Paolo VI Catechesi 31103

Mercoledì, 31 ottobre 1973

31103
L'avvenimento spirituale, annunciato alla Chiesa e al mondo, che si intitola Anno Santo, assume dimensioni enormi ed incombenti. Esso ci obbliga a definirlo, e non possiamo con una semplice indicazione di calendario; il significato, che tale momento storico e religioso deve assumere, si fa profondo e complesso non solo per il concetto di penitenza e di indulgenza che gli deriva dalla tradizione ormai secolare, ma anche per il fatto che nel prossimo Anno Santo si rispecchia in forma vitale ciò che il recente Concilio enunciò in forma dottrinale, e un binomio plurivalente, rinnovamento e riconciliazione, tenta di rendere accessibile alla riflessione e all’azione l’immenso tesoro degli insegnamenti conciliari. Noi temiamo di ripeterci, ma ciò non può essere senza stimolare la scoperta dei sempre nuovi e fecondissimi temi derivanti dal programma proposto.

Si è appena accennato, ad esempio, alla riconciliazione: con la nostra coscienza, col nostro prossimo; non abbiamo ancora considerato l’aspetto principale di questo fondamentale capitolo, ch’è la riconciliazione con Dio. L’Anno Santo tende in primissima istanza a riconciliare gli uomini con Dio, noi credenti dapprima, e poi quanti uomini è possibile indurre a questo incontro salvifico e beatificante.

Gioverà ai nostri spiriti l’avere presente un testo sintetico e incisivo di San Paolo: «Se uno è in Cristo (cioè vero cristiano), è una creatura nuova; ciò ch’era vecchio è sparito; ecco è sorto il nuovo. E tutto questo è da Dio, Che ci ha a sé riconciliati per mezzo di Cristo, e ci affidò il ministero di riconciliazione: giacché è Dio che ha in Cristo riconciliati a sé gli uomini, non imputando ad essi i loro mancamenti e riponendo in noi la parola della conciliazione. Noi (apostoli) dunque facciamo le funzioni di ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso vi esortasse per mezzo nostro. Per Cristo noi vi supplichiamo, riconciliatevi con Dio» (
2Co 5,17-20).

In queste parole, che si ripetono in altre simili dell’Apostolo (Cfr. Rm 5,10), è sottintesa tutta la concezione della nostra vita morale, ed è espressa tutta la sintesi dottrinale della redenzione e della salvezza.

E cioè la nostra umana esistenza nasce, vive, si svolge e tramonta in un rapporto esistenziale e morale con Dio. Qui è tutta la sapienza della vita; qui la filosofia della verità, qui la teologia del nostro destino. Noi nasciamo creature di Dio; noi siamo ontologicamente da Lui dipendenti; e, volere o no, noi siamo davanti a Lui responsabili. Siamo costruiti così. Intelligenza, volontà, libertà, cuore, amore e dolore, tempo e lavoro, relazioni umane e sociali, la vita, in una parola, ha una derivazione variamente determinata, ed ha una finalità, pure variamente definita, in rapporto con Dio. L’uomo non è adeguatamente concepibile senza questo riferimento essenziale con Dio. Per quanto misterioso e trascendente, e perciò ineffabile sia il Dio eterno principio dell’universo, Egli incombe sopra di noi, ci conosce, ci osserva, ci penetra, ci conserva continuamente; è il Padre della nostra vita. Lo possiamo ignorare, dimenticare, disconoscere, negare e rinnegare; Egli è. È vivo: è vero. «In Lui noi viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo», come afferma S. Paolo all’areopago d’Atene (Ac 17,28).

Certamente questa Weltanschauung, questa concezione del mondo, è oggi avversatissima; non si vuole ammettere l’esistenza di Dio, si preferisce violentare la propria ragione con l’assurdo aforisma della «morte di Dio», piuttosto che allenare la propria mente alla ricerca e all’esperienza della luce divina. L’ateismo sembra trionfare. La religione non ha più ragion d’essere? Il peccato non esiste? . . . Oh! siamo saturi di queste ideologie. Ma noi siamo sempre convinti, per grazia stessa di Dio, che Dio esiste, come il sole; e che tutto da Lui ci viene e tutto da noi a Lui va. E voi, che ci ascoltate, figli sapienti e credenti, siete con noi parimente di ciò persuasi, certamente.

E comprendiamo allora come sia urgente, moderno, strategico l’avvento di quest’Anno Santo, che ci deve confermare, dentro e fuori di noi, dell’esistenza sovrana di Dio, e dell’economia di Dio, cioè del disegno, - ch’è un disegno d’infinito Amore -, da Lui stabilito, per fare di noi dei discepoli attenti, dei servitori fedeli, ma soprattutto dei figli felici. Sentiamo tutti, chi in un modo, chi in un altro, che la nostra rispondenza a questo disegno, a questo piano di relazioni naturali e soprannaturali è stata, ed è sempre imperfetta. Forse è stata ostile e fedifraga. Ci sentiamo peccatori. Qui un’altra pagina immensa, drammatica questa, dolorosa e umiliante, quella del nostro peccato, ci si apre davanti. Noi abbiamo spezzato i rapporti doverosi e vitali, che ci sostenevano in Dio. Noi non abbiamo mai pareggiato con l’integrità della nostra risposta, con la totalità del nostro amore, l’Amore che Dio ci offre. Siamo ingrati, siamo debitori! Noi saremmo anzi perduti, se Cristo non fosse venuto a salvarci. E allora? allora ecco la stringente necessità di riconciliarci con Dio: reconciliamini Deo!

Ed ecco la sorprendente fortuna! la riconciliazione è possibile! questo è l’annuncio che l’Anno Santo fa risuonare nel mondo e nella coscienza: è possibile! Che tale annuncio arrivi in fondo ai nostri cuori! Con la nostra Benedizione Apostolica.

Il coro «De Mastreechter Star»

Ein wort besonderer Begrüssung richten Wir an den grossen Sangerchor aus Holland «De Mastreechter Star». Seien Sie alle mit den hohen Persönlichkeiten aus dem kirchlichen und staatlichen Leben Hollands sowie Ihren Angehörigen und Freunden herzlich willkommen!

Ihr Chor, liebe Freunde, geniesst durch seine Leistungen einen hohen Ruf. Wir danken Ihrem Chorleiter wie jedem einzelnen von Ihnen für Ihren unermüdlichen Einsatz im Dienste der «Musica Sacra». Der Gregorianische Choral wie die Aufführung der wunderbaren mehrstimmigen Kompositionen, vor allem der klassischen Schule, verleihen der gottesdienstlichen Feier Schönheit und Würde, tragen aber auch gleichzeitig in erhöhtem Masse zur Vertiefung von Glaube und Frömmigkeit der Gläubigen bei. Setzen Sie darum voll Freude und Begeisterung Ihre kirchenmusikalische Arbeit fort entsprechend den Richtlinien der Päpstlichen Verlautbarungen.


Mercoledì, 7 novembre 1973

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Temi proposti per un’autentica attuazione cristiana dal programma per l’Anno Santo: rinnovamento e pacificazione, comportano una quantità di problemi morali e spirituali, i quali interessano la preparazione degli atti e dell’attività, che una loro sincera ed efficace osservanza sembra esigere. Caratteristica di questo prossimo Anno Santo dovrebbe essere la serietà della sua celebrazione, sia individuale che collettiva; serietà tanto più richiesta quanto più superficiale è lo svolgimento abituale, oggi, della comune esperienza della nostra vita, per cui vige questa tendenza: tutto è facile, tutto è momentaneo, tutto è esteriore. Psicologia cinematografica. Noi cerchiamo invece di arrivare a momenti forti, costanti, interiori del nostro spirito. Vi è una parola comunissima, che esprime bene questa nostra programmatica aspirazione; e cioè: noi vogliamo arrivare al cuore.

E il cuore, che cosa è? La nostra domanda si pone per il discorso religioso e morale, che si estende a quello psicologico e ideale. Qual è il significato di questo termine tanto usitato?

Siamo tentati di far nostra la definizione di S. Agostino, che fa coincidere il senso della parola cuore con l'Io: . . . cor meum, ubi ego sum quicumque sum (Conf. X, 3: PL 32, 781). E siamo confortati a scegliere questo senso pregnante, indicativo della personalità sentimentale, intellettuale e soprattutto operativa dell’uomo, dal linguaggio biblico, che prescinde dal significato puramente fisiologico di questo organo per indicare ciò ch’è vivo, genetico, operante, morale, responsabile, spirituale nell’uomo. Il cuore è la cella interiore della psicologia umana; è la sorgente degli istinti, dei pensieri, e soprattutto delle azioni dell’uomo. Di ciò ch’è buono, e di ciò ch’è cattivo: ricordiamo la parola di Gesù Maestro: «È dal cuore infatti che escono i mali pensieri, gli omicidii, gli adulterii, le fornicazioni, i furti, le menzogne, le bestemmie; e queste sono le cose che contaminano l’uomo» (
Mt 15,19-20). Quale triste introspezione! E ciò che la rende grave è la parola biblica che ci ammonisce come l’occhio di Dio veda in trasparenza il nostro cuore, questo segreto nascondiglio della nostra realtà morale. Dice la S. Scrittura: «l’uomo guarda all’apparenza, il Signore guarda al cuore» (1S 16,17); legge nelle nostre intenzioni (Jr 17,10). Potremmo addurre moltissime altre citazioni incalzanti circa la penetrazione dello sguardo giudicante di Dio nell’interno più ermetico dei nostri cuori; ma ora ci preme osservare come in questa spalancata interiorità si pronunci il giudizio di Dio a nostro riguardo. Nessuna indulgenza è riservata da Cristo all’ipocrisia, alla falsa virtù, alla giustizia formale e bugiarda. Il Vangelo è pieno di espressioni intolleranti del Signore verso una pseudo-osservanza della religione disgiunta dalla verità del bene e dalla schiettezza dell’amore. Dovremmo rileggere il capo XXIII di S. Matteo per risentire la forza delle invettive di Cristo verso le astute finzioni di due gruppi sociali, i farisei e gli scribi di quel tempo, emblema per tutti i tempi, per tremare circa l’esigenza fondamentale del vero rapporto con Dio, la sincerità del cuore, espressa dalla coerenza del pensiero, della parola e dell’opera. E dobbiamo pertanto rifarci allo studio di quella parola, diventata ormai d’uso corrente, la «metànoia», che vuol dire la conversione interiore, il mutamento del cuore, di cui abbiamo altra volta parlato. E non possiamo tacere il nostro doloroso stupore per l’indulgenza, anzi per la pubblicità e la propaganda, oggi tanto ignobilmente diffusa, per ciò che conturba e contamina gli spiriti, con la pornografia, gli spettacoli immorali, e le esibizioni licenziose. Dov’è l’«ecologia» umana?

Per celebrare bene l’Anno Santo s’impone un lavoro al livello più profondo e più geloso della nostra psicologia morale. Dobbiamo essere bravi e coraggiosi nell’intento di portare il rinnovamento e la pacificazione, giù, nel centro della nostra coscienza personale.

Ci stimola un duplice motivo d’attualità. Il primo è l’importanza che oggi si dà alla psicanalisi, a questa vivisezione del processo inconscio del nostro operare, cioè del nostro temperamento, del nostro costume, della nostra peculiare personalità (Cfr. L. ANCONA, La Psicanalisi). Abbiamo stima di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche, né integrati da quella scienza dei cuori, che noi attingiamo alla scuola della spiritualità cattolica. E tanto ci basta ora per osservare quanto sia ragionevole e attuale l’analisi delle nostre anime, sotto l’aspetto della teologia, dell’etica, e della ascetica cristiana, quale l’Anno Santo ci invita a ripensare e ad approfondire. Un nuovo interesse alla pedagogia interiore della fede vissuta sembra reclamare la nostra attenzione e impegnare l’arte didascalica dei nostri maestri, sia di scuola, che di spirito.

Un altro motivo è il predominio assunto oggi dalla coscienza personale nel confronto con la norma esteriore che urge ogni momento sulla nostra condotta. Qui dovremmo fare l’apologia, sì, della coscienza, non disgiungendola però, come altra volta dicemmo, dall’apologia della guida, di cui la coscienza ha bisogno, e che le viene dalla legge e dall’autorità, obiettivamente giustificate nell’esercizio delle loro funzioni, non umilianti, ma integranti la personalità dell’uomo cosciente.

Ed anche questo accenno alle prerogative, oggi riconosciute o attribuite alla coscienza, ci può ricordare quanto provvidenziale sia l’esercizio in profondità che l’Anno Santo ci propone, proprio per l’esplorazione risoluta e sistematica del nostro cuore, cioè della nostra coscienza, allo scopo di rinnovare e conciliare l’uomo nuovo, che andiamo cercando, per noi stessi, per il mondo che ci circonda, per il regno di Dio, a cui siamo chiamati (Cfr. l’antico ma classico Combattimento spirituale dello SCUPOLI). Con la nostra Benedizione Apostolica.



Pellegrini italiani già degenti a Città del Capo

Siamo lieti di dare il nostro benvenuto al gruppo di pellegrini italiani, già degenti all’Ospedale «Groote Schoor» di Città del Capo, i quali nel ringraziare il Signore per la riacquistata salute, hanno voluto anche testimoniare il loro amore per la Chiesa, materna animatrice di tante opere missionarie, e presentare, al tempo stesso, a noi l’omaggio della loro pietà filiale. Sappiamo che è tra di essi il P. Lorenzo Maletto, che li ha molto assistiti.

Ci è gradito, carissimi figli, rivolgervi un cordiale saluto. L’esperienza della malattia vi ha resi più sensibili verso i problemi dell’anima, e maggiormente solleciti delle sue esigenze. Vi esortiamo pertanto con affetto paterno a più viva confidenza nel Signore, sempre provvido e buono, anche quando permette la tribolazione e la sofferenza. L’assistenza morale e religiosa, di cui siete stati oggetto nei giorni della prova, lontani dalla patria, è dimostrazione della Provvidenza di Dio, il quale non abbandona mai soli i suoi figli, e, ispirando nei cuori una sempre nuova sollecitudine d’amore, fa loro sentire la delicatezza di padre con cui li circonda e fa loro avvertire più vivo e urgente il bisogno di Lui.

Il ricordo della divina Provvidenza non si cancelli mai dalla vostra mente, ma vi sia di continuo stimolo per compiere sempre più generosamente il suo volere. Propiziatrice di tali sinceri voti è la Benedizione Apostolica che di cuore impartiamo a voi e alle vostre rispettive famiglie.

«Caritas» giapponese

We are very happy to welcome today the Caritas Japan pilgrimage, led by Bishop Hirayama. You have done much good work in your own country for sick and needy people. During your stay in Europe you are visiting institution’s dedicated to the same charitable work. May Christ, who showed such compassion for al1 who were suffering, bless your work and give you abundant spiritual rewards.


Mercoledì, 14 novembre 1973

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Sull'orizzonte del Medio Oriente, ultimamente oscurato dalla ripresa d’un sanguinoso conflitto, si è ora riaccesa una luce di speranza.

Noi vogliamo esprimere qui il nostro plauso, il nostro apprezzamento per chi ha preso l’iniziativa e per quanti hanno collaborato a ritessere con fiduciosa pazienza le fila di un accordo per la cessazione del fuoco che sembrava compromesso già sul suo nascere, in modo da aprire la via a ravvicinate prospettive di una Conferenza di pace, della quale mai, forse, come in questi tempi si è sentita l’urgenza, di fronte al pericolo d’un minaccioso aggravarsi della situazione.

E vogliamo, insieme, far nuovamente pervenire a tutti i responsabili la nostra parola di esortazione e di incoraggiamento ad agire con lungimirante saggezza e decisa volontà, perché la speranza rinata non abbia ad andare ancora una volta delusa, ma possa invece essere coronata - sia pure a conclusione di un cammino che non si preannuncia facile o breve - da una definitiva ed accettata soluzione pacifica : la quale, tenendo conto equamente dei diritti e delle legittime attese di ognuna delle parti interessate, dia stabile e sicura tranquillità a quelle regioni e a quelle genti, care a noi, tutte, e molte delle quali hanno già troppo e troppo a lungo sofferto.

Il nostro pensiero non può non andare qui, con particolare intensità di interesse e di affetto, alla Terra e alla Città che per tanti titoli e da tanti credenti sono considerate e chiamate Sante.

In questa fase che deve preludere e porre le condizioni necessarie all’inizio del negoziato di pace, la nostra trepidazione si volge in modo speciale ai prigionieri, e in primo luogo a quelli che, per le ferite riportate nel conflitto, si trovano più esposti a sofferenze e a pericoli.

Noi auspichiamo, con tutto il cuore, e invochiamo che essi possano essere al più presto restituiti alla loro patria e ai loro cari, portando così una prima, vivente testimonianza di nuovi propositi di pace, sui quali imploriamo la benedizione di Dio e per i quali invitiamo il mondo tutto alla preghiera.



RIGENERAZIONE DEL PENSIERO DELL'UOMO CONTEMPORANEO

Se il processo ideale e spirituale, che l’Anno Santo propone all’uomo contemporaneo, avrà il suo logico svolgimento, molte cose, oggi acquisite dalla mentalità culturale comune, dovranno cambiare e migliorarsi. Logico svolgimento, sì, possiamo adoperare questo consueto e legittimo, modo di dire; ma in realtà dovremmo dire: divino intervento; cioè se la luce di Dio ci si rivela (Cfr.
Mt 11,27); se noi, alunni della verità, sappiamo ascoltare la voce di Cristo (Cfr. Jn 18,37); se lo Spirito Santo, fattosi nostro Paraclito, cioè nostro assistente, ci vorrà insegnare tutte le cose la cui conoscenza è indispensabile alla nostra vita, allora il pensiero moderno uscirà dalla oscurità speculativa in cui ora si trova, supererà lo stato d’incertezza metafisica nel quale oggi soffre e si disperde, riacquisterà la fiducia nella propria capacità conoscitiva, ritroverà l’a gioia dell’analisi e della sintesi; aspirerà alle vette delle sue ascensioni (Cfr. Ps 83,6), e volentieri respirerà ancora nella preghiera.

Diciamo più semplicemente, con un elementare paragone: sarà allora come quando in una stanza buia noi accendiamo una luce. Null’a è cambiato, ma tutto è illuminato; ogni cosa mostra la sua forma, la sua posizione, i suoi colori, il suo scopo, il suo ordine; e chi dimora nella stanza rischiarata, guarda, distingue, ammira, usa le cose rese a lui presenti in una definizione loro propria. Così noi pensiamo possa avvenire nello spirito dell’uomo moderno, se la luce della fede riappare dentro di lui.

La grande notte della negazione deve cessare, e il raggio pasquale del Signore, risorto, il lumen Christi del Sabato santo deve ridare senso al quadro oscuro della vita umana.

Alcuni dogmi gratuiti della mentalità vigente devono sciogliersi, non a scapito del pensiero evoluto e scientifico, nel quale oggi chi studia, chi pensa e chi si arrende alla moda culturale cerca un rifugio di certezza e un titolo di prestigio, ma a conforto, a corona, a pienezza d’un tale pensiero. La vecchia e ricorrente obiezione della opposizione irriducibile fra scienza e fede, obiezione che ancora sostiene la mentalità materialista ed atea di tanti ambienti dell’opinione pubblica, dovrà arrendersi alle esigenze della scienza stessa, la quale quanto più si dilata e si afferma, tanto più deve riconoscere la crescita del mistero in cui è immerso il campo delle sue esplorazioni. Nessuna cosa, ci insegna il buon senso (Cfr. l’opera sempre valida di GARRIGOU-LAGRANGE, Le sens commun), ha in se stessa la sua ragione d’essere; e se noi allarghiamo la nostra conoscenza delle cose, queste ci rimandano al problema esistenziale, che solo un atto pensante e creativo d’un Essere per se stesso vivente, cioè Dio, risolve con pace dell’inquirente pensiero (Cfr. ROMANO GUARDINI, Il Dio vivente e Vie de la Foi; CHRISTIAN CHABANIS, Dieu exirte-t-il?, Fayard, 1973). E tutto lo sforzo, che si sta svolgendo in diversi Paesi, per imporre una scuola radicalmente negativa di Dio, non dovrà alla fine esaurirsi, o con un atto riflesso ed intelligente dei promotori, o con una incontenibile esplosione di «nuove fedi» istintive e irrazionali, che buona parte della presente generazione giovanile si crea da sé? «Lo spazio da cui la fede è scacciata non è occupato dalla ragione, ma dall’irrazionalità più sbrigliata e sicura di sé» (Prof. Sergio Cotta); ovvero, potremmo aggiungere noi, dal conformismo ideologico più mediocre e più servile.

Una volta di più noi affermeremo che non abbiamo alcuna prevenzione negativa verso la scienza, e nemmeno verso la pedagogia dell’a scuola contemporanea, che intende educare la nuova generazione a studiare e a pensare scientificamente. Saremo anzi sempre promotori e ammiratori dell’iniziazione allo studio positivo e razionale del mondo, interiore o esteriore che sia, e all’applicazione nella attività umana all’impiego utilitario, per il benessere e l’incremento della vita sociale e civile, della conoscenza risultante da tale studio. Ma ancora una volta noi dovremo denunciare la fallacia di metodo e di contenuto, la quale vuole restringere la conoscenza umana soltanto nella sfera materialista, atea perciò, e a finalità puramente temporali e edoniste. La fallacia consiste nella concezione incompleta, angusta e degradante, sia del pensiero che dell’attività, del materialismo secolarizzato e pago di se stesso. Anche se esso fosse capace di risolvere tutti i problemi economici del nostro tempo, cambiando prodigiosamente le cose materiali, le pietre diciamo, nel pane per la fame naturale dell’umanità, noi dovremmo francamente ricordare la parola liberatrice di Cristo: «non di solo pane vive l’uomo, ma altresì d’ogni parola che procede dalla bocca di Dio» (Mt 4,4).

E ciò che vale nella palestra della conoscenza naturale, che accusa la propria insufficienza a contenere nell’ambito puramente sperimentale e scientifico le sue vittoriose conquiste, vale ancor più nel campo della conoscenza religiosa, la quale non può dirsi soddisfatta dai fenomeni spirituali soggettivi, che una religione sentimentale, autocarismatica, idealista può interiormente generare, restando poi cieca sulla Realtà trascendente verso cui tende indarno le braccia, se lo Spirito Santo, mandato dal Padre nel nome di Cristo (Cfr. Jn 14,26), non le viene in qualche misura incontro. Qui un nuovo modo di conoscenza può integrare quella autonoma della ragione; la conoscenza per via di fede, accordata da noi, o piuttosto a noi misteriosamente pervenuta per dono divino, alla Parola di Dio può riempire il nostro animo d’una luce vera e gioiosa; una luce tuttora incipiente, già colma di rivelazioni e di certezze, ma ancora enigmatica (Cfr. 1Co 13,12), e invitante ad un duplice atto, di assenso fiducioso e di meditazione esploratrice.

Questo può essere ai nostri giorni? Può avvenire una rigenerazione del pensiero dell’uomo moderno, confortato alla ricerca della verità scientifica, abilitato all’accoglienza e alla contemplazione di quella Verità, ch’è una cosa sola con la Vita? Sì, noi lo speriamo. Questa vuol essere una delle grandi mete dell’Anno Santo. Avanti, Figli carissimi, pensiamo e preghiamo a tal fine. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Rettori dei Santuari Mariani d’Italia

Diamo il nostro benvenuto al gruppo di sacerdoti rettori di santuari italiani i quali, continuando una nobile iniziativa intrapresa alcuni anni or sono dal Collegamento Mariano Nazionale, si sono riuniti in questi giorni in Convegno per studiare problemi organizzativi per una maggiore opera di penetrazione del messaggio evangelico, tra i fedeli visitatori di tali templi, in unità di intenti con i Pastori delle rispettive Comunità diocesane.

Abbiamo avuto più volte, carissimi figli, la grata soddisfazione di esprimervi il nostro pensiero sulla Casa di Dio, oggetto delle vostre particolari premure. Essa, sia insigne monumento di arte a cui i secoli hanno conferito prestigio e dignità, sia, invece, una modesta costruzione: è il luogo della presenza del Signore e ivi si perpetua, attraverso l’Eucaristia, sacrificio e sacramento, il mistero della salvezza: non solo con la riconciliazione integrale vi si cancella il peccato, ma vi si attua la profilassi dello spirito.

La materna protezione della Vergine e l’intercessione dei santi, ai quali tali chiese sono dedicate, favoriscono il richiamo delle anime, disorientate o titubanti. Esse trovano nei santuari il ristabilimento della vita soprannaturale, il rinnovamento della fede, la pace con Dio. Vedete perciò quale prezioso strumento anche la vostra attività offra alla preparazione o alla celebrazione dell’Anno Santo, come avete studiato in questi giorni.

Nell’incoraggiarvi nei propositi formulati nel vostro incontro, invochiamo su di voi la divina assistenza di cui vuole essere pegno la nostra Benedizione Apostolica.

La parrocchia di San Giuseppe al Trionfale in Roma

Desideriamo rivolgere il nostro saluto alla numerosa rappresentanza dei fedeli di San Giuseppe al Trionfale, che in questi giorni hanno commemorato il Servo di Dio Monsignore Aurelio Bacciarini, Vescovo di Lugano, il quale, con il Beato Luigi Guanella, fondò la parrocchia e ne fu il primo zelante parroco.

Mentre vi esprimiamo, figli carissimi, la nostra letizia per la vostra presenza, vi rivolgiamo un pressante e paterno invito a vivere, in perfetta sintonia con gli insegnamenti e gli esempi di così elette anime sacerdotali, la fede cristiana e le esigenze del messaggio evangelico. Sia veramente la vostra parrocchia una cellula vivente e dinamica della diocesi di Roma e, per essa, della Chiesa universale; offra una luminosa testimonianza di apostolato comunitario a tutti i livelli (Cfr. Apostolicam Actuositatem AA 10); sia un centro di preghiera fervorosa ed ardente, di carità operante e generosa, che trovi in Gesù Eucaristia la propria forza e il proprio sostegno.

Con questi voti, impartiamo volentieri la Benedizione Apostolica a tutti voi, alle vostre famiglie, ai vostri cari, al parroco, al Superiore Generale dell’«Opera Don Guanella», Don Olimpio Giapedraglia, e ai sacerdoti di Lugano, che hanno voluto unirsi al vostro pellegrinaggio.


Mercoledì, 21 novembre 1973

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Dedichiamo ancora una riflessione introduttiva al fatto, al processo spirituale e morale, che dovrà essere, con l’aiuto di Dio, per noi tutti il prossimo Anno Santo. Abbiamo detto già qualche cosa in proposito: dovrà essere un rinnovamento di vita cristiana. Quale rinnovamento? quello proclamato dal Concilio. Su quale disegno generale? quello che suppone una nostra reviviscenza cristiana autentica; quella che interpreta il nostro rapporto con Dio, mediante Cristo, nello Spirito Santo, il mistero della nostra salvezza, considerato con profondità di sguardo e con sincerità di adesione; capo primo e fondamentale; poi capo secondo, e in un certo senso non meno importante, il nostro rapporto, qualificato, modificato, corretto, col mondo, con gli uomini del nostro tempo, con la vita moderna. Riassumiamo il duplice aspetto della questione in una sola formulazione: come può e deve vivere il cristiano fedele, il figlio sincero della Chiesa, oggi all’ultimo quarto del secolo ventesimo, del presente secolo stupefacente e travolgente, nel mondo circostante? In altre parole: come si può essere veri cristiani, oggi. vivendo nella società che ci condiziona e ci assorbe con irresistibile fascino, o con prepotente sopraffazione?

Il problema è vastissimo, e investe tutte le forme della nostra vita: pensiero, azione, sentimento, costume. Ed è inevitabile: può Io stile religioso, insegnatoci dalla Chiesa, sopravvivere nella vita moderna? Noi non pretendiamo certo di risolvere ora in due frettolose parole tale problema; ci basta di presentarlo come un grande tema di quel travaglio critico e rinnovatore che noi vorremmo fosse l’Anno Santo.

Diamo al problema una prospettiva evangelica, la parabola del buon grano che cresce nel medesimo campo insieme con la zizzania. Voi la ricordate (
Mt 13,24-30). Il padrone del campo vieta ai suoi coltivatori dipendenti di estirpare la zizzania, per impedire che tale operazione coinvolga anche il buon grano. Immagine finissima e profonda del mondo, della storia, della compenetrazione delle forme di vita corrispondenti al disegno di Dio con quelle che da tale disegno prescindono, anzi lo avversano; immagine del pluralismo contraddittorio della nostra società umana, il quale non giustifica, non parifica le espressioni negative della società stessa, ma le tollera e quasi le difende con un liberalismo magnanimo e paziente, in ordine al bene stesso delle espressioni positive, e in vista d’una giustizia escatologica, cioè la scena presente dell’economia temporale, quando il bene ed il male, ora mescolati e confusi, saranno inesorabilmente separati e trattati con adeguata e differente sanzione.

Per quanto ci riguarda: noi non dobbiamo orientarci verso il sogno irreale d’un’umanità perfetta; né verso l’irreversibile schema d’una società di tipo medievale, stabile e disciplinata, pur nella distinzione dei poteri e delle competenze, da un’unica ideologia religiosa; né verso atteggiamenti intolleranti e reazionari nei confronti della legittima autonomia delle «realtà terrene», cioè, come insegna il Concilio, delle cose create e delle stesse società, che hanno leggi e valori propri: «in virtù della creazione stessa . . . le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie ed il loro ordine» (Gaudium et Spes GS 36).

Ricordiamo bene questa grande lezione, che deve penetrare nella pedagogia del cristiano moderno: guardare con serena obiettività tutto l’orizzonte delle cose e dei fatti che ci circondano; anzi con ammirazione, con entusiasmo e con occhio scientifico tutto il panorama della creazione; con rispetto, con simpatia, con amore ogni volto umano, straniero o nemico che sia; con sguardo saggio e critico ogni manifestazione dell’esperienza umana, che offenda, o non accolga il giudizio morale, al quale la nostra professione cristiana ci obbliga.

Qui cominciano le difficoltà. Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti in questo atteggiamento, al quale la scuola del cristianesimo moderno ci invita: il riconoscimento del mondo profano nei suoi diritti e nei suoi valori; la simpatia anzi e l’ammirazione che gli sono forse dovute. Noi siamo spesso, nella pratica, andati oltre il segno. Il contegno così detto permissivo del nostro giudizio morale e della nostra condotta pratica; la transigenza verso l’esperienza del male, col sofistico pretesto di volerlo conoscere per sapersene poi difendere (la medicina non ammette questo criterio; perché dovrebbe ammetterlo chi vuol preservare la propria salute spirituale e morale? ); il laicismo, che volendo segnare i confini di determinate competenze specifiche, si impone come autosufficiente e passa alla negazione di altri valori e di altre realtà; la rinuncia ambigua, e forse ipocrita, ai segni esteriori della propria identità religiosa; eccetera, hanno insinuato in molti la comoda persuasione che oggi, anche chi è cristiano, deve assimilarsi alla massa umana, qual è, senza prendersi cura di marcare a proprio conto qualche distinzione, e senza pretendere, noi cristiani, d’avere qualche cosa di proprio e di originale, che possa, al confronto degli altri, apportare qualche salutare vantaggio.

Siamo andati oltre il segno nel conformismo con la mentalità e col costume del mondo profano. Riascoltiamo il richiamo dell’Apostolo Paolo ai primi cristiani: «Non vogliate conformarvi al secolo presente, ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito» (Rm 12,2); e quello dell’Apostolo Pietro: «Come figli di obbedienza non conformatevi ai desideri d’una volta quando eravate nell’ignoranza (della fede)» (1P 1,14). Una differenza della vita cristiana da quella profana e pagana, che ci assedia, ci vuole; una originalità, uno stile proprio. Diciamo pure: una libertà propria di vivere secondo le esigenze del Vangelo. Col mondo dovremo mantenere un’indipendenza spirituale. A questo riguardo la padronanza di sé, lo spirito ascetico, la tempra virile della condotta cristiana, non ci dovranno sembrare pii ammonimenti sorpassati, ma esercizi di agonismo cristiano, oggi tanto più opportuno quanto maggiore è l’assedio, è l’assalto del secolo amorfo, o corrotto, che ci circonda. Difendersi, preservarsi; come chi vive in un ambiente epidemico.

Resta una domanda finale: dovremo allora uscire dal mondo? La fuga mundi dei maestri medievali sarà la nostra regola? Il discorso spirituale oggi è diverso, e ci ricorda gli accenti del Vangelo: non essere del mondo, ma essere per il mondo; cioè compenetrarlo col nostro spirito cristiano, dargli un’anima nuova, servirlo per amore. Così il Concilio (Cfr. Gaudium et Spes GS 40 ss.; Y. CONGAR, in L’Eglise dam le monde de ce temps, vol. III, PP 15-38, Cerf, 1967), così l’Anno Santo! Con la nostra Benedizione Apostolica.

La diocesi di Verona per un glorioso centenario

Ci fa piacere accogliere oggi il pellegrinaggio della diocesi di Verona, con cui essa conclude le celebrazioni, durante un intero anno, del XVI Centenario della morte del suo grande Vescovo, San Zeno. Salutiamo con reverente affetto il Vescovo Monsignore Carraro e il suo Ausiliare Monsignore Ducali; il Sindaco della città, il Presidente dell’Amministrazione provinciale di Verona, i Parlamentari e le altre autorità civili; i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i rappresentanti dell’Azione Cattolica e tutti i fedeli di codesto magnifico gruppo di circa duemila persone.

Vi ringraziamo per l’intento che qui vi ha guidati, per terminare l’anno zenoniano con un incontro di comunione, di preghiera, di fedeltà, di affetto, di letizia intorno al Papa. Abbiamo dato inizio, ben ce ne ricordiamo, al centenario, inviandovi la lettera «Verona fidelis» dell’aprile dello scorso anno (AAS 64, 1972, 339-340), nella quale riproponevamo la figura e l’insegnamento del vostro San Zeno secondo le particolari necessità della odierna vita cristiana: e ora chiudiamo le solennità insieme con voi, che siete venuti a portarci la testimonianza della fede e della carità dell’intera popolazione cattolica di Verona. Sappiamo infatti che, in questa circostanza, voi ci fate dono, insieme con i frutti della vivace attività industriale e agricola della vostra terra generosa, anche di importanti attrezzature sanitarie, da destinare a qualche ospedale in zona particolarmente povera. Carissimi figli! Come non vedere in questo gesto il perpetuarsi dell’esempio e della parola del vostro Patrono, la cui carità e liberalità sono una caratteristica gemma della sua personalità di pastore? Come non rimanere edificati da una tradizione così profondamente radicata nel popolo che fu suo?

Il Signore vi ricompensi della consolazione che ci date con la prova del vostro attaccamento filialmente gioioso ed esemplare alla Sede di Pietro, centro di unità e di coesione di tutta la Chiesa. San Zeno vi protegga sempre, interceda per voi tutti la grazia di rimanere fedeli ai propositi di quest’anno centenario, e vi aiuti a crescere nella verità e nell’amore fraterno, e a dare alla vostra vita una costante impostazione di serietà costruttiva e feconda, per il bene dei singoli, delle famiglie, della società.

Questi voti avvaloriamo con la nostra Benedizione Apostolica, che porterete ai vostri cari lontani, particolarmente ai piccoli, alla gioventù, ai lavoratori, agli ammalati, agli anziani. A tutti direte che il Papa li segue e li incoraggia per il grande affetto che porta a «Verona fedele».

Pellegrini di Ferrara

Desideriamo ancora porgere un particolare saluto al gruppo di fedeli dell’Arcidiocesi di Ferrara, venuti in pellegrinaggio a Roma e accompagnati dal loro sacro Pastore, il caro e venerato Monsignore Natale Mosconi.

La delicatezza dei sentimenti che vi hanno portato a questa Udienza non ci lascia insensibili, e ve ne ringraziamo di cuore, figli carissimi. Con la vostra presenza voi ci portate la testimonianza del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa; sentimenti, questi, che intendete senza dubbio rafforzare sempre più in questo odierno incontro col Vicario di Cristo. Potrete allora facilmente comprendere la nostra soddisfazione nell’accogliervi e nell’assicurarvi il nostro affetto e il ricordo nelle nostre preghiere.

Che il Signore vi aiuti a mantenervi saldi in questi vostri propositi. E a tal fine volentieri vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, che estendiamo a tutti i vostri cari.

Cuochi di alberghi e ristoranti

Ci sembra doveroso anche un sia pur breve saluto ai cinquecento Cuochi italiani di Alberghi e Ristoranti, i quali, partecipando a Roma al loro VII Congresso Nazionale, promosso dalla omonima Federazione Italiana, hanno desiderato tanto un incontro col Papa. E noi siamo ben lieti di accogliere la vostra aspirazione: sia per dare un attestato di grande simpatia e incoraggiamento alla vostra benemerita categoria, che opera silenziosa, alacre, intelligente, anche con sacrificio di orari e di comodità personali, portando anch’essa un apprezzabile contributo all’economia nazionale, agli scambi turistici, e all’incremento dei buoni rapporti sociali; sia per esortarvi a continuare a compiere il vostro dovere con spirito di servizio, gentile e premuroso, verso la comunità, ma soprattutto a dare sempre il primo posto ai valori dello spirito nella vostra vita individuale e familiare, consapevoli della dignità e del compito che ciascun laico cristiano ha nella Chiesa come membro del Popolo di Dio, qualunque sia la sua professione nel concerto della vita civile.

Il Signore vi assista sempre nelle vostre fatiche, umili e nascoste, e dia a voi e ai vostri cari ogni consolazione. Nel suo Nome, tutti vi benediciamo.

Apostolato della bontà nella scuola

Desideriamo ora rivolgere un particolare ed affettuoso saluto agli alunni e alle alunne della Scuola Elementare «Filippo Corridoni» di Catania, a cui è stato assegnato il primo premio nazionale di bontà «Livio Tempesta».

Vi esprimiamo, figliuoli carissimi, la nostra letizia per la vostra festosa presenza e il nostro plauso per tale meritato riconoscimento. Voi avete dimostrato che anche i piccoli, senza grandi mezzi, ma animati unicamente dall’amore cristiano verso i fratelli, sono capaci di irradiare nel loro ambiente la luce e la forza della bontà.

Conservatela sempre questa bontà del vostro cuore, confermatela e dilatatela con l’amicizia profonda e intensa a Gesù, il quale predilesse i bambini e li additò come modello di tutti coloro che vogliono entrare nel suo Regno (Cfr. Mt 18,3-4). Con la vostra generosità e con la vostra semplicità avete dato e dovete continuare a dare il vostro efficace contributo perché scompaiano, nelle relazioni fra gli uomini, l’egoismo e l’incomprensione.

Con questi voti, vi rinnoviamo la nostra paterna benevolenza, e vi impartiamo volentieri la Benedizione Apostolica, che estendiamo altresì ai vostri genitori, ai vostri amici, ai vostri educatori, al Presidente e al Consulente Ecclesiastico del «Centro Nazionale dell’Apostolato della Bontà nella Scuola».

Importante data per l’emigrazione italiana nel Brasile

Abbiamo la gradita occasione di rivolgere il nostro cordiale e paterno benvenuto al folto gruppo dei componenti il Comitato, giunto appositamente dal Brasile, per concordare con le Autorità Italiane le manifestazioni commemorative del centenario della immigrazione italiana nello Stato di Rio Grande do Sul, da parte soprattutto di nuclei familiari provenienti dalle tre Venezie.

Nell’esprimervi, carissimi figli, sentita riconoscenza per il cortese omaggio, ci congratuliamo vivamente con voi per l’opportuna celebrazione.

Essa, infatti, mentre vuol significare pubblica attestazione di stima e di affetto, da parte della Nazione ospitante, per la collaborazione spirituale e materiale offerta durante un secolo dagli immigrati italiani, è per questi circostanza quanto mai propizia per riaffermare l’impegno di pacifica operosità nel comune desiderio di continuo progresso morale e civile.

La vostra presenza è perciò una conferma viva ed eloquente di quella mutua comprensione e solidarietà tra i popoli, che la dottrina sociale cristiana e l’insegnamento pontificio ricordano con tanta premura alla coscienza universale.

Per questo ci rallegriamo con voi: e, con l’auspicio che le vostre iniziative siano coronate dal successo, invochiamo su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie, sulle vostre attività la divina assistenza e di cuore impartiamo la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Ucraini residenti in America

We are particularly happy to address an affectionate greeting to the numerous group of Ukrainian,s who have come to Rome for the translatio’n of the remailns of Metropolitan Sembratowicz to the Church of Santa Sofia and for the commemoration of the three hundred and fiftieth anniversary of the death of Saint Josaphat. In a letter which we sent a few days ago, dear Ukrainian sons and daughters, we too had the satisfaction of commemorating the figure and the work of Saint Josaphat, who is so dear to you. In memory of his life and death you have come here today to pay us this kind visit and to manife#44 st your fidelity to the Church and your attachment to the Vicar of Christ. We are deeply appreciative of the sentiments you have expressed and we wish to assure you once more of our affection and care for your Church, which is ever present in our heart and in our prayers. May our prayers and yours rise up today, that Saint Josaphat may intercede for you and for your entire Church.

Il gruppo «Viva la Gente»

We are happy to extend a special welcome also to the singing troupe, «Up With People». It is a joy for us to see a grolup of young people made up of many nationalities and many races, and all working together to foster brotherhood and to build a better world. Dear young people, we hope that you will indeed achieve your noble goal, that God’s creation will bring you closer to himself and that you will always remain people who carepeople who care for others and are not afraid of the discipline and sacrifices required to bring true genuine love into the modern world.


Mercoledì, 28 novembre 1973


Paolo VI Catechesi 31103