Paolo VI Catechesi 17578

Mercoledì, 17 maggio 1978

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Bisogna pensare, anzi ripensare. Noi siamo in un momento storico, nel quale la situazione della società si evolve, si trasforma, si presenta con nuovi problemi, nuove difficoltà, nuove possibilità. La scena esterna della vita ha una grande ripercussione sui nostri animi. La tragedia dell’on. Moro, e degli uomini della sua scorta, ci ha turbati profondamente; la sua conclusione ci fa riflettere tristemente a questo avvenimento, come ad una crisi, il cui epilogo non ha ancora sciolto i problemi ch’essa solleva; sebbene nuovi aspetti dell’infausto dramma si aprano davanti a noi come indizi di novità migliori.

Ma quanti fatti si pongono, che turbano le previsioni concepite sul mondo sognato nell’ordine, nella giustizia, nella pace, e funestato da leggi inaccettabili, da contrasti non mai sopiti, da questioni che il progresso stesso fa sorgere e inasprisce... Un senso di pessimismo viene a soffocare tante speranze serene e a scuotere la nostra fiducia nella bontà del genere umano. È una riflessione dolorosa e pericolosa la nostra, perché svuota la fiducia nell’avvenire d’un mondo giusto e felice.

Ecco: qui deve fermarsi lo slittamento del nostro possibile pessimismo. Faremo questa operazione di ricupero del nostro doveroso ottimismo con alcuni pensieri fondamentali, che dobbiamo trarre dalla nostra coscienza religiosa, senza pregiudicare quelli che possiamo derivare anche dalla nostra ragione e dalla nostra esperienza.

Il primo pensiero confortatore lo dobbiamo chiedere alla esistenza e alla bontà di Dio, che lascia alla vicenda umana i sinistri sviluppi che possono derivarle dalla capricciosa, instabile, fallibile libertà, che l’economia del governo superiore del mondo concede a quel minuscolo, ma terribile essere, che si chiama uomo, il quale per difetto o per malizia (con la complicità d’un altro essere misterioso e malefico, il diavolo!), può turbare lo svolgimento ideale e regolare dell’operare dell’uomo stesso. Ma questo disordine non immobilizza la mano di Dio, che può intervenire e può trarre un bene nuovo dal male causato dalla cattiveria della sua creatura. Anzi questa operazione di restauro dell’ordine è un altro grande effetto della presenza divina nella scena umana, la quale presenza può dedurre effetti positivi da ogni umana situazione; ricordiamo San Paolo, il quale ci assicura che «tutto concorre al bene di coloro che amano Iddio» (
Rm 8,28).

Ed una delle arti della Provvidenza a nostro riguardo è proprio quella di farci trovare tesori di salvezza nell’esperienza stessa di certi mali, che fanno soffrire la nostra esistenza. E qui ricordiamo la parola immensamente consolatrice, innovatrice di Cristo stesso: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati (Mt 5,4), alla quale fa eco un’altra parola del divino Maestro, relativa alle tribolazioni del periodo estremo della storia: «con la vostra pazienza, voi salverete le vostre anime» (Lc 21,19).

Vi è nell’umana sofferenza una certezza, che dovrebbe consolarla e renderla tollerabile, ed è che la sofferenza non è inutile: essa è collegata con un premio che faceva dire a San Francesco d’Assisi, pur afflitto dalle sue stimmate: «tanta è la gioia che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Fra le grandi meraviglie operate dal cristianesimo vi è ancor quella di aver insegnato a soffrire pazientemente e a scoprire tesori di umanità e di grazia nel dolore e nella sventura (Cfr. Fr. COPPÉE, La bonne souffrance, 1908).

Perciò il nostro ripensamento ci riconduce all’ottimismo, il quale non è solo una tesi intellettuale, ma è altresì quella visione della vita, anzi quella esperienza che dà grandezza e non illusorio conforto a chi vive il cristianesimo e sa trovare nella croce la sapienza e l’energia di cui ha bisogno la nostra povera ma eroica esistenza.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Alle Suore di S. Giovanni Battista

Siamo lieti di rivolgere il nostro particolare saluto alla Congregazione delle Suore di San Giovanni Battista, alle Superiore e Religiose qui presenti, come anche ai benemeriti insegnanti ed al numeroso gruppo di alunni delle scuole «battistine».

Concludendosi il primo centenario del vostro Istituto, nato dall’impulso coraggioso ed apostolico del Venerabile Canonico Alfonso Maria Fusto e che tanti servizi ha già reso alla promozione educativa e sociale, voi avete voluto rendere filiale omaggio al Vicario di Cristo e, nell’incontro affettuoso con Lui, rinnovare il vostro atto di fedeltà a Cristo ed alla Chiesa. Gesto di pietà è il vostro ed insieme segno di unità ed affermazione di cattolicità, per il quale vi diciamo grazie di cuore, mentre auspichiamo che codesta sosta di riflessione e di preghiera presso la Tomba di Pietro, tuttora vivo nel suo Successore, costituisca un invito a propositi generosi.

A voi, infine, docenti e discepoli di Scuole Cattoliche, beneficiari di una cultura compenetrata di ideali cristiani, il nostro fervido incoraggiamento, stimolante e paterno, a proseguire nel cammino intrapreso. Con tali sentimenti d’indefettibile speranza, impartiamo a voi ed all’intero vostro Istituto la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un pellegrinaggio di handicappati organizzato dall’Associazione «The Across Trust»

It gives us pleasure to welcome once more a group of sick and handicapped pilgrims who have come to Rome through the assistance of the ACROSS Trust. We welcome you and those who have made your journey possible. We pray for you, and we ask you to pray for us and for the whole Church.

Ad un gruppo di Sacerdoti provenienti da diverse diocesi statunitensi

Once again we extend a warm welcome to a group of American priests doing a course of study in Rome. It is our earnest hope that your stay in this City will also be the occasion for deep personal conversion in the love of Jesus Christ. And when you return to your people, your preaching must be a call to conversion - the constant conversion that you yourselves endeavor, with God’s help, to exemplify in your own lives. With conviction and with urgency dear sons, preach the Kingdom of God, and proclaim the Gospel of salvation with all your energy. And remember that the Lord Jesus is with us today and for ever.



Sabato 20 maggio 1978 AI RAGAZZI DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

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Paolo VI riceve in udienza circa dodicimila ragazzi dell’Azione Cattolica Italiana, provenienti da tutte le regioni d’Italia. Sono presenti all’ incontro il Presidente Agnes, l’Assistente Nazionale e tutti i responsabili del settore Ragazzi. Il Papa rivolge a queste migliaia di giovani e di giovanissimi, il seguente discorso.

Ragazzi carissimi,

È VERAMENTE GRANDE la nostra letizia nell’incontrarci oggi con voi, nel costatare la vostra fede e il vostro entusiasmo, e nel vedere con quale fremito gioioso e con quanta intensità di sentimenti voi qui rappresentate tutti i vostri amici dell’Azione Cattolica Ragazzi d’Italia. Vi rivolgiamo il nostro più cordiale benvenuto e con voi salutiamo, con paterno affetto, i vostri benemeriti Educatori e i Responsabili centrali dell’Associazione, e, in modo particolare, Monsignor Marco Cè e il Prof. Mario Agnes.

La vostra numerosa e festosa presenza dice già da sola quanto generosamente voi avete aderito non solo alla proposta cristiana che vi veniva dalla vita associativa di codesta organizzazione cattolica, ma anche all’Incontro Nazionale di questi giorni e all’odierno appuntamento con noi: vi esprimiamo di cuore la nostra compiacenza e la nostra sincera gratitudine. Come non scorgere in voi, secondo quanto già scrivevamo nel Messaggio per la Giornata della Pace del 1° gennaio scorso, i « ragazzi del tempo nuovo » ? Voi, infatti, siete un segno confortante della viva e dinamica presenza nella Chiesa di quel Signore, che, secondo il profeta Isaia, fa nuove tutte le cose, producendo germogli densi di vita e di promesse. (Cfr.
Is 43,19)

Cari ragazzi, solamente pochi giorni fa abbiamo celebrato la solennità di Pentecoste, cioè la festa dello Spirito Santo, che solo è in grado di « rinnovare la faccia della terra ».(Ps 104,30) E voi tutti sapete quanto abbia bisogno di rinnovamento questo nostro tempo, così contrassegnato da atti di violenza disumana, i quali sono tristi segni di decadimento e generatori di morte. Ebbene, che cosa potete fare voi per ringiovanire questa società? Certamente molto, se vi lasciate docilmente guidare dallo Spirito di Dio.(Cfr. Rm 8,14)

È l’Apostolo Paolo che ci illumina su ciò che è richiesto dal nostro comportamento quotidiano, vissuto all’insegna di quello straordinario avvenimento della Pentecoste, che non si è verificato solo a Gerusalemme agli inizi della Chiesa, ma anche in ciascuno di voi già col Battesimo e poi, in pienezza, con il sacramento della Confermazione. Ecco ciò che San Paolo ci dice: « il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, generosità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé » (Ga 5,22). Voi capite subito che non c’è un ideale più alto di questo, nulla di più entusiasmante e anche nulla di più fecondo e costruttivo sul piano dei rapporti umani. Sarebbe troppo lungo meditare su tutti e nove i frutti dello Spirito propostici dall’Apostolo. Noi ci accontentiamo, ora, di illustrare brevemente i primi tre, che sono anche i più fondamentali.

Innanzitutto l’amore: di esso possiamo ben dire che non è solo una virtù tra le altre, ma che racchiude in sé la somma intera di tutto ciò che compone la novità cristiana. Infatti, « noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli ». (1Jn 3,14) Questa è la testimonianza, di cui il mondo ha assolutamente necessità. Il nostro scopo è di costruire una « civiltà dell’amore »; ma ricordate bene che nulla può costruire un mondo di amore se non l’amore stesso, il quale è nel contempo il fine e il mezzo, e quindi la sostanza unica del vivere umano a dimensione cristiana.

In secondo luogo, lo Spirito crea gioia (Cfr. Ac 13,52) e la gioia è effusiva. Anche questa è una testimonianza, che voi potete e dovete offrire agli uomini del nostro tempo, resi sovente freddi e infelici dall’egoismo. La vostra letizia non derivi soltanto dai vostri anni verdi, che purtroppo passano, ma abbia solide garanzie di intramontabile durata per il suo radicarsi « nel Signore », (Ph 3,1 Ph 4,4 Ph 4,10) in Colui che il Salmista canta come « il Dio della gioia e del mio giubilo », (Ps 42,4)’ perché assicura a tutti la sua adorabile misericordia.

E infine la pace. Voi certo sapete quanto questo tema ci sta a cuore. Come dicevamo nel Messaggio citato, e nella parte di esso a voi riservata, la pace rende i cristiani « capaci di lottare per la giustizia e di risolvere tante questioni con la generosità, anzi col genio dell’amore ». Siate anche voi, ragazzi carissimi, artigiani di pace, voi che siete la speranza di un domani migliore, nella misura in cui già oggi vi impegnate per una vita non solo di rispetto, ma di autentica bontà verso tutti.

Per concludere, non vogliamo trascurare un’ultima, essenziale caratteristica dello Spirito Santo, che è quella di suscitare degli apostoli, impegnati nell’annuncio della salvezza che ci viene da Gesù Cristo. Infatti per noi l’amore, la gioia e la pace non sono dei sentimenti superficiali, ma devono portare con sé il sigillo indelebile di Cristo e del suo Spirito, Anche voi, dunque, ragazzi di Azione Cattolica, siete chiamati fin d’ora ad un’opera di evangelizzazione, nei modi e nelle forme che la vostra Associazione vi propone. È così che la vostra crescita cristiana assicura alla santa Chiesa di domani il volto antico e sempre nuovo di una comunità radicalmente fedele al suo Signore, ma anche aperta e disponibile al servizio degli uomini.

Il nostro augurio finale è che « lo Spirito della vita in Cristo Gesù » (Rm 8,2) vi riempia della sua forza e vi guidi per le strade del mondo, facendovi scoprire la confortante presenza di Chi « cammina con voi ogni giorno ». (Mt 28,20).

Vi accompagniamo di cuore con la nostra paterna Benedizione Apostolica, che estendiamo ai vostri Educatori, ai vostri Genitori e a tutti i vostri cari.


Al gruppo della Società Corale Arnatese di Gallarate

UN AFFETTUOSO SALUTO desideriamo anche rivolgere ai membri della « Società Corale Arnatese » di Gallarate, che hanno voluto celebrare con un incontro col Successore di Pietro il 50° anniversario di fondazione della benemerita istituzione.

Conosciamo da tempo, figli carissimi, il vostro entusiasmo, la vostra dedizione, la vostra serietà! Vi diciamo pertanto il nostro paterno compiacimento per tutto quello che la vostra Corale ha realizzato in questi anni mediante varie e molteplici iniziative. Ma guardando al futuro, auspichiamo che il vostro canto, oltre che espressione di delicata sensibilità culturale, diventi soprattutto preghiera fervida ed intensa, la quale animi, fecondi e sproni il vostro impegno, sempre crescente e ravvivato, di essere lieti e sereni testimoni del Cristo, vivendo le esigenze evangeliche a dimensione personale, familiare, professionale, comunitaria, in una società che talvolta sembra ostile, sorda o indifferente ai valori cristiani.

Con questi voti vi impartiamo di cuore una particolare Benedizione Apostolica, che estendiamo ai vostri familiari e a tutte le persone che vi sono care.


Mercoledì, 31 maggio 1978

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Siamo stati, domenica scorsa, dopo la bella cerimonia, in onore del «Corpus Domini», celebrata nella maestosa e quasi sognante Basilica di S. Paolo a Roma, a dare uno sguardo esteriore e fuggitivo all’edificio della nuova Scuola professionale, tuttora in costruzione, quasi compiuta per verità, e intitolata all’Apostolo San Paolo, sorta sul territorio accanto alla storica e monumentale Basilica, che custodisce la tomba del «Dottore delle genti» (1 Tim
1Tm 2,7); e siamo stati consolati da questa bella e promettente novità, che già raccoglie centinaia di domande di giovani del vicino quartiere popolare, desiderosi di iscriversi alla nuova Scuola e di dare così alla propria vita un nobile scopo di studio e di lavoro. Questa breve visita ci ha procurato intima soddisfazione, quasi un senso di fiducia e di amicizia per la gioventù, che si era affollata d’intorno a noi, quasi furtivo visitatore.

Si riaccese nel nostro animo la domanda assillante e prosaica: la Chiesa oggi a che cosa serve? E che cosa fa? Una domanda quasi aggressiva e sovversiva, imbevuta da una palese, ma ingiustificata convinzione, che la Chiesa ai nostri giorni abbia perduto la sua ragion d’essere, divorata questa dalla inutilità pratica ed economica, propria d’una società, che volendo qualificarsi moderna, si definisce materialista.

A che cosa serve, e che cosa fa, in mezzo al mondo odierno tutto affaccendato nel suo febbrile lavoro produttivo e utilitario, la Chiesa? Ebbene quel bello e moderno edificio sembrò a noi dare una risposta attuale e perenne; e cioè: la Chiesa insegna! Insegnare: questa è una funzione propria della Chiesa; la storia lo prova. La storia passata fa l’apologia di questa arte superiore, esercitata dalla Chiesa, spesso in supplenza della ancora immatura società civile, e poi sempre in ordinata concomitanza con essa, ma sempre con un titolo suo speciale, per non dire, come si dovrebbe, esclusivo. La Chiesa ha qualche cosa da insegnare, ch’è di sua propria competenza; ed è la verità religiosa. La quale non è né superata, né superflua, ma necessaria; e diciamo pure: necessaria per il fine superiore, trascendente e insostituibile, proprio della religione; la vita vera, la vita spirituale oggi, e poi nell’ulteriore eternità; ma anche necessaria per il fine temporale, presente, se questo dev’essere conseguito secondo principii veri, autentici, fermi, capaci, sì, d’esprimersi in una varietà di forme e di leggi, ma non in un equivoco e discorde pluralismo, che non consenta un’interpretazione umanamente concorde ed in un logico sistema giuridico. E ciò reclama un riferimento all’assoluto, al necessario, al religioso.

«Andate e insegnate», ha comandato il Maestro dell’umanità, Cristo Signore; e questa investitura giustifica il diritto-dovere pedagogico e didattico proprio della Chiesa. Vero è che la Chiesa dispone di altre cattedre, che non sono quelle scolastiche, per insegnare le sue verità; ma nessuno potrà contestare due criteri, che guidano l’insegnamento dell’uomo: il primo criterio è l’unità, o la complementarietà della dottrina che dev’essere insegnata, se si vuole che lo spirito dell’alunno abbia uno sviluppo armonico e felice; e il secondo che un puro insegnamento didattico non sostiene il vero maestro, né educa l’uomo nell’alunno, se l’amore non li anima entrambi, maestro ed alunno; e ciò comporta che una scuola, la scuola cristiana, con le sue diverse materie, razionali, scientifiche, morali e religiose, li unisca in un colloquio completo ed organico.

Sapienza antica, ma non vecchia, la quale persuade il maestro della religione a farsi maestro d’un programma scolastico, che tutto comprende e che faccia della scuola una palestra educativa capace d’insegnare ogni cosa, anche le materie profane, con il raggio che le sovrasti della luce superiore della fede religiosa.

Questo si conclude in un’apologia della scuola, pubblica o privata che sia, alla quale noi inviamo, come sempre, il saluto della nostra simpatia, della nostra stima, del nostro incoraggiamento, e ora quello della nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 7 giugno 1978

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Due pensieri sono oggi nel nostro spirito: la visione della Basilica di S. Pietro, piena come un alveare giulivo, di bambini, di ragazzi, di gioventù innocente e festante; e poi l’opprimente ricordo, che proprio ieri è passata all’applicazione, in Italia, la legge protettiva dell’aborto.

Noi non possiamo esimerci dal dovere di ricordare la riserva negativa a questa legge in favore dell’aborto, la quale è da ieri, come dicevamo, diventata operante anche in Italia, con grave offesa alla legge di Dio su tale tema estremamente importante della difesa dovuta alla vita innocente del bambino fino dal seno materno. Noi ora ci limitiamo a ricordare quanto la Chiesa, interprete della legge naturale su questo punto, e della legge divina come da sempre (Cfr. Ep. ad Diognetum, 8, 6), abbia autorevolmente affermato che «la vita innocente, in qualsiasi condizione si trovi, è sottratta dal primo istante della sua esistenza, a qualunque diretto attacco volontario. È questo un fondamentale diritto della persona umana...», come si esprimeva il nostro venerato predecessore Pio XII (PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XIII, p. 415), e come ci ricorda la venerata e pubblica parola, in data di ieri, del nostro Vicario Generale per Roma, il Cardinale Ugo Poletti. Sarà dovere di tutti, e specialmente di quanti si professano cattolici, dare a questo insegnamento capitale la dovuta osservanza.

Questo insegnamento è grave, ma è ancora, e più che mai, un insegnamento d’amore. D’amore per la vita umana, considerata in se stessa. L’autorità che Cristo, e la Chiesa con Lui, rivendica su l’esistenza umana, è una professione di stima per la vita dell’uomo nella sua piccolezza, nella sua infanzia, nella sua innocenza. Chi non ricorda l’episodio così bello, così gentile, così evangelico, narrato dall’evangelista San Marco, con il consueto vigore: «Gli presentavano (a Gesù) dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. E prendendoli fra le braccia e ponendo sopra di loro le mani li benediceva» (
Mc 10,14). Né San Matteo trascura di mettere in evidenza la simpatia, l’affettuosa preferenza del Signore per i piccoli. Ecco: «In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose (cioè i misteri della sua rivelazione) ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. . . ”» (Mt 1 Mt 1,25-26). E questo pensiero, che rovescia il primato dei grandi in favore degli umili, così fortemente espresso nel canto del Magnificat della Madonna: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53), questo pensiero ritorna nella drammatica scena del giudizio finale: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo: . . . in verità vi dico, ogni volta che avete fatto queste cose (di carità) a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 2 Mt 5,34-40).

La vera pietà per le difficoltà e le angustie della vita umana non consiste nel sopprimere chi è frutto o del fallo o del dolore umano, ma nel sollevare, consolare, beneficare la sofferenza, la miseria, la vergogna della debolezza, o della passione umana: ucciderlo non mai! Questo noi dovremo riflettere davanti al triste e ignobile ricorso all’aborto legalizzato. Ricordare ai giovani, a tutti, i pericoli e i disastri della passione che sostituisce l’amore; l’intangibile dignità della vita umana, anche nei suoi più segreti ed umili gradini; promuovere ogni possibile e degna assistenza alla maternità bisognosa. Tutto ciò che sarà fatto in questo ordine di amore, di pietà, di ricupero della vita anche d’uno dei più piccoli e forse dei più infelici dei nostri fratelli, o delle nostre sorelle, in «umanità», ricordiamolo, Cristo lo calcolerà come fatto a Lui stesso!

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Numerosi giovani neocomunicati, neocresimati e altri provenienti da varie scuole italiane, sono raccolti nella Basilica Vaticana per l’incontro col Santo Padre. Paolo VI fa il suo ingresso in Basilica alle 11 dalla Porta della Preghiera accolto dal grido festoso dei giovani e dall’agitarsi di migliaia dì bandierine con ì colori dello Stato della Città del Vaticano.

Raggiunta la cattedra all’altare della Confessione Paolo VI rivolge ai ragazzi il seguente discorso.

Carissimi bambini,

E’ una vera gioia vicendevole, per noi e per voi, il poter trascorrere insieme alcuni momenti in questa meravigliosa Basilica, nella quale siete accorsi numerosissimi.

Sappiamo che in mezzo a voi ci sono bambini e bambine che hanno concluso l’anno scolastico - ed auguriamo che l’abbiano concluso felicemente con una meritata promozione dopo tanti mesi di impegno, di studio, di fatica intellettuale, ed anche di ansia e di sacrifici da parte dei genitori. Ci sono anche molti bambini e bambine che in queste domeniche si sono accostati per la prima volta al Sacramento dell’Eucaristia, cioè hanno ricevuto Gesù nella loro Prima Comunione; altri hanno ricevuto la Cresima.

A tutti voi, che cosa può dire, che cosa vuole dire oggi il Papa? Noi sentiamo in questo momento tutta la suggestività e la profondità dell’episodio riferitoci dagli Evangelisti: i padri e le madri della Palestina presentavano a Gesù i loro bimbi perché Egli «imponesse loro le mani e pregasse» (Mt 19,13). E mentre i discepoli li sgridavano, forse per la loro troppo rumorosa esuberanza, Gesù diceva invece: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,14).

Gesù, carissimi figliuoli, vi ha amato e vi ama; ha preso voi come modelli del cristiano per la vostra limpidezza, per la vostra generosità, per la vostra serenità. Ed anche il Papa vi ama e si rivolge a voi perché il mondo e la Chiesa hanno bisogno di voi e perché voi potete dare tanto sia al mondo che alla Chiesa.

Potete dare, anzitutto, una entusiastica testimonianza di adesione a Gesù, mediante una fede limpida e cristallina, senza alcun rispetto umano. Potete dare un contributo fattivo e fecondo di carità e di solidarietà in una società che talvolta cede alla tentazione dell’egoismo. Quante occasioni potrete avere, in casa, a scuola, in parrocchia, in associazione, per poter esprimere questa vostra ardente ed operosa carità verso gli altri, specialmente verso gli amici più poveri e malati!

Potete proclamare, con la vostra stessa gioia festante di vivere, il vostro «no» all’odio, alla violenza, alla guerra, ed il vostro «sì» alla pace, alla concordia, alla comprensione tra i cittadini e tra gli uomini tutti.

Mentre, come Gesù, noi vi benediciamo con molto affetto, vi incarichiamo di portare il nostro saluto cordiale a tutti i vostri amici, ai vostri genitori e a tutte le persone che vi sono particolarmente care.



Ad un gruppo di partecipanti al corso di perfezionamento organizzato dall’IRI

Rivolgiamo ora il nostro cordiale saluto al folto gruppo di tecnici e direttori d’azienda, provenienti da varie parti del mondo, che in procinto di concludere il corso di perfezionamento organizzato dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale, hanno voluto suggellare la loro esperienza italiana, facendoci visita insieme col Presidente dell’IRI, Prof. Giuseppe Petrilli, i docenti e i loro familiari.

Vi esprimiamo viva riconoscenza per questo gesto premuroso e, soprattutto, per i principii di umana solidarietà, di fervida collaborazione e di impegno professionale, a cui intendete ispirare il vostro lavoro. Volentieri ricambiamo il delicato pensiero col fervido augurio che il corso, da voi diligentemente seguito, serva non solo ad accrescere le vostre conoscenze tecniche e professionali, ma valga anche a stimolare in voi tutti la coscienza di un servizio sociale sempre più rispondente alle esigenze di un autentico progresso civile e morale dei vostri rispettivi Paesi.

Avvaloriamo tali voti, invocando dall’Onnipotente ogni desiderato bene sulle vostre persone, sulla vostra attività e sulle vostre famiglie, e benedicendo paternamente.

Ai Sacerdoti novelli del Pontificio Collegio Beda

It is a joy for us to greet today the newly ordained priests of the Pontifical Beda College. You have completed your course of study in Rome, and now you are about to return to your dioceses. At this important moment, we wish you to know that our prayers will go with you. We invoke God’s abundant graces upon your apostolate of service to the Church, and with paternal affection we give each of you our Apostolic Blessing.

Ai membri del coro polifonico «Miguel Fleta» di Zaragoza

Queremos dirigir ahora una especial palabra de saludo a los miembros de la Polifónica «Miguel Fleta», de Zaragoza, presentes en esta Audiencia.

Os agradecemos, amados hijos, vuestra visita y el homenaje que nos habeis querido rendir, interpretando aquí algunas de vuestras canciones. En vuestra actividad musical, junto con vuestro entusiasmo y arte poned el cultivo interior de vosotros mismos, la voluntad de ayudar a los demás, procurándoles una sana diversión y brindándoles el amor a vuestra tierra, de profunda tradición cristiana y mariana.

Con nuestro recuerdo paterno, llevaos nuestra particular Bendición Apostólica.


Mercoledì, 14 giugno 1978

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Ancora noi siamo presi da quella semplice, ma fondamentale domanda, che coinvolge il nostro giudizio pratico, ma radicato in profonde questioni speculative, dal quale giudizio la mentalità moderna trae la sua orientazione decisiva in ordine alla religione, che ancora nel nostro mondo vissuto significa assai spesso la Chiesa. Ebbene, tale domanda incalza quasi rabbiosamente così: che cosa fa la Chiesa? Che nello spirito concitato di chi pone la questione significa empiricamente: a che cosa serve la Chiesa? E la questione diventa dura e radicale, subito materialista: non v’è più posto per la religione nella mentalità moderna, tutta presa dalla realtà sensibile e scientifica, e sempre tesa all’utilità di ciò che impegna l’attenzione e l’attività dell’uomo. È una posizione che si ripete.

La Chiesa, dapprima intimidita dalla brutalità e dalla invadenza della domanda, sembra talvolta esitare a rispondere; ma poi, confortata dalla propria coscienza e dalla propria fede, ancora una volta risponde semplicemente: la Chiesa prega! E subito insorge un duplice interrogativo, al quale noi credenti dovremmo essere in grado di dare qualche vittoriosa risposta: che cosa significa pregare? E a che cosa serve pregare? Sono domande elementari; ma quanto aggressive, quanto oggi pericolose! Ma non dobbiamo temere, anche se non possiamo e non vogliamo ora dare risposte adeguate razionalmente alle formidabili obiezioni, che codesti interrogativi sollevano nell’animo umano.

Noi potremmo intanto eludere il carattere negativo di questi interrogativi osservando che essi non colpiscono alcun bersaglio pericoloso per il normale sviluppo dell’attività civile. L’uomo che prega non fa male a nessuno, né egli frena o impedisce il lavoro mentale o fisico dell’uomo; anzi potremmo ricordare quale fecondità abbia assunto e goduto l’operosità umana da una formula, tuttora operante dentro ed accanto alla Chiesa, che ha congiunto, e quasi insieme compenetrati, i due momenti caratteristici e supremi dell’umana attività: pregare e lavorare: «ora et labora», che San Benedetto ha insegnato ai suoi discepoli, tra i quali possiamo bene inserirci anche noi, anche tutta la Chiesa.

Perché la Chiesa cerca e trova nel rapporto con Dio la sua fondamentale ragione d’essere. E l’espressione di questo rapporto costituisce quell’enciclopedia dello spirito umano, che chiamiamo preghiera. La ritroviamo nel silenzio dell’anima, in quel silenzio interiore, nel quale la parola di Dio si fa dapprima ascoltare, e si formula in questioni fondamentali, che mettono dubbio su i luoghi comuni della nostra superficiale mentalità e suscitano un’autocritica, che possiamo chiamare il risveglio della coscienza, e che nello stesso tempo insinuano una nuova dominante certezza sull’esistenza, sulla presenza, sull’azione di Dio nel nostro spirito. È come un’alba solare, che diffonde una luce interiore, da cui le cose, e la nostra vita per prima, acquistano un nuovo senso, una filosofia, una sapienza che da sé s’impone e si giustifica, terribile ed amica nello stesso tempo, alla quale lo spirito umano sente di dovere il nome di verità. È finalmente un’esperienza da cui le nostre labbra mute si aprono, e trovano su se stesse le classiche definizioni della preghiera: un’ascensione verso Dio, quasi uno slancio audace, subito penetrato di umiltà, che implora e invoca soccorso (Cfr. Dictionnaire de Théologie, XIII, 1, p.
1P 169 ss.). La preghiera ci palesa un mondo spirituale, vasto, splendido, misterioso, come il cielo che sovrasta il nostro capo e descrive lo sconfinato cielo della Realtà in cui, troppo spesso ciechi, miopi, insensibili, noi viviamo.

Qui ci soccorre la parola di Cristo, che ci esorta, quasi per rassicurarci, che non stiamo sognando: «bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1), dopo d’averci insegnato la preghiera, che annulla l’infinita distanza fra i due termini sproporzionati ed incomparabili: Dio, l’infinito, e il microbo uomo; e che suona, come per nostra fortuna sappiamo: «voi pregate così: Padre nostro, che sei nei cieli...» (Mt 6,9 ss.).

Quale panorama si apre d’intorno a noi! Quale realismo acquista la nostra orazione! Quale trepidante fiducia acquista il nostro linguaggio!

Sì, che cosa fa la Chiesa? Non lo dimentichiamo mai! La Chiesa, e noi siamo la Chiesa, prega; e prega così!

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di sacerdoti italiani

Rivolgiamo il nostro benvenuto cordiale e paterno ai venerati Confratelli nell’Episcopato ed ai numerosi sacerdoti italiani, qui presenti, che fanno parte dell’Istituto «Gesù Sacerdote», sodalizio aggregato alla Pia Società S. Paolo, i cui membri, mediante la professione dei consigli evangelici, s’impegnano ad un’imitazione sempre più perfetta dell’Eterno Sacerdote: Gesù Cristo.

Fedeli all’ispirazione ed alla parola del vostro Fondatore, Don Giacomo Alberione, voi, figli carissimi, siete qui convenuti «per vedere Pietro» (Ga 1,18); per offrirgli l’omaggio della vostra devozione ed il dono di un’intensa partecipazione alle sollecitudini del suo ministero apostolico; per vivere con noi un momento di comunione e di grazia, nello Spirito Santo, propiziato dalla gioia di una reciproca presenza.

La vostra fedeltà ed il vostro amore, di cui vi diciamo grazie di cuore, ci sospingono a rivolgervi un’esortazione confidente. Sembra giungere in questo momento alle nostre orecchie la voce accorata di una moltitudine afferrata dallo sgomento, che implora la grazia di sacerdoti santi, di guide sicure, di uomini che confondano aspirazioni, interessi e cuore con quelli di Gesù. Si attende dal sacerdote quell’interpretazione «secundum fidem» di ogni avvenimento, la quale nasce dall’incontro personale con Cristo, cresce nell’ascolto quotidiano della Sua voce, raggiunge la perfezione nell’offerta incruenta e totale di se stessi per amore di Lui. In questa identificazione finale consiste il compimento della volontà di Colui che vi ha inviati e, quindi, la fecondità del vostro ministero di salvezza. Vi accompagni la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di Avieri della Scuola Centrale «VAM» dell’Aeronautica Militare di Viterbo e del Collegio «Maddalena»di Cadimare di La Spezia

Riserviamo volentieri un particolare saluto al gruppo di Avieri della Scuola Centrale dell’Aeronautica Militare di Viterbo. Ad essi sappiamo uniti anche gli Allievi del Collegio «Maddalena» di Cadimare di La Spezia, a cui parimenti diamo il benvenuto.

Carissimi, mentre vi ringraziamo per questa cortese visita, amiamo assicurarvi che anche per voi il Papa ha uno speciale ricordo nell’affetto e nella preghiera. Voi costruite la vostra maturità umana e professionale in un singolare servizio alla comunità nazionale. Siate sempre degni della fiducia che altri ripongono in voi, nella vostra giovinezza, nella vostra generosità, nella vostra disciplina.

E che il Signore sempre vi accompagni, ispirandovi soltanto pensieri di pace. Da parte nostra siamo lieti di confermare questi auspici mediante la paterna Benedizione Apostolica, che concediamo largamente alle vostre persone e ai vostri Cari.

Ai Dignitari dell’ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Ad un pellegrinaggio nigeriano

It is a great joy to welcome all the members of the Nigerian Pilgrimage, led by the Archbishop of Lagos. Your presence here is a splendid expression of your faith in the apostolic nature of the Church of Christ. We pray that at the tombes of Peter and Paul you will derive fresh vigour and renewed strength for Christian living. And we ask you to take our greetings back to your families and to all Nigeria. May God’s blessings be abundant on you and all your fellow-citizens.




Paolo VI Catechesi 17578