Paolo VI Catechesi 18124

Mercoledì, 18 dicembre 1974

18124
Noi parleremo anche questa volta, del Natale che viene. Vi sono mille modi di parlare di questo avvenimento nella storia dell’umanità, di questa festa nel ciclo della liturgia, di questo mistero nella riflessione spirituale. Il tema del Natale è d’una tale importanza, che chi lo nega, o lo copre di silenzio e d’indifferenza priva la concezione del mondo d’una sua luce centrale, castiga se stesso all’ignoranza d’una chiave esplicativa della propria vita e dell’universo, e copre ogni cosa d’un velo di oscuro mistero, che invece il mistero luminoso del Natale illumina con bagliori affascinanti.

Procuriamo di rivolgere l’attenzione del nostro spirito su questo fatto, che chiamiamo Natale; e consideriamo un istante, fosse pure un istante solo, lo stato d’animo, l’effetto psicologico primo di cui abbiamo in noi stessi coscienza. È come se aprissimo la finestra della stanza chiusa in cui trascorre la nostra ordinaria esistenza, e ci si presentasse lo spettacolo di certe limpide notti d’estate, punteggiate di stelle innumerevoli, mondi e spazi incommensurabili; l’universo, la realtà immensa e silenziosa in cui siamo immersi, di cui siamo minima, ma pur vera parte. Pascal si sentiva spaventato dall’immensità silenziosa degli spazi (Pensées, 206).

Noi, contemplando la realtà, la profondità del Natale, che vuol dire della venuta di Cristo nel mondo, cioè il fatto dell’Incarnazione del Verbo di Dio, quale il Vangelo ci presenta, quale la fede ci aiuta in qualche modo a comprendere, noi quale improvvisa emozione proviamo, quale scossa interiore, quale sentimento?

Pare a noi che il sentimento spontaneo e dominante, suscitato dall’annuncio, un annuncio relativo ad una realtà, di cui storia e fede ci fanno sicuri, sia e debba essere la meraviglia, cioè la sorpresa, che subito si evolve in ammirazione, un’ammirazione estatica ed esaltante, sconfinata ed inesauribile: Dio con noi? Dio come noi? Dio per noi? e in quel quadro umano, che chiamiamo presepio? in quella umiltà, che più d’ogni aspetto incantava S. Agostino: «cum esset altus humilis venit» (En. in PS 31,18 PL 36,270Sermo 30,7 PL 38,191 etc.). E che la meraviglia debba poi formare l’atmosfera di tutta la vita cristiana non ci deve apparire una tensione artificiosa della nostra spiritualità, se, da un lato, essa si svolge in un ordine sopranaturale.

Il disegno della religione cristiana si svolge tutto in un piano superiore a quello ordinario della nostra esistenza naturale, e ci offre continuamente verità, modelli, esperienze che superano il livello normale della nostra vita; pur troppo noi siamo indotti ad abituarci ad ogni manifestazione del mistero divino, alla cui presenza e alla cui conversazione siamo stati ammessi (Cfr.
Ep 1,1-10); e siamo inoltre diffidenti giustamente circa la nostra facilità al mito, cioè a inserire la nostra fantasia creatrice nella concezione ideale del nostro mondo. Ma qui, nell’ambito autentico della fede, la fantasia non crea, forse ci aiuta a rivestire di qualche analogia, di qualche parabola, di qualche immagine artistica le verità divine, che superano la nostra diretta capacità intellettiva. E se, dall’altro lato, le parole, con cui la rivelazione ci enuncia queste verità, sono esse stesse iperboliche, ci sollecitano ad uno sforzo mentale per sollevarci a quel «regno dei cieli», al quale non possiamo accostarci senza essere invasi da stupore, da meraviglia, da ammirazione. Citiamo di sfuggita alcune espressioni scritturali, che sembrano destinate ad alimentare in noi tale stato d’animo superpsicologico, che poi, semplicemente definiremo, nel linguaggio cristiano, devozione, fervore, giubilo, ebbrezza spirituale (Cfr. l’inno di S. Ambrogio: Laeti bibamus sobriam ebrietatem Spiritus), e di cui S. Francesco di Sales, con la sua rinomata «Introduzione alla vita devota», ancora ci è maestro (Cfr. anche S. TH. II-II 82,3 II-II 82,4).

Non dice, ad esempio, S. Paolo, che «quando ancora eravamo peccatori . . . e nemici, siamo stati riconciliati a Dio?» (Rm 5,8-10); e che «noi eravamo figli d’ira, . . . e che Dio, ricco di misericordia, per il grande amore che ci portava, pur essendo noi morti per le nostre colpe ci richiamò a vita in Cristo . . .»? (Ep 2,4-5)

Egli ci parla di questo amore di Dio per noi, qualificandolo un amore che sorpassa ogni scienza (Ep 3,19); e ci dirà l’evangelista S. Giovanni che: «in questo si manifesta la carità (di Dio), perché Egli per primo ci ha amati, e ha mandato il suo Figlio come propiziazione per i nostri peccati» (1Jn 4,10). Potremmo continuare. Ma questi accenni scritturali ci orientano verso il punto focale del mistero cristiano, e che nella celebrazione del Natale deve illuminare ogni effusione religiosa ed umana che dal Natale deriva: esso è un mistero d’amore di Dio, in Cristo, per noi. Chi non avverte questa folgorazione dell’amore di Dio nel Natale, che precede e prepara la Pasqua, è come cieco davanti al sole.

Questa è la rivelazione cristiana. Noi dobbiamo far nostra la parola, ancora di S. Giovanni: «Noi abbiamo conosciuto e creduto alla carità che Dio ha per noi» (Ibid., 1Jn 4,16). E questa è la risposta che S. Anselmo dà, con tutta la teologia cattolica, alla questione ch’egli si è posto: Cur Deus homo? perché Dio si è fatto uomo? (Cfr. PL 158, p. 359 ss.; e cfr. la sua bella preghiera, p. 769) Con la nostra Benedizione Apostolica.

Convegno per le informazioni cattoliche in Castellammare di Stabia

Rivolgiamo il nostro deferente e cordiale saluto al venerato Arcivescovo Mons. Raffaele Pellecchia, Vescovo di Castellammare di Stabia, e ai Signori Membri del Comitato del Convegno per le Comunicazioni Sociali e il quotidiano Avvenire, che si è celebrato recentemente in quella Città.

Siete venuti per confermare la devozione manifestataci nella menzionata circostanza, quando avete raccolto i doni che ora ci presentate. Il vostro generoso contributo alla carità del Papa e la vostra filiale adesione al Successore di Pietro meritano sincero apprezzamento e sentita riconoscenza.

È inoltre motivo di plauso l’efficace collaborazione da voi prestata per il successo del suddetto Convegno, organizzato dal competente Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana. In tal modo voi avete prontamente risposto ad una lodevole iniziativa dell’Episcopato, dando prova di docilità e di disponibilità alle indicazioni dei Pastori.

Ed uniti al Papa e ai Vescovi, vi siete resi benemeriti di due cause molto importanti ed urgenti: quella della presenza della Chiesa nel campo delle Comunicazioni Sociali, e, in particolare, quella di Avvenire, il quotidiano dei cattolici italiani. Anche per questo va a voi la nostra lode. Già più volte abbiamo avuto occasione di dire quanto tali problemi ci stiano a cuore, e quanto ci attendiamo, al riguardo, dalla comunità ecclesiale italiana. Vi esortiamo, pertanto, a continuare. Il Convegno di Castellammare di Stabia non può rimanere una manifestazione isolata, per quanto ben riuscita, ma deve essere un esempio da seguire anche altrove, ed uno stimolo per tutti ad un crescente impegno in un settore così attuale ed esigente della pastorale e dell’apostolato dei laici.

Con la nostra Benedizione.

Il Pontificio Oratorio di S. Pietro

Salutiamo volentieri gli alunni del Pontificio Oratorio di S. Pietro, accompagnati dai loro genitori e guidati dal Presidente S. E. Monsignore Emanuele Clarizio, nonché dai sacerdoti e dalle suore che si dedicano alla loro formazione.

Questa visita al Papa vuol essere una delle manifestazioni celebrative del cinquantesimo anno di vita del vostro Istituto, fondato da Pio XI col Motu Proprio del 25 marzo 1924 De Oratorio Sancti Petri apud Vaticanam Basilicam in adolescentium utilitatem constituendo.

Come non ripensare con gratitudine, in questa circostanza commemorativa, a coloro che profusero le loro energie, animate da instancabile zelo pastorale, in questa iniziativa che da allora ha offerto un’oasi sanamente ricreativa e cristianamente formativa ai ragazzi delle famiglie che abitano accanto alla dimora del Papa?: il nostro venerato predecessore Pio XI, che volle quest’opera scegliendone anche il nome e assicurandole la prima sede, con le allora più aggiornate e confortevoli attrezzature; il Card. Francesco Borgongini Duca, primo Presidente e confondatore, che impresse all’oratorio quello spirito autenticamente cristiano che tuttora Io caratterizza, basato sulla profonda esperienza della fede come dimensione essenziale della vita, sull’incondizionato amore a Cristo quale modello e motivo dell’esistenza, sulla tenera e solida devozione alla Vergine Maria, e sulla incrollabile adesione al Vicario di Cristo.

Uniti a loro nel ricordo e nell’affetto sono anche il Card. Alfredo Ottaviani, che sappiamo spiritualmente partecipe a questo incontro, anche se impossibilitato a venire di persona per motivi di salute, e il caro e venerato Mons. Giulio Barbetta, che vediamo con gioia qui presente, insieme agli attuali dirigenti.

Vi esortiamo a proseguire lietamente e coraggiosamente il cammino che tanti vostri colleghi hanno finora percorso con frutti confortanti di formazione cristiana, di amicizia, di sostegno e di stimolo reciproco nei rispettivi compiti professionali e nella testimonianza a Cristo nel mondo di oggi.

Quando vi radunate insieme, nella bella sede del Colle Gelsomino, sentitevi sempre la comunità vicina al Papa, raccolta da Lui e attorno a Lui. Anche se la residenza ha dovuto alquanto allontanarsi - tra l’altro per cedere il posto a questa Aula delle Udienze, destinata ai pellegrini di tutto il mondo - i lineamenti dell’Oratorio di S. Pietro devono restare fedeli alla fisionomia originale.

Nell’applicarvi allo studio, alla preghiera, alle attività ricreative, sappiatevi perciò distinguere per spirito di collaborazione e di fraternità; sappiatene accettare con gioia anche gli aspetti più pesanti, perché è così che ci si prepara agli impegni della vita; cercate di apprendere e di coltivare - oltre ai principii della scienza e dei rapporti sociali - l’amore alla Chiesa: questa Chiesa che ha bisogno anche di voi per essere bella e accettata dagli uomini, e per dire la sua parola di salvezza al mondo nel quale vi trovate.

Con questi pensieri, che vogliono essere di augurio e di incoraggiamento, noi vi seguiamo paternamente, e vi impartiamo la Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 8 gennaio 1975

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Uno dei temi generali prefissi alla celebrazione dell’Anno Santo è quello del rinnovamento spirituale.

La scelta di questo tema sembra motivata da una necessità di prima evidenza: sempre la vita cristiana ha bisogno d’essere richiamata a rinnovarsi; anche essa, come tutte le cose umane, è esposta al decadimento, all’invecchiamento; il tempo consuma le energie spirituali più e prima di quelle fisiche, e ciò specialmente nelle espressioni morali e religiose del costume, che spesso sopravvive nelle forme esteriori e consuetudinarie, mentre perde coscienza e forza nei suoi principii originari. Perciò il rinnovamento è una esigenza ricorrente della vita: lo è per questo suo fatale esaurimento provocato dal passare del tempo; se lo è anche per un altro positivo principio, quello del progresso, di cui l’uomo è suscettibile, e le sue istituzioni con lui. Decadimento e progresso determinano un movimento vitale nella storia e nella vicenda umana; e questo movimento si produce anche nella vita cristiana; e noi lo chiamiamo rinnovamento. Un terzo principio, esteriore questo, ma spesso prevalente e determinante, reclama il rinnovamento, ed è il confronto del proprio modo di pensare e di vivere con l’ambiente culturale e sociale, il quale suggerisce, impone quasi, una conformità, ovvero, per alcuni, un conformismo, al quale uomini ed istituzioni facilmente si arrendono: è la « moda », non solo delle vesti, ma della cultura generale, che reclama una modifica, un rifacimento, e, nel senso buono, un « aggiornamento », cioè un perfezionamento, che tenga conto della maturazione di nuove circostanze.

Osserviamo subito che questo fenomeno non è di per sé contrario ad un altro fenomeno, che sembra contraddirlo; e cioè la tradizione, sia per ciò che riguarda i valori permanenti della verità e della vita, e sia per la sintesi che una tradizione coerente può produrre fra tali valori e la loro espressione e combinazione con nuove forme di umana esperienza.

L’analisi di questo tema ci porterebbe lontano. Noi fermiamo ora la nostra attenzione a quanto interessa il rinnovamento reclamato dall’Anno Santo. Vorremmo innanzi tutto osservare che non si tratta d’un tema artificiale o particolare, ma che esso è suggerito dalla connaturalità del nostro programma di rinnovamento, primo, con quello generale del mondo e della civiltà; secondo, che il Concilio ecumenico stesso, questo grande avvenimento nella storia della Chiesa, si è prefisso un rinnovamento, non certo, come alcuni incautamente hanno supposto, nelle verità della fede, né nei principii costituzionali della Chiesa stessa, e nemmeno nelle norme fondamentali della vita morale.

Vale la pena di risalire alle origini e all’essenza della vita cristiana per renderci conto della vera natura del rinnovamento, che andiamo auspicando e promovendo. A questo fine noi ci riporteremo alle parole di San Paolo, il quale, scrivendo agli Efesini, ci offre una formula, che faremo bene a mettere alla base del nostro rinnovamento: « Questo dunque io dico, e vi scongiuro nel Signore di non vivere più come vivono i pagani nella vanità della mente loro, che ottenebrati nell’intelligenza, sono fatti estranei alla vita di Dio... Ma voi non così avete imparato (da) Cristo, ... e siete stati ammaestrati, conformemente alla verità che è in Gesù, a deporre, rispetto alla vostra vita di prima, il vecchio uomo che si corrompe per le passioni ingannatrici, e a rinnovarvi nello spirito della vostra mente, e a rivestire l’uomo nuovo, quello creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità » (
Ep 4,17-24). Questa la formula: occorre una mentalità nuova, una autentica mentalità cristiana. Questa è la prima riforma, la più personale, la più importante, ed anche la più difficile.

Noi possiamo domandare a noi stessi, alle nostre coscienze: penso io da cristiano? la mia mentalità deriva dalle verità, che Cristo ci ha insegnate? o non siamo piuttosto facilmente predisposti a erigere la nostra personale mentalità al comando dei nostri pensieri, dei nostri giudizi, e quindi delle nostre azioni, con un grado di autonomia che non ammette spesso né soggezione, né confronti?

« Io la penso così », dice ciascuno, e trova in questa auto-opinione a giustificazione di ogni comportamento della sua personalità. Possiamo noi essere sicuri che questa mentalità soggettiva e personale è conforme a quella che deve avere un cristiano? abbiamo noi, da noi tessi, l’intuizione del vero e del giusto, così da rivendicare, di fronte d ogni richiamo del magistero cattolico, una legittima autonomia? E gelosi come siamo della nostra indipendenza, della nostra libertà, possiamo davvero sostenere che la nostra mentalità è libera? O invece non dobbiamo ammettere che a formare questa mentalità entrano, in folla, altri fattori che non il nostro proprio cosciente giudizio? Chi non vede come il nostro modo di pensare, e quindi di vivere, è soggetto a soverchianti influssi dell’ambiente, dell’opinione pubblica, dei mezzi di comunicazioni sociali, e spesso di interessi personali, o di stimoli passionali, tutt’altro che fautori della nostra vera libertà?

Certamente noi non potremo sottrarci da tali influssi, ma dovremo pur mantenere un giudizio critico sopra di essi, e dovremo con vigorosa libertà interiore domandare a noi stessi: è cristiano tutto questo? è e rimane cristiana la mia mentalità?

La questione è così importante, che esigerà da noi qualche altra considerazione. Ma per ora ci basti riaffermare quanto abbiamo detto, auspice l’Apostolo: se vogliamo che il Concilio, e ora l’Anno Santo, non siano vani episodi nello svolgimento della nostra vita, dobbiamo immettere in questa vita una nuova, o rinnovata mentalità; la mentalità cristiana.

Con la nostra Apostolica Benedizione (Cfr. etiam 2Co 4,16 Col 3,10 Tt 3,5 etc.).




Sabato, 11 gennaio 1975: SPECIALE UDIENZA AL CONSIGLIO GENERALE DELL'AZIONE CATTOLICA

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INTRODUZIONE

Siamo assai lieti di ricevere questa mattina i membri del Consiglio Nazionale dell'Azione Cattolica Italiana, venuti con Monsignor Maverna, Assistente Ecclesiastico Generale, e col prof. Agnes, Presidente Nazionale. E unrudienza molto significativa, crediamo, perché ha luogo all'inizio dell'Anno Santo, mentre ferve il lavorio di formazione apostolica in tutte le sezioni della vostra, benemerita Associazione: e ci pare percio di ricevere, con voi, tutta la grande e sempre diletta famiglia dell'Azione Cattolica Italiana. Si rinnova cosi per il nostro cuore la consolazione di altri indimenticabili incontri precedenti.

Vi diciamo ancora una volta la nostra fiducia e la nostra speranza, nel nome di Cristo e della Chiesa. Vediamo sempre nell'Azione Cattolica una organizzazione necessaria e piena di promesse drun Laicato cattolico volontario, scelto, attivo, per la cooperazione con la Gerarchia della Chiesa: e cio qualifica e distingue il posto che avete nella Chiesa. Abbiamo tracciato, nel settembre del 1973, come un "decalogo" di questa vostra presenza nella Chiesa, traendone i motivi dalla ricca tessitura dottrinale e pratica delle norme dettate per l'Azione Cattolica (Cfr. AAS 65, 1973, pp. 535-543). Vi saranno, forse, suggeriti dall'esperienza, dei ritocchi e dei perfezionamenti da fare allo Statuto di questa fedele e forte istituzione: ma desideriamo intanto accennare e sviluppare uno di quei punti, già allora trattati, che riteniamo importantissimo per la sua consistenza e per la sua attività: intendiamo lo spirito di comunione, che nasce dalla consapevolezza della parte di responsabilità che avete nella Chiesa.

1. PARTECIPAZIONE ALLA MISSIONE DELLA CHIESA

Come battezzati, avete ricevuto la vocazione di partecipare attivamente alla missione affidata da Cristo alla sua Chiesa. E questa missione è grandiosa: la Chiesa, infatti, procedente dall'amore dell'Eterno Padre, fondata nella storia da Cristo Redentore, riunita nello Spirito Santo, ha per finalità l'universale salvezza degli uomini, in modo che operando come fermento e come anima della società, la rinnovi in Cristo e la trasformi in famiglia di Dio (Cfr. Gaudium et Spes,
GS 40 Lumen Gentium, LG 1). Questa missione di salvezza è realizzata dalla Chiesa per mezzo di tutti i suoi membri: il recente Sinodo ha infatti riaffermato che il compito della evangelizzazione spetta a tutti i fedeli. Tutti, senza distinzione, sono effettivamente mossi dallo Spirito Santo a dare testimonianza a Cristo e al suo Vangelo, secondo la precisa promessa del Signore: "Quando verrà il Consolatore che io vi mandero dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza: e anche voi mi renderete testimonianza" (Jn 15,26-27). Noi siamo certi che siete consapevoli della priorità dell'evangelizzazione nell'ora presente, e vi esortiamo a darle il valido contributo del vostro apostolato laicale: ma proprio questa consapevolezza esige il primo dovere di comunione, quella con lo Spirito Santo, fonte e ispiratore della "testimonianza" che tutti i fedeli, nelle varie tappe della storia, sono chiamati a dare al Cristo.


2. COMUNIONE CON LO SPIRITO SANTO

E lo Spirito che guida la Chiesa nella sua fedeltà all'opera di evangelizzazione: come abbiamo sottolineato nella recente Esortazione Apostolica sulla riconciliazione all'interno della Chiesa per la degna celebrazione dell'Anno Santo, "occorre, percio, che tutti i fedeli, per cooperare ai disegni di Dio nel mondo, perseverino nella fedeltà allo Spirito Santo, il quale unifica la Chiesa nella comunione e nel ministero" (Paterna cum benevolentia, 2; AAS 67, 1975, pp. 9-10). Pertanto, si esige soprattutto dagli iscritti dell'Azione Cattolica, che ha per fine immediato l'evangelizzazione nel mondo contemporaneo, una stretta comunione di vita e di dipendenza dallo Spirito; comunione esigente e al tempo stesso feconda, alimentata dalla luce della fede e dalla meditazione della Parola di Dio (Cfr. Apostolicam Actuositatem AA 4), aperta ai segni dei tempi e alle necessità dell'ora, e specialmente docile alle divine chiamate. l'Azione Cattolica, fin dai suoi primi inizi, ha preparato tanti laici generosi, uomini e donne, che pur nell'impegno assorbente della professione e del lavoro hanno saputo tenere l'orecchio attento alla voce che li chiamava alla santità e questo è stato il segreto della sua fioritura e del suo straordinario incremento.


3. APERTURA ALLA REALTA PRESENTE

La fondamentale fedeltà, comunione allo Spirito Santo non puo peraltro dimenticare la conoscenza della realtà, anzi la esige. Occorre conoscere le persone e le correnti di opinione, i gruppi sociali e le realtà collettive. Non intendiamo tanto una conoscenza teorica, quanto una conoscenza di vita. l'apostolo vuol essere il fermento nella società, ma si sa che la prima condizione perché il lievito sia efficace è quella di restare unito alla massa. Non è soltanto, questa, una responsabilità pedagogica, ma evangelica. La Chiesa vi chiede di assumere le vostre responsabilità nel mondo contemporaneo conservando la vostra identità, ma essendo intimamente presenti alla vita sociale, culturale, politica e economica dei connazionali, senza tuttavia dimenticare la dimensione universale delle varie realtà e la comunità internazionale dei popoli.

l'apostolato di Azione Cattolica si realizza nelle comunità ecclesiali e in quelle di ambiente. Partecipare e collaborare alla missione della Chiesa significa offrire agli uomini il messaggio e la grazia di Cristo, e altresi "animare e perfezionare l'ordine temporale con lo spirito evangelico" (Apostolicam Actuositatem, AA 5) Si richiede necessariamente la comunicazione della Parola e dei Sacramenti, la formazione cristiana e la testimonianza della vita per essere fermento e anima cristiana della società. Vi è qui un servizio e un programma permanente di apostolato. E la comunione allo Spirito porta all'unione vitale con Cristo, come quella dei tralci alla vite (Cfr. Jn 15,4 ss.). E qui il significato profondo dell'Anno Santo, che deve condurre tutti i figli della Chiesa a quella riconciliazione profonda con Dio e con i fratelli, e a quel rinnovamento generoso, da noi voluto come suo scopo, essenziale (Cfr. Apostolorum Limina, 1; 23 maggio 1974; AAS 66, 1974 , pp. 292-294).



4. COMUNIONE CON LA GERARCHIA

Ma voi siete inseriti nella Chiesa, e vi siete volontariamente offerti alla collaborazione nell'apostolato laicale proprio per aiutare la Chiesa a realizzare la sua missione nel mondo con sempre maggiore efficacia pastorale. Ora, il vostro apostolato si caratterizza come collaborazione all'apostolato gerarchico e come partecipazione attiva alla missione stessa della Chiesa: ecco percio la necessità di una seconda vitale comunione, quella con la Gerarchia, esercitata con spirito di fraterno e fattivo servizio.

La Chiesa, per mezzo dei suoi Pastori, vi fa particolare fiducia nell'esercizio del vostro apostolato, e ad essa dovete rispondere con una profonda fedeltà. Questa, radicalmente, non è che l'altra faccia della fedeltà allo Spirito, che diffonde nel cuore dei figli della Chiesa la fede, la speranza e la carità. Questa stessa fedeltà esige di riconoscere coloro che lo Spirito Santo ha posto a pascere la Chiesa di Dio (Cfr. Ac 20,28) e a dare impulso all'unità dell'apostolato. Tale fedeltà esige altresi che l'apostolato laicale sia esercitato in perfetta sintonia di pensiero e di operazione, e in piena conformità col Magistero.

Ora, a Pietro e al Collegio dei Vescovi, unito con lui, è stato dato il carisma dell'insegnamento autentico della Parola di Dio, e del principio dell'unità. Ma lo Spirito Santo concede a sua volta ai fedeli doni o carismi particolari, ordinati al bene degli uomini e a edificazione della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha messo bene in luce che ldall'aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli ... nella comunione con i fratelli in Cristo, soprattutto con i propri pastori, che hanno il compito di giudicare sulla loro genuinità e uso ordinato, non certo per estinguere lo Spirito, ma per esaminare tutto e ritenere cio che è buonor (AA 3) La fedeltà all'elemento essenziale, che oggi è richiesta all'Azione Cattolica, al di là dei necessari adattamenti alle esigenze culturali e sociologiche di oggi, sta proprio qui: nel riconoscere lealmente:

a) l'esistenza dei diversi carismi e delle diverse funzioni, sia dei Vescovi, ai quali spetta, essenzialmente, "santificare r, "docere" e "regere" il Popolo di Dio in cammino, come del laicato, il quale ha, in modo particolare, il compito di far passare ed incarnare il divino Messaggio, ricevuto da Dio mediante i Pastori, nel vivo delle realtà quotidiane, anche temporali;

b) e la necessità che questi diversi carismi e funzioni, si congiungano nello sforzo di rendere la testimonianza del Vangelo al mondo e di operare, in Cristo, l'elevazione della realtà terrena verso Dio.

Tale congiunzione dovrà sempre rispettare la specificità dei suddetti carismi e funzioni, nonché il loro rispettivo ordine: ma solo in questa armonia sta il segreto della fecondità dell'azione apostolica. Non potremo noi, in questrAnno Santo, avanzare in spirito di collaborazione e di comunione ecclesiale, riconoscendo umilmente e in evangelica lealtà i carismi dei Vescovi e dei sacerdoti, da una parte, e quelli dei laici dall'a tra, come complementari, armoniosi e convergenti nell'opera dell'apostolato? Offriamo alla vostra situazione e vocazione di apostoli di Azione Cattolica questo tema di riflessione, che ci sembra molto importante nel momento presente.

Entro questa prospettiva ecclesiale, e alla luce del Concilio Vaticano II, si possono fare ulteriori progressi, senza equivoci né ambiguità, nel senso di una maggiore autonomia, nell'esercizio delle responsabilità di un laicato maturo, che offre al tempo stesso una collaborazione leale e molto qualificata con la Gerarchia nell'opera della evangelizzazione, di cui essa ha la primaria responsabilità.

Tale atteggiamento sarà certo da attuare su vari piani: esso sarà anzitutto comunione con i Pastori, in unità di dottrina - nello studio assiduo e attento della Scrittura, dei documenti conciliari (specie quelli sull'apostolato dei laici, non mai abbastanza approfonditi), nonché degli atti del Magistero pontificio ed episcopale - e in unità di amore, nella certezza che l'unione alla Gerarchia è il mezzo voluto da Cristo per assicurare la fondamentale unione col Padre celeste. Si realizzerà poi una comunione sul piano delle diocesi, in collaborazione fattiva e intelligente dei vari organi per studiare accuratamente i progetti di azione, e metterli in pratica con tempestività, con scioltezza di movimenti, con saggia fantasia di iniziative e di interventi, senza dimenticare l'esigenza di contatti vivi degli organi nazionali con le diocesi e le associazioni diocesane, mediante un dinamico programma di visite nelle e tra le singole Chiese locali. Né vogliamo dimenticare la comunione che è profondamente utile tra le varie branche nazionali e diocesane dell'Azione Cattolica, attuando pienamente la nota dell'unitarietà, che ora distingue i vostri Statuti; né la comunione tra di voi stessi, membri della Presidenza, del Consiglio e del Centro Nazionale, la quale deve tradursi in stima vicendevole, in dialogo costruttivo e aperto, in carità di fraternità (Cfr. Rm 12,10) per edificare la Chiesa.

Ecco, carissimi figli, quanto abbiamo desiderato oggi di dirvi. Ma non vorremmo terminare senza una parola di dovuto riconoscimento ad un aspetto concreto del lavoro compiuto dall'Azione Cattolica. Vogliamo dire il costante impegno della promozione del laicato cattolico, che essa è andata realizzando dappertutto. Essa, in realtà, ha suscitato nella Chiesa numerose iniziative del laicato, lo ha aiutato a prendere coscienza della sua maggiore età senza minimizzare i suoi diritti né i suoi doveri, e in diverse occasioni e in vari modi ha spinto i laici ad assumere le proprie responsabilità nella Chiesa e nel mondo. Basterebbe questo per dire che il bilancio dell'Azione Cattolica è altamente positivo e degno di ogni elogio.

Dunque, avanti, nel nome del Signore! Non vi spaventino né tanto meno paralizzino le odierne difficoltà. Guardate con realismo al presente e con speranza all'avvenire! Con la luce della fede e con lo slancio dell'amore si vincono lrindifferenza, l'inerzia, la paura e ogni sorta di ostacoli. Con l'Apostolo Paolo vi ripetiamo: "Dio non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezzar (2Tm 1,7). E con voi preghiamo lo Spirito Santo, affinché vi assista con i suoi doni, e vi infonda sempre gioia, coraggio e ottimismo.

E vi impartiamo la nostra Benedizione Apostolica, che estendiamo, in voi e per voi, a tutta la grande famiglia dell'Azione Cattolica, col nostro augurio più fervoroso di un nuovo balzo in avanti nel suo lavoro di testimonianza cristiana nel mondo.



Mercoledì, 15 gennaio 1975

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Occorre rifare in noi una mentalità cristiana; questo noi dicevamo altra volta in ordine al rinnovamento della nostra vita, in generale, ma specialmente della nostra vita cristiana, della nostra vita cattolica. Ora per ricuperare tale mentalità, per darle splendore ideale e sicurezza logica, per conferirle fecondità di opere ed energia di costume, l'avvenimento dell'Anno Santo puo essere per tutti salutare.

Che l'invito sia permanente, e che esso nasca dal contesto originario della catechesi della sacra Scrittura, e che costituisca il fulcro della pedagogia battesimale, della rinascita dell'uomo in una forma esistenziale diversa, paradossale, superiore, nuova (... si ricordi il dialogo notturno di Gesù con Nicodemo (
Jn 3,3 ss.): e si ricordi il confronto, quasi l'antitesi, la metamorfosi dell'l uomo vecchio r, l'uomo di questo mondo naturale, e l'l uomo nuovo r, vivificato da un principio soprannaturale, di cui San Paolo ripetutamente ci parla - Cfr. Eph. 4, 2; Col. 3, 10; 2 Cor. 5, 17; etc.), ben lo sappiamo; o meglio bene lo dovremmo sapere, se davvero la nostra coscienza conserva effettiva memoria della nostra vocazione cristiana.

Il cristiano è un essere nuovo, un essere originale, un essere felice. Dice bene Pascal: "nessuno è felice come un vero cristiano, né (come lui) ragionevole, né virtuoso, né amabile" (PASCAL, Pensées, 541). Ora noi moderni, anche se ci professiamo in comunione con la religione cristiana (una comunione spesso taciuta, minimizzata, secolarizzata), raramente, o incompletamente, abbiamo il senso di questa novità del nostro stile di vita, e spesso ci atteggiamo a uomini conformisti e spregiudicati per il "rispetto umano" di apparire cio che siamo, cristiani: gente cioè che ha un suo proprio libero e superiore, anche se logico e austero, modo di vivere.

Percio la Chiesa ci richiama e ci ammonisce: cristiano, sii cosciente; cristiano, sii coerente; cristiano, sii fedele; cristiano, sii forte; in una parola: cristiano, sii cristiano.

Sarebbe utile, a questo punto, studiare gli ostacoli che ci impediscono di imprimere alla nostra vita un aspetto cristiano. La diagnosi di questi ostacoli, esterni o interni al nostro animo, costituirebbe un trattato di patologia spirituale, difficile a concludersi in poche pagine; del resto, esso fa testo in ogni nostro momento di ricupero religioso e morale. Noi possiamo ora limitarci a indicare un fattore indispensabile di questo auspicato rinnovamento cristiano; e non è difficile individuarlo, anche se non sempre a tutti è facile farvi ricorso. Ed è la grazia; è l'azione dello Spirito Santo; è il supplemento di luce e di forza, che solo il contatto con la divina sorgente della nostra rigenerazione spirituale ci puo procurare. Cio è chiaramente insinuato nella parola di San Paolo, che noi abbiamo scelto come paradigma del rinnovamento, che andiamo cercando. Egli dice: renovamini Spiritu mentis vestrae, rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità (Ep 4,23), dove la parola Spiritu, pneumati nel testo originale, deve riferirsi, crinsegnano i maestri dell'esegesi, precisamente alla grazia, cioè allo Spirito Santo (Cfr. J. KNABENBAUER, Comm ... . ad Eph., p. 132). E l'efficacia che a noi deriva dalla passione di Cristo, dalla sua opera redentiva, la quale, come crinsegna S. Tommaso, a noi si trasmette per due vie principali: la fede e i sacramenti, mediante cioè un atto interiore della nostra anima, la fede, e mediante l'uso esteriore dei sacramenti (S. THOMAE Summa Theologiae, III 62,6). Ed ecco allora che si delinea davanti a noi la prassi religiosa dell'Anno Santo, non certo esclusiva a questa particolare celebrazione, ma in essa praticata con particolare impegno e con intenzionale assistenza del ministero ecclesiastico: una professione di fede, un ricorso all'azione sacramentale.

Il che ci riporta ad un altro ostacolo caratteristico, che si oppone al rinnovamento desiderato; ed è lo stato dranimo, che ultimamente srè andato diffondendo e inasprendo: la diffidenza verso la Chiesa, cosi detta istituzionale, la Chiesa reale, la Chiesa umana, la Chiesa ministra, custode e dispensatrice dei misteri divini (Cfr. 1Co 4,1). Ricordiamo la grande affermazione drun celebre pensatore cattolico tedesco Giovanni Adamo Moehler, precursore del movimento ecumenico (1796-l838), sulla necessità della mediazione della Chiesa per conoscere Cristo e per vivere della sua vita (Cfr. G. A. MOEHLER , l'unità nella Chiesa, 1, 7). Cosi che il nostro rinnovamento ideale e vitale cristiano non potrà prescindere da una riscoperta del nostro inserimento nel corpo mistico e sociale di Cristo, chrè appunto la Chiesa cattolica, e da una liberazione, oggi purtroppo di moda, dal tentativo di separare Cristo dalla Chiesa, quasi che contestando questa, e concedendo alla nostra interpretazione della verità religiosa ogni arbitraria critica verso la Chiesa, si possa godere druna comunione più autentica e più vitale con Gesù Signore, che è fonte della nostra salvezza per tramite della sua Chiesa. Per cio, diremo con S. Ignazio drAntiochia, discamus secundum Christianismum vivere, impariamo a vivere secondo il cristianesimo (S. IGNATII Ad Magnesios, 10).

Questo il rinnovamento del Concilio, questo il rinnovamento dell'Anno Santo! "Chi ha orecchi da intendere, intenda" (Cfr. Mt 13,9). Con la nostra Apostolica Benedizione.




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