Paolo VI Catechesi 14776

Mercoledì, 14 luglio 1976

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Noi dicevamo, e noi ripetiamo riprendendo un discorso che noi giudichiamo fondamentale, programmatico per la vita cristiana, specialmente nel nostro tempo: bisogna costruire la Chiesa. Sì, questo edificio, che significa il disegno religioso per l’umanità, l’ordine spirituale dell’uomo singolo, e degli uomini socialmente considerati, l’organizzazione d’una società in cui si realizza il pensiero di Dio sul mondo umano, il suo piano circa i nostri veri ed operanti rapporti con la Divinità, il suo amoroso progetto relativo alla nostra salvezza, la Chiesa, ripetiamo, deve essere costruita, nel secolo presente, nella storia che stiamo vivendo.

Costruire la Chiesa! tenendo presenti alcune cose molto importanti. Innanzi tutto che si tratta d’un’operazione effettivamente non nostra, ma di Cristo; di Cristo stesso. Egli ha detto: «Io costruirò la mia Chiesa» (
Mt 16,18). Egli è l’Artefice; Egli è l’operatore; in un certo senso, l’unico costruttore. Si tratta d’un’operazione la cui vera causa è Lui stesso. Da Lui dipende l’opera che vogliamo vedere sorgere; è opera sua, è opera divina. Noi, chiamati nel cantiere dei divini disegni, noi siamo dei collaboratori. «Noi siamo - dice S. Paolo – i collaboratori di Dio» (1Co 3,9); siamo cause seconde nella grande esecuzione dell’opera che ha Dio, che ha Cristo, per causa prima; siamo ministri, siamo strumenti; siamo piuttosto nell’ordine della condizionalità che in quello della causalità: questione teologica questa che ha affaticato i più grandi pensatori, come S. Agostino (Cfr. S. AUGUSTINI De gratia Christi, 26: PL X, 374); a noi basti ora ricordare S. Paolo: «Che cosa mai possiedi tu, che non l’abbia ricevuto?» (1Co 4,7). Ma questa dottrina, ricordiamolo, non diminuisce la nostra responsabilità, né toglie il merito alle nostre opere; e, nel tema che ora stiamo considerando, conferisce all’opera nostra ministeriale una grande dignità per essere collaboratrice di quella divina, né vanifica la necessità dello sforzo umano, che anzi esso risulta reclamato fino al dono totale di sé dall’impegno stesso della sua partecipazione all’opera della grazia (Cfr. 2Co 12,9).

La seconda cosa da notare è che per noi si tratta non già di costruire la Chiesa, quanto di ricostruire, a meno che non ci consideriamo in campo missionario, dove l’impianto, la plantatio della Chiesa deve cominciare dal primo annuncio del Vangelo (Cfr. Ad Gentes AGD 3). Ma noi, nei paesi di antica formazione cristiana, dobbiamo avere una attenta coscienza d’un fattore indispensabile nella questione della costruzione della Chiesa, ed è la tradizione, è il lavoro compiuto nei secoli da chi nell’edificazione della Chiesa, ci ha preceduti. Noi siamo degli eredi, noi siamo dei continuatori d’un’opera precedente; noi dobbiamo avere il senso della storia, e formare in noi lo spirito di fedeltà, umile e fortunata per quanto i secoli passati ci hanno tramandato di vivo e di autentico nella formazione del corpo mistico di Cristo. Dobbiamo guardarci dall’incoscienza dello spirito rivoluzionario proprio di tanta gente del nostro tempo, la quale tutto ignora o vuol ignorare del lavoro compiuto dalle precedenti generazioni, e crede di poter iniziare l’opera salvatrice dell’umanità ripudiando tutto quanto l’esperienza, convalidata da un magistero di coerenza e di autenticità, ci ha conservato, e ricominciando da zero l’impresa d’una nuova civiltà. Noi siamo saggiamente conservatori e continuatori, e non dobbiamo temere che questa duplice qualifica, rettamente intesa, privi l’opera attuale della sua vivacità e della sua genialità. L’opera da compiere, nella costruzione della Chiesa, specialmente nel campo spirituale e pastorale, è sempre nuova, è sempre al principio.

E finalmente una terza cosa, la più importante, noi dovremo ricordare quando ci proponiamo di costruire la Chiesa, e cioè il fondamento sul quale la costruzione riposa e deve sorgere; e questo fondamento è la fede, la fede in Gesù Cristo. «Voi siete - scrive ancora S. Paolo - l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto, io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello già posto, che è Gesù Cristo» (1Co 3,10-12). Questo l’Apostolo scriveva ai Corinti; ai Romani poi insegnava, aprendo la via della teologia cristiana: «sta scritto: il giusto vivrà mediante la fede» (Rm 1,17; cfr. Rm 3,22). Vivrà traendo dalla fede il principio della salvezza, della giustificazione; principio oggettivo, come dono di Dio; e principio soggettivo, come accettazione del dono della fede (Cfr. CONC. TRID. Sessio VI, 7: DENZ.-SCHÖN., DS 1528 ss.). I termini di questa dottrina sono così chiaramente enunciati; ma il processo ontologico della fede, cioè del dono divino, e il processo morale e psicologico, cioè umano, per cui la fede prende possesso dell’anima e ne ispira l’azione, e ne informa la vita, rimane il grande capitolo della nostra dottrina religiosa, capitolo immenso, stupendo, drammatico, sul quale si fonda l’edificio che vogliamo costruire, la Chiesa; o meglio l’edificio in cui noi troveremo la luce, la pace, la forza d’essere cristiani.

La fede, ricordiamo, è la base; la fede di Pietro, che per divina ispirazione rispose a Gesù: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Ricordiamo; con la nostra Benedizione Apostolica.



Alle Suore di ottanta istituti aderenti al Movimento dei Focolari

Con sentimenti di paterna compiacenza porgiamo ora il nostro saluto al folto gruppo di Religiose di 80 Congregazioni diverse, le quali, provenendo da 20 Nazioni dei cinque continenti, si sono raccolte al Centro Mariapoli di Rocca di Papa per il Congresso Internazionale indetto per loro dal «Movimento dei Focolari», al quale esse aderiscono.

Scopo del vostro Congresso, Figlie carissime, è di approfondire la conoscenza e l’unità con i vostri rispettivi Fondatori, nel clima di fraterna carità, proprio del Movimento dei Focolari. Ci sembra, questa, mèta degna di essere perseguita con impegno. Ognuna di voi, infatti, da una migliore conoscenza delle scaturigini spirituali della propria Congregazione e da un amorevole confronto con i carismi specifici delle altre Congregazioni potrà trarre, da una parte, una più viva coscienza della propria autentica originalità e, dall’altra, l’apprezzamento riconoscente della ricchezza inesauribile dello Spirito, che profonde nella Chiesa l’abbondanza dei suoi doni, suscitando una meravigliosa varietà di risposte, a manifestazione della «multiforme sapienza di Dio» (Cfr. Ep 3,10).

Potranno servirvi di guida, per la riflessione che condurrete in tale linea nei prossimi giorni, le parole del Principe degli Apostoli, del quale continuiamo per volontà del Signore il ministero di unità: «Da bravi amministratori della multiforme grazia di Dio, ognuno di voi mette a servizio degli altri il suo dono secondo che lo ha ricevuto» (1P 4,10).

In auspicio di ogni desiderata grazia celeste sui generosi propositi che vi animano, vi impartiamo di cuore una speciale Benedizione.

Al piccolo gruppo di bambini e bambine di Castelnuovo del Friuli, villaggio colpito dal terremoto, che stanno trascorrendo un periodo di vacanza a cura della sezione femminile della Croce Rossa Italiana della provincia di Latina

Ci sta particolarmente a cuore, quest’oggi, accogliere e salutare un piccolo gruppo di bambini e di bambine, provenienti da Castelnuovo del Friuli, i quali, su invito della sezione femminile della Croce Rossa Italiana di Latina, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in riva al mar Tirreno, sul bel litorale di Fondi.

Vogliamo elogiare, innanzitutto, questa iniziativa, che ben corrisponde alle tante e più vaste opere che la Croce Rossa promuove sempre laddove c’è bisogno di assistenza e di soccorso. Ma desideriamo ancor più rivolgere il nostro compiacimento ed augurio a voi, cari fanciulli, che riportate al nostro spirito le immagini drammatiche della vostra nobile terra, sconvolta, circa due mesi fa, dal terribile sisma, e la visione dolente, eppur fiera e serena, della forte Gente Friulana! E voi, prima e forse più acutamente degli adulti, avete avvertito i pericoli, le rovine ed i lutti di tale evento, maturando precocemente un’amara esperienza del dolore. Per questo, la nostra parola per voi vuol essere di incoraggiamento e conforto, mentre vi esortiamo a guardare fiduciosi alla vita, su cui aleggia il sorriso di Dio, nostro Padre.

Son sentimenti, questi, che ci piace estendere a tutti i vostri coetanei ed amici, che sono rimasti lassù e sono da voi rappresentati. Ad essi, anzi, quando li rivedrete al ritorno, noi vi incarichiamo di portare la Benedizione Apostolica, che ora impartiamo a voi, ai vostri genitori ed a coloro che generosamente vi hanno ospitato e vi assistono.

Ai chierichetti del Preseminario «San Pio X»

Un affettuoso saluto desideriamo rivolgere anche ai chierichetti del Preseminario «San Pio X», i quali svolgono in questo periodo il servizio liturgico presso la Basilica Vaticana.

Siate i benvenuti, carissimi figliuoli! Vogliamo dirvi tutta la nostra letizia per la vostra presenza e il nostro plauso per l’impegno che dimostrate nelle sacre funzioni. Avvicinandovi all’altare di Gesù, ascoltate e meditate le sue parole, il suo insegnamento; ricevendolo nell’Eucaristia alimentate di Lui la vostra vita, per essere buoni, generosi, puri.

Con questi voti vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione, che estendiamo ai vostri Superiori, ai genitori e a tutte le persone che vi sono care.


Mercoledì, 21 luglio 1976

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Costruire la Chiesa, noi dicevamo altra volta, è il grande dovere di noi credenti, del nostro tempo, di questo nostro tempo, nel quale noi tutti speriamo che si plachino le tuttora residue conseguenze belliche e psicologiche dei tremendi conflitti che in questo secolo hanno insanguinato la terra ed esacerbato i suoi popoli; ed insieme speriamo che abbiano a comporsi in nuove formule di rapporti giusti e pacifici i dissensi sociali che agitano l’umano consorzio. In questo quadro, che auspichiamo rappacificato, del mondo temporale: costruire la Chiesa, cioè dare consistenza e efficienza spirituale e benefica al piano umano-divino della salvezza e della fraternità, iniziato da Cristo e da Lui perennemente promosso fra le alterne vicende della storia, nel corso dei secoli fino a questo nostro secolo presente, che da un lato, per alcuni, porta i segni d’una fatale decadenza religiosa, dall’altro, rivela ancora meglio la virtù profetica del cristianesimo in ordine alla civiltà moderna. Per noi, l’erediti del recente Concilio ci conforta alla speranza e ci obbliga all’operosità.

Costruire la Chiesa, in due sensi, quello cioè di ricostruire quella Chiesa, di cui abbiamo ricevuto un’eredità ricchissima, ma tanto bisognosa di purificazione secondo lo spirito del Vangelo (quanti stimoli in questo senso ci vengono dall’esperienza morale del pensiero contemporaneo!), e di restauro specialmente in ordine ai valori religiosi, di cui il mondo oggi va perdendo la stima e la fortuna, ed ha invece tanto bisogno. E poi in un secondo senso che rivolge all’avvenire, più che al passato, lo sguardo; e si propone di continuare, di rinnovare anche, con fedeltà tradizionale, l’antica costruzione, e di darle sviluppi nuovi e conformi alle sue esigenze storiche e costituzionali. Ed ecco allora che una formidabile domanda si pone agli animi di tutti: la Chiesa; ma che cosa è la Chiesa? perché sotto questo nome molte, moltissime cose diverse possono essere significate a causa dell’esperienza storico-culturale, sociale, di cui quel «regno di Dio», predicato da Cristo nel quadro evangelico, fu effetto e causa ad un tempo, obbligando la coscienza degli uomini del nostro tempo a rinnovare nel pensiero e nell’opera il concetto, il vero concetto essenziale e vitale di quella Chiesa, che diciamo di voler costruire, ricostruire ed esprimere in nuovo coerente edificio.

Che cosa è la Chiesa? la domanda si fa pungente anche per le opinioni molteplici, e aberranti non poche, che ci dànno della Chiesa connotati incerti e arbitrari. Per nostra fortuna, una fortuna regalataci dalla Provvidenza, intorno a questa questione - che cosa è la Chiesa? - gravita la dottrina del recente Concilio, il quale appunto ha presentato in limpido specchio alla Chiesa stessa il suo volto, ed in quadro certamente nobile e interessante, comunque sia considerato, lo ha fatto vedere anche al mondo profano. La Ecclesiologia è il capitolo d’attualità della teologia.

Ne abbiamo una prova anche da un documento di alto valore, pubblicato recentemente dall’Episcopato Lombardo (novembre 1975), nel quale documento si esprime appunto il bisogno di fissare a noi stessi il profilo teologico della Chiesa. Dice l’Episcopato Lombardo: «Il Concilio Vaticano II ci ha diffusamente spiegato che cosa è la Chiesa, e noi rimandiamo alla sua ammirabile dottrina. Tuttavia ci sembra utile riproporre qui qualche linea essenziale. La Chiesa - secondo l’insegnamento del Concilio - è il mistero di comunione degli uomini con Dio Padre e tra loro, per opera di Cristo, nello Spirito Santo. In altre parole essa è il Popolo di Dio che l’eterno Padre raduna da ogni stirpe umana, da ogni luogo della terra e da ogni secolo della storia; che il Signore Gesù redime con la sua morte e la sua risurrezione; che lo Spirito Santo ammaestra con la luce interiore, santifica con la grazia, unifica con la fede, la speranza e la carità, e guida mediante il ministero visibile di coloro che sono stati proposti a pascere il gregge dei riconciliati dal Sangue di Cristo» (Cfr.
Ac 20,28).

Non faremo ora una lezione dottrinale. Ci basti riaffermare quell’idea, quel proposito, che guida il nostro discorso: costruire la Chiesa. Donde una seconda domanda fondamentale: come si può costruire? dicevamo nell’udienza della scorsa settimana: si può, si deve costruire sulla fede, come Cristo stesso insegnò, proclamando il nome dell’Apostolo essere quello di Pietro, e insieme elogiandone la professione di fede. Insistiamo: con quale forza potremo costruire? Risposta: con la forza dell’amore. Solo chi ama la Chiesa la può costruire. Cioè edificare, vivificare. E sotto questo aspetto è Cristo stesso, che si pone ad esempio: Christus dilexit Ecclesiam (Ep 5,25), Cristo amò la Chiesa, scrive S. Paolo, e sacrificò se stesso per lei. L’amore assume l’espressione e la misura più alta: quella del sacrificio. «Nessuno ha un amore più grande di questo, - così infatti parla Gesù -, dare la vita per i propri amici» (Jn 15,13).

Non è forse l’amore che sostiene i Pastori? (Cfr. Ibid. Jn 10,11 Jn 21,15 ss.) Non è l’amore, il dono di sé, alla radice delle vocazioni? non è l’amore che spinge i missionari in terre inospitali e lontane? (2Co 5,14) non è l’amore che rende concordi e attive le comunità ecclesiali? (Cfr. Jn 13,34)

Costruire la Chiesa per amore, nell’amore; questa sia la nostra forza.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai religiosi brasiliani che hanno tenuto il Capitolo Generale

Abbiamo il piacere di rivolgere il nostro affettuoso saluto al nuovo Superiore Generale, al Consiglio Generalizio neo eletto, agli altri membri dell’Ordine Basiliano di San Giosafat, riuniti in questi giorni in Roma per il loro Capitolo Generale.

Ci è ben nota, carissimi figli, la vostra famiglia: la più numerosa tra gli Ordini di rito orientale. Tra l’altro, abbiamo nell’Urbe, sin dal 1902, il Pontificio Seminario di San Giosafat diretto dai Padri Basiliani. Conosciamo il vostro programma di vita: vi sappiamo intenti nella preghiera, nello studio, nel lavoro; impegnati in generoso servizio alla Chiesa, specialmente in località e in circostanze che rendono maggiormente meritorio il vostro intervento: e sappiamo quanto sia urgente anche nel vostro cuore l’auspicato ritorno dei fratelli orientali all’unità cattolica.

Nel darvi atto, con paterna soddisfazione, della vostra attività e del vostro attaccamento alla Sede Apostolica, ci diciamo sicuri che nel clima di rinnovamento desiderato dal Concilio Vaticano II, dedicherete le vostre assemblee capitolari all’esame dei problemi più importanti dell’ora presente, al solo fine d’imprimere al vostro benemerito Istituto un tono di sempre più profonda e qualificata vita religiosa e missionaria.

Con tale auspicio v’impartiamo di cuore la nostra Benedizione Apostolica che volentieri estendiamo all’intero Ordine Basiliano di San Giosafat.

Ai bambini provenienti dalla martoriata terra della Carnia

Accogliamo con particolare affetto - e invitiamo tutti i presenti a unirsi a Noi nel saluto! - i novantatré bambini del martoriato Friuli, provenienti da nove Comuni della Carnia, temporaneamente ospiti del Consorzio Provinciale dei Patronati Scolastici, di Latina.

Carissimi ragazzi! Non abbiamo certo bisogno di ripeterlo: ma, sappiatelo sempre, voi avete un posto particolare nel nostro cuore e nel nostro pensiero. Vorremmo avere maggior tempo per soffermarci con voi, a uno a uno; per guardarvi negli occhi che hanno visto forse drammi che non dimenticherete mai più; per domandarvi notizie di voi, delle vostre famiglie, dei vostri dolci paesi natii, colpiti da tanta calamità e ora coraggiosamente protesi nello sforzo della ricostruzione.

Siamo certi che il periodo di vacanza, di cui godete per interessamento dell’Amministrazione Provinciale di Latina, sarà per voi fonte di serenità per lo spirito, e di ristoro per le forze fisiche, provate dalla traumatica esperienza che avete vissuto. Ve lo auguriamo davvero, e preghiamo per voi il Signore, affinché vi accompagni sempre nella vita che vi attende, piena di fatiche e di asprezze, ma certamente di consolazioni e di conquiste. E per vostro mezzo mandiamo un saluto particolarmente affettuoso ai vostri cari, ai vostri coetanei, a quanti sono rimasti lassù, a penare, a tener duro, a lottare contro l’inesorabile sorte perché sia restituito presto ai vostri Comuni il volto degno di una convivenza umana e civile.

Al tempo stesso, ci sembrerebbe di mancare a un grave dovere se, cogliendo l’occasione da codesta graditissima e commovente visita, non elevassimo alto e fermo il nostro paterno invito ai responsabili, affinché facciano il possibile e l’impossibile, con tutti i mezzi a loro disposizione, per avviare coraggiosamente verso la piena risurrezione quei centri e villaggi che la forza cieca della natura ha distrutto o danneggiato terribilmente. Sappiamo che le iniziative di solidarietà continuano: e anche questa della Provincia di Latina è una prova della buona volontà in atto; ma occorre, ora più che mai, pensare all’immediato futuro di quelle forti popolazioni, pazienti, silenziose, che soffrono con tanta dignità e compostezza le loro indicibili privazioni, provvedere ai servizi essenziali, sostenere le loro iniziative, e soprattutto ridare fiducia e speranza con provvedimenti tempestivi, sapienti, efficaci.

La presenza di questi ragazzi richiama a tutti l’esistenza di quei gravi problemi, che non si possono differire. La comunità italiana e i suoi responsabili sappiano prevedere e provvedere!

Noi lo auguriamo di cuore, mentre ci è caro impartire a voi, qui presenti, a quanti si sono presi tanta cura del vostro bene, e a tutti gli abitanti della nobile e generosa terra friulana, la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Ai pellegrini dell’Arcidiocesi di Malta, diretti a Lourdes

Diamo il nostro cordiale benvenuto al folto gruppo di infermi provenienti dall’Isola di Malta, i quali guidati da Monsignor Joseph Mercieca, Vescovo Ausiliare di quell’Arcidiocesi, e diretti al Santuario Mariano di Lourdes, hanno manifestato il desiderio d’incontrarci in questa sosta del loro viaggio.

Vi siamo riconoscenti, carissimi figli, per questo pensiero e vi diciamo tutto il nostro affetto.

Sui vostri volti sono impressi in maniera contrastante il segno della sofferenza e la luce della fede e della speranza: voi esprimete, sì, il dolore sofferto; ma irradiate molto di più la luce del conforto di Dio, Padre misericordioso e infinitamente buono. Sì, diletti figli, abbandonatevi sempre a Lui. Se il Signore permette l’inazione del corpo, rende assai più vigilante lo spirito nell’accettazione e nel compimento gioioso del suo volere; anzi trasforma la sofferenza in uno strumento di purificazione e di propiziazione per i peccati del mondo. È questo il principio che rende feconda e, pertanto preziosa la vostra testimonianza cristiana.

Con questa attitudine interiore andate, fidenti, incontro a Cristo e a Maria alla «Grotta» di Massabielle. Noi vi accompagneremo nel vostro viaggio con la nostra preghiera, mentre avvaloriamo i nostri paterni voti con la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Ai 500 Congressisti del Movimento GEN

Abbiamo il piacere di accogliere stamane un folto gruppo di giovani che, per la periodicità e la frequenza con cui vengono a farci visita, si presentano quasi ad un incontro tradizionale e perciò più gradito. Essi appartengono al Movimento GEN, a quella «generazione nuova» che non soltanto per ragioni anagrafiche, né perché questo è il preciso significato della sigla, ma per meditata convinzione intende affermare nella vita personale ed irradiare all’intorno, nella società, un ideale di spirituale, fresco, autentico rinnovamento.

Convenuti da varie parti d’Italia, vi trovate ora presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa per l’annuale Congresso. E sappiamo che vi siete applicati ad approfondire una misteriosa e profetica parola evangelica : «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). Noi vi esortiamo a fare questo studio, per avere sempre una chiara coscienza della singolare e consolante presenza di Gesù, il quale con la sua grazia prende dimora, amico e fratello, nell’anima e la rende tempio vivo di Dio (Cfr. Jn 14,20-23 Jn 15,4-7; etc.). Ma vogliamo dire qualcosa di più: cercate di mettere in rapporto questo tema, di per sé inesauribile, con l’ideale di rinnovamento, ch’è la vostra divisa. Non è forse vero che ogni cambiamento, in bene o in male, parte dal di dentro? Ora, se al di dentro c’è Cristo Gesù, sarà egli la sorgente segreta, la forza stimolatrice del positivo cambiamento che, in coerenza di intendimenti ed in fervore di opere, dia l’esatta misura della vostra professione cristiana.

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 28 luglio 1976

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Noi riprendiamo il tema, di cui abbiamo già precedentemente parlato, e cioè: «costruire la Chiesa»; bisogna che quanti sono seguaci di Cristo, nella fede e nella carità, facciano proprio il programma proprio di Lui, Cristo, che disse a Pietro: «Io costruirò la mia Chiesa» (
Mt 16,18).

Su tema di tanta ampiezza e di tanta importanza a noi basterà in questo elementare colloquio con voi, visitatori carissimi, accennare alla necessità di ristabilire in chiarezza il senso di questa parola fondamentale e, nell’uso che se ne è fatto, polivalente: che cosa significa Chiesa nel pensiero di Cristo? È da notare che questa parola «Chiesa», già usata qualche volta nell’Antico Testamento (Cfr. Dt 9,10 etc.), ricorre tre volte nei Vangeli (Mt 16,18 Mt 18,17 Mt 18,17 bis.); ma gli studiosi del Nuovo Testamento la ritrovano ventitré volte negli Atti degli Apostoli, sessantaquattro volte nelle Lettere di S. Paolo; ricorre poi anche in altri testi apostolici e in molti anche della prima Tradizione (S. IGNATII ANTIOCHENI Ad Smyrnaeos, 8: dove appare per la prima volta l’espressione «catholica ecclesia».). E significa: assemblea, riunione, adunata, in ordine a qualche atto religioso; ed acquista il senso di comunità, spesso usato per indicare la comunità locale (Cfr. 1Co 1,2 Rm 16,1 Ap 1,4), o collettiva domestica (Rm 16,5 Col 4,15 etc. ). La Chiesa è l’espressione sociale del «regno di Dio»; del «corpo mistico» di Cristo, di cui Egli è il Capo (Ep 1,22-23 Col 1,17 Col 2,17), pienezza di Cristo (Ep 1,23); la Sposa di Cristo (Ibid. 5, 25); e così via. Troviamo nel Concilio un elenco di immagini varie, nelle quali si può ravvisare il significato molteplice del termine «Chiesa» (Cfr. Lumen Gentium LG 6). Noi fermiamoci al simbolo già accennato, scelto da Cristo, quello di edificio di Dio, edificato da lui stesso: «edificherò la mia Chiesa».

Dei aedificatio estis (Cfr. 1Co 3,9), voi siete l’edificio di Dio, sentenzia S. Paolo, nella cui espressione, eco del pensiero del Signore, alcuni concetti costituzionali della Chiesa sono espressi, quello dell’origine divina del mistico edificio, del suo incremento parimente divino; della sua composizione umana e sociale; della sua intima e strutturale adesione (Cfr. L. CERFAUX, La Théologie de l’Eglise, suivant St Paul, Paris 1948).

Una parola oggi molto usata sembra riassumere ed esprimere questo aspetto della Chiesa, ed è la parola comunione nel suo duplice riferimento a Dio e ai cristiani fra loro.

Il Concilio l’adopera sovente: la Chiesa è una comunione di fede e di carità (Cfr. Lumen Gentium LG 4 LG 9 spec., LG 13 LG 23 LG 49; etc.). Ed è questa una bellissima parola, che bene si applica all’edificio, che sotto la mano operatrice di Cristo, noi siamo chiamati a comporre; comunione, causa ed effetto della sua consistenza, della sua solidità, e, poiché si tratta d’un edificio vivente, qual è un corpo sociale, della sua vitalità. Comunione vuol dire, nel nostro studio, la grazia, quando indica il rapporto unitivo con Dio; vuol dire dilezione fraterna nella partecipazione della medesima fede, della medesima speranza e della medesima carità, quando indica il rapporto con i fratelli; è come la circolazione del sangue in un uomo vivente e sano. È un fattore d’unità spirituale e sociale in un organismo composito. S. Paolo sigilla il concetto ed il precetto della comunione cristiana nella magnifica raccomandazione: «cercate di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace» (Ep 4,3).

La comunione è dunque il cemento unitivo che collega le singole parti dell’«edificio Chiesa», sia nella sua composizione mistica, la comunione dei Santi, sia nella sua espressione comunitaria, la comunione cattolica, l’inserzione cioè organica e canonica nel corpo visibile della Chiesa stessa.

Noi dobbiamo riconoscere che questo carattere unitario della Chiesa si è fatto più evidente e più sentito ai nostri giorni. Che esso interpreti il pensiero autentico e supremo di Cristo nessuno vorrà contestare (Cfr. Jn 17); l’ecumenismo ne ha risvegliato l’esigenza per tutti, ed ha accresciuto la gioia e l’umiltà nei cristiani che già ne godono l’inestimabile beneficio, come ha prodotto un più cosciente tormento e un desiderio più generoso in coloro che alla perfetta comunione ancora aspirano.

Ma la comunione propria della Chiesa cattolica è tale bene che merita promozione e difesa anche nell’interno di essa, davanti ad alcuni fenomeni negativi, oggi purtroppo abbastanza diffusi, come l’equivoco sul pluralismo, non sempre valutato nel suo contenuto positivo, come l’efflorescenza primaverile dei rami d’un medesimo albero, vogliamo dire come la ricerca sempre nuova e l’espressione originale e molteplice della divina Verità del sacro «deposito» della fede (Cfr. 1 Tim 1Tm 4,6-7 1Tm 6,20 2Tm 1,12-14 etc. ); ma pluralismo ritenuto invece come legittimo «libero esame» soggettivo della Parola di Dio e del magistero ecclesiastico.

Così si dica della professione ormai invalsa in alcuni gruppi della critica sistematica alla disciplina ecclesiastica, del dissenso corrosivo ai danni della concordia e della collaborazione fraterna. Non sono queste reazioni a certi limiti e a certi difetti, che pur sono nel campo cattolico, che possono costruire la Chiesa. Non è questo il suo stile; o piuttosto non è questo il disegno che innalza ed abbellisce la Chiesa di Cristo.

Ma saranno piuttosto la bontà, l’amicizia, la concordia, la collaborazione, la solidarietà (Ga 6 Ga 1-3), e quello spirito d’associazione fra fratelli nella fede e nella carità, ch’è oggi venuto purtroppo attenuandosi da un lato, ma in via di risorgere tuttavia dall’altro, a costruire la Chiesa viva, nuova ed autentica nel nostro tempo.

Con la nostra Benedizione Apostolica.


Ai Vescovi e sacerdoti del Pontificio Seminario Regionale di Salerno

Siamo lieti di accogliere e di salutare con effusione di cuore il gruppo di ex-alunni del Pontificio Seminario Regionale di Salerno - 63 sacerdoti, tra i quali alcuni Ecc.mi Vescovi - che celebrano il venticinquesimo della loro ordinazione. Mentre porgiamo a tutti le nostre felicitazioni, tutti vogliamo invitare a «ravvivare il dono di Dio che è in loro» (Cfr. 2Tm 1,6), così da essere nel mondo testimoni di fede, di speranza, di amore. Anche se i tempi sono difficili, il sacerdote sa di poter contare nonostante tutto sulla parola di Colui che ha detto: «Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo» (Jn 16,33) e può portare perciò agli uomini una parola convinta di ottimismo, di fiducia, di coraggio.

Ma soprattutto il sacerdote deve essere l’uomo della carità: una carità inesauribile, perché continuamente alimentata alla carità stessa di Dio. Carità nei confronti delle necessità materiali del prossimo: oggi se ne parla molto e sta bene; noi sottolineeremo però in particolare la carità verso le necessità spirituali e morali dei fratelli, spesso non meno gravi ed urgenti di quelle altre. Il sacerdote sarà perciò anche l’uomo della pazienza, dell’ascolto, della comprensione, della tolleranza, del conforto, del perdono.

Quale vasto campo di impegno ! Continuate con gioia nel cammino intrapreso. Vi soccorra in esso la grazia del Signore con la Nostra Apostolica Benedizione.

Ai giovani slovacchi ospiti dei campi-scuola dell’Istituto dei Santi Cirillo e Metodio

Salutiamo con paterno affetto il gruppo di giovani slovacchi, accompagnati dai Dirigenti dell’Istituto slovacco dei SS. Cirillo e Metodio, che li ospitano nei campi-scuola da essi organizzati.

Ci rallegriamo, innanzi tutto, carissimi figli, per l’ottimo impiego del «tempo libero» concessovi dalla pausa estiva della scuola e dei doveri connessi. Insieme con la necessaria distensione fisica che venite ottenendo con adeguate esercitazioni sportive, avete generosamente accettato, come preminente obiettivo delle vostre vacanze, l’allenamento dello spirito: avete pertanto compreso la necessità di ascoltare, in ambiente più consono e più favorevole al colloquio col Padre celeste, la sua divina Parola; avete avvertito l’importanza del processo di trasformazione cristiana attraverso l’attiva partecipazione ai misteri del Signore; pensiamo che non vi possa essere integrazione migliore degli insegnamenti della scuola e delle vostre personali esperienze!

Nel congratularci con voi, ed esprimendo il nostro apprezzamento a quanti vi hanno assistito nei luoghi del riposo, vi esortiamo ed incoraggiamo a continuare con sempre maggiore dedizione nel vostro arricchimento spirituale, e a darne prova con un comportamento di vita autenticamente cristiano. Con la nostra Benedizione Apostolica che impartiamo a voi, alle rispettive famiglie, e ai vostri amici.

Un pellegrinaggio proveniente dal Giappone

Present here this morning is the Kohitsuji Kai pilgrimage from Japan. We welcome you all and embrace you in the love of Christ. May our Lord assist you to bear your suffering in union with himself, and being conscious of the value of this suffering, may you find peace and joy. Our affection and our blessing go to all the sick and handicapped and suffering in Japan.

Mercoledì, 4 agosto 1976

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In queste semplici conversazioni delle nostre Udienze generali noi seguiamo da qualche tempo un’idea fissa: costruire la Chiesa. Essa ci si presenta fondamentale per due ragioni: prima quella del disegno stesso dell’opera di Cristo nel mondo e nella storia: Egli medesimo la enunciò come suo programma, relativo all’umanità che Egli è venuto sulla terra a salvare, ad illuminare, ad associare alla vita stessa di Dio (Cfr. Lumen Gentium
LG 1 2P 1,4), dicendo: «Io costruirò la mia Chiesa» (Mt 16,18), e facendo di questa Chiesa terrena ed umana lo strumento, il veicolo, la mediazione dei suoi doni divini. Ragione costituzionale questa e permanente. E seconda ragione, contingente, ma urgente, e dalla prima derivante, quella delle condizioni spirituali, morali, sociali e storiche, proprie del nostro tempo. Il nostro tempo ha bisogno di riprendere la costruzione della Chiesa, quasi, psicologicamente e pastoralmente, come se cominciasse di nuovo, da capo per così dire, a rigenerarsi mediante questo ordinamento umano-divino, questo regno di Dio, annunciato da Cristo e da Lui iniziato per la salvezza del mondo, la Chiesa.

Costruire la Chiesa, cioè la società dei credenti, uniti dalla medesima fede, formanti un medesimo corpo sociale e spirituale, animato dallo Spirito Santo, presieduto da Cristo stesso, capo divino della Chiesa, e governato in questo mondo da un’autorità delegata, visibile, umana, gerarchica, che attinge la sua potestà, per derivazione dagli Apostoli, non dalla base, cioè dai fedeli, e tanto meno dal potere terreno, o da una spontanea autodesignazione; deriva cioè da Cristo, che dichiarò ai suoi stessi apostoli: «Non voi avete eletto me, ma Io ho eletto voi...» (Jn 15,16; cfr. Jn 6,70 Jn 15,19). E questa intenzione del Signore di organizzare i suoi seguaci mediante l’opera, cioè il ministero, di alcuni discepoli prescelti e investiti da uno speciale mandato, traspare da tutto il Vangelo, con il conferimento di particolari prerogative e doveri, di speciali potestà divinamente delegate, e di una specifica missione di istruire, di santificare e di governare il Popolo di Dio. Abbiamo tutti stampato nella memoria e nel cuore, noi ne siamo sicuri, alcune espressioni tipiche del Vangelo, le quali ci assicurano circa il disegno di Cristo di dare strutture precise ed operanti per la consistenza e per l’efficienza del suo Corpo mistico, la Chiesa. Ne citiamo in fretta alcune, ad esempio; come: «Chi ascolta voi (cioè gli Apostoli), ascolta Me (cioè Cristo); chi disprezza voi, disprezza Me. E chi disprezza Me, disprezza Colui che mi ha mandato (cioè Dio, il Padre celeste)» (Lc 10,16). Ancora: «In verità vi dico: tutto quello che voi legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo, e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (Mt 18,18 et Mt 16,19) (ricordiamo il potere famoso delle chiavi dato a Pietro). E Gesù risorto si congeda dai suoi discepoli con le solenni parole: «Mi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni...» (Ibid. Mt 28,18-19).

Chiaro, chiarissimo è il carattere potestativo degli Apostoli subito dopo la Pentecoste, non solo nell’esercizio profetico e carismatico, ma anche in quello pedagogico e severo di rimprovero e di punizione. Chi non ricorda il tremendo episodio di Anania e Saffira? (Ac 5,1 ss.) E come sarebbe interessante studiare in S. Paolo la coscienza ch’egli ha della sua potestà di governo, sia in senso affettuoso e positivo con impareggiabile dedizione (Cfr. 2Co 12,15 Ac 20,24 Ac 20,35 Ga 4,19 etc.); sia in senso normativo (Cfr. Ga 1,8 1Co 16,22); e sia in senso punitivo (1Co 4,21 1Co 5,3 ss.).

La Chiesa di Cristo non è senza una struttura gerarchica, senza un’organizzazione sua propria con finalità di ordine (1Co 14,40) e d’obbedienza (2Co 10,5-6). Essa è governata da ministri aventi potestà proveniente da Cristo e da Dio; non, come si dice, dalla base, anche se emana da ordinamenti divini eseguiti da qualificate persone umane. È questo un aspetto essenziale della Chiesa, e sempre controverso da chi pretende attingere da altra fonte che non quella di Cristo e della autentica tradizione apostolica l’autorità nella Chiesa di Dio, o impugnarne i titoli che la giustificano. Non meno che da opinioni eretiche, le divisioni nella Chiesa provengono da divisioni scismatiche, cioè dalla negazione, più o meno radicale, dell’esistenza nel Corpo mistico di Cristo di legittime, anzi di obbligatorie funzioni autoritative, poste dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio (Cfr. Ac 20,28). Chi nega, chi contesta, chi si arroga di giudicare con pretesa autorità propria questa funzione gerarchica della Chiesa di Cristo colpisce da sé i vincoli che alla Chiesa lo uniscono, contrista la Chiesa e concorre a demolirla, se fosse possibile, non a costruirla. Una miope e talvolta caparbia interpretazione della propria libertà di esame, di contegno, di azione, nei riguardi della filiale e solidale adesione dovuta a chi ha responsabilità di guida nella Chiesa pellegrina, ferisce nel cuore la sua somma e divina prerogativa di possedere e di promuovere il carisma dell’unità auspicata da Cristo.

Certamente si dovrà da parte della stessa autorità della Chiesa ricondurre sempre tale autorità al suo autentico concetto, quello d’essere una potestà derivata da Cristo (Cfr. 1Co 4,1 1Co 4,15 etc. ), pastorale quindi che vuol dire intesa al servizio, non ad un dominio dispotico ed egoista, e animata dall’amore secondo la verità (Ep 4,15-16).

Nelle prove che il Signore, nella sua sapienza e nella sua bontà, riserva anche alla nostra umile persona, e proprio in questi giorni, nell’esercizio del nostro ministero apostolico di Vicario di Cristo e di servo dei servi di Dio, noi per primi cerchiamo di penetrare il nostro spirito di questi evangelici insegnamenti, immensamente grati a quei Fratelli e a quei Figli che con noi li condividono nel pensiero e nell’azione per l’edificazione del Corpo mistico di Cristo, ch’è appunto la Chiesa; e sempre protesi in vigilante e fiduciosa attesa che, rinnovati nello spirito dell’amore ecclesiale (come Cristo: dilexit Ecclesiam), riprendano il loro compito di comune, edificante collaborazione anche quei nostri dilettissimi Fratelli e Figli, che oggi resistono alla nostra apostolica sollecitudine per la costruzione effettiva della santa Chiesa (Cfr. H. DE LUBAC, Méditations sur l’Eglise, VIII).

Lavoriamo insieme! con la nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 11 agosto 1976


Paolo VI Catechesi 14776