è di natura sua orientato verso il bene; inoltre noi abbiamo un prodigioso sussidio che ci fa buoni e che ci aiuta a diventare buoni sempre di più: è la grazia, l’effusione interiore dello Spirito Santo: purché gli apriamo la porta del cuore, con l’adesione sincera e l’accettazione profonda del Vangelo, come la Chiesa c’insegna e ci aiuta a fare. È questo, in fondo, il senso globale della vita cristiana e della salvezza ch’essa reca con sé: essere uomini buoni, giusti, forti, liberi e veri, viventi in Cristo. L’uomo «nuovo» è così.

Riusciremo a formare una generazione, una società d’uomini simili.

Questo è il proposito, questa la speranza.

Dov’è il pericolo? E se c’è, dove il rimedio?

Parliamo del senso morale; e ci limitiamo ora a indicare due pericoli, già prementi sulle coscienze di tanta gente del nostro tempo.

Il primo è quello di deviare il senso morale dall’asse deontologico dell’agire umano, di privare cioè il senso morale del quo imperativo assoluto, che deriva dal riferimento del nostro agire a Dio. Siamo responsabili di fronte a Dio. Il timore di Dio è il fondamento della vita morale («principio della sapienza è il timore di Dio» - Ps 110,10), dice la Bibbia. Tolto dall’animo il timore di Dio non ha più senso la parola santità, cioè la perfezione suprema dell’essere nostro; e non ha più senso la parola peccato, ch’è una violazione assurda della legge divina. Oggi la norma della moralità piega verso il costume, cioè verso l’uso corrente, verso la moda del comportamento etico; ieri era il costume che cercava di adeguarsi alla norma morale, oggi il contrario. Se il costume fa legge, la legge in realtà non esiste più nel suo intrinseco vigore; e il costume si degrada da sé. Diventa mutevole e provvisorio. La corruzione può trovare in tal modo libera circolazione nella vita sociale. Questa mentalità relativista, che sembra giustificarsi dalla libertà propria d’una società così detta matura, può degenerare facilmente in licenza ed essere la rovina della comunità e delle persone che la compongono. Non sarebbe difficile addurre esempi storici insigni a tale riguardo. L’ecologia del costume, in ogni ordine di attività, perciò dovrà essere per noi uno dei compiti primarii del rinnovamento cristiano a cui aspiriamo.

L’altro pericolo del senso morale è dato dall’edonismo, cioè dal sistema etico che mette il piacere al posto del bene; sistema questo a cui oggi siamo tanto proclivi. Si vuole la vita facile, comoda, gaudente. Si cerca di abolire ogni sforzo, ogni sacrificio. L’imperativo morale, il dovere, è quasi dimenticato; si esalta solo il diritto. Si teorizza sulla liceità di dare alle passioni dei sensi ogni possibile soddisfazione. L’erotismo diventa una moda, il piacere un diritto, il vizio un’inezia. Non si calcola lo sperpero d’ogni valore umano con simile flessione morale. La fede, la religiosità, la spiritualità, il vigore della volontà, la grandezza d’animo vi si dissolvono. «L’uomo animale, ammonisce S. Paolo, non può comprendere le cose che sono dello Spirito di Dio» (1Co 2,14).

Noi, che abbiamo la fortuna e la responsabilità d’essere battezzati, sapremo derivare da questo fatto decisivo e meraviglioso lo stile e l’energia della vita forte e nuova. L’austerità della croce non ci dovrà detrarre da un impegno cristiano coraggioso, ma attrarre. Rieduchiamo al carattere schietto e virile del seguace di Cristo la nostra condotta; così daremo autenticità e vitalità alla nostra professione cristiana, e diventeremo idonei, con l’aiuto di Dio, a portare al nostro mondo il messaggio rinnovatore e beatificante del regno di Cristo.

Così, con la nostra Apostolica Benedizione.

Studentesse di varie nazioni

Rivolgiamo il nostro saluto alle Studentesse liceali, di varie regioni d’Italia, che partecipano all’annuale Convegno organizzato dalla Residenza Universitaria Internazionale Femminile «Villa delle Palme». Sappiamo che vi siete dedicate, in questi giorni, ad approfondire i fondamenti logici ed etici della vostra personalità, allo scopo di prendere coscienza delle vostre responsabilità in questa fase splendida e decisiva della vostra vita, di dare una risposta ai problemi che si affacciano con particolare urgenza alla vostra coscienza giovanile e di prendere un impegno generoso per la testimonianza dei valori umani e cristiani nella famiglia, nella scuola, nelle comunità giovanili, nei rapporti sociali, etc. Il Concilio ha chiamato a raccolta anche i laici, e specialmente i giovani, perché, come ha detto, «molte sono le forme di apostolato con cui edificano la Chiesa e santificano il mondo, animandolo in Cristo» (Apostolicam Actuositatem AA 16); e noi siamo certi che questa vote trova anche voi pronte a rispondere, a donarvi alle necessità della società di oggi, con una piena, lieta, convinta formazione interiore. A tanto vi conforta la Nostra Benedizione Apostolica, che di cuore estendiamo ai vostri familiari.

Pellegrini del Sénégal

Dalla diocesi di Bamberg

Ein Wort besonderer Begrüßung richten wir an die Teilnehmer des Pilgerzuges aus der Erzdiözese Bamberg. Liebe Söhne und Töchter! Wir heißen Sie alle herzlich willkommen in der Ewigen Stadt. Ihre bayerische Heimat kann auf eine über tausendjährige christliche Tradition zurückblicken. Zudem haben Sie den Vorzug, im Hohen Dom zu Bamberg die sterblichen Überreste des einzigen Papstes zu hüten, der in Deutschland seine letzte Ruhestätte gefunden hat, Clemens des Zweiten. Diese Tatsache muß Sie mit heiliger Freude und Dankbarkeit erfüllen. Seid treu, stehet fest im Glauben (Cfr. Ap 2,10 1P 5,9) rufen wir Ihnen darum zu und erteilen Ihnen wie allen Anwesenden aus der Fülle des Herzens Unseren Apostolischen Segen.


Mercoledì, 26 settembre 1973

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Si è già parlato più volte dell’Anno Santo, ma resta ancora molto da dire. Oggi ci limitiamo a considerare questo prossimo avvenimento in rapporto al tempo, alla storia, al disegno divino che si realizza in determinati momenti. Avete mai osservato come spesso Gesù parli dell’ora che viene, come d’una circostanza molto importante? Egli dice, ad esempio, alla donna samaritana: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità . . .» (
Jn 4,23 Jn 2,4 Jn 17,1 Rm 13,11; etc.). Cioè la successione del tempo non ha talvolta un semplice significato cronologico, ma acquista un senso profetico, indica il compimento d’un disegno divino. L’orologio del tempo segna la coincidenza d’un istante prezioso per la discesa d’una trascendente Presenza fra gli uomini o di un’invisibile Azione dello Spirito, la quale prende forma di un fatto sensibile.

Non è raro trovare nella Sacra Scrittura l’annunzio di qualche ora sorprendente di tal genere. Rileggiamo una citazione ben nota d’un simile oracolo, a tutti noto, perché pronunciato dal profeta Joele nell’antico Testamento, echeggia nel Nuovo per documentare nell’ispirato discorso di Pietro il mistero della Pentecoste: «Io effonderò il mio spirito sopra tutti gli uomini; e i vostri figlioli e le vostre figliole profeteranno, e i vostri vecchi sogneranno sogni, e i vostri giovani vedranno visioni . . .» (Jl 3,28 Ac 2,17-18).

Ora noi pensiamo che l’Anno Santo può essere, nei disegni di Dio, un’ora di grazia per le anime, per la Chiesa, per il mondo. Può essere; è una ipotesi, è un voto, una speranza, il cui compimento, proprio per il suo carattere soprannaturale, sfugge alla nostra causalità; il Signore ne deve essere l’artefice, non lo può la nostra inetta velleità; forse la realtà stessa, in cui questa nuova Pentecoste si inserisce nella vicenda umana, può rimanere nascosta ai nostri occhi sensibili; ma può essere, ripetiamo, per molte ragioni che lo rendono plausibile, alla nostra esperienza, un avvenimento umano-divino risolutivo.

Quali ragioni? Analisi assai delicata e complessa questa, alla quale ora non pensiamo poterci applicare. Diremo soltanto che le condizioni stesse del nostro tempo, nel quale sembra che i valori religiosi siano, secondo alcuni, vanificati, secondo altri, siano assopiti ed inerti, e, secondo altri ancora, siano in uno stato vigiliare, di pressione e di gemito, in attesa di esplodere in una novella liberazione e fulgurazione (Cfr. Rm 8,19 ss.), sembrano preludere ad una epifania cristiana dello Spirito, nell’evidenza di fatti prodigiosi, non sappiamo; ovvero nella storia di testimonianze sofferte, in cui le lacrime ed il sangue dei «santi», cioè dei cristiani veramente fedeli, sarebbero apologia più eloquente d’ogni umana parola, parimente non sappiamo; ma non ci sembra illusione intravvedere, anche nelle cronache contemporanee, alcune commoventi vestigia.

E diremo ancora che l’economia della salvezza reclama ordinariamente una corrispondente preparazione. La virtù divina si dispiega dove l’uomo le offre condizioni propizie. Il regno di Dio esige da parte nostra una accoglienza, un’avvertenza, una conversione, una disponibilità, una «metanoia», che nel Vangelo si traduce «penitenza»: «fate penitenza, predica il Precursore, perché il regno dei cieli si avvicina» (Mt 3,2); e il Messia Gesù ripete a sua volta il medesimo messaggio: «fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17).

Rinnoviamo anche noi questo ammonimento profetico: se vogliamo che l’Anno Santo segni davvero una fase di autentica reviviscenza cristiana, una specie di palingenesi della Chiesa, una vocazione redentrice per l’umanità, dobbiamo disporci a celebrarlo mediante un preventivo d’energia morale e spirituale; potremmo intitolarlo, alla moderna, «operazione-fervore». Tutti: singolarmente e personalmente; e tutti, collettivamente nelle nostre rispettive comunità.

A questo scopo ne abbiamo anticipato la notizia e inaugurato, nelle Chiese locali, gli inizi. Non dev’essere l’Anno Santo una manifestazione come tante altre, alle quali spesso ci contentiamo d’essere spettatori, o solo momentaneamente e solo formalmente partecipi. Si tratta d’infondere in noi, mediante questa celebrazione, la sapienza e il dinamismo del Concilio; si tratta di superare, non di mortificare, lo splendido, ma temporale sviluppo della scienza e della tecnica moderna, che non bastano a darci il vero senso della nostra vita e farci arrivare al nostro immortale destino; si tratta di favorire vittoriosamente i conati, spesso deludenti, della civiltà verso la giustizia sociale, la fraternità e la pace; si tratta di dare ai due termini del binomio dell’Anno Santo: rinnovamento e riconciliazione la pienezza di significato ch’essi racchiudono, per un’efficacia interiore morale, spirituale e riflessa, il primo termine; per un’efficacia esteriore, religiosa, interpersonale, familiare, sociale, internazionale, il secondo.

Compito grande e grave, certamente; ma non impossibile, Figli carissimi, se «l’operazione-fervore» lo prepara, anzi lo merita, come a ciascuno ed a tutti dovuto dalla sempre gratuita bontà di Cristo.

Così il Signore ci assista. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Congresso italiano delle Caritas diocesane

Porgiamo il nostro paterno saluto al gruppo, così meritevole della nostra stima ed attenzione, dei rappresentanti delle Caritas diocesane, convenuti a Roma per partecipare al loro secondo Congresso Nazionale.

La vostra presenza, figli carissimi, procura vivissima soddisfazione al nostro animo. Essa è la testimonianza eloquente del responsabile impegno con cui oggi si va perfezionando in Italia, in forme sempre più efficaci e complete, l’attività caritativa delle Chiese locali. Attraverso le vostre degne persone, si apre davanti a noi tutto un quadro magnifico di iniziative di carità intelligente, discreta, silenziosa, dimostrata - più che dalle cifre dei contributi erogati - dallo spirito evangelico che anima tali iniziative, e le rende, per l’amore che le ispira, altamente meritorie davanti a Dio e alla società.

Riconosciamo le gravi difficoltà che oggi voi incontrate in questo vasto e delicato settore della vita pastorale. Viviamo in una società che è più sensibile alla applicazione della giustizia che all’esercizio della carità; per cui oggi, se non la sostanza, la forma esterna con cui la carità viene esercitata è messa sovente in discussione. Vorremmo però, a questo riguardo, sottolineare una verità che ci sta molto a cuore, e che la vostra stessa presenza conferma in maniera indubitabile: la carità anche in un mondo caratterizzato da una crescente organizzazione tecnica e sociale, non ha perduto la sua attualità. Non si potrà mai fare a meno dell’amore; e la carità bene intesa resterà sempre l’espressione privilegiata della vita cristiana, il segno per eccellenza dei seguaci di Cristo. E poiché non si tratta di amare a parole, ma con i fatti (Cfr. 1Jn 3,18), tale carità si manifesta in opere concrete di assistenza, di solidarietà, di servizi, che esigono esse stesse strutture ben precise e una efficiente organizzazione.

Per questo motivo noi ci rallegriamo vivamente di questi vostri proficui incontri, nei quali, attraverso il comune apporto delle vostre esperienze, voi vi adoperate per rendere più adeguato ai tempi l’apostolato ecclesiale della carità a livello diocesano e parrocchiale: argomento questo di particolare urgenza in questo momento di trasformazione e di necessaria promozione delle attività caritative delle Chiese locali.

A voi, figli carissimi, il nostro incoraggiamento a non stancarvi, a non lasciarvi spaventare dalle difficoltà, ma ad avanzare sempre con serenità di spirito e piena fiducia nel Signore.

A tanto vi conforta la nostra Benedizione Apostolica, che volentieri estendiamo a tutti i vostri collaboratori, e a tutti i dirigenti ed assistiti delle Caritas diocesane, in pegno della nostra benevolenza.

Consulenti Ecclesiastici del CIF

Ed ora il nostro cordiale benvenuto a voi, Consulenti Ecclesiastici del Centro Italiano Femminile, convenuti a Roma per il vostro Convegno Nazionale.

Non abbiamo bisogno di ripetere ancora una volta la stima che noi nutriamo verso il vostro benemerito Movimento, e il conto che facciamo della sua preziosa disponibilità per favorire nella società italiana lo sviluppo morale e civile della donna. Desideriamo, tuttavia, manifestarvi la nostra soddisfazione nel sapere - e di ciò ne abbiamo avuta conferma dal Consulente Ecclesiastico Centrale, il caro e zelante Monsignore Leone Bentivoglio - che nel Congresso Nazionale del dicembre scorso il Movimento ha voluto riaffermare in maniera solenne la propria fedeltà ai principii cristiani che fin dalle origini ha caratterizzato la sua azione sociale. A voi, figli carissimi, ora il compito di conservare e potenziare sempre più questa originaria ispirazione del Centro italiano femminile. Lo richiedono i gravi problemi che interessano le condizioni familiari e sociali in questo periodo della vita della nazione. Di questa fedeltà ha particolarmente bisogno oggi la Chiesa, la quale soffre per la leggerezza con cui tanti suoi figli cedono alla suggestione e alla seduzione di aberranti correnti di pensiero e di costume. I cattolici non hanno punto bisogno di attingere a maestri di altre fedi, trovando essi nel messaggio cristiano quanto occorre per la più alta elevazione morale e sociale degli individui e della società.

Carissimi figli, lavorate sempre in questo senso e non stancatevi mai di dare al Movimento il contributo insostituibile del vostro zelo sacerdotale. E mentre preghiamo il Signore di assistervi nei vostri generosi sforzi, di gran cuore vi impartiamo la nostra Apostolica Benedizione.

Alunni di Avellino e provincia

Rivolgiamo ora un paterno Saluto agli alunni di V elementare della città di Avellino e provincia, i quali, guidati dal Vescovo Monsignore Pasquale Venezia, dal Signor Provveditore agli Studi, dai loro insegnanti e sacerdoti, hanno voluto farci visita e dimostrare così la loro sincera devozione.

Figli carissimi, sapete bene che ogni incontro con i fanciulli e gli adolescenti ci procura sempre vivo piacere, perché in essi vediamo il fiore dell’età, lo specchio del futuro, la speranza del domani sia per la società civile che per la Chiesa. E questo vale certo per voi e, aggiungiamo, per un motivo particolare: perché voi avete inserito questo incontro, come conclusione e coronamento, negli «Incontri di Cultura Religiosa», intitolati a Gesù Maestro e promossi dall’ufficio Catechistico Diocesano. Li avete frequentati con diligenza e con profitto, e noi ve ne diamo qui pubblica lode, estendendola ai direttori didattici ed ai maestri che hanno collaborato all’iniziativa.

Leggevamo nel regolamento del concorso che esso non mortifica né intende ridimensionare la catechesi parrocchiale. Siamo sicuri, perciò, che la riuscita esperienza terrà sempre desti nel vostro spirito l’amore e la passione per la dottrina religiosa, che ha Dio per suo termine e oggetto, e che in Lui, cercato e trovato, vi indicherà il principio supremo per illuminare e ben regolare la vostra vita.

Ci piace avvalorare il nostro augurio con la Santa Benedizione, nella quale comprendiamo tutti i condiscepoli ed i vostri genitori.

Capitolo Generale dei Missionari di Mariannhill

We are very pleased to offer e special word of greeting to the newly-elected Superior General and the General Chapter members of the Missionaries of Mariannhill. We are aware that you are at present engaged in the revision of your Constitutions, and we invoke upon you in this important task the guidante and enlightenment of the Holy Spirit. At the same time we are happy to assure you of our fervent prayers for the entire Congregation and its worldwide activities. To all of you we cordially impart our Apostolic Blessing.

Visitatori di lingua tedesca

Ein wort herzlicher Begrüßung richten Wir an die Teilnehmer der Jubiläumsfahrt des kirchlichen Siedlungswerkes der «Sankt Joseph-Stiftung Bamberg». In einer Zeit schwerer sozialer Not vor fünfundzwanzig Jahren ins Leben gerufen, durften Sie in der Folge vielen Familien und alleinstehenden Berufstätigen wie alten Menschen eine angemessene Sozialwohnung vermitteln. Eine wahrhaft große, soziale und christliche Tat! Dazu beglückwünschen Wir die Leitung und die Angestellten Ihres Werkes von Herzen und rufen für weiteres erfolgreiches Wirken Gottes bleibenden Schutz und Beistand auf Sie alle herab.

Ebenso begrüßen Wir in Freude den Pilgerzug der Lesergemeinde der «Kölner Kirchenzeitung». Die leitenden Redakteure und Mitar. beiter des verdienten Blattes bestärken Wir in ihrem Bemühen, gegenüber der heutigen Glaubenskrise ihren Lesern immer nur die wahre, echte Glaubenslehre zu bieten, die für die Heiligung des christlichen Alltags so notwendig ist; die Leser selber aber ermutigen Wir, immer treu und dankbar zur Kirche und zu ihren Bischöfen zu stehen.

Endlich heißen Wir herzlich willkommen alle Teilnehmer des großen Pilgerzuges von Sankt Polten in Niederösterreich. Liebe Söhne und Töchter! Sie sind um Ihren verdienten Bischof gesthart, der zu seinem «Ad limina-Besuch» zu den Gräbern der Apostelfürsten nach Rom gekommen ist. Sie bekunden auf diese Weise Ihre treue Verbundenheit mit dem Nachfolger des heiligen Petrus. Dafür danken Wir Ihnen, Bleiben Sie stets auf dieser Linie eingedenk des Wortes: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», wo Petrus, da ist die Kirche. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden Unseren besonderen Apostolischen Segen.

Mercoledì, 3 ottobre 1973


Paolo VI Catechesi 50973