Paolo VI Catechesi 28113

Mercoledì, 28 novembre 1973

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Ancora una parola su l’Anno Santo. Si è già detto che uno dei cardini, sui quali dovrà imperniarsi la sua spiritualità, dev’essere la riconciliazione. Riconciliazione con Dio, riconciliazione con la nostra coscienza. Riconciliazione con gli uomini, fratelli o nemici che siano. Riconciliazione con i Cristiani tuttora in posizione di distacco, o di distanza, o di separazione rispetto alla Chiesa cattolica, quella dall’unica fede e dalla piena carità; la riconciliazione ecumenica, Dio volesse! E poi la riconciliazione, ossia la presa di contatti purificanti, animatori, santificanti col mondo profano e moderno; anche a questo riguardo: Dio volesse! Temi sconfinati. Ma un punto c’è, che interessa in modo particolare il nostro animo pastorale e apostolico; ed è quello della riconciliazione nella Chiesa, con i figli della Chiesa, i quali senza dichiarare una loro rottura canonica, ufficiale, con la Chiesa sono tuttavia in uno stato anormale nei suoi riguardi; vogliono essere ancora in comunione con la Chiesa, e Dio volesse che davvero così fosse, ma in un atteggiamento di critica, di contestazione, di libero esame e di più libera polemica. Alcuni difendono questa ambigua posizione con ragionamenti per sé plausibili, cioè con intenzione di correggere certi aspetti umani deplorevoli, o discutibili della Chiesa, ovvero di far progredire la sua cultura e la sua spiritualità oppure di mettere la Chiesa al passo con le trasformazioni dei tempi; ma si arrogano tali funzioni con tanto arbitrio e con tanto radicalismo, che, senza forse avvedersene, offendono, e perfino interrompono quella comunione, non solo «istituzionale», ma altresì spirituale, alla quale vogliono rimanere congiunti; tagliano da sé il ramo della pianta vitale, che li sosteneva; e, accorgendosi poi del guasto prodotto, si appellano al pluralismo delle interpretazioni teologiche (che, salva l'adesione essenziale e autentica alla fede della Chiesa, dovrebbe essere non solo consentito, ma favorito), senza badare che essi costruiscono così dottrine proprie, di comodo, e di equivoca aderenza, quando non siano addirittura contrarie alla norma e alla obiettività della fede stessa.

A noi questo fenomeno, che si diffonde come un’epidemia nelle sfere culturali della nostra comunione ecclesiale, procura grande dolore, temperato soltanto da un sentimento di maggiore carità verso quelli che ne sono la causa. E il dolore si accresci: osservando con quanta facilità si formano gruppi qualificati come religiosi e spirituali, ma isolati e autocefali, i quali spesso, per ‘attestarsi come iniziati a una concezione più interiore e più squisita del cristianesimo, diventano facilmente antiecclesiali, e scivolano quasi per inconscia gravitazione, verso espressioni sociologiche e politiche, dove purtroppo allo spirito religioso s’i sostituisce quello umanistico, e di quale umanesimo! Come riprendere questi figli che s’inoltrano su così pericolosi sentieri, come ristabilire con loro un rapporto di gioiosa e concorde comunione?

La nostra sensibilità pastorale subisce altra ferita per la crisi dello spirito d’associazione, della quale crisi diversi strati sociali sperimentano le conseguenze, e alla quale anche molte file del nostro quadro organizzativo ecclesiale versano non lieve tributo. Non ne vogliamo ora analizzare le cause complesse e profonde. Vorremmo piuttosto pensare che l’amorosa pedagogia della Chiesa, rivolta alla riconciliazione, sapesse trovare l’arte di ritessere rapporti associativi adeguati a confortare appunto la comunione interiore ed esteriore per cui la Chiesa risulta quello che è e dev’essere: corpo sociale e mistico di Cristo, e vorremmo che di tale comunione l’Anno Santo ci ridonasse nuova esperienza.

Sì, noi vorremmo che la stagione di ripensamento e di fervore, alla quale ci prepariamo, questo scopo, questo effetto potesse produrre: un accrescimento d’un autentico sensus Ecclesiae. Dovremmo tutti, dopo il Concilio, che ha avuto la Chiesa come principale tema dei suoi studi e dei suoi decreti, ripensare questa Chiesa benedetta; ricordare ch’essa è segno e strumento della nostra unione con Dio e dell’unità del genere umano (Lumen Gentium
LG 1); sentire la fortuna e la responsabilità di appartenerle; la gioia di poterle essere figli e testimoni; la premura di servirla e di obbedirle; la umile fierezza di partecipare alle sue prove e alle sue sofferenze; la sicurezza d’incontrare e d’amare in Lei quel Cristo che «la amò e che per lei si sacrificò» (Ep 5,25 cfr. S. AMBR. In PS 218,5, PL 15,1317-1318 H. DE LUBAC, Méd. sur l’Eglise, VIII).

Figli e Fratelli, amici vicini e lontani, uomini tutti: possa quest’ora di riflessione, di ravvedimento, di lucidità essere scuola per noli del mistero e della realtà della Chiesa di Cristo: rivelazione di Dio-Amore, salvezza per l’umanità (Cfr. Ep 1).

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Il coro «S. Cecilia» di Ljubljana

Esprimiamo la nostra sincera gioia nel vedere a questa Udienza i giovani del Coro «Santa Cecilia» di Ljubljana, ospiti attualmente del Pontificio Istituto di Musica Sacra, i quali hanno desiderato questo incontro per offrirci un saggio della loro abilità, quale omaggio del loro affetto e della loro devozione alla Chiesa e al Papa.

Per ricambiare tali sentimenti, vogliamo dirvi, carissimi figli, il nostro compiacimento per l’impegno generoso con cui voi dedicate la vostra attività artistica al decoro del culto. Continuate in questo prezioso servizio, e sappiate che esso sarà largamente compensato non soltanto dal successo con cui sono accolte le vostre belle esecuzioni, ma soprattutto dal contributo alla edificazione dei fedeli, dando ad essi coi vostri canti il conforto di vivere momenti di più intensa elevazione dello spirito a Dio nella preghiera.

Tornando alle vostre famiglie, portate con voi il nostro augurio che possiate camminare con fedeltà nel solco delle vostre tradizioni religiose per l’onore della gente slovena e per la gioia della Chiesa, che desideriamo sia sempre per voi la guida luminosa della vita.

A tanto vi confermi la nostra Apostolica Benedizione.

Religiosi «Christian Brothers»

We extend a special greeting to those members of the Congregation of the Christian Brothers who are participating in a course of renewal in Rome. For us, beloved sons, this moment of encounter, howsoever brief, is full of meaning. You have come to see us, to receive our blessing, to renew your commitment to the Lord Jesus and to his Church. And on our part, we wish to confirm you in your faith, to encourage you in your love and to assure you that your supernatural hope brings with it’ the greatest of rewards. With Saint Peter we exhort you to “go on growing in the grace and knowledge of our Lord and Saviour Jesus Christ” (2P 3,18).

Giovani africani avviati al commercio

Our special welcome goes likewise to those taking part in the Training Course for Western African Countries. It is our hope that your activities in Rome wjill be of great benefit for the true development of your respective countries and for the well-being of all the people whom you are called upon to serve. In you we greet all the citizens of the Gambia, Ghana, Liberia, Nigeria and Sierra Leone. May God’s graces sustain you.

Suore Cappuccine di Germania

Mit besonderer Freude begrüssen Wir heute den Konvent der deutschen Kapuzinerinnen von Assisi mit ihrer Mutter Abtissin. Aus Anlass des 250 jährigen Bestehens Ihrer Gründung haben Sie für kurze Zeit die Klausur verlassen, urn hier in der Ewigen Stadt die heiligen Stätten zu besuchen und Unseren Segen zu empfangen. Wir freuen Uns mit Ihnen und beglückwünschen Sie zu diesem denkwürdigen Jubiläum.

Durch Ihr zurückgezogenes Leben in anhaltendem Gebet, in Schweigen und hochherziger Busse nehmen Sie mit allen andern gottgeweihten Ordensfrauen im mystichen Leib Christi eine hervorragende Stelle ein. Mögen Sie, liebe Schwestern, auch weiterhin durch Ihr Leben und verborgenes Wirken Zeugnis ablegen in der modernen Welt für die Frohe Botschaft Christi!

Mercoledì, 5 dicembre 1973

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Il nostro grande problema qual è? È quello del nostro rapporto con Dio. Tutto è qui, in questo nodo di questioni mentali, morali, spirituali, vitali. La nostra concezione della vita non può prescindere dal considerare questo rapporto, per negarlo, per discuterlo, per affermarlo; sono queste le categorie somme e sommarie, nelle quali questo problematico rapporto può collocarsi. E tutti sanno oggi come nessuno sfugge alla necessità di una scelta a tale proposito. La religione, volere o no, in un senso o nell’altro, è al vertice della definizione della nostra vita personale e collettiva. Limitiamoci ora alla vita personale: la nota distintiva qualificante più importante si desume dall’atteggiamento religioso che l’uomo professa in ordine alla concezione della propria vita.

È da ricordare che noi, credenti in Dio e professanti l’adesione all’economia cristiana, cioè al disegno stabilito da Dio stesso circa il nostro destino e instaurato da Cristo (Cfr.
Ep 1,1 ss.), siamo i primi a riconoscere d’avere bisogno d’un aiuto trascendente, divino, preveniente e gratuito, la grazia, per entrare effettivamente nel piano salvifico della nostra religione (Cfr. DENZ.-SCHÖN. DS 1525-797); cioè noi non bastiamo a noi stessi per risolvere positivamente il grande problema, di cui dicevamo, quello del rapporto con Dio; e siamo perciò assimilati, sotto questo aspetto del bisogno d’essere salvati, per via della misericordia e dell’amore di Dio verso l’uomo, ad ogni altro essere umano, ateo o indifferente che sia.

Ma per usufruire di questa somma fortuna dell’intervento salvifico del Signore all’uomo adulto sono domandate alcune condizioni.

Anche davanti al piano della grazia l’uomo rimane uomo, rimane libero; un’adesione volontaria gli è domandata; e perciò senza una disposizione morale e una successiva fedeltà, «voluntariam susceptionem gratiae» (DENZ-SCHÖN. DS 1528-799), la salvezza religiosa non sarebbe per noi operante.

Si apre pertanto un complesso e voluminoso capitolo psicologico-soggettivo circa le disposizioni spirituali e morali, che l’uomo deve esibire all’azione giustificante e santificante di Dio: se vogliamo che il sole illumini la stanza della nostra anima dobbiamo aprirgli la finestra. Come si chiama evangelicamente e teologicamente questa finestra? Si chiama conversione, la famosa metànoia (Mt 3,2 Mt 4,17 Ac 2,38) del Vangelo; cioè quel cambiamento interiore e poi esteriore, che rende l’uomo suscettibile dell’intervento divino. Anch’essa, la conversione, non è senza un’azione segreta di grazia; ma ora noi la consideriamo al livello della nostra esperienza e della nostra responsabilità, dove il gioco della libertà, della volontà, degli stimoli esterni, pone la conversione al fatale «ago di scambio» della nostra sorte religiosa, e forse anche eterna.

Nella pratica della nostra vita spirituale qui si porrebbe la dottrina della preghiera, quale condizione fondamentale della nostra religiosità salvatrice. Ci riferiamo a quella preghiera che apre l’anima all’azione benefica della misericordia di Dio, e che è, più o meno, a tutti nota, sia nella sua definizione essenziale di atto razionale dello spirito che si rivolge volontariamente a Dio, sia come atto di tensione amorosa verso di Lui (BOSSUET, Serm. 1, 374, «il n’y a que la sede charité qui prie»), sia come assorbimento contemplativo e mistico nella presenza del divino interlocutore.

Ma la preghiera, così concepita, suppone la conoscenza e la fede in Dio, e spesso anzi essa proviene dalla voce interiore d’una parola, che da noi non sapremmo formulare e che lo Spirito pronuncia in noi con accenti ineffabili (Rm 8,26). E suppone una regolarità di vita spirituale, che purtroppo oggi molti, moltissimi non hanno: sono muti, sono incapaci di emettere con sentimento di pietà il semplice nome, paterno, dolcissimo, santissimo, di Dio.

Da quale punto può per questa gente, che è legione, essere presentata la «conversione»?

Ecco: noi dobbiamo tener conto dello «stato d’anima» di questa gente, diciamo meglio, di questo popolo, di questi fratelli, i quali, o per incuria spirituale, o per abuso critico, non sono sul momento in condizione di balbettare quella minima preghiera, che stabilirebbe subito un rapporto con Dio. Come dobbiamo regolarci?

Non certo in questa sede noi possiamo risolvere problema spirituale di questa ampiezza, ma suggeriremo soltanto due parole, le quali possono fare al caso nostro. E cioè: ancor prima di parlare di «conversione», nel senso pieno e salutare di questo termine, proviamo a parlare di «orientamento»; domandiamo a coloro che sono ancora alle saghe del mondo religioso di dare al problema, che ci interessa e che deve interessare tutti, un semplice sguardo, un semplice orientamento, della loro attenzione. È questo un atto umano superlativamente onesto, quello di rivolgere al problema di Dio una riflessione, nasca essa dall’interiore bisogno di logica e di verità, ovvero nasca da qualche esteriore osservazione, che suggerisce e che postula un appello ad un Principio supremo. Orientarsi verso l’inestinguibile faro del Dio nascosto, del Dio vivente. Il problema religioso ne vale sempre la pena.

L’altra parola, che suggeriamo per simile condizione spirituale, sembra una contraddizione, ma è un semplice e ragionevole paradosso; ed è la parola silenzio. Per cogliere qualche cosa del problema religioso abbiamo bisogno di silenzio; di silenzio interiore, il quale reclama forse anche un po’ di silenzio esteriore. Silenzio: vogliamo dire pausa di tutti i rumori, di tutte le impressioni sensibili, di tutte le voci, che l’ambiente impone alla nostra ascoltazione, e che ci rende estroflessi, ci fa sordi, mentre ci riempie di echi, d’immagini, di stimoli, che, volere o no, paralizzano la nostra libertà interiore, di pensare, di pregare. Silenzio qui non vuol dire sonno: vuol dire, nel caso nostro, un colloquio con noi stessi, una riflessione tranquilla, un atto di coscienza, un momento di solitudine personale, un tentativo di ricupero di se stessi. Diremo di più: daremo al silenzio la capacità di ascoltazione. Ascoltazione di che cosa? di chi? Non possiamo dire; ma sappiamo che l’ascoltazione spirituale lascia percepire, se Dio ce ne fa grazia, la sua voce, quella sua voce, che subito si distingue per dolcezza e per vigore, per parola sua, di Dio; il Dio, che allora, quasi per istintivo impulso, noi incominciamo dentro a chiamare, con avidità di conoscere e di capire, con angoscia e con fiducia, con insolita commozione e con invadente bontà: il Dio-Verbo, fatto maestro interiore.

Siamo condotti su questa traccia dalla stagione liturgica dell’Avvento: tacere per ascoltare; e dal pressante motivo dell’Anno Santo, che impone silenzio e preghiera e che prepara alle tante nostre moderne inquietudini la risposta di Dio, quella del suo Amore e della nostra salvezza.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Rappresentanza dei Chierici Regolari Mariani

Rivolgiamo ora un particolare saluto ai Chierici Regolari Mariani, sotto il titolo dell’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine, qui presenti in occasione del 300° anniversario di fondazione del loro Istituto. La nostra parola, figli carissimi, vuol essere di compiacimento e di augurio. Di compiacimento, anzitutto, per le benemerenze acquistate dalla vostra Congregazione in questo lungo periodo di vita, e in particolar modo per lo slancio vigoroso con cui essa ha saputo rinnovarsi ed espandersi in quest’ultimo secolo. È un segno di vitalità: di qui perciò anche il nostro augurio, affinché il vostro Istituto, traendo ispirazione da questa fausta ricorrenza, possa percorrere il suo cammino con sempre maggiore impegno e in felice continuità con le sue belle tradizioni. Avete il privilegio di appartenere ad una Famiglia Religiosa che è tutta di Maria e tutto deve a Maria. Conservate nella sua primitiva freschezza questo carattere mariano. Finché saprete modellarvi sugli esempi e insegnamenti di Colei che è ideale e sostegno di ogni vita consacrata e apostolica, non si inaridirà nel vostro Istituto quella sorgente di generosità e di dedizione, di interiorità e di fervore, che ha procurato alla Chiesa tanta abbondanza di frutti. A tal fine impartiamo di cuore a voi e a tutti i vostri Confratelli il conforto dell’Apostolica Benedizione.

Messaggio musicale di speranza

We are happy to greet today a group of American singers, "The Stars of Faith of Black Nativity". We welcome you and thank you for coming to visit us. Your Negro Spirituals and Gospel Songs give pleasure to many people, and they are surely equally pleasing to our Lord. When you sing you are praising God. Through your songs faith and spiritual values are seen to be dynamic, and God’s love for us is proclaimed to the world. We wish you every success during your tour and gladly invoke upon you abundant divine graces and blessings.


Mercoledì, 12 dicembre 1973

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Quest'uomo moderno, quanto ci interessa! quanto deve interessare ciascuno di noi! Diciamo questo sempre in ordine al rapporto dell’uomo con la religione, con Dio. Vediamo interrotto tale rapporto! quanta gente vive senza darsi pensiero dell’esistenza e dell’importanza di esso; camminano come ciechi, ciechi volontari, assai spesso: o perché un’abituale noncuranza li ha resi insensibili alla religione, ai problemi che essa comporta, alle conseguenze pratiche e immediate che subito l’irreligiosità riflette sulla vita vissuta, quella morale specialmente; ovvero perché una speculazione filosofica, che non dubitiamo, in fondo, di qualificare irrazionale, ha osato sostenere l’inesistenza di Dio, la «morte di Dio» nel pensiero dell’uomo, quasi che ciò fosse un progresso della mente e della scienza, e perciò una liberazione dal supposto rapporto con Dio, un’emancipazione dell’uomo, una sua normale e finale rivendicazione, un vertice della sua conquistata modernità.

Ma noi sappiamo che soppresso «il problema di Dio» tutto diventa problema; crolla il castello essenziale della causa suprema d’ogni cosa; crolla il principio della razionalità, l’intima ragione della verità; e crolla la norma efficace e superiore del sistema morale della nostra vita (Cfr. S. Agostino). La dimenticanza di Dio non è una liberazione, è una privazione; non è un’affermazione di logica scientifica, ma l’ammissione d’un’ignoranza radicale, d’un mistero insolubile, il mistero del nulla, nella sfera superiore del pensiero umano.

Così non è per noi. Noi sappiamo che Dio esiste, che Egli è; anzi che non si può concepire l’esistenza di qualsiasi cosa senza ammettere una prima trascendente sorgente. Ripetiamolo a noi stessi; questo è certissimo. Per la nostra razionalità, per la nostra felicità: Dio è! (Cfr.
He 11,6)

È questo uno sforzo superiore alle nostre capacità conoscitive? No, ma facciamo attenzione: quanto più noi siamo certi dell’esistenza di Dio, tanto più ci è difficile farci di Lui un concetto adeguato. È difficile pensare Dio, proprio perché Egli è Dio. Questo spiega un po’ perché la mentalità religiosa non sempre si sviluppi con progresso parallelo alla mentalità razionale e scientifica, la quale vanifica spesso la maniera figurata, simbolica, talvolta puerile, con cui la mente piccina e semplice si è fatta un concetto incompleto e inesatto della divinità; don e d le caratteristiche crisi religiose dei giovani, degli studenti, degli studiosi (Cfr. ROMANO GUARDINI, Le Dieu vivant). L’idea di Dio diventa così nuova, così grande, così superiore alla capacità della comprensione umana, che sorge la tentazione di rinunciare a misurarsi con essa; si preferisce negarla, piuttosto che accettare lo sforzo di adattare il pensiero alle esigenze che da essa derivano. L’intolleranza, da una parte, verso forme religiose insufficienti, e la difficoltà dall’altra di raggiungere qualche chiarezza circa il vero Essere di Dio, fiaccano facilmente la mente di chi ha gustato l’esercizio dilatante del pensiero evoluto e scientifico, e cede alla tentazione della terribile scelta fra il mistero del nulla e il mistero dell’Essere, dando, sconfitto, al primo la preferenza.

E noi, allora, come ci dobbiamo comportare? Perché noi stessi siamo uomini moderni, a cui non sono estranee le vicende di queste crisi religiose. La risposta è semplice nella enunciazione verbale: studiare, agire bene, pregare. Tralasciamo per ora le due prime indicazioni; meriterebbero anch’esse lunghi discorsi; sostiamo un istante sulla terza, cioè sulla necessità della preghiera per ottenere al nostro spirito la fortuna . . . di pregare ancora, cioè di conservare il nostro rapporto, razionale e vivente, con Dio. Noi abbiamo, altra volta, accennato al silenzio e all’ascoltazione del linguaggio religioso, nella sua espressione tacita e spontanea che sale dalla nostra anima in stato di raccoglimento e di riflessione, e nella sua voce segreta che lo Spirito stesso soffia dentro di noi. Diciamo questa volta una parola circa la preghiera considerata come ricerca. Spieghiamoci con un’immagine banale: vi siete mai trovati in una sala oscura, sapendo che una persona cara è ivi nascosta? non avete allora tentato di rivolgerle una parola, una domanda: dove sei? mi senti? lasciati vedere! Qualche cosa di simile avviene nel regno della vita religiosa: noi sappiamo che una Presenza ci è davanti; sappiamo che Dio ci vede, ci ascolta, ci aspetta; e allora che cosa facciamo? Noi preghiamo in un dato modo; noi ci serviamo della preghiera per ricercare il misterioso divino Interlocutore, presente, ma nascosto.

Qui sorge una grande domanda, la quale fa parte dell’economia religiosa, e non meno per chi cerca Dio per le vie della conoscenza naturale, che per chi lo ricerca per le vie della fede e della grazia. E la domanda è questa, ingenua e audace: perché Dio è nascosto? perché Dio è misterioso? perché Dio è silenzioso? Quali e quante questioni si affollano al nostro spirito curioso e insofferente degli indugi di Dio e ignaro dei suoi disegni! Accontentiamoci per ora d’una sola e parziale risposta: Dio si nasconde per farsi cercare! La sua rivelazione nella storia e nelle anime ha tempi che non coincidono con gli orologi dei nostri calcoli umani; la sua rivelazione ha modi che non quadrano con le forme della nostra conversazione terrena. Ed è certo inoltre che Dio, proprio col velo del suo inaccessibile mistero, attrae la nostra ricerca sopra una scala di conoscenza, che nella salita ci trasforma da esseri inferiori a superiori e ci fa passare dal livello materiale e sensibile a quello razionale e spirituale, da un ordine naturale ad un ordine soprannaturale.

L’incontro con Dio può avvenire come e dove e quando Egli vuole; ma conosciamo la linea delle sue preferenze, prima delle quali, per quanto ci riguarda, è il desiderio da parte nostra, è la ricerca, è la preghiera.

La preghiera è la nostra veglia in attesa della luce. La voce dei Salmi esprime questa vigilante preghiera con accenti magnifici, incomparabili. Chi non conosce, ad esempio, il De profundis? chi non vorrebbe ripetere l’invocazione di David nel deserto: «Dio, Dio mio, sin dall’alba io Ti cerco: è assetata di Te l’anima mia . . .»? (Ps 62,2 cfr. J. CALES, Le Livre des Psaumes, Beauchesne 1936; M. LEPIN, Le Psautier logique, voll. I et II, sect. IV, X, etc., Bloud et Gay, 1937 così pure: S. AUG. Soliloquia, I, 1,2)

Noi pensiamo che l’uomo moderno non abbia in sé un’anima spenta; forse anzi, proprio per la dovizia di cose e di esperienze ch’egli possiede, ha in fondo a sé un anelito insoddisfatto, che può esprimersi in preghiera. E per noi, credenti e moderni, non è forse venuta l’ora benedetta di tradurre in preghiera, quale la riforma liturgica ci ha proposta, l’ansia dei nostri spiriti?

L’Avvento, che stiamo celebrando, ci è palestra, per questa spirituale ascensione.


Mercoledì, 19 dicembre 1973

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Venerati Fratelli e Figli carissimi,

i tragici ed esecrandi avvenimenti, che hanno avuto in questi giorni il loro svolgimento con barbari delitti e con violenze terroristiche sui pacifici e moderni campi d’aviazione di Fiumicino e di altri Paesi, anche se hanno alla fine avuto un epilogo meno luttuoso, hanno così riempito di dolore, di sdegno, di angosciosi problemi l’atmosfera locale e mondiale, che tolgono anche a noi il tranquillo respiro, che caratterizza le nostre settimanali Udienze Generali.

Noi rinunciamo oggi perciò al nostro consueto familiare discorso, rivolto, in questo periodo precedente al Natale, alla ricerca delle vie spirituali, che possono guidare gli uomini della nostra generazione alla ripresa sincera del rapporto religioso con Dio.

L’irruzione delle veementi impressioni della clamorosa vicenda negli animi di tutti, l’inquietudine interiore da esse causata con l’ansietà di conoscere i fatti ed i commenti, la trepidante incertezza che si ripercuote sulle condizioni internazionali proprio alla vigilia dei tanto attesi prodromi d’un’equa pace nel Medio Oriente, se tolgono a noi la parola del nostro abituale ministero, siano esse tanto di più per tutti noi imperiosi temi di riflessione. La storia vivente diventa il libro per la nostra lezione: su la fragilità sempre possibile degli umani equilibri; sull’inevitabile preponderanza dell’intervento libero, responsabile, talvolta fatale dell’uomo nel congegno tanto perfezionato e complesso dei servizi tecnici della nostra civiltà: sull’evidente bisogno di corroborare nell’umana coscienza un più forte senso morale; e sulla necessità, che appare anch’essa evidente, d’invocare e di meritare l’assistenza della divina Bontà a questo nostro moderno progresso, meravigliosamente sviluppato, ma, sotto molti aspetti, ambiguo, e perfino pericoloso.

Faremo bene a pensare a questi folli e crudeli episodi della nostra cronaca contemporanea, non per coltivare in noi una disperata amarezza, né tanto meno tristi sogni di vendetta, ma piuttosto per corroborare in noi stessi un invitto ottimismo, sempre rivolto all’affermazione della giustizia e della pace, e per ritornare capaci di ricorrere all’umile e fiduciosa preghiera, nella fede e nella carità.

È prossimo il Natale. Non sia a noi difficile attingere dall’umile fatto e dal grande mistero della venuta di Cristo nel mondo, nostro Salvatore e nostra pace, la forza della speranza e la capacità dell’amore.

A questo fine sia la nostra Apostolica Benedizione.



Religiose Domenicane missionarie

We greet with warm spiritual affection the Dominican Sisters of Oakford, from Nata1 in South Africa. Beloved daughters, you have come to Rome for the General Chapter of your Congregation. We know of the work which you have accomplished in South Africa, and of the many tasks which still lie before you. During this time of renewal, listen attentively to the voice of the Holy Spirit speaking to you through the Scriptures and through the Church. Pray to him for assistance, and let him guide your deliberations. On our part we assure you of our prayer for your intentions.

Centro «International Language»

We are happy to welcome today the directors of the different schools of the International Language Centre. Your mission is to teach languages to young people. As you break down the language barriers which separate men, you can help also to break down barriers of ignorance and indifference. This is a mission of peace, because peace is founded on mutual understanding and on mutual love. You can help men to find their brotherhood under the common fatherhood of God. Wme willingly invoke abundant divine graces upon you, upon your work and upon your students throughout the world.





Mercoledì, 2 gennaio 1974

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Chi ha celebrato il Natale, scoprendo nell’umile fatto della nascita di Gesù il mistero dell’Incarnazione, e cioè della venuta di Cristo nel mondo, vale a dire del Salvatore, del Messia, del Verbo eterno di Dio fatto uomo, è introdotto ad una successiva scoperta, la quale ci apre il punto focale di tutta la religione, il quale è il segreto della vita di Dio ed insieme il segreto della vita dell’uomo. Il Natale non ci rivela soltanto Cristo, ma Lui mediante, per la manifestazione, l’epifania, che da Lui traspare di Figlio di Dio e di Figlio dell’uomo, si apre la visione abbagliante e avvincente della Paternità di Dio, e con questa il mistero della vita stessa di Dio, il mistero della santissima Trinità: Dio è Padre eternamente generante in Se stesso il Figlio, il suo proprio vivente Pensiero, il suo Verbo identico nella natura, cioè nell’Essere, al Dio unico Principio assoluto, e insieme, nell’identità di sostanza del Padre e del Figlio, spiranti l’Amore, lo Spirito Santo. Unico l’Essere divino, ma sussistente in tre Persone eguali, distinte e coeterne (Cfr. DENZ-SCHÖN.
DS 800); verità eccedente la nostra capacità di conoscenza; essa tratta della Vita di Dio in se stessa, e perciò ineffabile, ma non senza un minimo, ma meraviglioso riflesso, che riscontreremo nella nostra costitutiva, spirituale psicologia, e che ha dato tema a S. Agostino per le sue speculazioni teologiche. «Io dico, egli scrive, queste tre cose: essere, conoscere, volere, esse, nosse, velle. Io sono infatti, io conosco e io voglio . . . In queste tre cose quanto sia inseparabile la vita, . . . e quanto inseparabile la distinzione . . . veda chi può . . .» (Conf. XIII, 11; PL 32, 849).

Né noi ora ci fermeremo sopra così alta e impenetrabile speculazione. Solo faremo una deduzione, che ci deve rendere felici, e che deve formare il cardine della nostra fede e perciò della nostra vita religiosa. Noi sappiamo adesso che Dio è Padre. Padre per la sua stessa natura divina, in se stesso, nella generazione del Verbo, del Figlio suo unigenito; ed è perciò Padre di quel Gesù, il Cristo, che si è fatto uomo; uomo come noi, uomo per noi; nostro simile, nostro fratello. Pertanto a titolo ben diverso, ma essenziale analogicamente, Dio è anche Padre nostro.

È Padre, perché Creatore; è Padre, perché a noi rivelato e a noi dato per adozione.

È stata una delle finalità principali dell’Incarnazione, uno degli scopi che ha dominato la vita di Cristo: Egli è il rivelatore del Padre. Egli ce lo dice in quella sua preghiera finale, rivolta appunto al Padre celeste, la quale riassume nei termini più alti e più densi il significato della sua venuta nel mondo: « Io ho manifestato il Tuo nome agli uomini . . .» (Jn 17,6). E lo aveva già detto nei termini non meno alti e densi, ma piani e quasi familiari; ai discepoli che domandavano al Maestro d’insegnare loro a pregare, come tutti ricordiamo, Gesù rispose: «Così voi pregherete: Padre nostro, che sei nei cieli . . .» (Mt 6,9 Lc 11,1).

Ad ascoltarla così sembra la formula più ovvia. Sì, perché ce l’ha insegnata Gesù. Già nella pagina dell’Antico Testamento a Dio è attribuito il titolo di Padre del Popolo eletto, per l’elezione che Dio ne ha fatto e per l’intimo rapporto religioso che con esso Egli ha voluto stabilire (Cfr. Is 45,10 Dt 32,6ecc cfr. A. HESCHEL, Dieu en quête de l’homme, EN 1955, Seuil 1968, Paris); ma nel Vangelo questo appellativo di Padre, riferito a Dio, mediante Cristo, diventa abituale, normale, e acquista una pienezza in cui si concentra non solo tutta la teologia, ma altresì tutta la spiritualità della vera religione.

Noi dovremmo valutare questa rivelazione della suprema verità ontologica e religiosa come la chiave di volta di tutto il nostro pensiero e come la sorgente beatifica di tutta la nostra vita spirituale.

Dio Padre! Noi ora siamo confusi di dovervi appena accennare, in modo fuggente e superficiale, quanto l’importanza primaria d’un tale tema e il suo inesauribile significato dovrebbero arrestare qui, e per sempre, il nostro discorso. Dio Padre! L’Essere primo, necessario, assoluto, infinito, eterno, Dio si qualifica Padre, ed è, per la generazione del Figlio unigenito, Dio da Dio, e per la generazione a noi in via adottiva mediante Cristo elargita nello Spirito Santo (Jc 1,18).

Qui è la nostra fede, qui è la nostra religione, qui è il nostro battesimo, qui è la nostra capacità. Di qui il nostro volo nel mistero della vita divina, di qui la radice della nostra umana fratellanza, di qui la intelligenza del senso del nostro presente operare, di qui la comprensione del nostro bisogno dell’aiuto e del perdono divino, di qui la percezione del nostro destino escatologico. Ma, in via pratica, per la pedagogia evangelica che vogliamo trasfondere nella psicologia apatica, o smarrita della moderna generazione, una nota ci sembra su tutte da rilevare: Dio è Padre, dunque ci ama. E allora: quale dev’essere il nostro atteggiamento fondamentale verso di Lui? La nostra religione non può essere perciò che beata, fiduciosa, serena, ottimista, piena di energia, e dominata da una sola parola filiale: Sì! sì, o Padre! la nostra felicità è tutta in questa risposta.

Questo significa, Figli e Fratelli carissimi, che d’ora innanzi la nostra pietà, la nostra fedeltà devono alimentarsi dell’orazione, che Gesù stesso ci ha insegnata e che noi, come diciamo, alla Messa: «osiamo dire: Padre nostro, che sei nei cieli . . .». Con la nostra Benedizione Apostolica (Cfr. R. GRÄF, Sì, Padre, Morcelliana; J. CARMIGNAC, Recherches sur le «Notre Père », Letousey 1969; vedere anche: S. TERESA, Cammino di perfezione; C. M. CURCI, Lezioni . . . 1, 552 ss.; così i commenti di G. Salvadori, P. Chiminelli, Carnelutti, ecc.).



Cospicua rappresentanza delle diocesi di Aquino, Sora e Pontecorvo

Ed ora a voi la nostra parola, carissimi diocesani di Aquino, Sora e Pontecorvo, che in numero tanto cospicuo - più di cinquemila! - partecipate a questo pellegrinaggio! Siate i benvenuti, col vostro zelante e venerato Vescovo, con le autorità civili e religiose! La vostra visita vuol dare un particolare significato ai tre avvenimenti, che toccano tanto da vicino le vostre diocesi: l’inizio dell’Anno Santo nelle Chiese locali; il settimo Centenario della morte di San Tommaso d’Aquino, Dottore Angelico, vanto incomparabile della vostra bella terra d’origine; e il Congresso Eucaristico interdiocesano, che sarà il coronamento di fede e di pietà di questa solenne commemorazione.

Ci commuove che, per iniziativa del vostro Pastore, avete avuto il pensiero di dare alle tre iniziative un’impronta subito forte e ben caratterizzata spiritualmente, con questo atto di omaggio a Pietro e al suo Successore. E mentre ve ne ringraziamo, vi diciamo, nel nome stesso di Cristo, tutto il nostro incoraggiamento perché il vostro avvio alle celebrazioni sia, fin dall’inizio, ricco di frutti per la vostra vita ecclesiale, familiare, civica, sociale.

L’Anno Santo vi impegna, con tutti gli altri credenti, ad uno sforzo di riconciliazione e di rinnovamento interiore ed esteriore, nei rapporti con Dio e con i fratelli; il ricordo di San Tommaso vi richiama con particolare titolo di onore - è proprio il caso di ripetere: «noblesse oblige!» - a seguire le orme di un così grande campione della fede, che fu un sapiente come pochi altri, un sommo studioso dei misteri di Dio e della sua opera creatrice e redentrice, un innamorato di Cristo e della Vergine, un’anima serena, casta, umile, obbediente, ricca di tutte le virtù umane e cristiane del perfetto religioso. La sua particolare devozione all’Eucaristia, di cui egli è stato il cantore eloquente e fervidissimo, ben a ragione ha ispirato il vostro Congresso interdiocesano, che auspichiamo segni una tappa fondamentale nella vita privata e pubblica delle vostre diocesi: infatti solo una pietà eucaristica autentica e generosa, che attinge dall’Altare la sua forza e la sua costanza, può assicurare ad una comunità ecclesiale la sua coesione e fecondità, nella sincerità e nel fervore delle sue celebrazioni liturgiche, nell’esercizio della carità fraterna, nel fiorire delle vocazioni sacerdotali.

Amiamo cogliere questi motivi di riflessione, sia pur fuggevolmente data la scarsezza del tempo, per fare voti che le vostre diocesi in tutti i loro ordini - sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, laicato cattolico, papà e mamme di famiglia, professionisti e lavoratori, gioventù, in una parola tutta la fioritura delle vostre forze umane e spirituali - diano anche in questa occasione un magnifico esempio di vitalità e di presenza, continuando nel solco della ferma e convinta tradizione, che vi è propria, e a cui dovete fare sempre onore.

A conferma dei nostri voti aggiungiamo la Benedizione Apostolica, che estendiamo a tutti i vostri cari lontani, ai quali porterete l’assicurazione dell’affetto e della stima del Papa.

Congregazione dei Legionari di Cristo

La nostra parola di paterno saluto e compiacimento si rivolge ora ad un gruppo di novelli Sacerdoti del Collegio romano dei Legionari di Cristo, i quali hanno ricevuto la sacra Ordinazione alcuni giorni or sono, nella vigilia del Santo Natale.

In questo breve incontro desideriamo dirvi, figli carissimi, tutto il nostro affetto e la nostra trepidazione. Per anni vi siete preparati nella preghiera, nello studio e nella meditazione al momento solenne della vostra definitiva donazione a Dio ed alla Chiesa, scegliendo come unico e grande scopo della vostra giovinezza e di tutta la vostra vita Gesù, il quale ha voluto chiamarvi suoi intimi amici (Cfr. Jn 15,14-15) e farvi dispensatori dei misteri di Dio (Cfr. 1Co 4,1).

Conservate sempre la gioia, la generosità, l’entusiasmo della Prima Messa, ravvivando il dono divino ricevuto con l’ordinazione (Cfr. 2Tm 1,6) per essere autentici portatori del messaggio evangelico di speranza, di carità, di bontà e di pace, mediante una vita sacerdotale interamente vissuta con piena letizia e con operosa dedizione verso le anime, che la Provvidenza vi vorrà affidare.

Come segno della nostra benevolenza, di cuore vi impartiamo la nostra particolare Benedizione Apostolica, che amiamo estendere anche ai vostri familiari, ai superiori, ai condiscepoli e a tutte le persone che vi sono care.




Paolo VI Catechesi 28113