Paolo VI Catechesi 11876

Mercoledì, 11 agosto 1976

11876

Noi pensiamo ancora a questa formula programmatica che il Signore ha dato a se stesso: Io costruirò la mia Chiesa. Che cosa significhi questo programma, noi abbiamo certamente, in qualche modo, intuito: Cristo vuole formare una società di uomini, chiamati da tutte le parti del mondo, senza distinzione alcuna, con preferenza ai «poveri di spirito», per assumerla ad una forma di vita associata alla sua divino-umana, riscattata dalle sue decadenze di colpa originale e di peccato personale e attuale, e destinata a esprimere nella vita presente un carattere di dignità, mediante una infusione dello Spirito animatore di eccellenti virtù, garantendo così all’uomo oltre la morte una nuova forma di vita che assurgerà un giorno nella risurrezione per godere d’una pienezza e d’una felicità, che solo una visione di Dio stesso potrà conferirgli (Cfr. 1 Io. 3, 2). Si tratta, come sappiamo, della Chiesa, oggi pellegrina nel mondo e nel tempo, che Gesù vuol mettere insieme, coadunare, servendosi di Pietro come fondamento e come ministro insieme con gli altri Apostoli, ma facendo di ogni cittadino di questa Chiesa, di questa Città di Dio, un collaboratore possibile, un operaio della sua costruzione soprannaturale.

Questa vocazione all’opera del mistico edificio ch’è la Chiesa in via di costruzione, di composizione, di lavorazione, è una delle idee più divulgate nel nostro tempo; ed è verissima, è importantissima. Vi è nella Chiesa un sacerdozio ministeriale, dotato di particolari facoltà e incaricato di speciali funzioni; è il sacerdozio di Cristo trasmesso agli apostoli e alla loro ramificazione gerarchica; ma vi è anche un sacerdozio comune conferito ad ogni credente fin dal battesimo. Sarà bene che ciascuno di noi si faccia un concetto più preciso di quello spesso puramente nominale di cui tutti, specialmente dopo il Concilio (Cfr. Lumen Gentium
LG 10), hanno sentito parlare. È un concetto che tutto il Popolo di Dio solidale nel godimento dei benefici della fede e della grazia, deve condividere ed approfondire; perché tutti, in misura diversa, ma sempre operante, sono responsabili della vitalità spirituale e della diffusione della Chiesa.

Questa dottrina si fa eminentemente pratica, specialmente là dove parla dei Coniugi cristiani, i quali costituiscono una così detta «Chiesa domestica» (Lumen Gentium LG 11, in fine). Noi vorremmo fermare l’attenzione su questo titolo dato alla famiglia cristiana. Chiesa domestica essa è. Essa rappresenta nella sua espressione onesta e morale, che ricompone le ineffabili ed inesauribili armonie dell’essere due in una sola vita, nella sua origine sacramentale, che solleva l’amore naturale fragile e volubile al livello di amore soprannaturale inviolabile e sempre nuovo (Cfr. Ep 5,21-23), nella sua deontologia, cioè nella legge che la governa e che fa dell’unione, donde trae origine, una società esclusiva e perenne, un’unità stupenda in cui si riflette quella che intercede fra Cristo e la Chiesa, rappresenta, diciamo, e costituisce una piccola Chiesa, un «elemento» della costruzione dell’unica e universale Chiesa qual è l’intero Corpo mistico di Cristo. Questa sacralità della famiglia cristiana nulla toglie all’integrità e alla naturalezza della famiglia ordinaria, anzi la illumina interiormente d’uno Spirito nuovo di amore e di felicità, la fortifica nelle prove e nelle pene della vita, le conferisce la coscienza d’una missione sua propria, le dà il senso, il gusto, la forza, la sapienza della vera arte di vivere insieme la vita mortale in funzione della vita immortale. Questo titolo di Chiesa domestica, «domestica ecclesia», risale ai primi albori del cristianesimo. Basti citare San Paolo a riguardo di due coniugi, Aquila e Priscilla, che seguirono l’Apostolo in varie sue peregrinazioni, e che ebbero l’onore d’averlo ospite con la Chiesa locale (Cfr. 1Co 16,19 cfr. Rm 16,5 cfr. BATIFFOL, La Chiesa nascente e il cattolicesimo , pp. 84-55, ed. 1971) (scriveva allora da Efeso). Cioè l’ospitalità familiare e privata fu il primo nido in cui sorsero le prime Chiese particolari, ma già pervase del carattere sociale, esclusivo, universale della Chiesa di Cristo e di Dio.

Noi siamo ben lieti di vedere che questo sentimento ecclesiale della famiglia cristiana va ridestandosi e trasfondendosi nella comunità domestica, spesso in maniera esemplare ed edificante. Noi vi preghiamo, Figli carissimi, e voi specialmente nuove famiglie cristiane, a dare, con debita forma e discreta misura, ma anche con aperta e collettiva espressione religiosa, l’onore della preghiera collettiva nelle vostre case: la madre ha in questa prima pedagogia della religione un compito altrettanto importante e degno quanto bello e commovente. Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? li preparate, in consonanza con i Sacerdoti, i vostri figli ai Sacramenti della prima età: confessione, comunione, cresima? li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? a invocare l’aiuto della Madonna e dei Santi? lo dite il Rosario in famiglia? e voi, Papà, sapete pregare con i vostri figlioli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L’esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell’azione, suffragato da qualche preghierina comune vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; e portate così la pace nelle pareti domestiche: «Pax huic Domui!» (Cfr. il libriccino delle preghiere in famiglia).

Ricordate: così costruite la Chiesa.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



A un gruppo di pellegrini polacchi

We extend a cordial welcome to the pilgrims of Polish origin who have just completed in Loreto a course of renewal in the faith. Beloved sons and daughters: we exhort you today to fidelity and to Christian witness-to be faithful for ever in the holy Catholic faith, and to give convincing witness to Christ by living his message of love. In this way you will fulfil the exigencies of your Baptism and render honour to Christian Poland and to the faith of your forefathers.

Ai cattolici giapponesi della Diocesi di Naha

It is with great pleasure that we welcome the various groups from Japan. In you we greet the entire Diocese of Naha, and all the people of Okinawa, as well as the schools and organization that are represented by your presence here today. We renew our prayers for the future of Japan and for her noble people, that you may all worthily fulfil in brotherhood your role of service to humanity.


Mercoledì, 18 agosto 1976

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Anche a Voi, cari visitatori di questa nostra Udienza settimanale, è forse giunta l’eco della nostra ripetuta esortazione successiva all’anno santo: noi dobbiamo costruire la Chiesa; e questo in coerenza con i bisogni del nostro tempo e col piano che Cristo stesso si è prefisso, quando ha investito l’apostolo Simone, figlio di Giona, della missione sua propria, attribuendogli un nome simbolico e programmatico: «Tu sei Pietro, e su questa pietra Io edificherò la mia Chiesa» (
Mt 16,18).

Parola evangelica a tutti ben nota. La quale si riferisce evidentemente all’opera di Cristo, nel tempo, nel mondo: la Chiesa da edificare. Ma che cosa è la Chiesa? La Chiesa è una comunione (Cfr. J. HAMER, L’Eglise est une communion; A. PIOLANTI, Il mistero della comunione dei Santi, 1957). Cioè una società «sui generis», spirituale e visibile insieme; umana, ma animata da un’azione sovraumana dello Spirito Santo (Cfr. Ph 2,1); Corpo mistico di Cristo, Popolo di Dio. Bisogna leggere e meditare i primi capitoli della Costituzione conciliare «Lumen Gentium» per avere un’idea della originalità, della profondità, della complessità di questo disegno di Cristo circa l’opera sua, che Egli, e noi con Lui, chiamiamo la Chiesa. Anche S. Tommaso ricorre al concetto di unità, di comunione, di «sinassi», parlando del significato attuale dell’Eucaristia, la quale ci fa comunicare con Cristo e con quanti partecipano a questo suo sacramento (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, III 73,4). Decisiva a questo proposito la parola di S. Paolo, nella prima lettera ai Corinti: «. . . noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo; tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» eucaristico (1Co 10,17).

E qui dobbiamo notare (senza entrare minimamente nella discussione razionalista circa l’origine e l’essenza della vita religiosa) come nel cattolicesimo il fatto umano della vita religiosa stessa si realizza in forma superlativa, completa, non unilaterale, essenziale e perfetta: la religione cattolica infatti è estremamente interiore e personale, ed insieme estremamente sociale e comunitaria; e ciò ch’è meraviglioso, per la nostra fede, i due aspetti della sua religiosità non si escludono a vicenda, sì bene sono, più ancora che complementari, simultanei: quanto più uno spirito cattolico è religioso, cioè tende ed arriva al contatto mistico con Dio, tanto più è solidale con il vero bene del prossimo; la medesima carità, che lo unisce al mistero divino, lo rivolge alla realtà umana (Cfr. Ibid. 13). Così che la Chiesa, ch’è comunione con Cristo e con Dio nello Spirito Santo, tende ad essere comunione con gli uomini; e questa comunione assume aspetti sociali concreti, il primo dei quali è quello che oggi chiamiamo preferibilmente comunità (Cfr. J. HUBY, Christus, 1947).

Come dunque si è formata storicamente la Chiesa se non attraverso le comunità fondate dagli apostoli e dai loro collaboratori? Comunità spontanee, nel senso stretto della parola, non sono nella linea originaria della Chiesa. Le prime comunità cristiane nascono dalla parola, dal ministero, dalla guida di persone inviate e qualificate, e appena un nucleo si organizza intorno a tali persone, anzi ad una tale persona, l’apostolo, il vescovo, subito si chiama «chiesa» di quel luogo dove il nucleo si è legittimamente costituito: una comunità visibile e regolare esige al suo centro, al suo cuore un’autorità vivente, derivata da un apostolo, o da un suo inviato, o successore, il cristianesimo non è una pura corrente ideologica, o spirituale; è un insieme di comunità locali, che tutte hanno coscienza d’essere comunione. Quanto è istruttivo e commovente leggere nei primi documenti del cristianesimo, come il Nuovo Testamento (Cfr. Litteras S. Pauli Apostoli et Apocalypsim), i nomi delle prime Chiese nascenti; per esempio: «alla Chiesa di Dio, che è a Corinto» (1Co 1,2); «Giovanni alle sette chiese, che sono in Asia» (Ap 1,4); ecc. Così S. Ignazio d’Antiochia all’inizio del II secolo. E poi? quale sviluppo ha avuto la comunità visibile e sociale della Chiesa! È a tutti nota la complessa, ma coerente struttura canonica della Chiesa contemporanea (Cfr. Lumen Gentium LG 13). A noi sembra meritare considerazione cordiale la dignità e la funzione di quella Chiesa locale, che chiamiamo Diocesi, la nostra Diocesi, Chiesa madre per ciascuno di noi; e che ha un Pastore responsabile alla guida d’un corpo di Fedeli, in cui ognuno di noi è inserito, qualificato com’è da una circoscrizione etnico-geografica e dal culto particolare a un mistero religioso facente parte di tutto il sistema dottrinale, ovvero al nome di qualche Protettore celeste.

Se ne dovrà forse riparlare. E in questa visione empirica della Chiesa merita non minore e affettuoso interesse quella parte di Diocesi, che porta il titolo di Parrocchia. Sì, che ciascun Fedele abbia per la propria Parrocchia, diciamo pure per il proprio Campanile, una comprensibile, e in un certo senso doverosa preferenza.

La Parrocchia! ogni Fedele dovrà scorgere nel fatto che la Provvidenza gli ha assegnato questa e non altra comunità, in cui ricevere il battesimo e diventare cittadino della Chiesa, una elezione trascendente; e dovrà amarla la sua Parrocchia con religiosa affezione, qualunque essa sia e dovunque essa si trovi. E dovrà, se appena possibile e ragionevole, accogliere l’educazione religiosa e cristiana, che a lui viene da questa eletta famiglia: frequentarla, sostenerla, amarla, la Parrocchia! essa è la prima scuola della fede e della preghiera, di quella liturgica specialmente; è la prima palestra dell’amicizia lieta ed onesta con coetanei e compaesani; è il primo focolare degli orientamenti comunitari e sociali; è il perseverante incontro con un ministero, impegnato fino al sacrificio di sé, di verità, di carità, di concordia comunitaria, di allenamento morale, che può dare la gioia, la fortezza della vita cristiana.

Noi abbiamo grande stima per la formula di vita cattolica, rappresentata dalla Parrocchia! Abbiatela anche voi, con la nostra Apostolica Benedizione.

Ai pellegrini della Parrocchia di Valmarana (Vicenza)

Desideriamo ora rivolgere il nostro affettuoso saluto ai pellegrini provenienti dalla Parrocchia di Valmarana, nella diocesi di Vicenza, fra i quali abbiamo saputo che un gruppo di giovani ha recato la «Fiaccola della Pace», desiderando che sia da noi accesa.

Nel ringraziarvi, cari figli, dei vostri sentimenti di devozione vogliamo in modo particolare esprimere il nostro compiacimento sincero per la bella e significativa iniziativa che costituisce la nota caratteristica del vostro pellegrinaggio.

Aderendo volentieri al desiderio da voi espresso, noi ci auguriamo che la fiaccola che riporterete al vostro paese sia incoraggiamento ad impegnarvi a favore della pace non solo con la parola, con l’esempio, con la volontà sempre a servizio del bene, ma soprattutto con il vostro continuo vivere in Gesù Cristo, luce del mondo, principe della pace, nel quale solamente gli uomini possono trovare pieno soddisfacimento alla loro sete di amore, di fratellanza, di verità e di pace.

Vi confermi nei vostri generosi propositi la nostra Apostolica Benedizione.



Ai partecipanti all’assemblea generale dell’Unione Sacerdotale «Jesus Caritas»

A un gruppo di giovani canadesi reduci da una esperienza missionaria in Tanzania

We greet with special affection the group from Canada-the Catholic students from Ontario who have returned from a visit to the missions in Tanzania. Dear Young people: we are happy to see the expression of your Christian charity and to know of your genuine interest in your brothers and sisters who live far away from you, but are dear to you in faith and love. We ask the Lord to sustain you always in true concern for others and in authentic generosity and self-giving. This is a11 part of Christ’s message, and we bless you in his name.


Mercoledì, 25 agosto 1978

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Fratelli e Figli!

Ascoltate: noi abbiamo già annunciato ai nostri visitatori nelle precedenti udienze, e ora a voi lo ripetiamo: è venuto il tempo in cui quanti hanno la fortuna e la responsabilità di chiamarsi cristiani-cattolici devono sentirsi impegnati a «costruire la Chiesa», essendo questo, primo, il disegno messianico di Cristo Salvatore (
Mt 16,18); e, secondo, avendo Egli associato nell’esecuzione di questo storico e universale disegno l’opera, la mano d’opera potremmo dire, degli Apostoli e dei loro seguaci; terzo, essendo doveroso preservare dalla rovina, minacciata dall’evoluzione storica e dalla irreligiosità dei tempi nuovi, l’edificio, già costruito in duemila anni di storia della Chiesa tuttora vivente; e quarto, avendo la coscienza della Chiesa stessa, collaudata e stimolata dal recente Concilio, risvegliato in essa, tanto nelle gerarchie dei suoi pastori e dai suoi promotori, quanto negli animi più generosi e più aperti dei suoi figli e delle sue figlie alle voci dello Spirito, il senso del Mandato originario: «andate e annunciate il Vangelo a tutte le genti» (Cfr. Ibid. 28, 19), con accento gaudioso e imperioso, come non mai forse prima di oggi.

Non avete notato com’è diventata attuale e generale nella Chiesa la parola «apostolato» riferita non solo ai pastori di essa, ma estesa a quanti debbono e possono essere loro collaboratori? E con essa quella oggi tanto esigente di testimonianza? e quale accento specifico e vigoroso abbia assunto il termine di «missionario»? Riecheggia negli animi dei capi e anche dei figli tutti della Chiesa l’ultima parola pronunciata da Cristo nel quadro della nostra vita terrena: «voi mi sarete testimoni . . . fino agli estremi della terra» (Ac 1,8). La salvezza, portata da Cristo, non si realizza da sé, ma esige la mediazione d’un duplice ministero: indispensabile quello del sacerdozio ministeriale, e quello, coordinato anch’esso all’integrazione del primo, del sacerdozio comune, quello dei fedeli-fedeli; così che tutto il corpo visibile della Chiesa è impegnato a trasmettere e a vivere i doni salvifici di verità e di grazia meritati dal Verbo incarnato, ed effusi dallo Spirito (Cfr. Lumen Gentium LG 10).

Per costruire la Chiesa è necessaria questa coscienza apostolica, questa coscienza missionaria. Costruire è dir poco, se non si intende insieme, per noi vittime di tante demolizioni, ricostruire, non già a riguardo di quanto può essere contingente e caduco nella vita storica della Chiesa, ma piuttosto a riguardo dei suoi elementi costitutivi, derivati e voluti da Cristo, sia nel campo dottrinale che in quello operativo; e se non si proietta lo sguardo, non tanto al passato, quanto al futuro, al piano integrativo, che ancora e sempre nella storia rimane da compiere. Ed è necessità intrinseca al piano di salvezza, unico, universale, indispensabile instaurato da Cristo. Se la sua salvezza è necessaria per l’umanità intera, e se la virtù operante di tale salvezza è, per quanto a noi è dato conoscere, condizionata dal servizio umano della istituzione ecclesiastica, appare chiaro come questa istituzione dev’essere continuamente sotto la pressione interiore di un’urgenza di dilatazione, di diffusione, di amore: «caritas Christi urget nos», la carità di Cristo ci spinge (2Co 5,14), esclama S. Paolo, e la sua infaticabile attività apostolica lo dimostra (Cfr. Ibid. 2Co 11,16 ss.). Questa attitudine all’apostolato non è di alcuni di temperamento più vivace e più coraggioso; con le debite forme e proporzioni dev’essere di tutti i veri cristiani, e non solo rivolta ai paesi così detti di missione, ma ad ogni ambiente in cui ciascuno si trova. Chi comprende questa coerenza interiore col carattere cristiano trova logica l’esortazione continua, che oggi i Pastori d’anime fanno, per la milizia d’ogni figlio della Chiesa nelle file dell’Azione Cattolica o di qualche altra associazione destinata all’affermazione e alla diffusione del nome cattolico (Cfr. Apostolicam Actuositatem AA 33). Il cristiano è un soldato; come e quanto ce lo ricorda l’Apostolo (Cfr. Ep 6,14 1Th 5,8 1Co 9,19-27). Ed ancora più necessaria appare la chiamata che la Chiesa continuamente ripete, alla gioventù specialmente, in ordine alle vocazioni, con l’invito di Cristo: «venite con me; io vi farò pescatori di uomini» (Mt 4,19). È il grande problema delle vocazioni al sacerdozio, o alla vita religiosa. Sì, grande problema; se ne dovrà riparlare.

E poi vi sono i casi speciali, che dobbiamo ammirare con molta simpatia e meraviglia; ecco il cristiano si fa missionario nel senso specifico; e ancora questa parola «missionario» ci lascia intravedere un mondo drammatico, relativo alla diffusione del Vangelo; diffusione ancora troppo limitata rispetto alla geografia della terra e alle statistiche delle popolazioni nel mondo. Certo non tutti possono farsi personalmente missionari, ma tutti dovremmo sentire la forza dell’esempio dei missionari, e tutti dobbiamo sentirci solidali con questi eroici araldi della fede e della civiltà con la nostra amicizia, col nostro obolo, con la nostra preghiera: sono essi che fondano le nuove Chiese locali e costruiscono la Chiesa universale.

Davanti a questo aspetto tanto positivo ed esemplare della vita della Chiesa in costruzione dovrebbero trovare rimedio nella Chiesa già costruita certi fenomeni negativi, che non contribuiscono né alla sua prosperità, né alla sua espansione. Oggi, per esempio, si confonde la libertà religiosa, quale la Chiesa ci insegna riguardo a chi non professa la nostra fede (Cfr. Dignitatis Humanae DH 2) con l’indifferenza religiosa, quasi che non esistesse l’obbligo morale di cercare e di dare testimonianza alla verità; ovvero con un ibrido sincretismo, quasi che ogni religione fosse valida per se stessa. Inoltre noi richiameremo ancora una volta la buona volontà di chi si professa figlio della Chiesa a non arrendersi alla moda della contestazione sistematica, quasi che questa posizione critica autorizzasse a corrodere quell’intima coesione che dev’essere d’una Chiesa ben costruita, cioè d’una società animata dalla carità (Cfr. Ph 1,9 2Th 1,3).

Impariamo dunque l’arte di costruire la Chiesa, fondata su Cristo Gesù (Cfr. 1Co 3,10-12) e da lui edificata su Pietro.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai sacerdoti salesiani neo-direttori di istituti

Accogliamo inoltre con grande effusione di cuore il gruppo, così ragguardevole e meritevole della nostra stima, dei Neo-Direttori di Istituti Salesiani, i quali prendono parte a un corso di spiritualità per prepararsi al loro delicato ufficio. A voi tutti il nostro più cordiale saluto, figli carissimi! E in particolar modo salutiamo il Direttore della Casa di Beyrouth e l’Ispettore del Medio Oriente, la cui presenza qui in mezzo a voi richiama alla nostra mente la dolorosa tragedia che ha recentemente colpito la Comunità Salesiana Libanese. Ciò è un motivo di più per dirvi, insieme alla nostra gratitudine, l’apprezzamento con cui seguiamo il lavoro silenzioso e tanto prezioso da voi svolto a servizio delle anime, e per assicurarvi ancora una volta della nostra piena fiducia.

Sappiamo bene le gravi difficoltà che incontra oggi la vostra missione educativa fra i giovani. Nella trepidazione con cui voi vi accingete ad assumere i nuovi compiti che vi sono affidati, si riflette l’ansia stessa della Chiesa di avvicinare i giovani ed orientarli con un’azione la quale, ispirandosi agli intramontabili principii del Vangelo, nel medesimo tempo sappia tener conto delle inquietudini, dei fermenti e delle aspirazioni della gioventù di oggi. In ciò se grande sarà la vostra responsabilità, grande pure sarà il vostro merito di fronte a Dio e alla società.

Coraggio, adunque, carissimi figli, ed aiuti voi tutti a ben rispondere alle attese della Chiesa la nostra particolare Apostolica Benedizione.

Agli insegnanti ed allievi dell’Istituzione Internazionale «Auxilia» guidati dal Direttore Ingegner Zucchelli

Un affettuoso saluto rivolgiamo alla rappresentanza italiana di Dirigenti, Insegnanti ed Alunni dell’Istituzione Internazionale «Auxilia».

Nel ringraziarvi, carissimi figli, del gentile pensiero, vogliamo esprimere il nostro apprezzamento per l’opera esemplare e disinteressata, svolta con tanta dedizione, dai maestri nei confronti dei loro discepoli, affinché essi nonostante la malattia o l’infortunio, possano usufruire delle legittime soddisfazioni dello studio per il loro futuro inserimento per la sincera e fruttuosa corrispondenza, da parte degli allievi alle sollecitudini degli educatori. E mentre invitiamo questi ultimi a considerare di quali elette consolazioni spirituali sia fonte e principio l’insegnamento, nelle sue finalità di allargare l’orizzonte delle umane cognizioni e di promuovere il bene, ricordiamo agli allievi, così provati dalla sofferenza, che essa è strumento di purificazione, di elevazione e di propiziazione della misericordia divina, nonché scuola di forti virtù per la preparazione alle responsabilità della vita.

Vi esortiamo, pertanto, entrambi a sempre più fecondo rapporto di mente e di cuore, e facciamo voti che la vostra Istituzione si distingua sempre per felici incrementi a servizio dell’umana e civile convivenza.

Con tale auspicio impartiamo a voi e alle vostre rispettive famiglie la nostra propiziatrice Benedizione.


Mercoledì, 1° settembre 1976

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Questa formula: «Io costruirò la mia Chiesa» (
Mt 16,18), coniata dal Signore per indicare metaforicamente il programma della sua opera salvatrice nel mondo e nella storia, trattiene ancora la nostra riflessione per comprendere, come a noi è possibile, l’attualità di Cristo nel nostro tempo. Essa ci rivela innanzitutto la permanenza del Signore Gesù fra noi. S. Ambrogio scrisse: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», dov’è Pietro, ivi è la Chiesa; e questa celebre sentenza, piena di significato teologico e mistico, ne suppone un’altra, che avvalora il nostro studio su la parola evangelica, e cioè: dove è la Chiesa, mediante Pietro, ivi è Cristo (Cfr. Ibid. Mt 28,20), così che si delinea la trilogia dottrinale: Cristo, Pietro, la Chiesa, come sintesi del disegno divino redentore. E ci rivela l’associazione che Cristo ha voluto stabilire con colui ch’Egli volle scegliere come suo Vicario, Simone figlio di Giovanni, imponendogli il nome di Pietro; un’associazione che porterà ad un’estrema conseguenza, quella del martirio con cui l’Apostolo avrebbe un giorno «glorificato Dio» (Jn 21,19). Questa era una profezia tragica e gloriosa, che consumava il destino di Pietro nel riflettere nella persona di lui il sacrificio di Cristo crocifisso. Questa è la storia del Vangelo in costruzione: non basta offrire al divino architetto la propria collaborazione (Cfr. 1Co 3,10 ss.); bisogna offrirgli la propria vita. S. Paolo ce lo ricorda per quanto lo riguarda: «... io sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi - scriveva ai Colossesi -, e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1,24). Parola ben nota, il cui senso non vuol dire che manchi qualche cosa all’efficacia redentrice della passione di Cristo, ma che essa comporta delle condizioni affinché la sua virtù salutare sia applicata alla Chiesa, condizioni che consistono nell’onorare, nell’imitare, nel condividere le sofferenze di Gesù crocifisso, e che ci lasciano intravedere qualche cosa del mistero del dolore cristiano, integrato con quello della pazienza del Signore.

Questa estensione della sofferenza redentrice e vivificante di Cristo ai suoi seguaci era già stata preannunciata dal Signore stesso. Ad esempio, nel discorso testamentario di Gesù all’ultima cena, Egli li avverte: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, mentre il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia» (Jn 16,20). Il dolore, o diciamo la parola che lo riassume e lo trasfigura, la croce, si compenetra con l’ufficio apostolico; cioè con la costruzione della Chiesa. Non si può essere apostoli senza portare la croce. E se oggi il dovere e l’onore dell’apostolato sono offerti a tutti i cristiani indistintamente, perché oggi la vita cristiana si rivela con nuova chiarezza quale essa è e dev’essere, effusiva del tesoro di verità e di grazia di cui essa è portatrice, segno è che l’ora della croce è incombente sul Popolo di Dio: tutti dobbiamo essere apostoli, tutti dobbiamo portare la croce (Cfr. Ibid. Jn 12,14 ss.). Per costruire la Chiesa bisogna faticare, bisogna soffrire.

Questa conclusione sconvolge certe concezioni errate della vita cristiana, quando essa è presentata sotto l’aspetto della facilità, anzi della comodità e dell’interesse temporale e personale, mentre deve sempre portare impresso sul proprio volto il segno della croce. Il segno del sacrificio tollerato, anzi compiuto per amore; per amore di Cristo e di Dio, e per amore del prossimo, vicino o lontano che sia. Non è questa una visione pessimista del cristianesimo; e una visione realista, specialmente in ordine alla sua edificazione, alla sua affermazione come Chiesa. La Chiesa dev’essere un Popolo di forti, un popolo di testimoni coraggiosi, un popolo che sa soffrire per la propria fede e per la sua diffusione nel mondo. In silenzio, gratuitamente, e sempre per amore.

Qui noi potremmo documentare come ancor oggi esista questo Popolo eletto, costruttore della Chiesa viva e vera, teso nello sforzo evangelico dell’amore crocifisso. Sì, esistono popolazioni intere che fanno della loro eroica, silenziosa e insidiata fedeltà a Cristo Signore il principio costruttore della santa Chiesa di Dio di oggi e di domani. Sì, esistono famiglie esemplari di Religiosi e di Religiose che, nella ricerca della perfezione cristiana, tutto lasciano e tutto dànno «allo scopo di edificare il corpo di Cristo» (Ep 4,12): siano benedette! E così benedetti quanti infondono nella loro umana esperienza lo Spirito vivificante delle beatitudini evangeliche: voi, poveri; voi, miti; voi, piangenti; voi, misericordiosi; voi, puri di cuore; voi, affamati e assetati di giustizia; voi, operatori di pace; voi, perseguitati per causa della giustizia! Voi siete i costruttori, voi i cittadini del Regno di Cristo, qui durante questi giorni effimeri della vita terrena, per essere poi i figli del Regno eterno di Dio.

Con la virtù, con la fortezza, col dolore, con la pazienza, col sacrificio, con la croce si costruisce, con Lui e per Lui, la Chiesa di Cristo. E con la nostra Benedizione Apostolica, quella appunto di Pietro!



Ai chierichetti dell’arcidiocesi di Malta che hanno prestato servizio liturgico nella Basilica Vaticana durante il periodo estivo

Ed ora il nostro affettuoso saluto si rivolge al gruppo dei chierichetti di Malta, i quali, come ormai avviene da dodici anni, nei mesi estivi sostituiscono gli alunni del Preseminario «S. Pio X» nel servizio liturgico della Basilica Vaticana. E salutiamo con essi il loro nuovo Direttore, il Rev.do Don Luigi Deguara, succeduto al caro e zelante Monsignor Giuseppe Delia, ultimamente passato a miglior vita.

Benvenuti, adunque, figli carissimi! Siamo molto lieti di accogliervi anche quest’anno, di rivedervi sempre tosi fervorosi, di benedirvi. E vogliamo anche esprimervi il nostro sincero ringraziamento, ben sapendo quanto voi con la pietà, la serietà e la compostezza che vi distinguono, contribuite al decoro della nostra Basilica e all’ordinato svolgimento delle sacre Funzioni che ivi si celebrano. Ma se è motivo di gioia per noi il sapervi così bravi e diligenti, è anche grande onore per voi poter prestare i vostri servizi nel tempio massimo della cattolicità. Sappiate apprezzare il privilegio che vi è concesso. E sappiate corrispondere a questa grazia con una vita del tutto degna, mostrandovi sempre e ovunque modelli di bontà, di docilità, di assiduità alla preghiera e ai Sacramenti, di amore vivo a Gesù, alla Vergine Santissima e al Papa. È questo l’augurio che formuliamo, avvalorato dalla Benedizione Apostolica, che di cuore impartiamo a ciascuno di voi, ai vostri Superiori e a tutti i vostri cari.


Mercoledì, 8 settembre 1976

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Noi diremo ancora una parola sul tema che ultimamente ha occupato la nostra attenzione in questi incontri settimanali, il tema della costruzione della Chiesa, cioè dell’efficienza operativa, che deve essere impressa a quella parte di umanità, la quale si pone al seguito di Cristo: che cosa è? una semplice corrente di pensiero, senza struttura sociale? una Chiesa invisibile? (Cfr. H. DE LUBAC, Méditations sur l’Eglise, III) Questa opinione ha sedotto molti aberranti dall’autentico pensiero di Cristo, che ha voluto la Chiesa come suo Corpo, mistico sì, per l’animazione dello Spirito Santo (Cfr.
1Co 12,3), che lo fa vivere, ma umano, visibile, sociale, organizzato altresì, che si colloca nella compagine dell’umanità e nella storia effettiva del mondo. E questo secondo aspetto, quello di «società perfetta», se modellata solo secondo le strutture temporali, possiede anch’esso un suo quadro di verità, ma può portare però ad una concezione inesatta e incompleta della Chiesa, e quindi fallace, e costituire perciò una tentazione anche per molti, che abituati dalla mentalità razionalista del nostro tempo, vorrebbero trovare nella Chiesa una capacità d’azione determinante anche sul piano orizzontale, come oggi si dice, della vita sociale.

È vero, certamente, e lo ripeteremo, che la Chiesa ha bisogno e dovere di azione, oggi più che mai; è vero che nell’elevazione stessa dell’uomo al livello della vita cristiana si include una vocazione all’apostolato; è vero che la costruzione della Chiesa si compie nella realtà fenomenica della storia mediante l’operosità sapiente e paziente, devota e tenace fino al sacrificio, di ministri fedeli; è vero che la carità di Cristo deve effondersi e dilatarsi nel mondo moderno nell’iniziativa sociale secondo pianificazioni ampie ed organiche, sollecite specialmente di rimediare alle deficienze delle categorie umane meno abbienti; ed è vero che la stimolante domanda evangelica: «Perché ve ne state qui, tutta la giornata, inoperosi?» si rivolge anche a tanti cristiani, abituati a godere, o a soffrire di situazioni statiche della comunità sociale, senza accordarsi per promuovere condizioni più giuste e più umane di convivenza. È vero.

Ma basta questa operosità esteriore a fare l’umanità più buona e più felice? E, per quanto ci riguarda, basta la ricerca, pur doverosa, dei mezzi temporali a costruire la Chiesa? cioè quell’umanità elevata ad una forma di vita partecipe della stessa vita divina, nel tempo e per l’eternità? basta per la Chiesa la causalità umana, da sola, a garantire il raggiungimento dei veri, dei necessari, dei superiori destini della vita umana?

Eccoci davanti ad una prospettiva, che sembra contraddittoria: deludente ed esaltante. Deludente, perché l’attivismo procedente dalle sole forze umane non raggiunge, anche nella sfera temporale, in misura felice i suoi pieni e veramente umani risultati; anzi i risultati stessi ch’esso raggiunge, ottimi e provvidi sotto tanti aspetti, non fanno che acuire, sotto altri aspetti, la fame e l’infelicità dell’uomo, ed in proporzioni spesso maggiori delle sventure a cui l’attivismo voleva portare rimedio (si pensi, ad esempio, allo sviluppo dei mezzi bellici nucleari). È la tragedia eterna di Sisifo, che sfocia alla fine a conclusioni autolesive, e poi in pessimismo disperato. Esaltante, perché è venuto Uno, è venuto Cristo ad assorbire in Sé tutto il fallimento umano, con la sua croce, e a ridare all’uomo una vera speranza, una risurrezione, una vita migliore; è venuto Lui a costruire un ordine nuovo, soprannaturale, pieno e reale più di quello che l’uomo può godere nel tempo; è venuto a fondare questa nuova costruzione, la Chiesa, facendo della Chiesa stessa il grande «sacramento», cioè, come si esprime il Concilio, «il segno e lo strumento» (Cfr. Lumen Gentium LG 1 et 48) della salvezza umana; è venuto Lui, Figlio del Dio vivente e Figlio dell’uomo, a noi fratello e maestro, Lui, Gesù il Cristo, a dire: «Io costruirò la mia Chiesa» (Mt 16,18 et cfr. H. DE LUBAC, Méditations sur l’Eglise, p. Mt 161). Egli si pone come il vero, il solo costruttore effettivo, necessario, l’Alfa e l’omega universale. Così che nell’operazione «Chiesa» la causalità di Cristo soverchia, anzi alimenta nella Chiesa ogni altra umana causalità: «senza di me voi non potete far nulla» (Jn 15,5), Egli ci ricorda. «Né colui che pianta, né colui che irriga è qualche cosa, ma Colui che fa crescere», dirà a sua volta S. Paolo, riferendosi egli pure all’efficienza dell’azione apostolica sempre in ordine alla Chiesa in via di formazione e di azione.

Questa realtà teologica è di estrema importanza per noi chiamati tutti a collaborare all’edificazione della Chiesa nel nostro tempo. Essa ci ricorda che non siamo soli nell’impresa immensa e tanto sproporzionata alle nostre forze. Tutta la dottrina della grazia, cioè dell’intervento misterioso, ma positivo dell’influsso divino nel circuito della nostra attività, sempre debole e fragile, ed in ogni caso sproporzionata agli effetti di salvezza che essa vorrebbe conseguire, ci si profila davanti: ricordi chi può la polemica agostiniana con i Pelagiani circa l’insufficienza delle virtù naturali; e così, ai nostri giorni la discussione circa le virtù passive e le virtù attive, quasi fosse valida questa distinzione per screditare le prime e esaltare le seconde (Cfr. DENZ-SCHÖN., DS 3344). E ciò con due basilari conclusioni per il tema che ora ci interessa circa la costruzione della Chiesa.

E son queste: la prima riguarda la necessità e l’utilità della preghiera, intesa come coefficiente indispensabile dell’azione apostolica. Talvolta, nell’ansia operativa della nostra mentalità moderna noi siamo inclinati a considerare che l’una, la preghiera, sia ostacolo all’altra, l’azione, quasi che si contendano il tempo reso scarso e le forze rese più preziose dall’accelerazione della nostra polivalente attività, mentre sono e devono essere complementari, secondo l’antica sapienza benedettina: ora et labora, prega e lavora; e soprattutto secondo il mandato evangelico : «bisogna sempre pregare e non stancarsi mai» (Lc 18,1).

E la seconda è la fiducia; la fiducia nella nostra umile, inadeguata attività, quando appunto essa è sostenuta dalla preghiera e rivolta all’edificazione di quella Chiesa che Cristo Signore amò, fondò e redense, e Lui stesso con noi vuole edificare.

Costruire la Chiesa: disegno di Cristo, programma nostro. Ognuno lo ricordi, con la nostra Benedizione Apostolica.



Alle religiose partecipanti all’VIII Settimana Biblica Nazionale

Un pensiero di compiacimento e un voto augurale rivolgiamo in particolare al gruppo di Religiose convenute in questi giorni a Roma per la loro VIII Settimana Biblica Nazionale, indetta con lodevole impegno dall’Associazione Biblica Italiana, tanto benemerita della diffusione dell’amore e dello studio delle Sacre Scritture tra il Clero, i Religiosi e i Laici.

Siate le benvenute, figlie carissime in Cristo! Abbiamo rilevato con soddisfazione il tema della Settimana: la missione profetica e la missione apostolica nelle pagine ispirate dell’Antico Testamento e nel Vangelo di San Matteo, con particolare riguardo ai testi relativi all’apostolo San Pietro, che Gesù pose a fondamento della sua Chiesa e al quale affidò il suo gregge per guidarlo e proteggerlo sui pascoli della salvezza. Affrontate lo studio di un tema che costituisce uno dei momenti culminanti della rivelazione divina e della storia della salvezza. Nell’Antico Testamento, la missione acquista il massimo rilievo nella sublime avventura dei profeti, che il Signore suscitò e inviò come la sua viva voce al popolo dell’Alleanza per illuminarlo nella fede, rafforzarlo nella fedeltà alle divine esigenze del Patto e ravvivarlo nella speranza concentrata sul Redentore venturo. Quando venne la pienezza dei tempi, il Padre celeste inviò sulla terra il suo stesso Figlio in carne umana perché realizzasse finalmente il misericordioso disegno salvifico, e Cristo Signore prolungò nel tempo la sua missione con l’invio degli apostoli al mondo intero perché, con la potenza dello Spirito Santo, annunziassero la Buona Novella e comunicassero a tutti i doni divini della redenzione.

La caratteristica degli inviati di Dio è sempre stata una strenua fedeltà al loro mandato, nella perfetta adesione ai pensieri e alla volontà di Colui che li inviava; oggi è, in concreto, la fedeltà alla Chiesa «universale sacramento della salvezza» (Lumen Gentium LG 48), come Cristo l’ha voluta nel suo mistero e nella sua visibile struttura. A questa fedeltà vogliamo, con accorata e paterna premura, esortare in particolar modo voi, figlie carissime, come pure tutte le altre religiose che con grande gioia insieme a voi vediamo qui presenti. Avete accolto generosamente l’invito a voi rivolto dal Signore di consacrarvi a Lui nella vita religiosa. Vivete ogni giorno con sempre maggior fedeltà le sublimi esigenze di questa vostra consacrazione. È così che vi renderete causa di gioia, di onore, di consolazione e di autentico progresso per la comunità ecclesiale. A tanto vi conforti la nostra Apostolica Benedizione.

Ai nuovi studenti americani giunti a Roma al «North American College» per continuare gli studi

We welcome to Rome the new students of the North American College. Rome is the meeting piace for members of the Church from al1 countries: it will show you the Church as catholic. It is to Rome that those diverse peoples and cultures look for their unity in the Christian faith, for Rome is the divinely constituted centre of the Church as one. We pray that you will be imbued with the spirit of catholicity and unity, as you study here the teaching that comes to us from the apostles and prepare by the sanctity of your lives to be worthy ministers of the holy Church of Christ.

Ai bambini della «Operación Plus Ultra»

Nuestro saludo, cordial y paterno, se dirige ahora a los componentes de la «Operación Plus Ultra», que están presentes en esta Audiencia.

Una vez más venís a visitar al Papa, queridos niños, mensajeros de la bondad, ejecutores de actos de generosidad, testimonio vivo de unos genuinos valores humanos de altruismo, de solidaridad, de amor a la familia y al prójimo; Nos diríamos simplemente, testigos de la caridad de Cristo.

Valoramos profundamente vuestro ejemplo y os recibimos con particular y gran afecto. ¡Quiera Dios que vuestra conducta inspire a muchos a lanzarse por los senderos del bien, enriqueciendo así a la sociedad actual -que tanto lo necesita- con ideales crecientes de amor, de generosidad, de ayuda al necesitado, de entrega a una mayor justicia!

Continuad siempre por el buen camino y recibid nuestra especial Bendición, en la que incluimos también a vuestras familias y a cuantos os ayudan.


Mercoledì, 15 settembre 1976


Paolo VI Catechesi 11876