Paolo VI Catechesi 19115

Mercoledì, 19 novembre 1975

19115


l'estrema importanza assunta oggi dalle relazioni umane e dai modi di considerarle e di instaurarle ci obbliga a ripetere la nostra riflessione sulla carità verso il prossimo, ben sapendo che la carità, cioè l'amore soprannaturale di Dio per noi, quale ci è stato rivelato da Cristo e comunicato con l'effusione dello Spirito Santo, rappresenta il valore centrale della nostra religione, o, come si suol dire oggi, dell'economia della salvezza; e che questo amore (agape) (Cfr. C. SPICQ, OP., Agape, 3 voll., Gabalda, 1959) deve effondersi non solo nello sforzo amoroso di risalire, come possibile, ma con tutta la nostra energia, verso la sua sorgente (ricordate il grande e primo precetto: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, . . . eccetera) (
Mt 22,37), ma deve altresi, e quasi nello stesso sforzo, dilatarsi verso il prossimo: "amerai il tuo prossimo come te stesso" (Ibid. Mt 22,39).

Da questa fondamentale concezione teologico-morale sgorga il cristianesimo. Il quale, comrè in grande parte all'origine della socialità civile, sembra talora esserne sopraffatto dall'ansia e dalla potenza druna forma più efficace, impetuosa e rivoluzionaria, con cui oggi è promossa la socialità moderna: forma indipendente, anzi polemica nei riguardi della socialità scaturita dal Vangelo. Cristo sarebbe superato da Marx. La convivenza umana ideale, si afferma a nostro malgrado, non puo essere il risultato della carità, ma della lotta, della violenza, e della sopraffazione druna classe sopra l'altra: questa sarebbe la mèta auspicabile. Superfluo che ora noi diciamo di più, quando il quadro storico contemporaneo ci offre, con evidenza perfino eccessiva, gli elementi di giudizio che sono in questione. Avremmo facili argomenti da addurre nella discussione in difesa del Vangelo, invitando a riflettere come il sistema contrapposto a quello da noi professato, perché cristiano, perché veramente umano, suppone una violazione di principio alla vera socialità, la quale devressere umana per tutti e rispettosa delle prerogative profonde dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà, la sua eguaglianza; mentre invece suppone l'odio e la lotta sistematica; suppone l'egoismo collettivo quale rimedio all'egoismo personale o di categoria; e sembra ignorare la complementarietà delle libere funzioni sociali e ripudiare come formula normale della socialità la ordinata partecipazione ai processi sia economici che culturali e politici, e rifiuta in fondo la solidale collaborazione ad un comune e giusto benessere, prescindendo percio gradualmente dai coefficienti spirituali, di cui deve pur vivere una comunità libera e ordinata, mentre sono sostituiti da una rigida normativa pubblica, tendenzialmente impersonale e conservatrice.

Ma stiamo adesso al nostro tema, cioè quello della carità, visto nella sua applicazione alla convivenza collettiva. Potremmo, e dovremmo studiare la carità nella sua prima e personale espressione, cioè in quella complessa psicologia, che noi chiamiamo "il cuore r: se il cuore non è pervaso di questo amore superiore, chrè la carità, come la nostra vita ne potrà dare testimonianza esteriore, concreta e sociale? Questa carità deve avere la sua radice nella vita interiore, nella mentalità, nell'esercizio arduo e soave del sentimento dell'amore del prossimo insegnatoci da Cristo, se deve trovare motivo ragionevole ed energia sufficiente per esplicarsi nell'operosità comunitaria. E nel semplice tentativo di sperimentare se il nostro cuore sia abile e pronto ad "amare il prossimo r, scopriremo quanto sia logico, quanto sia necessario che l'amore verso il prossimo trovi il suo fondamento, la sua sorgente, la sua suprema ragion dressere nell'amore di Dio: di Dio a noi, e di noi a Dio. Chi priva l'amore sociale della sua motivazione religiosa, evangelica, espone l'amore sociale a facile stanchezza, a rinascente opportunismo ed egoismo, quando non sia a degenerazione violenta e passionale. E questo il nostro primo fondamento: la religione, che ci unisce a Dio, rende possibile, urgente, perseverante e fecondo l'amore verso gli uomini, che in molti, moltissimi casi sembrano immeritevoli di tale amore,se questo non è alimentato dall'amore di Dio.

Poi noi domanderemo a noi stessi se questo binomio dell'amore cristiano sia stato, e sia ora operante nella nostra condotta sociale. Dovremo probabilmente rimproverarci di aver peccato, noi tutti, dregoismo, di indifferenza, di pigrizia, di inettitudine timida e conservatrice. E qualunque sia la risposta dovuta alla nostra coscienza a tale proposito, dovremo concludere con una semplice ma grave raccomandazione: dobbiamo amare di più. Si, di più. Perché tale è il comandamento costituzionale del cristianesimo, lo sappiamo; e non dobbiamo dimenticare che la casistica del giudizio finale circa la nostra sorte eterna verterà principalmente sulla carità del prossimo (ricordate? "Io, dice il Cristo, Io avevo fame, Io avevo sete . ..- Mt 25,31 ss.).

E poi perché tale è l'esigenza dei nostri tempi: essi esigono un dinamismo nel bene, nella giustizia, nella carità personalmente e collettivamente esercitata: l'Anno Santo ce lo ricorda e con i carismi della sua religiosità ci stimola, anzi ci abilita a questo rinnovamento cristiano della carità sociale! Conforti memoria e propositi la nostra Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 26 novembre 1975

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Chi ha seguito l'Anno Santo come una scuola rigeneratrice della vita cristiana si sarà accorto della serietà dei temi religiosi, morali e spirituali, che la sua celebrazione porta con sé, per due motivi principali; dapprima per il suo orientamento verso l'essenza, la profondità, l'organicità della vita cristiana stessa, non vista, non celebrata in qualche suo particolare aspetto secondario e esteriore, ma studiata nei suoi principii fondamentali, nei suoi nodi intrinseci e problematici; e perseguita nella sua logica totale, che la congiunge alla coscienza dapprima, e quindi al mondo divino e all'intreccio sociale, in cui essa, la vita cristiana, realmente si trova e si svolge. Ricerca cioè dell'essenza, della realtà del fatto religioso, che cristiani ci definisce. Questo è il primo motivo della serietà del momento spirituale, che chiamiamo Anno Santo. l'altro motivo, che conferisce serietà all'Anno Santo, è la sua tendenza, la sua finalità a stamparsi negli animi come momento decisivo, definitivo, permanente; esso mira a diventare programma, a rettificare il corso futuro dei nostri anni, ad alimentare di idee, di propositi, di grazie la vita successiva, che la Provvidenza ci concede.

Questo diciamo a guisa di prefazione al tema, che oggi proponiamo alla considerazione dei vostri animi aperti ad una forte e severa lezione, che l'Anno Santo ci ha già annunciato con le sue pratiche religiose penitenziali, e che noi oggi condensiamo nel nome doloroso, austero, ma irradiante della Croce. Non possiamo trascurare questo tema; anchresso tema centrale, tema sovrano nel disegno del cristianesimo: la Croce di Cristo.

Come sappiamo, San Paolo ancora ai primi cristiani, reclutati con l'annuncio del Vangelo, la buona novella, e convocati all'appartenenza della società dell'amore, la Chiesa, raccomanda gravemente: "non sia resa vana la Croce di Cristo, non evacuetur Crux Christi" (
1Co 1,17). E osserva come questo tema qualificava di stoltezza la sua predicazione. "Noi annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i Greci" (Ibid. 1Co 1,23 ss.). Ed è questo un fenomeno ricorrente, sia nella storia della Chiesa, sia nella psicologia della vita umana: quello di eludere la presenza della Croce, di togliere dalle leggi della vita il dolore e il sacrificio.

Unrosservazione a questo punto ci sembra capitale: noi sappiamo benissimo che Cristo ci ha redento con la sua Croce, con la sua passione e morte; e siamo disposti a percorrere pii e commossi la Via Crucis, la sua via della Croce; ma non siamo altrettanto disposti ad ammettere che la Croce di Cristo si riflette sulla nostra vita, la quale ne resta segnata non solo per la salvezza che dalla Croce di Cristo scaturisce, ma altresi per l'esempio chressa riverbera sul nostro modo di concepire la vita, e, cio che più è, per la partecipazione chressa reclama da ciascuno di noi, come ancora crinsegna S. Paolo: "Io mi rallegro, egli scrive ai Colossesi (Col 1,24), nelle sofferenze chrio patisco per voi, e completo nella mia carne quello che manca delle sofferenze di Cristo, a vantaggio del corpo suo, che è la Chiesa".

Si, il cristiano deve in qualche forma e in qualche misura portare la Croce del Signore. Innanzi tutto con la comprensione del "mistero della Croce r. Comprensione? diciamo meglio: riflessione, adorazione, amore; non lo potremo mai esplorare a fondo questo mistero, mediante il quale Cristo, agnello, vittima per la nostra salvezza, si è immolato ed ha compiuto la strepitosa metamorfosi, facendo della sua morte principio della sua e della nostra futura risurrezione (Cfr. Ph 2,5 ss.). Ma in questa straordinaria meditazione, noi faremo unraltra scoperta incomparabile, quella della filosofia del dolore; del valore che puo assumere la sofferenza umana, dellll utilità" del nostro patire se congiunto idealmente e cordialmente al patire di Cristo.

Utilità per noi stessi: come disciplina dei disordini ideologici e passionali che ciascuno sperimenta in se stesso (Cfr. Col 3,5 Rm 8,13). E la pedagogia della mortificazione e della penitenza, che deve dare alla nostra arte di vivere l'energia della libertà interiore e dell'autopadronanza, la virile fortezza che ci rende idonei all'esercizio drogni virtù (Cfr. S. THOMAE Summa Thcologiae, I-II 61,3-4 II-II 123,0).

Utilità per gli altri: la croce diventa amore, di servizio, di pazienza, di sacrificio per l'altrui bene. E l'esempio, e l'oblazione, che puo dare anche alla più umile vita la nobiltà e il valore della carità, della santità.

E che di questa nostra "simpatia" per la Croce di Cristo vi sia oggi bisogno ce lo ricorda la tentazione, forse la più aggressiva, del tempo nostro, l'edonismo, cioè il benessere, il divertimento, il piacere, la licenziosità, il vizio, sollevati all'onore abusivo di finalità primarie dell'umana esistenza. Oggi troppi vogliono essere felici non già della felicità della buona coscienza e dell'impegnativo lavoro,ma felici del godimento delle cose e del tempo. Si cerca il facile, il sensibile, il piacevole, l'istintivo, come espressione ideale della vita; e con quali degradanti conseguenze è purtroppo a tutti consentito di vedere.

Che l'Anno Santo ci infonda invece la sapienza, la gioia e la forza di portare in noi la Croce di Cristo.

Con la nostra Apostolica Benedizione.


SALUTI DEL SANTO PADRE

Pellegrini bulgari

Siamo assai lieti di rivolgere ora un particolare saluto ad un gruppo di Sacerdoti, Religiosi e fedeli, provenienti dalla Bulgaria.

Noi consideriamo molto significativa, carissimi figli, la vostra presenza, perché nel quadro veramente universale dell'Anno Giubilare voi aggiungete la nota della testimonianza e della risposta della Comunità Cattolica, che vive nella vostra nobile Terra.

Vi ringraziamo, percio, dell'omaggio che ci rendete, ed auguriamo a ciascuno di voi di ricavare dal pio pellegrinaggio alle Tombe dei Santi Apostoli - alle quali vennero già in spirito di comunione ecclesiale i vostri Padri nella fede, SS. Cirillo e Metodio - non soltanto certezza e coraggio per la propria fede, ma di comunicare, altresi, tale salutare esperienza ai vostri fratelli cristiani.

Come ben ricordate, fu cara la vostra Patria al nostro Predecessore Giovanni XXIII, che vi soggiorno come Delegato Apostolico, lasciandovi l'esempio tuttora vivo della sua amicizia e della sua grande bontà: essa è cara anche a noi, per tanti e particolarissimi motivi, ed è sempre presente nelle nostre preghiere e nelle nostre sollecitudini pastorali, con le sue gioie e le sue preoccupazioni, ed è con questo sentimento che vi impartiamo la nostra Benedizione Apostolica, che volentieri intendiamo far giungere ai Vescovi, al Clero, ai Religiosi e a tutti i Fedeli cattolici in Bulgaria.


Religiose spagnole Figlie di Cristo Re

Una palabra de particular saludo y complacencia para vosotras, Religiosas Hijas de Cristo Rey, reunidas en Roma para celebrar en el marco del Ano Santo el Cincuentenario de la institucion de la fiesta de Cristo Rey, titular de vuestro Instituto.

Sed fieles y vivid en plenitud vuestra vocacion, que os invita a trabajar con entusiasmo, para que el Reinado de Cristo sea una feliz realidad en el individuo, en la familia y en la sociedad. Llevad esa presencia cristiana a vuestras tareas educadoras, siembra eficaz para obtener buenos hijos de la Iglesia y buenos ciudadanos. A vosotras y a todos los miembros de vuestra Congregacion impartimos paternalmente la Bendicion Apostolica.


Dirigenti della Cassa di Risparmio di Zaragoza

Os damos nuestra bienvenida a vosotros, Dirigentes de la Caja de Ahorros de Zaragoza, asi como a vuestras esposas, que os acompanan en esta visita.

Habéis venido a Roma dentro de este Ano Santo, para afianzar en vuestra vida el sentido cristiano. Nos complacemos de ello y os alentamos a orientar a la luz de la fe todas vuestras actividades profesionales, para que sean dignas de cristianos y de la tradicion social que tiene la Institucion que representais. Que la Bendicion Apostolica que os impartimos estimule y confirme vuestros buenos propositos





Mercoledì, 3 dicembre 1975

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Noi siamo presto alla fine dell'Anno Santo. Sorge spontaneo il pensiero della conclusione, non tanto circa i risultati, che sono difficili a calcolarsi, sia nelle statistiche numeriche relative alle persone che vi hanno preso parte, e sia più ancora nei risultati spirituali, di cui questo avvenimento religioso puo essere stato principio, ma quanto all'orientamento generico degli animi di coloro che si sono, in qualche modo, arresi e uniformati all'invito programmatico dell'Anno Santo, nella sua duplice formula di rinnovamento e di riconciliazione. Possiamo semplicemente parlare dei propositi, degli impegni spirituali, che questa celebrazione, durata un anno, eminentemente personale e comunitaria, spera raggiungere nella Chiesa di Dio ed in quanti di essa sentono ed accettano il benefico influsso. In altre parole: che cosa resterà, o meglio: che deve restare nella storia spirituale degli anni successivi al Giubileo del 1975? Noi rispondiamo: un aumento di fede.

La parola "fede" nel linguaggio corrente assume diversi significati. Il primo significato, quello che non implica un preciso contenuto teologico, è quello di religione, o più semplicemente di religiosità. Noi vorremmo, noi auspichiamo che l'Anno Santo abbia risvegliato in molti animi di uomini del nostro tempo, di giovani specialmente, un nuovo, un più intimo, un più coraggioso senso religioso.

Due motivi confortano questa speranza: il primo motivo è dato dalle condizioni spirituali, o meglio antispirituali, in cui la generazione presente, devastata dalla tremenda e quasi inesplicabile esperienza delle guerre e delle conseguenti rivoluzioni, si trova: il disordine di per sé turba gli animi ed acuisce la sensibilità dei mali e dei bisogni presenti, delle forze immediatamente impegnate negli aspetti fenomenici degli avvenimenti; lo scandalo dei mali e dei dolori prementi genera pessimismo; il bisogno di rimedi derivati da fattori materiali e sperimentali orienta la fiducia in senso positivista e materialista; attenua la speranza trascendente, allontana dalla preghiera. La religione comporta l'ordine; l'ordine superiore e cosmico si fonda su Dio e su la sua Provvidenza; sconvolto l'ordine, la religione sembra illusoria, antiscientifica, alienante.

Secondo motivo: una distinzione sistematica, legittima nel suo principio e nel suo metodo, interessa oggi più che mai l'uomo moderno quando autorizza la cultura profana, la scienza specialmente, a svolgersi razionalmente e liberamente, in modo autonomo, "secondo i propri principii r, prescindendo da riferimenti di natura religiosa (Cfr. Gaudium et Spes
GS 59). Questo sta bene. Ma pur troppo questa mentalità ha fatto spesso dimenticare la complessità del mondo conoscibile, e oppugnare l'esistenza drun duplice ordine di conoscenza, quello per via di scienza e quello per via di fede, come ci insegna il Concilio Vaticano primo (Cfr. DENZ-SCHON. DS 3015). Questa mentalità in molti uomini di pensiero e in moltissima gente seguace dell'opinione pubblica è degenerata in negazione religiosa, in materialismo, in secolarismo, in agnosticismo speculativo, in indifferenza spirituale. l'ateismo, da rifiuto passivo della credenza in Dio, è diventato attivo e pugnace fautore della irreligiosità.

Ecco allora: noi speriamo che l'Anno Santo lasci un solco fecondo di religiosità negli animi di coloro che lo hanno fedelmente celebrato e anche di coloro che ne hanno osservato dal di fuori il significativo svolgimento. La religione è ancora viva ed operante. La fede non è contraria alla ragione, al pensiero, alla cultura, alla scienza, al progresso.

Per di più noi pensiamo che questa rinascenza apologetica e polemica del senso religioso abbia oggi unraltra sorgente, spontanea questa, sgorgante dal vuoto, che il materialismo, ateo o liberale, scettico insomma, ha prodotto negli animi di tanti giovani della nuova generazione, delusi fino alla disperazione, del dubbio e del nulla inoculati nei loro spiriti dal secolarismo di moda e dall'ateismo teorico o politico dei nostri giorni. Ed è da questo vuoto doloroso e tenebroso che un gemito sale di follia talvolta, drimplorazione tal altra, di piangente poesia in alcuni più intelligenti e più sofferenti presso a poco cosi: De profundis clamavi . . Dal profondo del mio spirito io ho gridato ... (Ps 129,1).

Non siamo ancora, a questo punto, al livello della fede. Ma siamo alla denuncia del bisogno della fede. Siamo sul piano della disponibilità, della religiosità soggettiva che aspira a diventare religione vera ed oggettiva; siamo alle porte della fede (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-II 81,1).

La quale, si, diciamolo in questa prossima conclusione dell'Anno Santo: la fede è una fortuna, la fortuna della Realtà divina, raggiunta; è una felicità, la felicità della verità (ricordate il gaudium de veritate di S. Agostino (Cfr. S. AUGUSTINI Confessiones, X, 23); è una luce, la luce della Parola di Dio (Cfr. Jn 1,9-12); è una forza, è un conforto, è una vita: la fede nella Parola di Dio è il principio della vera Vita (Rm 1,17).

Ricordiamolo. Con la nostra Apostolica Benedizione.



SALUTI DEL SANTO PADRE

Lavoratori anziani dell'Associazione

Generale Italiana dello Spettacolo ( AGIS)

Tra i gruppi presenti all'udienza vi è quello dell'Associazione Generale Italiana dello Spettacolo (AGIS). Sappiamo che a questo vasto e composito organismo aderiscono numerosi enti che si occupano del mondo dello spettacolo, tra i quali l'Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC).

Vi porgiamo il nostro saluto e vi ringraziamo per questa visita. Voi celebrate il trentesimo anniversario dell'Associazione, e vi accingete a premiare quelli tra di voi che da più lunga data hanno lavorato nelle varie articolazioni di esercizio e di gestione dello spettacolo.

La vostra presenza rievoca nel nostro animo i difficili e delicati problemi che siete chiamati a trattare, e che riguardano anche l'ambito della nostra quotidiana sollecitudine pastorale. Ci permetterete quindi di rivolgervi lrinvito, caldo e pressante, ad essere testimoni convinti di fedeltà e di coerenza verso quei valori che maggiormente hanno bisogno di essere sostenuti e difesi attraverso le varie forme dello spettacolo: intendiamo dire soprattutto i valori morali ed autenticamente culturali, che oggi attraversano - per quasi unanime ammissione - una crisi grave, preoccupante e minacciosa. Ogni altro interesse e finalità devono essere subordinati al primato di questi valori, indispensabili per il bene della società e per il suo retto e ordinato sviluppo.

Anche se non tutto - in questo settore - puo dipendere da quanti si occupano solo dell'esercizio, è pero certo che costoro possono offrire un apporto determinante, affinché il mondo dello spettacolo contribuisca non alla degradazione, ma alla elevazione morale della società.

Quanto più vi impegnerete in tal senso, tanto più sarete benemeriti verso la comunità a cui appartenete.

A tanto noi vi incoraggiamo, e per questo vi impartiamo di cuore la nostra Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 10 dicembre 1975

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Noi pensiamo ancora alle conclusioni spirituali dell'Anno Santo; cioè vogliamo vedere quali novità, quali modifiche, quali aperture (come oggi si dice) deve comportare questo profondo, energico, salutare cambiamento, o meglio: rinnovamento, chrè stata la celebrazione giubilare del 1975. Finito l'Anno Santo, sarà tutto come lprima nella vita consueta di chi si chiama cristiano e che ha partecipato sinceramente a questo momento di alta e intensa spiritualità? Non rimarrà nulla di una cosi originale e impegnativa esperienza? Noi abbiamo già accennato, in unraltra precedente Udienza, alla necessità che la fede abbia negli animi un posto di più rilevante e più operante influsso. La grande parola di S. Paolo: "il giusto vive di fede" (
Rm 1,17) non puo più essere dimenticata, anche in questa veniente generazione, se l'Anno Santo ha significato qualche cosa nella nostra storia contemporanea. La fede, più lucida, più logica, più amata, sta bene; non vrè altro che l'Anno Santo del rinnovamento e della riconciliazione consegna alla Chiesa e alla società, in cui essa convive, per il tempo che viene?

Vrè unraltra conseguenza, unraltra consegna, un altro "ricordo" dell'Anno Santo per il pellegrinaggio nel tempo prossimo venturo del Popolo di Dio. Ci si presenta alla fantasia un paragone banale; ma lo esponiamo, perché forse puo essere facilmente ricordato; ed è questo: noi siamo come viaggiatori in partenza, finito l'Anno Santo; un cammino lungo e scabroso ci attende; non abbiamo altro da mettere nella nostra valigia, per viatico durante il prossimo itinerario? Si, Fratelli e Fedeli; noi dobbiamo fare una provvista di speranza, se vogliamo che i nostri passi possano procedere diretti e vigorosi nella marcia faticosa, che ci attende.

Si, speranza. Se questa virtù non ci sostiene, non è certa la nostra perseveranza; potremmo smarrirci per via; ed è cosi facile, oggi purtroppo. E facile rinunciare agli ideali della vita cristiana, primo, perché sono difficili e lontani; secondo, perché la psicologia dell'uomo moderno è rivolta al conseguimento, anzi al godimento di beni facili e immediati, di beni esteriori e sensibili, più che a quelli interiori e morali. l'edonismo, che sembra avere il sopravvento nella guida di tanta gente del nostro tempo, è di per sé nemico della virtù, che pone il suo oggetto in beni ardui, futuri e di problematico possesso; esso preferisce l'oggi al domani, il piacevole al difficile, il proprio vantaggio all'altrui. E terzo, perché l'opportunismo è di moda. Tante volte anche negli intellettuali, anche nei fedeli, che facilmente, per tante cosi dette "buone ragioni r, tali in realtà non sono. Il successo vicino e proprio prende il posto dell'ideale obbligato a dure resistenze e ad antipatiche posizioni. All'entusiasmo della resistenza, del coraggio, del sacrificio, subentra il calcolo dell'utilità, l'accettazione della moda, la fiducia nella maggioranza, la noia di sostenere la parte druna propria precisa, forte e incomoda personalità; posizioni psicologiche, ed altre simili, che non sanno vivere la speranza. Tanto più, quarta ragione, che il cielo della vera speranza, quella che trascende il confine del tempo, quella religiosa, la nostra specialmente, è totalmente oscurato: non vrè più campo per una speranza, che oltrepassi i limiti del mondo sperimentale attuali; il carpe diem, non ti lasciare sfuggire il momento che passa e la realtà oggi godibile è il grande principio, l'unico precetto, la verità della nostra esistenza, perché, dice questa comune e atroce concezione della vita, altro non crè! E il materialismo, che degrada la vita al livello animale senza trascendenti speranze; è l'agnosticismo, pago della sua miopia e dei suoi irresolubili dubbi. Speranza puo significare molte cose; da quella di chi punta al gioco del lotto, a quella dello studioso che con ascetismo austero si dedica alla ricerca scientifica; eccetera.

Noi, parlando di quella speranza, che riteniamo necessaria per l'aspro cammino della vera nostra vita cristiana, pensiamo alla Weltanschauwzg, alla concezione generale degli umani destini, alla maniera elementare e sapiente del semplice cristiano, il quale, ben sapendo draver conseguito la grande fortuna d'essere discepolo del Vangelo, d'essere membro della Chiesa, d'essere fin d'ora inserito mediante la grazia dello Spirito Santo in un grande piano di salvezza, è convinto che una promessa non illusoria (spes non confundit - Rm 5,5 -), avvolge tutta la sua sorte. Nella visione realistica della fede, base della speranza (He 1,1), tutto un universo circonda il fedele, pellegrino sulla terra e nel tempo, dove la luce, la provvidenza, la bontà di Dio dispiega tesori inestimabili, in parte già fin drora concessi e goduti, in parte, la parte maggiore, promessi a chi se ne rende degno, per grazia sempre divina, e li sa attendere, desiderare e sperare. Alle speranze brevi, incerte e ingannevoli, di chi pensa di costruire un umanesimo pagano e materialista, si sovrappongono, senza distruggere quelle presenti ed umane, le speranze infallibili ed incomparabili del cosmo cristiano, dove la morte stessa, l'ultima e terribile nemica creduta invincibile (Cfr. 1Co 15,26) cede alla Vita vittoriosa di Cristo, a noi solennemente promessa (Cfr. Lumen Gentium LG 48).

Di questa speranza, che si iscrive sopra la sofferenza umana, sopra la fame e la sete di giustizia (Mt 5,6), sopra le nostre tombe, il mondo ha bisogno; noi ne dobbiamo vivere.

l'Anno Santo deve avere riacceso nelle anime questa lampada della speranza cristiana. Portiamola sempre con noi. Con la nostra Benedizione Apostolica.



SALUTI DEL SANTO PADRE

Ai Dirigenti regionali e provinciali dell'Unione Italiana Camere di Commercio dell'Industria, dell'Agricoltura e dell'Artigianato

Un particolare salutoO va ai circa cinquecento Dirigenti regionali e provinciali dell'Unione Italiana Camere di Commercio dell'Industria, dell'Agricoltura e dell'Artigianato, i quali hanno celebrato ieri, col loro Presidente Nazionale, il loro Giubileo e sono ora venuti a questa Udienza. La vostra testimonianza di fede - perché tale è, e tale la consideriamo - ci procura grande soddisfazione : è un segno pubblico delle vostre convinzioni cristiane, e una conferma delle disposizioni con cui volete esercitare la vostra professione. Il Concilio Vaticano II, di cui abbiamo testé ricordato il decimo anniversario, ha appunto chiamato i laici "a cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" esortandoli "a contribuire quasi dall'interno e a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio del proprio ufficio" (Lumen Gentium LG 31); e l'Anno Santo è stato un solenne invito a riconsiderare le responsabilità e le consegne del proprio essere cristiani, per viverle in un rinnovato spirito di dedizione a Dio e ai fratelli. Noi siamo certi che queste grandi lezioni vi trovano non insensibili, anzi generosamente disposti a dare una collaborazione personale e concreta a impegni tanto vitali; e auguriamo che la vostra vita individuale, familiare, professionale sia sempre guidata da questi nobili ideali. La Chiesa lo aspetta; la società ne ha bisogno! Sappiate percio portare, tutti e ciascuno, il vostro contributo personale. Con cuore di padre vi accompagniamo con la nostra Benedizione.


Gruppi di studenti provenienti da varie parti d'Italia

Er una stupenda fioritura di giovinezza quella che si dispiega oggi al nostro sguardo in questrAula delle Udienze, e che, con la sua sola presenza, riempie di gaudio e di speranza il nostro cuore.

Vi salutiamo tutti: voi, novemila studenti di varie città italiane, tra cui è doveroso menzionare i quattromila allievi delle numerose scuole superiori della diocesi di Aversa; e voi, giovani alunni del Collegio di Pubblica Sicurezza di Fermo, figli o orfani di generosi tutori della civile convivenza. E con voi salutiamo il gruppo folcloristico del coro abruzzese di Ortona, che con i suoi costumi caratteristici e col suo canto porta un tono nobilmente popolare a questo incontro.

Giovani carissimi! Che cosa vi ha qui chiamati? La celebrazione dell'Anno Santo, ci potete rispondere con una sola voce. E che cosrè per voi l'Anno Santo? Una cerimonia? Una gita turistica? Una visita culturale di Roma? No, no, ci rispondereste anche qui all'unisono. E qualcosa di più, vero? Di molto di più; di più diverso, di più profondo, di più nuovo: diremo, di più giovane! La celebrazione del Giubileo è un rinnovarsi fin nelle radici del nostro essere profondo, che solo Dio conosce e che forse nemmeno noi stessi riusciamo a capire: pensiamo alla vita di un giovane, con i suoi problemi, i suoi perché, il suo entusiasmo, i suoi slanci, le sue depressioni, le sue crisi. Chi conosce il cuore umano? Dio, si. Soltanto Lui. E allora, voi siete venuti per mettere il vostro cuore nella luce trasparente di Dio: per permearlo della grazia sua, che ci trasforma nell'intimo perché è comunicazione della sua stessa vita, e ci rende - udite che grande cosa ! - addirittura "partecipi della natura divina r: divinae consortes naturae! (2P 1,4) E questo un latino facile e grande, che vorremmo portaste scolpito nel vostro cuore a ricordo di questo pellegrinaggio giubilare.

E allora, se tale e cosi alta è la dignità dell'uomo, dobbiamo far si che essa risplenda sempre davanti ai nostri occhi e a quelli degli altri; dobbiamo far si che essa non si attenui, non si offuschi, o, Dio non voglia, non si deturpi per opera del peccato, elemento di disgregazione e di bruttura nell'armoniosa bellezza del nostro essere di persone, create a immagine di Dio e redente da Cristo, nostro fratello. Per questo l'Anno Santo è e devressere anche per voi un incontro di grazia: per riconciliarvi con Dio, qualora l'aveste offeso con qualche colpa, perdendo l'amicizia con Lui; per rinnovarvi nel profondo, in modo da portare allo scoperto tutte le ricchezze interiori, alimentate dalla grazia, che portate in voi, talora sconosciute a voi stessi: amore a Dio, bontà, generosità, solidarietà con chi soffre, limpidità e purezza, letizia, dirittura, forza dranimo, sacrificio, senso del dovere.

Tutti il Signore vi aspetta a questo traguardo: e sappiate proseguire, nella vostra vita di studenti, di figli, di futuri cittadini, con l'impegno che, qui a Roma, presso il sepolcro di Pietro, presso le memorie dei martiri, avete riscoperto, avete rinnovato.

Noi tutti vi seguiamo con grandissima simpatia, con immensa speranza : l'avvenire della Chiesa e del mondo sta nelle vostre mani. Preparatevi a missione cosi alta ! Non degradatevi mai a compromessi vili con la mentalità corrente del mondo, spesso turpe e vergognosa! Custodite alto e immacolato l'ideale che vi arde nel cuore! Siate sempre di esempio di bontà e di altruismo: a questo proposito, a nome di tutti, ci congratuliamo qui col giovane alunno di III media di una scuola di Bari, vincitore del premio "l'Alunno più buono drItalia" per la cura quotidiana chregli dedica a un coetaneo spastico.

Giovani carissimi! In un grande abbraccio tutti vi benediciamo, insieme con i vostri Vescovi, qui presenti, con i vostri genitori, professori e superiori tutti. Il Signore vi accompagni sempre con la sua grazia!





Mercoledì, 17 dicembre 1975

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l'Anno Santo, si puo dire, è terminato. Non ci resta oramai che l'attesa della chiusura della Porta Santa per sigillare in questo simbolo la memoria della misericordia divina ricevuta, e del programma di vita nuova, che si è formulato nelle nostre coscienze.

Nell'imminenza di questa conclusione noi ci domandiamo qual è il risultato, qual è il senso di questa celebrazione, a cui la Chiesa, per sé e per il mondo, ha attribuito tanta importanza. Non è facile fare la sintesi di questo avvenimento. Ma lasciando al tempo, e confidando agli studiosi di decantare l'esperienza spirituale dell'Anno Santo, noi possiamo, ancora una volta soffermarci, a guisa di riassunto empirico, ma sostanziale del grande fenomeno spettacolare, di cui noi tutti siamo stati partecipi, rilevando che esso è stato un momento eminentemente, anzi esclusivamente religioso. l'Anno Santo non si puo definire né sotto l'aspetto esteriore, turistico, o sociale, o folcloristico, né tanto meno economico, trionfalistico, né sotto l'aspetto interiore, umanistico o ideologico; si definisce semplicemente e globalmente sotto l'aspetto religioso. Le singole persone, le famiglie,, le comitive, i pellegrinaggi che vi hanno preso parte e che lo hanno caratterizzato hanno voluto compiere, comrera prescritto, un atto, uno sforzo, un programma di rinnovamento e di riconciliazione. Queste due parole rimarranno scolpite, noi speriamo, nella coscienza, nella storia di questa generazione. La Chiesa ha pianto, segretamente, ha pregato collettivamente, ha celebrato i suoi riti ed i suoi santi misteri pubblicamente. Ha dato a se stessa, ha manifestato alla società atteggiamenti di spontanea, sincera, profonda religiosità. Questo è saliente, questo è importante. Nell'immenso trambusto della vita contemporanea una lampada, cioè l'affermazione religiosa dell'Anno Santo, si è accesa, ed ha illuminato il panorama della terra; solo le grandi aree dei Paesi refrattari alla luce religiosa, a causa del loro cieco ateismo, sono rimasti (ma forse non del tutto), nella oscurità, nella penombra, pur troppo.

Ora facciamo un passo avanti nella nostra osservazione. Quale senso, quale nome noi daremo al fatto religioso, che stiamo qualificando? Noi l'abbiamo, altra volta, già detto. Il senso generale dell'Anno Santo è quello drun atto di fede; anzi drun atto che integra la fede in un atto di speranza, cioè di attesa di futuri destini, quelli cosi detti escatologici, cioè ultimi, che fin drora noi pregustiamo, ed ora, nella vita quotidiana, che passa e che corre, noi prepariamo in combinazione con misteriosi, ma non ldel tutto ignoti, disegni divini, sovrastanti la fluida storia umana, corrente alla foce druna apocalittica eternità. La religione ancora srimpone; e più che mai si dimostra come il complemento necessario e felice, che riempie il vuoto, cioè il bisogno spirituale dell'umanità, crescente proprio in funzione del suo progresso nella cultura e nella conquista del mondo.

Oh! per rifarci ad una campana fessa, chrè falsamente risuonata nel nostro tempo, noi diremo, terminando gaudiosamente il nostro Anno Santo: "Dio non è morto r! Dio è più sfolgorante che mai sul cielo nuvoloso del nostro tempo. La nostra religione svela la verità, il senso della vita; la nostra religione le conferisce, con le sue speranze, il suo vero valore, la sua provvida ragione di viverla coraggiosamente in onestà, ed in pienezza . . . E poi la suprema parola! Ditela voi, se l'avete scoperta compiendo le umili osservanze dell'Anno Santo. La parola più esaltata e più profonda; la parola, che riferita al suo supremo ed autentico significato tutto comprende e tutto spiega; la parola "Amore r: Dio è Amore! Questa è la rivelazione ineffabile, di cui il Giubileo, con la sua pedagogia, con la sua indulgenza, col suo perdono e finalmente con la sua pace, piena di lacrime e di gioia, ci ha voluto riempire lo spirito oggi, e sempre la vita domani: Dio è Amore! Dio mi ama! Dio mi aspettava ed io l'ho ritrovato! Dio è misericordia! Dio è perdono! Dio è salvezza! Dio, si, Dio è la vita! (Cfr.
1Jn 4,16)

E poiché Dio è per se stesso oggetto infinito di Amore ed è Amore verso di noi, e Lui ci ha amati per primo (Cfr. Jr 31,3 1Jn 4,10; S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo, II, 9), noi abbiamo inesauribile motivo per comprendere e per adempiere il precetto fondamentale del Vangelo, quello di amare noi pure Iddio, e "di amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente" (Mt 22,37).

Noi sappiamo che questo vertice inesprimibile ci dovrebbe mettere in estasi, come lo furono tanti Santi, e come lo sono silenziosamente tante anime pure e pie; ma è per noi, figli della terra e del tempo, appena possibile sapere che cosi è: Si, Dio è Amore! Ma godere di questa a noi regalata verità è tuttora difficile; ricadiamo subito nel cerchio immediato della nostra umana, sensibile e logica esperienza; come potremo rimanere sospesi nella contemplazione di questa abbagliante Realtà?

O Fratelli e Figli! noi qui sospendiamo il discorso, e concludiamo le meditazioni dell'Anno Santo, non senza una duplice, solenne raccomandazione. Questa è la prima: rifatevi una conoscenza più piena, più amorosa di Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella teologia della Chiesa, nella spiritualità dei Santi, sempre ricordando quella sua parola-chiave, che ci consente l'ascensione dalla conoscenza di Cristo alla iniziazione verso la conoscenza di Dio, il Padre nostro, che sta nel mistero dei cieli. Disse infatti Gesù: "chi vede me, vede anche il Padre" (Jn 14,9). Questa è la scala teologica per i sapienti e per i mistici; questo è il sentiero accessibile anche ai piccoli e agli umili (Mt 11,25); questa è la via, che conduce alla verità e alla vita (Jn 14,6).

E l'altra raccomandazione complementare è ancora più accessibile alla nostra comune professione religiosa, concreta ed umana: amate i Fratelli! amate gli uomini, che hanno bisogno del vostro amore e del vostro servizio! (Cfr. 2Jn 4,19-21) Sarà la carità fraterna e sociale, ravvivata, moltiplicata nelle opere di bene, che non solo documenterà il nostro fedele impegno all'Anno Santo, ma ne dimostrerà la fecondità e l'attualità anche negli anni avvenire (Cfr. messaggio della C.E.I., 15 dicembre 1975).

Con la nostra Benedizione Apostolica.


SALUTI DEL SANTO PADRE

Ai pellegrini del Lesotho

Our special welcome to the distinguished group from Lesotho. We are deeply pleased that your country is represented here today. Take our greetings back to your families and te11 everyone of our love and esteem in the Lord. And may the blessings of the Holy Year be on Lesotho for ever.

Ai Vigili Urbani drItalia

l'Anno Santo, ormai al suo termine, ci riserba davvero continue occasioni di incontri a tu per tu con i gruppi più straordinari, che ci dicono una volta di più come il richiamo del Giubileo, secondo quanto era nelle nostre intenzioni, operi a fondo nel cuore degli uomini di buona volontà. E cosi oggi abbiamo la grande gioia di incontrarci con voi, Vigili Urbani drItalia, per i quali abbiam voluto destinare questrAula delle Udienze anche per sottolineare l'importanza e il significato che attribuiamo alla vostra venuta.

Benvenuti! Vi salutiamo tutti di gran cuore, pensando al contributo che voi portate, col vostro impegno e col vostro sacrificio, all'ordinato svolgimento della vita civile. Salutiamo con voi le famiglie carissime, che vi hanno accompagnati, in questo viaggio di fede, di letizia, di penitenza e di rinnovamento. E siamo assai grati all'Associazione Nazionale Comandanti e Ufficiali dei Corpi di Polizia Municipale, all'Associazione Sportiva Polizie Municipali drItalia, nonché all'l International Police Association" - Sezione Italia n per aver avuto l'idea e collaborato alla realizzazione di questo magnifico pellegrinaggio.

Noi siamo certi che avete compiuto con serietà di uomini e di cristiani un atto cosi importante, a cui avete partecipato - e pensiamo alle città da cui venite, specie alle più lontane n certamente con qualche sacrificio gravoso, con qualche disagio particolare che ne renderà più meritorio il frutto. Effettivamente è una grande occasione, quella che la Chiesa ha offerto con la celebrazione dell'Anno Santo e col dono di una più grande grazia. Come scrivevamo nella Bolla di indizione del Giubileo, questo dono dell'Indulgenza è dato da essa "a tutti i fedeli che, per profonda conversione dell'anima a Dio, mediante le opere di penitenza, di pietà e di fraterna solidarietà, sinceramente, fervorosamente attestano la loro volontà di rimanere, anzi di progredire nella carità verso Dio e i fratelli" (Apostolorum Limina, 11: AAS 66, 1974, p. 294). Come ben vedete, non è solo un atto esteriore, sia pur scomodo e inconsueto; è qualcosa di ben profondo, che investe tutto l'essere, la persona, la coscienza: si tratta di mettere ordine nella propria vita, ristabilendo i giusti rapporti con Dio nell'osservanza fedele della sua legge, e i giusti rapporti con i fratelli, nella carità e nello spirito costruttivo e comunitario. Mettere ordine: e chi meglio di voi puo comprendere questa parola, se il vostro quotidiano dovere, talora tanto arduo, è proprio quello di garantire lrordine civico nelle sue varie forme di convivenza ordinata, di rispetto delle leggi, di regolamentazione del traffico, della sorveglianza, eccetera? Si tratta di cose molto importanti: voi sapete quanto lo siano, e quanto grande lrimpegno che richiedono, l'assillo che procurano. Cosi, per similitudine, e su scala tanto più alta e significativa, è l'ordine che dobbiamo mettere e mantenere nella nostra vita: nei suoi segreti più riposti, nei suoi riferimenti a Dio, nelle sue norme morali, affinché aspirazioni e desideri verso tutto cio che è grande, bello, buono, vero - cioè verso Dio - siano un vero patrimonio da custodire e da trasmettere.

Vi auguriamo che tale sia il frutto del vostro Giubileo romano, da tramandare con unresperienza unica ai vostri figli, e poi ai nipoti, e a quanti incontrerete nella vita. Cosi preghiamo per voi, per il vostro lavoro, per i vostri Colleghi che, rimanendo al loro posto, vi hanno permesso di venire a Roma. Tutti abbracciamo col nostro saluto e col nostro cuore, e tutti benediciamo, nel nome del Signore.

Al Coro dell'Accademia di Santa Cecilia

Accogliamo anche con paterna benevolenza i membri del Coro romano dell'Accademia di Santa Cecilia. Avete voluto compiere il gesto penitenziale del Giubileo, e questo ci procura viva soddisfazione. Auspichiamo che tale sosta di spirituale rinnovamento e riconciliazione sia per voi un vero ritorno alle sorgenti, unroccasione per purificare costantemente la vita, per elevarla, per nobilitarla con i valori più alti della fedeltà alla Legge di Dio e della sua Chiesa. l'arte musicale, della quale siete interpreti ammirati, vi puo essere di valido aiuto in questo sforzo ascensionale, perché, più che ogni altra espressione artistica, è nobile e spirituale, e, più di ogni altra, strumento di raffinamento della mente e del cuore, e percio di elevazione verso Colui che è l'armonia perfetta perché è bontà, verità e bellezza suprema. Coltivate in voi alti sentimenti umani e cristiani, siate di esempio e di edificazione, trafficate bene i talenti che il Signore vi ha dati!

Noi preghiamo per voi, affinché questo sia il frutto del vostro Giubileo; e tutti vi benediciamo, unitamente ai vostri familiari.






Paolo VI Catechesi 19115