Paolo VI Catechesi 10378

Mercoledì 1° marzo 1978: RITORNARE IN SÉ PER RITORNARE A DIO

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IL PERIODO LITURGICO, nel quale ci troviamo, che è la quaresima, il periodo cioè di preparazione alla Pasqua, ci obbliga a ritornare alla considerazione d’uno dei suoi aspetti essenziali, ch’è il ritorno alla coscienza religiosa, cioè all’avvertenza interiore e personale del nostro rapporto con Dio. Bisogna dare a questo rapporto il posto e la funzione ch’esso reclama di natura sua, cioè dal fatto stesso della nostra esistenza: Dio ci è necessario. Necessario inoltre alla nostra coscienza; questo è il punto responsabile, per noi decisivo; ed è precisamente quello che ci fa religiosi, cioè consapevoli sia della sovrana esistenza di Dio in se stesso, nel suo ineffabile, ma dominante mistero; e sia della relazione che a Lui ci congiunge. Da questo tutto dipende: la scala dei doveri, la scala dei valori; il senso cioè della vita, che Cristo ci ha confermato e reso possibile farne il lume orientatore della nostra esistenza. Ricordiamolo sempre, con gaudio interiore, con energia, con proposito interiore e pratico di dare a questa fondamentale fede in Dio la direzione superiore e interiore della nostra personalità e della nostra attività. Il nostro « Credo », quello specialmente che noi, con la Chiesa presente, recitiamo durante la Messa festiva, dovrebbe avere questa funzione, come quella che esercita il pilota d’una nave per verificare se al timone corrisponde la giusta direzione, per confermarla, per modificarla, se occorre. Questa verifica, questa conferma hanno la loro espressione maestra proprio nella ricorrenza pasquale. La formula consueta e popolare « fare la Pasqua » ha appunto questo pratico significato, quello di rettificare il corso della nostra vita in ordine al suo supremo orientamento, ch’è quello religioso.

Ora noi tutti sappiamo come questa norma, che riassume in sé la sapienza della nostra vita nel tempo, è oggi da molti, moltissimi purtroppo, trascurata e contesa. Si contesta la « sacralità » dell’ umana esistenza, cioè la sua coerente ed essenziale relazione religiosa; di più, anche fra coloro che ancora ammettono un rapporto ontologico fra l’uomo e Dio, cioè una relazione esistenziale religiosa, si nota una tendenza, che oggi si dice « orizzontalista », la quale trascura il momento e perciò il dovere religioso, per insistere sul primato, e poi sulla sufficienza del rapporto sociale, come fine supremo dell’umana attività. Non saremo noi certo a negare l’importanza, la dignità, la necessità dei doveri sociali, che anzi si iscrivono nel posto d’ onore, che vuol dire servizio e sacrificio, nella lista dei doveri umani, proprio in virtù di quello che tutti li giustifica e li nobilita, il dovere del culto e dell’ amore a Dio, a svalutare l’orizzontalismo sociale; ma tanto di più questi doveri sociali avranno da noi riconoscimento ed attività quanto più fermo e chiaro sarà il principio da cui essi hanno ragion d’essere ch’è appunto il principio religios (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae
II-II 81,1 II-II 81,5).

Noi ricorderemo una parola del Vangelo, la quale sembra letterariamente incidentale, ed ha per chi la comprende la ricchezza abissale della perfetta psicologia umana; la parola riferita al « figliol prodigo », nel racconto di S. Luca, nel quale racconto è detto circa l’infelice figliolo, che ha dissipato onore e sostanze in costumi viziosi, « vivendo luxuriose », e che a un dato momento « ritornato in se stesso » vuol pure ritornare alla casa paterna, e, con impeto coraggioso, si propone « surgam et ibo », mi alzerò e andrò! (Lc 15,18) È nota, è gaudiosa la conclusione, nella quale i due protagonisti, per quanto fra di loro incomparabili, Dio, il Padre, e l’uomo peccatore s’incontrano felicissimamente.

È ancora S. Agostino che scolpisce in due termini, altrettanto incomparabili, quanto fatti per incontrarsi e per riassumere la divina e umana storia del Vangelo: misericordia e miseria. (Cfr. S. AUGUSTINI Enarr. in PS 32,4, PL 36, 287; cfr. EIUSDEM De Civitate Dei, IX, 9: PL 7, 636; cfr. etiam S. AMBROSII In S. Lucae Evangelium, 7, 220.

Questo, si, è il Vangelo; il Vangelo quaresimale; un Vangelo trionfale e Vangelo per tutti: ritornare in sé per ritornare a Dio.

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Saluti

Ai partecipanti a1 Congresso sulla Pastorale per il Turismo

Ai corsisti della « Graduate School »

WEE EXTEND a special welcome to those who have corne from the Graduate School of the Ecumenical Institute of Bossey. We hope that here in Rome you Will be filled with something of the spirit of those apostles and martyrs whose lives and witness have been a shining light for Christian people in every time. We hope too that this visit may contribute to your ecumenical awareness and to your generous commitment to the unity willed by our Lord and Saviour Jesus Christ. Be assured that our prayers go with you, back to your homes and to the service of your Christian communities.



Mercoledì, 8 marzo 1978

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La spiritualità della quaresima, del periodo che la nostra religione antepone alla Pasqua, alla celebrazione del grande mistero della nostra salvezza, suppone, anzi esige la coscienza d’una nostra personale necessità di penitenza. A mano a mano che l’uomo conosce se stesso, e si accorge che la sua esistenza ha in se stessa qualche cosa di irregolare, di incompiuto, di infelice, di cattivo, avverte il bisogno insoddisfatto di accusare la propria imperfezione; un bisogno che documenta una grandezza mancata, un dovere tradito, un rimorso inevitabile, e perciò una miseria patologica; ciò che esalta ed insieme umilia il concetto che l’uomo ha di se stesso. Noi tutti conosciamo la sapienza d’una parola ch’è alla base della psicologia umana: «la grandezza dell’uomo è grande in ciò ch’egli si riconosce miserabile» (PASCAL, Pensées, 397). Queste considerazioni, che denunciano una condizione penosa, drammatica e tragica perfino dell’esistenza umana, hanno nel Vangelo un’eco precisa, come una voce, che non solo risveglia la triste consapevolezza della nostra congenita infermità, ma che annuncia subito un rimedio: «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (
Mc 1,15); «fate penitenza; il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2 Mt 4,17).

Noi tutti conosciamo come queste divine parole sono passate nel costume della Chiesa, nella sua pedagogia, non solo per la formazione esigente dei monaci e dei seguaci fedeli del cristianesimo, ma altresì nel costume del popolo, allorquando il popolo è stato alunno abituale della Chiesa, e quando il modo di vivere della società ha consentito che una disciplina penitenziale, anche prolungata com’è quella della quaresima, avesse comune applicazione (Cfr. DUCHESNE, Origines du culte chrétien, p. 254, etc.). I tempi sono cambiati, e non solo per l’inadempienza della gente alla prassi ecclesiastica, ma per una diversa organizzazione dell’attività umana, del lavoro specialmente; tanto che l’osservanza regolare, metodica, austera della quaresima, nel digiuno ch’essa impone, è diventata praticamente impossibile; tanto che, dopo il recente Concilio, nuove disposizioni sono state emanate, con una nostra Costituzione Apostolica, dal titolo «Paenitemini», del 17 febbraio 1966, con la quale l’obbligo tradizionale del digiuno è praticamente abolito. Rimane l’obbligo dell’astinenza per tutti i Venerdì non festivi (salva la facoltà concessa alle Conferenze Episcopali di commutare tale obbligo in un’altra opera di carattere penitenziale o caritativo o di pietà; e rimane l’obbligo del digiuno e dell’astinenza per il giorno delle Ceneri (o il primo giorno della Quaresima) e per il Venerdì Santo. Questi due giorni restano vincolanti, quanto all’astinenza, dai 14 anni e, dopo compiuto il ventunesimo anno di età, anche quanto al digiuno; gli anziani, però, sono dispensati dall’obbligo del digiuno, all’inizio del sessantesimo anno di età. Norme molto semplici oramai e conosciute, e tanto più da ricordare se il filo della fedeltà alla legge ecclesiastica ci trova fedeli e puntuali.

Ma oltre queste precisazioni tanto ridotte (e altre che i Vescovi locali intendessero di aggiungere) rimane, e più che mai, la legge per tutti della penitenza, la quale vincola sempre ogni buon cristiano, giovane o vecchio, e si fa più urgente quanto più difficili sono i tempi e i costumi del mondo moderno. La pratica esteriore della mortificazione corporale è oggi molto attenuata; ma il bisogno e il dovere della penitenza, specialmente nello spirito, nel divertimento, nella dissipazione, nei pensieri perversi, reclamano un’osservanza tanto più vigilante ed interiore.

Qui noi dovremmo ricordare lo stile ascetico d’ogni buon cristiano. Ci limitiamo ad accennare ad un richiamo speciale, alla raccomandazione del perdono fraterno per offese che ci hanno interiormente feriti; è una raccomandazione a cui il Signore ci ha vincolati con la recita della preghiera fondamentale, il «Padre nostro»; se ne dovrà riparlare.

E poi dobbiamo ancora ricordare (per tacere ora del sacramento della Penitenza), le tre opere penitenziali che la Chiesa stessa suggerisce in supplenza degli esercizi penitenziali, che oggi non sono praticamente osservabili da tutti; e queste opere sono: la preghiera, la mortificazione dei sensi e dell’orgoglio, e finalmente la carità nelle sue molteplici e a tutti accessibili manifestazioni, tra cui l’elemosina per i fratelli bisognosi occupa ancora un posto preminente. «La carità - scrive S. Pietro - copre la moltitudine dei peccati» (1P 4,8).

Fratelli e Figli! Ricordate, e come ancor oggi vi è insegnato, operate!

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai membri del Consiglio Plenario dei Frati Minori

Un saluto particolare desideriamo rivolgere ai Membri del Consiglio Plenario dell’Ordine dei Frati Minori, i quali sono riuniti in questo periodo per considerare quale applicazione abbia avuto l’aggiornamento voluto dal Concilio Vaticano II e codificato nelle nuove Costituzioni generali.

In codesto delicato lavoro, figli carissimi, noi intendiamo accompagnarvi col nostro pensiero augurale, ricordando a voi e a tutti i Frati Minori i grandi impegni, lasciati in eredità dal vostro Fondatore, affinché possiate corrispondere sempre più e sempre meglio alle esigenze della vocazione religiosa e francescana.

Anzitutto, la fedeltà alla contemplazione e alla preghiera: la vita del Frate Minore deve essere continuamente orientata a questi valori: Dio deve avere il primato assoluto su tutto; i rapporti con Dio, la vita di unione con Lui devono essere al di sopra di ogni altra preoccupazione (Cfr. Regola Bollata, X). Occorre, pertanto, rivivificare con generosità la preghiera sia individuale che comunitaria; solo a questa condizione potranno risultare più feconde e salutari le attività apostoliche, a cui l’Ordine si dedica: «Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione, così che, allontanato l’ozio, nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose» (Regola Bollata, V).

Fedeltà, inoltre, alla semplicità e alla povertà: se la povertà consacrata rappresenta una testimonianza particolarmente apprezzata dagli uomini del nostro tempo, l’amore alla povertà deve costituire per il Frate Minore un punto d’onore, un impegno sempre più concreto e visibile, un’autentica caratteristica del comportamento personale, delle case, di tutto l’ordine. S. Francesco «poiché osservava che la povertà, mentre era stata intima del Figlio di Dio, veniva pressoché rifiutata da tutto il mondo, bramò di sposarla con amore eterno» (2 Celano, XXV).

Fedeltà, infine, alla Chiesa: è stato questo l’atteggiamento continuo e luminoso di Francesco, il quale all’inizio della Regola ha voluto, per sé e per i suoi figli, promettere «obbedienza e ossequio alla Chiesa Romana» nonché al Papa e ai suoi Successori nella Cattedra di Pietro (Cfr. Regola Bollata, 1).

Mentre affidiamo questi rapidi e sintetici accenni alla vostra riflessione e a quella di tutti i Frati Minori, invochiamo sui vostri lavori il conforto e la luce del Signore, e vi impartiamo la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Agli Studenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose «Mater Ecclesiae»

Salutiamo volentieri il gruppo di studenti, religiosi e laici, dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose «Mater Ecclesiae», annesso alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Urbe.

Figli carissimi, mentre vi ringraziamo della vostra presenza odierna, amiamo esprimervi pure un cordiale compiacimento per la vostra frequenza ai corsi del menzionato Istituto. Abbiate a cuore lo studio del Messaggio cristiano e ancor più la sua destinazione apostolica di testimonianza nell’insegnamento e nei vari ministeri educativi, ai quali generosamente vi apprestate ad impegnarvi. La vostra parte di servizio in seno alla santa Chiesa sarà tanto più feconda, quanto più intensamente ora vivete la vostra personale applicazione intellettuale e spirituale.

Siamo lieti, pertanto, di confortare questi nostri voti mediante la propiziatrice Benedizione Apostolica, che paternamente estendiamo altresì ai vostri condiscepoli assenti e a tutti i benemeriti Responsabili dell’Istituto medesimo.

Ai membri della «National Conference of Vicars for Religious of the United States»

With a very special interest we greet the members of the National Conference of Vicars for Religious of the United States. Some of you are actually Religious yourselves; al1 of you are at the service of consecrated Religious life in the Church in America. With your Bishops we count on your help, to entourage and sustain the Religious in the profound doctrine of their ecclesial consecration to Jesus Christ: the purpose of this consecration is to produce greater holiness in the Church “for the glory of the one and undivided Trinity, which in Christ and through Christ is the source and origin of all holiness” (Lumen Gentium LG 47). Only through holiness will Religious live their consecration and fulfil1 their ecclesial mission. And on your return home we ask you to take back this message, and to assure all the Religious of our deep affection in Christ Jesus.



Mercoledì, 15 marzo 1978

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Figli carissimi,

Una indisposizione ci impedisce, purtroppo, di essere questa mattina in mezzo a voi per il consueto incontro del mercoledì. Vi giunga almeno da qui il nostro saluto!

Vi siamo tanto più vicini col nostro affetto, con i nostri voti e con la nostra preghiera. E desideriamo esprimervi la nostra gratitudine per questa visita che, con devozione filiale, avete voluto farci. L’occasione ci è propizia per esortarvi a partecipare intensamente ai riti della Settimana Santa. In questi giorni infatti la Chiesa si dispone a rivivere la Passione del Suo Redentore, in attesa di poterne celebrare la vittoriosa risurrezione.

«Facciamo Pasqua», figli carissimi. È il nostro invito, è il nostro augurio, che accompagniamo con la nostra propiziatrice Benedizione Apostolica, per voi e per tutti i vostri cari.



Mercoledì, 22 marzo 1978

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Anche oggi, purtroppo, non possiamo essere con voi per il solito appuntamento settimanale.

Vi salutiamo, però, con maggiore intensità di sentimenti, mentre vi assicuriamo di portarvi tutti nel cuore, unendo la nostra preghiera alle vostre e a quelle corali di tutta la Chiesa in questa Settimana Santa.

Stiamo vivendo i giorni centrali dell’Anno Liturgico: quelli, nei quali il Signore Gesù ci offre la suprema testimonianza del suo amore, sul quale la morte non può prevalere; dopo la Passione, infatti, la Risurrezione afferma nella maniera più misteriosa e insieme più evidente che l’Amore è più forte della morte.

Proprio questa è la feconda lezione di vita, che ci proviene dalle Solennità Pasquali: l’Amore, con cui Egli ci ha amati, non soltanto ci apre una strada nuova e vivente di accesso al Padre, ma chiede di diventare norma vissuta nei nostri rapporti vicendevoli. La costruzione di una nuova società non è fatta da chi sa unicamente macchinare violenza e distruzione, ma da chi opera nella generosa dedizione di sé, anche nel silenzio o nella sofferenza, in favore del prossimo. La certezza assoluta che ci proviene dal Vangelo è che solo l’Amore edifica.

Vi ricordiamo un dovere precipuo per celebrare convenientemente la Pasqua: quello di accostarsi al Sacramento della Penitenza, accusando i propri peccati con sincero pentimento e col proposito di emendarsi, in modo da essere così purificati per l’incontro con Cristo nella Comunione. Solo così la Pasqua di Cristo diventerà la «nostra Pasqua».

Con questi pensieri ringraziamo tutti voi, che ci avete reso l’omaggio e l’onore della vostra visita, mentre formiamo i nostri auguri più cordiali di Buona Pasqua e concediamo a ciascuno la Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 29 marzo 1978

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Salute a voi, Fratelli e Figli carissimi!

E’ nel nostro animo ed è certamente nel vostro, il desiderio di scoprire e di celebrare il vincolo che ci unisce, che ci rende ancor più che amici, ci rende membri di un Popolo unico e nuovo, nel quale ciascuno è quello che è, per natura, per derivazione etnica e nazionale, per formazione civile, per lingua e per interesse ed attività propria e particolare, ma ciascuno è chiamato ad una eguale dignità, ciascuno è assunto ad una società superiore, spirituale e reale, che senza confonderli li gratifica d’una cittadinanza umano-divina, ciascuno è se stesso in una comunione ineffabile con quanti condividono una medesima fede e godono d’un medesimo dono divino, la grazia, ed insieme compongono una meravigliosa unità, che si chiama «la Chiesa», la Chiesa una e cattolica.

Salute a voi, Fratelli e Figli, di questa Famiglia religiosa, ch’è nata nel giorno di Pentecoste, formata dalle genti più diverse (come è detto nel celebre racconto degli Atti degli Apostoli (
Ac 2,7-12), dove tutti i presenti di diversa origine e formazione sono per primi meravigliati di udire un linguaggio comune a tutti comprensibile). Così è la Chiesa, che S. Agostino definisce il Popolo fedele, sparso per tutto il mondo (Cfr. S. AUGUSTINI Enarr. in PS 149 Cath. Rom., De nono art. 2).

E come è bello, come è facile avvertire che in un incontro come questo, come luci irradianti, le così dette «note» della Chiesa, cioè gli aspetti esteriori del suo essere misterioso, vengono in evidenza per chi ha l’occhio dello spirito attento. Chi non avverte la derivazione essenziale della Chiesa, alla quale apparteniamo, come apostolica? Sono gli apostoli i nostri fondatori, i testimoni del disegno divino costituzionale della Chiesa, la nostra Chiesa apostolica, che non deve ad altra fonte la sua origine e la sua ragion d’essere. E se è così per questa nota, l’apostolicità che ben sappiamo come ognuno di noi può qui rivendicare, non proviamo noi simultaneamente un’emozione sublimante nel saperci compaginati alla vera Chiesa una nella fede, nell’essenza del suo Spirito, nella sua unione con Dio, e cattolica nel suo corpo, nella sua umana composizione, e cioè universale? (Cfr. JOURNET, L’Eglise, II, p. 1193) Ed ecco allora scaturire da questa Chiesa una e cattolica una quarta nota, che la riguarda nei doni divini, di cui è depositaria e dispensatrice, e nei fini che ne guidano la complessa vicenda, cioè la santità, che ne costituisce la corona promessa, quella della Chiesa dei Santi tanto più desiderabile quanto più ancora essa è esposta alla debolezza umana? (Cfr. Ibid . pp. 924-934)

Non troviamo noi un grande conforto spirituale al pensiero, alla coscienza di appartenere alla nostra Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica? Non dobbiamo noi forse ringraziare il Signore d’averci dato la fortuna di essere così figli della sua benignità? (Cfr. Tit Tt 3,4) E non sperimentiamo un vivissimo, e fors’anche pungente desiderio d’essere nella nostra realtà morale pari ai doveri della nostra vocazione cattolica? E infine non ameremo noi ancor più i fratelli, ancora da noi separati, nel voto e nella speranza di poterli avere con noi nella pienezza della verità e della grazia? Con la nostra Apostolica Benedizione.

A due pellegrinaggi dal Belgio

A prelati della chiesa Anglicana, Battista, Metodista e Cattolica d’Inghilterra

We extend a cordial Easter welcome to the ecumenical group from Centro Mariapoli. We believe, brethren, in the immense power that flows perennially from the Resurrection of the Lord Jesus. We believe that this power can bring forth fruitful and conclusive results in uniting the Christian Churches in the full unity of faith, in the full charity of truth. With love and respect, and with great paschal hope, we say to all of you, in the name of the Risen Christ: “Peace be with you” (Jn 20,19).


Mercoledì, 5 aprile 1978

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L’Evangelista Giovanni narra che durante l’ingresso del Signore a Gerusalemme, nel giorno così detto delle Palme, in mezzo alla grande folla inneggiante a Gesù, si trovavano alcuni Greci, i quali si avvicinarono all’apostolo Filippo (quello di Betsaida di Galilea), e gli chie sero: «Signore, noi vogliamo vedere Gesù» (
Jn 12,20). Episodio singolare nel Vangelo, che raffigura per noi il movimento di opinione pubblica che circonda la figura del Salvatore, che anche da persone estranee desidera essere conosciuto e consultato. Bello e interessante, che prelude alla diffusione del messaggio evangelico (Cfr. C. CURCI, Il Nuovo Testamento, vol. II, p. 93).


Vogliamo vedere il Signore ! Per noi questo desiderio assume una nuova formulazione che rivolge la propria aspirazione non tanto alla persona storica di Cristo, quanto al suo corpo mistico, la Chiesa, che da Lui deriva, di Lui vive, per Lui vive, e rappresenta l’attualità storica e mistica del Signore Gesù nel tempo, a noi presente e accessibile. E noi vogliamo vedere nella vostra presenza a questo momentaneo, ma assai significativo incontro, l’espressione d’un’analoga aspirazione a quella ora da noi rievocata dalla citazione evangelica : vogliamo vedere la Chiesa, vogliamo conoscere la Chiesa. Perché questo desiderio rimane ordinariamente insoddisfatto: una visita turistica a San Pietro può dare l’illusione di conoscere la Chiesa, come una visita ad un monumento, o ad altro luogo ecclesiastico può soddisfare la curiosità artistica, archeologica, storica di conoscere ciò a cui la memoria locale si riferisce, come la visita, ad esempio, agli scavi di Pompei, può produrre nel visitatore la facile persuasione ch’egli è ormai iniziato, se non addirittura informato, circa la civiltà greco-romana, di cui i resti della città sepolta dalla pioggia di cenere del Vesuvio ed ora riscoperta dagli scavi, sono le impressionanti ma remote e defunte memorie. La Chiesa è un’istituzione, sì, millenaria, ma è oggi ancora viva, e tuttora operante, tesa anzi a moderni ed attuali sviluppi.

Questa sopravvivenza della Chiesa nei tempi moderni è il pretesto più formidabile per suscitare contro di essa le più forti opposizioni, e spesso le più fiere persecuzioni. La mentalità materialista della presente civilizzazione suscita sia nella coscienza popolare, come anche in uomini di alta cultura e di moderno intelletto, una aggressiva domanda: la Chiesa, perché? Non è istituzione arcaica, ormai priva di senso? Non è ormai il mondo civile e profano sufficiente a se stesso? A che cosa serve ormai la Chiesa? Essa non lavora, come lavora l’uomo moderno; che cosa fa, che cosa produce? Ciascuno può rendersi conto dell’opposizione radicale verso la Chiesa, da taluno presentata come una società sovrapposta a quella civile, e che, se pur tollerata in qualche misura, è ritenuta ingombrante, oziosa, inutile, sorpassata! Quali pagine storiche, di vita moderna, di politica feroce, d’infatuazione progressiva e rivoluzionaria si aprono dinanzi a noi! E quale marea di anticlericalismo, di irreligiosità, di cieco, ma astuto furore contro ogni fede superstite, e più che mai contro quella fede religiosa, istituzionalizzata, indipendente, che si chiama la Chiesa!

La Chiesa è quindi un fenomeno storico del passato, che ci ha lasciato relitti di istituzioni, ormai superate e assorbite in forme puramente laiche e moderne? Sorgono a questo punto questioni elementari, ma estremamente vigorose e rigorose, delle quali i giovani sembrano essere specialmente sensibili, e sembrano possedere, per via d’intuizione o per iniziale esperienza, soluzioni originali, se pur tradizionali e collaudate da secoli di non vana testimonianza. Insomma, si agita in fondo alla coscienza odierna della gioventù una antica, ma risorta duplice questione: la Chiesa, che cosa è? La Chiesa, che cosa fa?

Non risponderemo in questo momento a questi interrogativi, ma noi li consegniamo alla vostra riflessione. Forse visitando e contemplando i monumenti che voi state visitando, come intelligenti turisti, e ancor meglio come pensosi cristiani, voi sentirete, voi capirete la parola del Signore Gesù: «Io vi dico che se (anche) i miei discepoli tacessero, le pietre grideranno» (Lc 19,40).

Così sia, con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai membri del Consiglio Internazionale per la Catechesi

Partecipano a questa udienza i membri del Consiglio Internazionale per la Catechesi, riuniti in questi giorni a convegno sull’importante tema: «Comunità cristiana e catechesi».

Il saluto paternamente affettuoso, che vi rivolgiamo, fratelli e figli carissimi, vuole testimoniarvi il nostro sincero compiacimento per il lavoro svolto a servizio della Sacra Congregazione per il Clero e in particolar modo per il contributo da voi offerto alla preparazione e allo svolgimento del recente Sinodo dei Vescovi. Siamo certi che la riflessione, alla quale attendete in questi giorni con generosa dedizione, gioverà grandemente a porre in luce i nessi profondi che intercorrono tra comunità cristiana e catechesi, ponendo in rilievo le note che qualificano una vera comunità ecclesiale e l’impegno che, di conseguenza, la catechesi deve assumersi nell’illustrarle ai fedeli per aiutarli a viverle in spirito di fraterna e costruttiva concordia.

Soltanto una comunità vera, che sappia dare testimonianza della propria fede, celebrandola con gioiosa convinzione nella liturgia ed esprimendola con coerenza coraggiosa nelle scelte concrete del vissuto quotidiano, può fare opera efficace di catechesi e creare le condizioni adatte al manifestarsi dei diversi carismi ed in particolare al fiorire delle vocazioni ecclesiastiche e religiose, dalle quali soprattutto dipende il futuro della Chiesa.

Vi illumini dunque il Signore nel vostro lavoro con l’abbondanza dei suoi favori, che di cuore intendiamo impetrarvi con la preghiera e con la nostra Apostolica Benedizione.

Al XVIII Convegno Nazionale di Studio degli Amministratori ed Economi di Istituti Religiosi

Salutiamo ora con particolare affetto il gruppo degli Amministratori ed Economi di Istituti Religiosi, i quali ieri hanno dato inizio al loro «XVIII Convegno Nazionale di Studio», promosso dal «Centro Nazionale Economi di Comunità».

Figli carissimi: desideriamo anzitutto ringraziarvi per la vostra presenza a questa Udienza Generale, che richiama alla nostra attenzione la grave e delicata attività che voi svolgete in un momento quanto mai importante per la vita sociale, che esige il vostro diretto impegno, affinché in modo sempre più valido sia compiuta quell’opera cristiana e civile a beneficio dei fratelli sofferenti e bisognosi, che per diritto nativo appartiene alla divina missione della Chiesa.

Vi accompagni nel vostro servizio ecclesiale il conforto della nostra Benedizione Apostolica.

Alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli

Un saluto particolare va al numeroso gruppo di Confratelli e Consorelle delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli della città di Napoli e dell’Italia meridionale, qui accompagnati dal Signor Cardinale Corrado Ursi.

Diletti figli e figlie, ben conosciamo le vostre molteplici attività caritative, tutte lodevoli e tutte degne del nostro cordiale incoraggiamento. E affinché la vostra operosa testimonianza cristiana sia sempre più feconda, amiamo confortare tutti e ciascuno con la paterna Benedizione Apostolica.

A due gruppi di pellegrini francesi

Ad un gruppo di alunni del Pontificio Collegio Americano del Nord

We are happy to greet the students from the North American College who will be ordained Deacons tomorrow. The grace of God has brought you to this day: you have been supported by the example of faith-the faith of your parents, the faith of the community. Remember, dear sons, that your ministry is a ministry of faith; your life is a life of faith. Each of you must be able to repeat with Saint Paul: “I live by faith in the Son of God ” (Ga 2,21). And may Christ Jesus enable you to serve his Church with generosity and joy.

Ad un gruppo di giapponesi di Osaka

We welcome in particular today our visitors from Japan. Many of you have come with the Marian Center Rosary Tour and with the tour organized by the Salesian Press. To all of you we would like to recommend the practice of prayer and meditation. Through it you will learn to go beyond the superficial things in life and to center your attention on the foundation of existence. This foundation is God himself. In his name we bless you all.


Mercoledì, 12 aprile 1978

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Figli carissimi! Venerati Fratelli!

Donde venite? Ci sia consentito porre una domanda, che non intende certo disconoscere la parentela spirituale, mistica e reale della vostra appartenenza beata alla Chiesa di Dio, alla nostra comune famiglia di Cristo, nella quale viviamo, e per la quale anzi molti di voi, Fratelli e Sorelle votati alla Chiesa, luminosamente irradiano una esemplare testimonianza; una domanda che riconosce la realtà profana della società, nella quale tutti siamo immersi, e la quale in alcune sue espressioni non solo si è distinta dalla Chiesa, ma separata e dichiarata a sé sufficiente, anzi, in certe sue affermazioni, ostile e nemica. Conosciamo troppo bene queste affermazioni, per non averne tutti scolpito nell’animo l’amaro ricordo; un ricordo aggressivo e radicale, che si pronuncia come una contestazione inoppugnabile: la Chiesa, perché? Una mentalità laica, cieca, intrattabile, incalza: la Chiesa non è oggi superflua? Non è un risultato ormai superfluo per l’uomo moderno? Il suo corredo di civiltà non è ormai antiquato, superato, ingombrante per la civiltà dei tempi nuovi? Figli e Fratelli, entrando in questa casa, dove la voce dei secoli passati sembra più forte di quella del secolo presente, portate anche voi questa psicologia di estraneità, che tiene, sì, desta la curiosità del forestiero, del turista, dell’osservatore divertito, ma passeggero, e che lo lascia, in fondo, indifferente al mondo religioso, che qui non è solo rappresentato, ma vivente, vogliamo dire la Chiesa vittoriosa nel tempo?

È forse un artificio importuno questo nostro discorso; ma non è irriverente e nemmeno superfluo. Esso vorrebbe stimolare la vostra attenzione, certamente stupita e ammirata dall’ambiente monumentale, artistico, storico e soprattutto religioso, in cui ora vi trovate, ad approfondire le risposte ad una domanda, ch’è già certamente nei vostri animi: la Chiesa, che cosa è? Sì, ponetevi questa domanda, che molte risposte reclama; e seguite pure la maniera più facile per formulare qualche risposta, la maniera che Gesù Cristo stesso ha autorizzato ai suoi contestatori: «Se non volete credere a me, credete almeno alle opere» (
Jn 10,38). Da discepoli esteriori, quali ora ci consideriamo, ci è consentito distinguere la nostra indagine in un duplice ordine di questioni relative alla Chiesa: che cosa è? Che cosa fa? Rinunciamo ora a studiare la prima questione, la quale esige una risposta dottrinale, teologica, che più o meno tutti conosciamo, ma che non è certo semplice e breve; il «Credo» ce ne offre materia di studio e di conoscenza. Poniamo ora l’attenzione sulla seconda questione: la Chiesa che cosa fa? Qui la risposta è certo più facile, perché essa ci è data da elementi d’immediata osservazione.

Vediamo allora: che cosa fa la Chiesa?

La prima risposta, alla quale ora ci fermeremo, è splendida, ma vasta come un oceano: la Chiesa prega! Il suo primo compito, il suo primo dovere, la sua prima finalità è la preghiera. Tutti lo sanno. Ma provatevi solo a dare la definizione di questo atto specificamente proprio della Chiesa, e vedrete quale immensità, quale profondità, quale bellezza porta con sé la preghiera. Essa è la prima ragion d’essere operativa della Chiesa. Il suo nome stesso definisce la Chiesa; non deriva forse il termine Chiesa da quello di assemblea orante? E non si confonde forse con il termine che qualifica l’edificio dove i fedeli si riuniscono per pregare? E non è forse la Chiesa una società religiosa che ha la sua ragion d’essere nel culto di Dio? (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-IIae) Non implica il fatto stesso della preghiera tutta una concezione della vita, una filosofia dell’essere, che distingue gli uomini in una prima categoria fondamentale, quella appunto religiosa? E quale è stata la prima affermazione del Concilio recente se non quella sulla Liturgia? E la Liturgia che cosa è se non il culto pubblico della Chiesa? La sua voce comunitaria rivolta al mistero di Dio Padre, mediante Cristo, nello Spirito Santo? La liturgia non esaurisce tutta l’attività della Chiesa, come non esprime tutte le singole voci dei fedeli, ai quali resta l’obbligo e la possibilità d’un proprio dialogo personale con Dio (Cfr. Sacrosanctum Concilium SC 13).

Il discorso potrebbe continuare senza fine. Ma bastino questi accenni brevi e fugaci a darvi della Chiesa una prima immagine: quella d’un’umanità che prega, che crede quindi, che si solleva in volo sopra la terra, che canta e piange e implora e spera, e dispiega la sua capacità d’infinito, e trova nell’anelito verso il cielo la sua direzione e la sua forza per camminare degnamente il suo viaggio terrestre.

Così sia per tutti noi. Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai Sacerdoti Assistenti dell’«Azione Cattolica Ragazzi»

Il nostro affettuoso saluto si indirizza ora al numeroso gruppo dei Sacerdoti, che partecipano in questi giorni al 1° Corso per Assistenti Parrocchiali, organizzato dall’«Azione Cattolica Ragazzi».

Siamo informati, figli carissimi, della fioritura di questo ramo delicato dell’Azione Cattolica Italiana. Tale consolante crescita, oltre che all’invisibile grazia del Cristo è certamente da ascriversi anche allo zelo costante e generoso, che voi dedicate al mondo complesso, meraviglioso e promettente dei Ragazzi. Continuate, nel nome del Signore, in quest’opera altamente meritoria nel campo della pastorale diocesana e nazionale.

La nostra Benedizione Apostolica vi conforti e vi rassicuri.

Ad un gruppo di Sacerdoti bresciani

Un cordiale, paterno saluto desideriamo poi rivolgere al gruppo dei Sacerdoti di Brescia, i quali hanno voluto celebrare il 25° di Ordinazione sacerdotale con un gesto di fervida devozione al Successore di Pietro.

Vi ringraziamo, figli carissimi, per la vostra visita, che ci ricorda con emozione la nostra Diocesi di origine, e ci uniamo con tutta sincerità alla vostra letizia per questa data così significativa nella vostra vita. Essa vi stimola a riflettere sui venticinque anni già trascorsi, che sono stati certamente anni di intensa attività pastorale, animata e confortata dai doni, dalle illuminazioni, dalla predilezione di Gesù, sommo ed eterno Sacerdote; ma vi esorta altresì a guardare, con serena fiducia, in avanti per rinnovare a Dio, alla Chiesa, alle anime il vostro impegno di lavorare con sempre maggiore generosità per l’avvento del Regno di Cristo.

Vi accompagni in questi propositi la nostra Benedizione Apostolica.




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