Paolo VI Catechesi 7874

Mercoledì, 7 agosto 1974

7874
Ascoltate, questa volta, la parola di Cristo, che pensiamo a noi potersi applicare in uno dei problemi più comuni e più gravi del tempo nostro. Dice dunque il Signore nel suo Vangelo: «Ogni vero studioso versato nella scienza del regno dei cieli è simile ad un padre di famiglia, il quale cava fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (
Mt 13,52). Vi sarebbe molto da dire su questa breve parabola, che fa dell’insegnamento circa i destini superiori dell’uomo, sintetizzati nel «regno dei cieli», una pedagogia paterna e familiare, definita un tesoro inesauribile, qual è quello della verità religiosa apertaci da Cristo stesso, dalla quale si estraggono insegnamenti nuovi ed antichi. Nova et vetera: fermiamoci a questa ben nota espressione, in cui si condensa la soluzione del rapporto fra la nostra conoscenza religiosa e la storia; e la soluzione ha un nome che racchiude un grande capitolo della nostra fede e della nostra cultura religiosa; e questo nome è, voi lo sapete, la tradizione.

Nome, a prima vista, non gradito all’orecchio moderno, perché è nome che obbliga a raccogliere un’eredità del passato, la quale nell’opinione superficiale di tanti figli del nostro secolo sembra una catena al piede, che vorrebbe correre liberamente verso i nuovi sentieri dell’avvenire, senza sentirsi vincolato ad una tradizione, reputata valore senza valore, antiquato, anacronistico, superato.

Questo orientamento così spiccato dello spirito umano verso il nuovo, che ha la sua patria nell’avvenire, pervade non soltanto il pensiero filosofico e religioso, di cui ora soltanto ci occupiamo, ma invade tutta la mentalità moderna, la quale sembra presa dall’insofferenza talvolta inquieta e perfino furiosa, rivoluzionaria, per tutto quanto la tocca col segno del tempo passato.

È questo in grande parte un fenomeno istintivo nella gioventù, che prende coscienza di sé e che sopporta a disagio quanto le viene trasmesso e inculcato dall’età precedente; il disagio molto spesso si dimostra ingrato e ribelle, preferisce l’avventura dell’inconscio avvenire piuttosto che sottostare alla prudenza e all’esperienza della generazione precedente. Per di più, nella storia contemporanea, il nuovo, cioè il progresso, si attesta con tali conquiste e con tali promesse in ogni campo del sapere e dell’agire, ch’esso è sempre vincitore nell’estimazione psicologica dei giovani, anche quando, come, ad esempio, in certe degradate espressioni artistiche e certi licenziosi costumi, il nuovo non è più progresso autentico, ma piuttosto evidente regresso. È nuovo, e basta; esso è la via verso il tempo che viene, o almeno esso è la forma, cioè la moda, per il tempo che è, il presente. La moda esteriore, lo sappiamo, è regina. L’indirizzo poi pragmatico e utilitario della scuola odierna favorisce questa mentalità a scapito d’altri valori che sembrano resistere a questa inquieta e continua metamorfosi concettuale e operativa, e che la storia, madre del passato e del futuro, conserva, nel suo patrimonio, come perenni valori, non tanto come da lei generati, ma come di lei stessa generatori. Del resto, questo processo ha i suoi diritti ed i suoi vantaggi: è il tempo, il misterioso tempo, che lo promuove, il quale, proprio per cotesto dinamismo inesorabile, c’insegna l’insufficienza intrinseca delle cose, e stampa su di esse la loro fondamentale definizione: «creature», che di rimbalzo lancia lo spirito intelligente verso l’eterno quesito: dov’è il Creatore? Questa è metafisica, questa è la porta della religione.

E qui noi sostiamo, anzi subito passiamo dalla religione puramente razionale e naturale alla nostra religione, a noi offerta dalla fede, la quale per il suo contenuto oggettivo a noi viene da una storia precisa, che si colloca nel tempo, anzi nel tempo passato, con indicazioni di date e luoghi precisi (Cfr. Lc 2,1 Lc 3,1 ss.). Conosciamo il Vangelo. Esso è inciso sulla trama della storia. E conosciamo l’autorità di questa incisione: essa fa testo per tutto il tempo che precede, a cui si dà la qualifica di Antico Testamento, e fa testo per tutto il tempo che segue, il Nuovo Testamento, ed arriva fino a noi, arriverà fino all’ultimo ritorno di Cristo, donec veniat (Mt 10,23). È questa interpretazione del moto nel tempo che dà alla storia un senso, una logica, una possibilità di intelligenza e di sintesi. Citiamo pure i nomi, soliti a ricordarsi a questo proposito: S. Agostino, Bossuet, Vico. Il Vico, ad esempio, dice che Dio è l’architetto della storia, e fabbro è l’uomo. Così che noi credenti abbiamo lo sguardo fisso al passato, un passato determinato, storico, incancellabile. «L’economia cristiana dunque, dice il Concilio (Dei Verbum DV 4), in quanto è alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non è da aspettarsi un’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore Nostro Gesù Cristo» (Cfr. 1Tm 6,14 Tt 2,13). Siamo salutarmente sorretti da una «tradizione».

Qui dovremmo spiegare che cosa intendiamo per tradizione, in questo ambito religioso, sia come costitutiva, insieme con la Sacra Scrittura, della rivelazione, sia come trasmissione autentica e impegnativa, con l’assistenza dello Spirito Santo mediante il magistero della Chiesa, della rivelazione stessa. Pensiamo che queste siano nozioni acquisite dalla comune cultura, e che siano tenute distinte da quelle così dette comunemente tradizioni, che piuttosto si possono dire consuetudini, costumi, stili, forme transeunti e mutevoli della vita umana, senza il carisma d’una verità che le renda immutabili e obbligatorie. Anzi aggiungiamo che queste tradizioni puramente storiche ed umane non solo contengono molti elementi contingenti e caduchi, verso i quali la critica rimane libera nel giudizio e nella riforma, ma spesso esigono d’essere criticate e riformate per la facilità con cui le cose umane invecchiano, o si deformano, e hanno bisogno d’essere purificate ed anche sostituite. Non per nulla noi parliamo di «aggiornamento» e di rinnovamento; e voi sapete con quanta energia e con quanta ampiezza di applicazioni.

E spesso la novità, che andiamo cercando e promuovendo, è uno sforzo di ritornare alle origini e di attingere dalle sorgenti antiche e autentiche della tradizione le forze ed i programmi per un rinascente avvenire («ressourcement», dice un espressivo neologismo francese). La tradizione, quella vera, è una radice, non un vincolo; è un patrimonio insostituibile, un alimento, una risorsa, una coerenza vitale. Quale sia questo tesoro, dal quale il cristiano sapiente estrae le cose antiche e le cose nuove, come c’insegna il Signore, non è cosa facile e breve a dirsi; apposta occorre un carisma speciale, il magistero ecclesiastico, al quale è assicurata, specialmente nei momenti decisivi, l’assistenza dello «Spirito di verità» (Jn 14,17 Jn 16,13); esso avrà la missione d’insegnare, di custodire, d’interpretare la dottrina della fede e di precisarne le applicazioni alla vita vissuta (Cfr. DENZ-SCHÖN. DS 1501 DS 3006; Cost. Dei Verbum DV 8-10). Le deviazioni possibili in questo campo sono principalmente due, com’è noto: la prima è quella che restringe alla sola Sacra Scrittura l’ambito della fede, quando si sa che la Sacra Scrittura stessa è nata dall’insegnamento orale, dalla Tradizione della Chiesa primitiva; la seconda poi è quella di pretendere di dare alla fede cristiana un’interpretazione propria, originale, arbitraria, un «libero esame» incurante dell’insegnamento di chi ha l’obbligo di «custodire il deposito» (1 Tim 1Tm 6,20), e di «evitare, come raccomanda S. Paolo, le novità profane di espressioni e le contraddizioni di quella che falsamente si chiama scienza» (Ibid . 1 Tim 1Tm 1,6).

Con questo non è detto che le verità della fede non possano e non debbano essere oggetto di studio, di ricerca, di approfondimento ed anche di enunciazione a dati ambienti culturali e a dati momenti spirituali. La dottrina della fede non è priva di sviluppo logico e coerente, ché anzi obbedisce volentieri ai bisogni del pensiero e ai doveri della contemplazione, secondo l’esortazione di S. Paolo stesso «di crescere nella cognizione di Dio» (Col 1,10 cfr. Ep 1,17 cfr. Newman); ma rimane univoca e fedele al suo essenziale ed originario significato, -eguale a se stessa, quale Cristo la annunciò, e quale la Chiesa, auspice lo Spirito Santo, per la salvezza degli uomini, ancor oggi proclama, difende, e allarga verso la sconfinata visione della divina e ineffabile realtà.

Nova et vetera! ricordate; con la nostra Apostolica Benedizione.



I corsi estivi dell’Istituto «SS. Cirillo e Metodio»

Come due settimane fa, abbiamo anche oggi il piacere di accogliere un bel gruppo di giovani slovacchi, partecipanti agli incontri organizzati dall’Istituto dei Santi Cirillo e Metodio, in Roma, a favore della gioventù slovacca all’estero.

Come sappiamo, si tratta di incontri formativi e integrativi della vostra personalità in sviluppo, specialmente con lo scopo di rendervi sempre più consapevoli della vostra appartenenza alla Chiesa. È perciò una iniziativa apprezzabile, che si inserisce molto bene in quella visione delle vacanze come strumento di educazione alla vita comunitaria, ecclesiale, di «koinonia», alla quale accennavamo domenica scorsa nel nostro incontro con i fedeli.

Facciamo voti che questa esperienza, così utile e preziosa per la vostra giovane età, contribuisca a corroborare in voi il senso della Chiesa, l’amore alla Chiesa, a darvi così la certezza della fede cattolica, prezioso patrimonio dei vostri padri, della vostra terra antica e nobile: voi la compite, questa esperienza, nella città sacra e benedetta di Roma, ove tutte le memorie religiose parlano della testimonianza di Pietro e di Paolo, degli Apostoli, dei Martiri, di tanti Santi e Sante che qui sono vissuti nell’adesione totale a Cristo Salvatore: anzi, ove anche i superbi resti della prestigiosa civiltà romana fanno vedere, a chi sa intendere, il supremo disegno divino che guida le sorti della storia umana.

Profittatene, cari giovani, con la recettività e con l’intelligenza proprie della vostra età: vivete in pienezza questi momenti privilegiati dello spirito. Noi ve l’auguriamo di cuore, mentre benediciamo voi, i vostri cari, i maestri dei corsi e quanti vi hanno accompagnati a questa Udienza.

Giovani della diocesi di Clermont

Pellegrini polacchi



Mercoledì, 14 agosto 1974

14874
In questo breve incontro con i nostri visitatori noi proponiamo alla loro riflessione una domanda: la vita cristiana è facile? La domanda sembra semplice, ma osserviamo subito che per presentarsi correttamente deve formularsi in forma deontologica, cioè: la vita cristiana deve essere facile, o no? Oggi la gente vuole tutto facile; perché non dovrebbe esserlo la religione? Diciamo poi vita cristiana pensando alla sua espressione autentica, a quella che corrisponde all’esigenza propria d’un seguace di Cristo, cioè di chi col battesimo ha accettato la somma fortuna della nuova vita da Cristo conferita e da Cristo promessa.

Semplice la domanda, non semplice la risposta. La quale sembra doversi formulare in senso positivo. Per due ordini di ragioni. Il primo è niente meno che teologico e denso di molti significati: la vita cristiana non è forse la nostra salvezza? e la salvezza non è dono immenso e gratuito di Dio Padre, mediante Cristo Redentore, nello Spirito Santo? e non comporta questo dono stesso la grazia per corrispondere alle condizioni, che sono pur requisite affinché la salvezza ci sia attribuita, come la fede e le buone opere? E di più il cristianesimo non si presenta a noi come una liberazione dalla pesante e complicata osservanza della Legge antica, e come un disegno di bontà e di misericordia, che gli umili, i deboli, i piccoli sono destinati a far proprio? dunque la vita cristiana non è un programma difficile.

Anzi non è forse la vita cristiana tutta penetrata dalla carità, una carità irradiante su ogni umana necessità, col risultato sempre ed efficacemente perseguito di riparare ogni male umano, l’ingiustizia, il dolore, l’insufficienza? Essa deve quindi togliere le opposizioni ed i limiti, che rendono dura e affannosa l’umana esistenza, e distendere sovra di essa il balsamo del conforto e della speranza.

Non è il cristianesimo una religione umana, popolare, accessibile a tutti? Poi ancora: la linea caratteristica della vita cristiana, segnata dal recente Concilio, non è piuttosto diretta verso la comprensione dei suoi valori interiori e spirituali, che non verso le espressioni esteriori e canoniche, se pur queste sono necessarie? (Cfr.
Mt 23) Tutto vero. E siamo noi stessi desiderosi e felici, che sia oggi apprezzato questo aspetto essenziale della vita cristiana, ripetendo la parola dolcissima di Gesù: «Il mio giogo è soave, ed il mio peso è leggero». Dovremo tuttavia integrarla, affinché la facilità della stessa vita cristiana non sia fraintesa.

Infatti il secondo ordine di ragioni, che milita per la facilità della religione, se da un lato è da accogliere, anzi da promuovere, come quando coincide col progresso moderno e con i suoi prodigiosi strumenti e meravigliosi servizi rivolti a diminuire, fino a togliere lo sforzo e la fatica dell’attività umana, da un altro lato è da considerare con grande vigilanza e con saggia critica, quando dimentica che la condizione umana, diciamo subito: a causa del peccato originale, non è normale, non è sana, non è perfetta; e questa dimenticanza porta a sopprimere dalla formazione dell’uomo buono e giusto e pio, sia esso un fanciullo, o sia un adulto maturo, quella pedagogia morale e spirituale, che si chiama l’ascetica.

Che cosa è l’ascetica? è l’esercizio faticoso e perseverante di quella padronanza di sé («encrateia» di Socrate), che frena la spontanea e disordinata inclinazione a vivere d’istinto e di passione (cioè pseudo-liberamente), sia nel campo della vita animale, sia in quello delle facoltà superiori, del pensiero e del volere. È lo sforzo della perfezione personale; la quale, per noi credenti, dev’essere concepita secondo la fede: «i seguaci di Cristo Gesù, scrive San Paolo, hanno crocifisso (cioè mortificato, dominato) la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze» (Ga 5,24 cfr. Rm 11,20 Rm 12,3 etc.). L’ascetica non è per sé contro l’uomo, la sua libertà, la sua vitalità; è ordinata allo sviluppo della personalità, di tipo cristiano. Sì, può essere difficile, come una ginnastica (1Co 9,24), una milizia (2Co 10,3), uno sport (1Co 9,25), un allenamento alla virtù, a grande virtù (Cfr. S. TH. II-II 184,7, ad 1), per fare l’uomo forte, austero, teso verso l’imitazione di Cristo, il servizio del prossimo, l’unione con Dio. Oggi, sappiamo, questa robustezza morale non è di moda. Il naturalismo capzioso di Rousseau ritorna a fare scuola, le filosofie amorali sembrano preferibili, la permissività guadagna il pubblico costume, la spontaneità degli istinti sembra una pienezza di vita.

Il tema meriterebbe maggiore commento. Ma basti qui a noi ricordare che la vita cristiana è esigente; qualche volta davvero non è facile! La parola di Cristo c’incalza: «Chi vuol venire al mio seguito, rinunzi a se stesso, e prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; chi invece avrà perduto la sua vita per amor mio la ritroverà» (Mt 16,24-25). Non si può togliere dal programma della vita cristiana il sacrificio, la croce.

Ma allora come può essere facile la vita cristiana? Vi è un mezzo: ed è il senso del dovere, nel senso pieno e forte di questa sacra parola.

Ma come può essere, a sua volta, facile il dovere? Ecco allora il segreto evangelico: può essere facile se esso, il dovere, coincide con l’amore, e specialmente con l’amore soprannaturale, che si chiama carità: «la carità di Cristo ci costringe» (2Co 5,14); «ogni cosa io posso, conclude l’Apostolo, in Colui che mi dà forza» (Ph 4,13); così «sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione» (2Co 7,4).

E così possiamo anche noi concludere: la vita cristiana, se sempre non è facile, sempre può essere felice. Fatene l’esperienza, Fratelli e Figli carissimi, con la nostra Apostolica Benedizione.



Istituto internazionale di Educazione e Fondazione RUI

Ci piace dare particolare rilievo a due gruppi che ogni anno si avvicendano a queste Udienze estive, e che ci portano rappresentanze sempre nuove di gioventù universitaria di vari Paesi del mondo: vogliamo dire le allieve dell’Istituto Internazionale di Scienze dell’Educazione, e le studentesse che frequentano il corso internazionale di cultura e di arte della Fondazione RUI.

Vi esprimiamo la nostra soddisfazione per la volontà che, dopo le fatiche dell’anno scolastico, vi ha portate a Roma per approfondire, sotto la guida di esperte docenti, le vostre conoscenze scientifiche e storiche: le une, per addestrarvi al conseguimento della Laurea in pedagogia, arte delle arti come già gli stessi scrittori pagani definirono questa tra le più delicate e preziose scienze per la formazione completa dell’uomo; le altre, per avere della globale civiltà di Roma aspetti nuovi e più completi, che accrescono la vostra cultura.

Seguiamo con grande simpatia queste iniziative tanto benemerite, perché destinate al vostro arricchimento interiore, intellettuale e spirituale: vi auguriamo di far tesoro delle nozioni trasmesse, per poter essere sempre meglio preparate alla missione che avrete domani nella società, come donne cristiane chiamate a dare testimonianza viva della fede nella scuola, nella professione, e soprattutto nella famiglia; e siamo certi che l’essere accomunate, in questi corsi, nel culto e nell’amore di Roma, aumenterà in voi il senso dell’universalità, della fratellanza, della comprensione reciproca: che è il passo più importante per la difficile edificazione della pace tra i popoli.

Il Signore vi accompagni sempre: oggi, nei vostri studi, domani nelle vie della vita che si apriranno alla vostra preparazione e al vostro impegno. Noi lo preghiamo per questa intenzione, e, nel suo Nome, di gran cuore vi benediciamo.

Gruppo di sordo-muti di Madrid

Amadísimos hijos sordomudos,

con particular agrado os damos nuestra cordial bienvenida a esta casa del padre común.

Quisiéramos que viéseis hoy en Nos todo el afecto y comprensión profundos con los que el Divino Maestro se acercaba a los enfermos (Mt 8,16-17 Mt 9,1-3 Mt 9,18-36).

A vosotros que, rodeados del silencio sentís tantas veces el aislamiento doloroso, os invitamos a pensar con frecuencia en esa presencia especial y maravillosa de Dios dentro de vosotros y a enriqueceros con su compañía.

A vuestro celoso párroco, a cada uno de vosotros y a vuestros compañeros y amigos de la Misión Pastoral de Santa María del Silencio, otorgamos con ánimo paterno una especial Bendición Apostólica.

Universitarie spagnuole

Un saludo especial a vosotras, las participantes de lengua española en los cursos organizados por el Instituto Internacional de Ciencias de la Educación y en el Curso Internacional de Cultura y Arte de la Fundación RUI, mientras formulamos los mejores votos de éxito en vuestros estudios y os exhortamos a enriqueceros científica y espiritualmente, para prepararos así a servir mejor a la Iglesia y a los demás.



Mercoledì, 21 agosto 1974

21874

Noi stiamo ancora cercando i segni della vita religiosa autentica dentro, all’interno, fuori del grande ed unico ovile di Cristo, che chiamiamo la Chiesa (Lumen Gentium
LG 6), non certo per curiosità statistica, ma per affezione pastorale ed ecumenica circa la possibilità di attribuire a chi lo merita, a chi lo rivendica, a chi lo realizza il titolo, sempre superlativo, sempre misterioso, di «cristiano». Ricordiamo sempre con intima commozione le parole degli Atti degli Apostoli, al capo undecimo, là dove è narrato che Barnaba, mandato dalla chiesa di Gerusalemme ad Antiochia, vista la crescente moltitudine degli aderenti alla predicazione circa Gesù Signore, se ne andò a Tarso, dove Paolo, dopo la sua conversione si era ritirato (era la sua patria), e lo convinse a recarsi con lui ad Antiochia; e qui, per un anno intero, insieme istruirono quella comunità, in cui Giudei di varia origine, di Cipro e di Cirene, insieme con Greci, cioè pagani formavano una Chiesa locale di stirpe diversa, ma con fede omogenea, tanto che, scrive S. Luca autore degli Atti, là «in Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati Cristiani». Era probabilmente l’anno 43.

Cristiano, nome per noi comunissimo; nome disprezzato, compromettente, pericoloso ai primi tempi della Chiesa; ma nome per sempre acquisito ai fedeli, ai seguaci, ai « santi » della nuova religione (Cfr. 1P 4,16; cfr. ERIK PETERSON, Christianus, in «Miscell. G. Mercati», 1, 355 ss.).

Noi ora saltiamo i secoli, e ci fermiamo al nostro tempo, per chiederci: che cosa significa oggi, per la mentalità del nostro mondo, questa gloriosa e combattuta qualifica di «cristiano»? Chi è cristiano? Lungi da noi la pretesa di fare una dissertazione adeguata su tale questione, in questa sede specialmente, dove la parola si fa estremamente semplice e sommaria. Noi tuttavia non crediamo inutile soffermarci a due elementari osservazioni. La prima è la facilità con cui questo benedetto titolo di « cristiano » è applicato nel linguaggio corrente: chi non vuol essere cristiano, quando questo titolo si può dire sinonimo di umano? di umano nel senso buono, naturale e profondo della parola. Cristiano è detto un uomo, un fatto, un sistema filosofico, che si riferisca a certi principii originali del Vangelo e del costume da esso ispirato, generato, imbevuto. Cristiano si riferisce a certi valori che dànno alla vita una pienezza, una, dignità, una inviolabilità, degna di essere considerata sacra. Cristiano è titolo così pieno di esigenze da costituire la fonte dell’evoluzione progressiva dei più ampli e incontestabili diritti; ed è insieme così grave e così interiore da giustificare l’impegno ai doveri maggiori della vita. Cristiano è nome così personale da distinguere un essere per sé semplicemente umano assurto al livello di figlio di Dio.

Cristiano infatti è formula così misteriosa da includere un rapporto vitale con l’Essere primo, creatore e signore, presente sempre e ineffabile, tanto più misterioso quanto meglio reso a noi, in qualche misura, accessibile, così da poterlo chiamare, con termine dilatato all’infinito, - beati noi! -: Padre! Padre nostro!; dove il mistero dell’Essere Infinito, Vivente su tutti e per tutti, si apre in mistero d’Amore per ciascuno di noi, per noi tutti insieme, senza confine. «Cristiano» è definizione morale e religiosa per eccellenza.

Non finiremmo più se dovessimo esplorare le profondità teologiche di questo appellativo. Ora ci basta osservare la sua irradiazione nella nostra cultura, nella nostra esperienza, per concludere con un tributo di riverenza e di simpatia verso ogni espressione, anche incompleta, ed anche inavvertita, che circonda questa, sia pur nominale, presenza di Cristo fra noi. Tuttavia una seconda osservazione ci è suggerita proprio dalla densità di significato del nome cristiano.

Esso esige che gli sia riconosciuta, almeno potenzialmente, questa pienezza, questa fecondità, questa dignità di contenuto umano e religioso. Applicabile a tutto ciò che riguarda i nostri destini presenti e trascendenti, esso non può essere volgarmente strumentalizzato.

Non può figurare come un’opinione, un’ideologia, un’ipotesi; la sua equazione è la vita, e quale vita! Non può lasciare indifferente, o incoerente chi lo porta; esso è destinato a imprimere un sigillo, uno stile, una forma all’esistenza umana, e una qualche stupenda caratteristica anche alle cose e alle attività, insignite di tanto nome. Certo, esso esige la fede, questo supplemento di conoscenza che ci viene dalla rivelazione; ma poi il nome cristiano, in virtù d’una sua stimolante coerenza, e d’un flusso d’energia divina, la grazia, che reca con sé, il nome cristiano educa alla fede, ne fa pregustare la trasparenza e la sapienza. Vi sono fenomeni nella prassi e nella cultura moderna che rifuggono dall’accettare questo realismo, e preferiscono concedere ai loro clienti maniere di pensare e di vivere senza impegni di questo genere, senza problemi speculativi operativi; anzi li lasciano nella persuasione che si vive meglio limitando lo sforzo vitale alla pratica concreta dell’esperienza empirica. Sapete che cosa è il pragmatismo? È il sistema filosofico circa l’arte del riuscire. È una concezione della vita, che ha avuto i suoi pensatori rinomati (Cfr. C. S. PEIRCE, How to make), anche nel campo religioso (Cfr. W. JAMES, The varieties of religious experience, con il suo principio: will to believe), e che in Italia ha avuto un suo grande esponente, e poi suo critico vincitore in Giovanni Papini, come tutti ricordano ( . . . attendiamo sempre G. Prezzolini!).

È un sistema, in fondo, che prescinde dalla verità oggettiva, razionalmente conquistata, e pone nella volontà e nell’esperienza il punto focale della psicologia umana. A noi cristiani, ciò non può bastare. Dovremo anche noi essere volontaristi e mettere la carità al primo posto (non dice forse Gesù: non chi dirà . . . . ma chi farà . ..?). (Mt 7,21 1Co 13,13) ma ciò dev’essere alla scuola della Parola di Dio, del Verbo, che a noi s’è comunicato, e dello Spirito di verità, che ci deve insegnare ogni cosa per la nostra salvezza (Cfr. Jn 14,26 Jn 16,13). Il cristiano non può prescindere dall’esercizio dell’intelligenza e del pensiero, e dal mettere la sua mente, la sua anima a disposizione della dottrina di Dio (Jn 6,45).

Dicendo queste cose la nostra mente, il nostro cuore si rivolgono con amicizia pastorale alle folle dei giovani, che oggi si orientano verso una singolare aspirazione al nome cristiano, come questo sia felice traguardo d’una sofferta, delusa stanchezza, e come questo solo abbia virtù rigeneratrice di ideali e di forze, che la vita moderna, nella pompa e nell’autosufficienza della sua ostentata opulenza, non ha saputo né conservare, né infondere.

A questa gioventù, guidata da un misterioso istinto spirituale di salvezza e interiormente confortata da una qualche rinascente e dolcemente modulata preghiera, noi auguriamo di giungere alla meta: Cristiano, sii cristiano!

A voi tutti pure l’augurio, con la nostra Apostolica Benedizione.

Partecipanti ai corsi estivi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

E ora, un saluto particolarmente cordiale agli studenti e professori dei corsi estivi di lingua e cultura italiana per stranieri, organizzati dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, presso la Facoltà di Medicina di Roma. L’incontro si ripete ogni anno, e ci dà la gradita possibilità di incontrarci, sia pur fugacemente, con una rappresentanza assai qualificata della gioventù studiosa internazionale.

Vorremmo fermarci con voi ad uno ad uno, e chiedervi, oltre al vostro Paese di origine, le vostre impressioni non solo sulla partecipazione ai corsi - che sappiamo ottimi, per la serietà dell’insegnamento impartito, a tutti i livelli - ma soprattutto anche sulla vostra permanenza qui a Roma, a contatto con le testimonianze fulgide della civiltà antica, sul cui universalismo si inserisce senza soluzione di continuità l’universalismo cristiano, la presenza unificatrice della Chiesa, che ha in Roma le sue espressioni più alte e genuine: basti ricordare « i trofei » degli Apostoli Pietro e Paolo, che l’Urbe custodisce come due gioielli incastonati nello scrigno delle omonime stupende basiliche.

Il fascino di Roma, a chi lo sappia scoprire, è appunto nel rintracciare sulle orme della civiltà del diritto, della cultura, dell’arte di Roma il sovrapporsi del nuovo verbo della salvezza, predicata dagli Apostoli pochi decenni dopo la Risurrezione di Cristo, testimoniata col sangue dei Martiri, e tuttora viva nel respiro universale della Chiesa, «onde Cristo è Romano».

Facciamo voti che la letificante scoperta di questi valori, dei quali siete andati in traccia in questi giorni di studio, di scambi fraterni, di visite culturali, vi accompagni sempre nella vita, a darvi ampiezza di orizzonti, chiarezza di vedute, quadratezza di sentire, soprattutto senso di universalità e di fratellanza, onde poter costruire qualcosa di veramente valido, per voi e per i vostri singoli Paesi.

È il Nostro paterno augurio, accompagnato da una preghiera, per invocare su di voi e sui vostri Cari le benedizioni del Dio dell’amore e della pace.

Nous voulons saluer aussi tous ceux auxquels, parmi vous, la langue française est plus familière. Vous avez la joie de consacrer plusieurs semaines à la découverte passionnante du monde culturel de Rome, tel que l’a formé une longue suite de siècles. Nous vous souhaitons de savoir y trouver aussi, à travers les expressions diverses qu’elle a prises au tours des âges, le visage de l’éternelle jeunesse de l’Eglise.

We are very pleased to greet today the professors and students of the Summer Courses of Italian Language and Culture. You have come from many different countries and when you return home you will be enriched with a knowledge of the cultural heritage of Italy.

But you will also have learned something else. You will have come to appreciate and cherish the bonds of brotherhood which unite you all together. We pray that your stay here may sow in your hearts the seeids from which you will reap an ever more abundant harvest of peace. With our Apostolic Blessing.

Pellegrini libanesi

Studenti giapponesi

We are most happy to welcome the Japanese students of Nanzan University in Nagoya. May your journey to the West be a fruitful and spiritual experience for you. We wish you true happiness and joy, and a safe journey back to your homes and families.

Giovani del Messico

A vosotras, jóvenes mexicanas, que habéis querido venir desde tan lejos a manifestarnos vuestros sentimientos de devoción, os dirigimos un saludo particular, mientras os exhortamos a cultivar en todo momento en vuestras vidas las auténticas virtudes cristianas y el espíritu de piedad que las inspira y defiende.

Con ánimo paterno os impartimos la Bendición Apostólica.



Mercoledì, 28 agosto 1974

28874

Fratelli e Figli!

Noi non usciremo, neppure questa volta, dal linguaggio semplice e familiare, che riserviamo alla conversazione delle Udienze generali, anche se dobbiamo proporre alla vostra riflessione un termine un po’ ermetico, che ha fatto fortuna ultimamente nell’analisi dottrinale, anche cattolica, perché spesso se ne parla come d’una formula liberatrice e moderna; e questo termine suona «pluralismo». Non intendiamo ora parlare del pluralismo dei sistemi filosofici, o politici; e nemmeno di quello religioso al di fuori della sfera cristiana.

Pluralismo, termine equivoco; cioè avente duplice significato: il primo significato è molto bello; e si riferisce alla fecondità della nostra dottrina cattolica, la quale, conservando una sincera e profonda identità di contenuto e rimanendo cioè strettamente aderente alla propria univoca realtà, all’una fides, di cui parla con tanta chiarezza ed autorità l’apostolo Paolo (
Ep 4,3-6 Ep 4,13 Ph 2,2 Rm 15,5 Rm 12,16 cfr. Jn 10,16 etc.), possiede una enorme ricchezza di espressioni, per ogni lingua (ricordiamo, ad esempio, il miracolo delle lingue nel giorno della Pentecoste) (Ac 2,4-8) per ogni periodo della storia (Cfr. NEWMAN, An essay of the development of christian dottrine, 1845), per ogni età e grado della vita umana (cfr. il kerigma, o annuncio primitivo, la didaché, o dottrina apostolica, i primi simboli, ossia le sintesi dottrinali, come regole della dottrina, che presero il nome di credo, e poi i catechismi e le opere dottrinali d’ogni forma, come le summae teologiche medioevali, e le opere più recenti di più ampia e sistematica esposizione del dogma cattolico); e non possiamo omettere le molte e quasi aleggianti voci della liturgia, che gareggiano con quelle dottrinali, tanto da offrire la nota equazione fra la lex orandi e la lex credendi; e come poi dimenticheremo l’inesauribile produzione letteraria, che documenta di per se stessa come la rigorosa osservanza della norma dottrinale, lungi dallo spegnere la fioritura del genio spirituale della fantasia e della poesia, la provochi piuttosto e la fecondi in una meravigliosa e sempre nuova pluralità di forme e di parole?

Questo è il pluralismo della Chiesa cattolica, al quale possiamo ascrivere quello sgorgante dalle esplorazioni delle personali ricerche e delle singolari espressioni, a cui la dottrina cattolica invita sia il mistico, sia il teologo e sia anche l’artista, sempre che questi contemplativi, questi studiosi e questi profeti semantici abbiano come legge connaturata nel loro animo la Verità; quella Verità di cui lo Spirito Santo, sì, è maestro (Jn 14,26 Jn 16,23), ma sempre secondo la garanzia interpretativa di quel Magistero della Chiesa, al quale Cristo affidò il ministero della luce (Mt 5,14); della parola (Lc 10,16); dell’autenticità della fede e della comunione (Cfr. DENZ.-SCHÖN. DS 3050 ss .; Lumen Gentium LG 18 Dei Verbum DV 12 DV 23 Unitatis Redintegratio UR 21).

Potremmo paragonare il pluralismo dottrinale della Chiesa cattolica a quello d’un’orchestra musicale, nella quale la pluralità degli strumenti e la diversità delle loro parti rispettive cospirano a produrre una sola e mirabile armonia.

E vorremmo ricordare a quanti si figurano il dogma cattolico, cioè una dottrina religiosa rivelata da Dio e come tale dichiarata dal magistero della Chiesa, quasi fosse una prigione del pensiero teologico o scientifico, ricordare, diciamo, quale sicurezza e quale ampiezza di verità, e quale varietà di espressione, esso, il dogma cattolico, offra allo spirito umano, quale invito alla riflessione e quale gaudio alla mente introdotta nei sentieri della scienza soprannaturale di Dio e dell’uomo. I teologi, umili e sapienti, ben sanno la preziosità di questa superlativa esperienza (Cfr. DENZ.-SCHÖN. DS 3016 DS 3020 DS 3044; etc.). A loro il nostro saluto riverente e stimolante.

Tanto che a professare questo pluralismo didascalico nell’unità dogmatica della dottrina cristiana i cattolici trovano sempre davanti a sé la formula dei Riformatori antichi e moderni: sola Scriptura, quasi che essi fossero i veri fedeli dell’unità religiosa, e quasi che la sacra Scrittura non derivasse essa stessa dalla Tradizione apostolica (Cfr. Dei Verbum DV 7-10), e avulsa dall’insegnamento apostolico non fosse esposta al pericolo, quanto mai reale, d’essere abbandonata all’interpretazione individuale, indefinitamente centrifuga e pluralistica, cioè a quel «libero esame», che ha polverizzato l’unità della fede nell’innumerevole molteplicità di opinioni personali, indarno, o arbitrariamente, contenuta da una «norma regolata», cioè da un’interpretazione obbligante emanata dalla comunità, superata poi anch’essa dall’ispirazione soggettiva, che lo Spirito Santo suggerirebbe all’anima, direttamente.

Così che «la dottrina protestante del libero esame, o dell’unica autorità dello Spirito Santo, quale autentico interprete della Scrittura, apre la via al più radicale soggettivismo filosofico-religioso» (Prof. Siro Offelli). Dalla plurisinfonia unificante e celebrante della Pentecoste si dovrebbe retrocedere alla « confusione delle lingue », di cui la Bibbia ci riporta la misteriosa vicenda? (Gen. 11, 1-9)

Quale ecumenismo potremmo così costruire? quale unità della Chiesa potremmo ricomporre senza l’unità della fede? Dove finirebbe il cristianesimo, dove ancor più il cattolicesimo, se ancor oggi, sotto uno specioso, ma inammissibile pluralismo, si accettasse come legittima la disgregazione dottrinale, e quindi anche ecclesiale, ch’esso può recare con sé? La vera religione, quale noi crediamo essere la nostra, non si può dire legittima, né efficace, se non è ortodossa, cioè derivata da un autentico ed univoco rapporto con Dio. Né un vago, e fosse anche commosso e sincero, sentimento religioso, né una libera ideologia spirituale costruita con autonome elaborazioni personali, né uno sforzo di elevare a livello religioso le pur nobili ed appassionate espressioni di sociologia lirica e morale di popoli interi, né le vivisezioni ermeneutiche rivolte ad attribuire al cristianesimo un’origine naturale o mitica, né ogni altra teoria o osservanza, che prescinda dalla voce infinitamente misteriosa ed estremamente chiara, risuonata sul monte della trasfigurazione e riferita a Gesù, raggiante come sole e candido come la neve: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale Io mi sono compiaciuto; Lui ascoltate» (Mt 17,5), potrà placare la nostra sete di verità e di vita.

Beati noi, se ci metteremo nel numero dei piccoli, che sanno ascoltare una tale voce, e pregustare la felicità della certezza immortale.

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Coro Lituano nel Canadà

We extend a special welcome today to the Canadian-Lithuanian Girls’ Choir-“Aidas”, The name of your choir-“Aidas”-means an echo, and we pray that your singing may ever be a spontaneous echo of your own inner joy and peace. We want all the People of God to sing in the churches, and we ask you to use your talents to entourage and help people to share actively in the new liturgy.

Thank you for singing SO beautifully for us today. God bless you all.

Il Capitolo Generale dei Rogazionisti

Abbiamo il piacere, stamane, di accogliere unitamente al nuovo Superiore Generale i Religiosi Rogazionisti, i quali hanno partecipato al Capitolo Generale celebratosi nei giorni scorsi.

Fiduciosi come siamo, carissimi figli, della generosità e dell’impegno che vi hanno guidati nella verifica dei risultati della precedente Assemblea, ci è gradito rivolgervi la nostra parola di incoraggiamento a perseverare nello spirito del vostro Fondatore, il Servo di Dio Can. Annibale Maria di Francia, che vi volle dedicati al servizio della Chiesa con due specifiche attribuzioni: la preghiera assidua rivolta al «Padrone della messe, per l’invio di validi operai», e l’educazione ed assistenza alla fanciullezza più bisognosa di aiuto.

Vocazione, questa, che esige magnanimità e sacrificio: che peraltro merita tutta l’attenzione e la sollecitudine di chi si è consacrato a Dio.

Per tale motivo, l’amore alla disciplina, che un alterato concetto di questo termine vorrebbe oggi far apparire come limitazione, e non invece come garanzia e sostegno dell’apostolato, sorregga, come roccia che mai non crolla, gli ideali dell’orazione, della vita religiosa e dell’attività di ministero e di formazione.

Guardando con amore di figli al vostro Fondatore, il quale ad imitazione del Divin Maestro, da nobile e ricco che era, si fece povero e servitore degli umili, avete un esempio mirabile di povertà evangelica, di distacco dai beni materiali, di dedizione in favore dei fratelli.

Auspicio di questi desiderati doni celesti e pegno della nostra benevolenza, è la nostra Benedizione Apostolica, che impartiamo a voi, al vostro Istituto, agli assistiti e alle rispettive famiglie. Associazione nazionale «San Paolo» per gli Oratori e Circoli giovanili Porgiamo un cordiale benvenuto ai partecipanti al Convegno di studio e all’Assemblea annuale dell’Associazione Nazionale «San Paolo» per gli Oratori e i Circoli Giovanili, nel suo decimo anno di fondazione. Siamo assai lieti di questa circostanza: sia perché l’organismo è sorto nella nostra diocesi di origine, e salutiamo Monsignore Vescovo di Brescia, che presiede all’incontro e ha diretto qui il gruppo; sia, soprattutto, perché l’iniziativa è rivolta a coordinare, a promuovere e a stimolare le benemerite istituzioni degli Oratori e dei Circoli Giovanili, che, come dice il nome, sono destinate ad offrire alla cara gioventù la necessaria formazione spirituale e morale, nonché le occasioni di vita associativa e comunitaria, tanto da essa sentite, e le possibilità di temprare il corpo nella sana e felice attività ricreativa e sportiva.

La vostra presenza ci permette di fare una domanda, non solo a voi, ma a tutti quanti, nel mondo cattolico, si interessano ai giovani: come vanno i nostri Oratori? Esistono ancora? Certo. Ma funzionano bene, in tutte le loro componenti, sono centri animatori della gioventù, fucine di anime temprate alla preghiera, all’amore fraterno, alla solidarietà umana e cristiana? Dove l’oratorio è ben curato in una Parrocchia, si vede: v’è una gioventù che sa il fatto suo, dinamica, generosa, allegra, pronta alla collaborazione col sacerdote, fusa in un unico cuore.

Ricordiamo l’opera degli oratori milanesi nel tempo del nostro servizio pastorale in quella grande diocesi: e vorremmo che essi si consolidassero ovunque, per dare ai giovani, spesso lasciati in balìa di se stessi, un’occasione incomparabile di coesione, di animazione, di formazione della mente e del cuore, nella conoscenza e nell’amore di Dio, nel rispetto dei valori più alti, nel culto della preghiera - ricordiamo sempre l’etimologia di «oratorio»! - perché nulla manchi, di umano e di religioso, alla formazione integrale dell’uomo.

Avanti dunque con fede, con perseveranza, con serietà: è il voto che facciamo per voi e per tutti gli oratori e circoli giovanili. La nostra Benedizione tutti li sproni a meritare sempre più abbondanti le grazie del Signore!


Mercoledì, 4 settembre 1974


Paolo VI Catechesi 7874