Paolo VI Catechesi 15126

Mercoledì, 15 dicembre 1976

15126

Viene il Natale. Una domanda s’impone: abbiamo noi compreso il significato di questa annuale festività? Ne accettiamo noi davvero il valore relativo al nostro modo di pensare e di agire? Questa domanda è interessante, fino ad essere inquietante, perché al solo tentativo di penetrare con lo sguardo dell’animo in questo titolo di «Natale», sembra che il suo contenuto scoppi di densità, da non poterlo afferrare. S. Paolo, parlando appunto del mistero di Cristo, ci esorta a metterci in grado di comprendere nelle quattro dimensioni «l’ampiezza, l’estensione, l’altezza, la profondità» in cui esso si effonde fino a sorpassare ogni nostra capacità di conoscenza (Cfr.
Ep 3,18-19). Per molti di noi il Natale è una semplice, se pur singolare ricorrenza di calendario, che ci porta una pausa nel consueto lavoro, un po’ di allegria, qualche regalo da fare e da ricevere, qualche svago di qualità, qualche vibrazione all’indice attivo e passivo del nostro bilancio. Veramente v’è qualche cosa d’altro che ci porta alle soglie del mondo della fantasia e della poesia: l’albero del Natale, «babbo Natale», e finalmente per chi vuol vedere dentro la realtà storica e religiosa del Natale: il presepio. Questa visione ingenua, innocente, realistica del Natale è certamente il punto prospettico migliore; essa ci offre, per immaginosa che sia, la scena autentica dell’avvenimento, di cui celebriamo il sacro ricordo; è bello, è pio, è edificante lasciarci incantare davanti al quadro idilliaco e arcadico di quella pagina evangelica, che ci riporta tutti, lieti e semplici come fanciulli, davanti al Bambino Gesù, venuto al mondo in tanta povertà e in tanto candore di natura e splendore di angeli che rendono trasparente l’oscurità della notte e riempiono il cielo di canti meravigliosi. Bellissimo. Ma basta questo momentaneo incantesimo a farci comprendere che cosa è il Natale? Abbiamo provato a cogliere la prima e spontanea impressione che l’umile scena del Presepio suscita nei suoi silenziosi osservatori? Cioè il confronto fra la nascita di Cristo nel mondo ed il mondo che la circonda? Ciascuno sembra poi invitato a porre il confronto fra Lui, Cristo, e se stesso; ad avvertire cioè quale rapporto vi sia fra la propria anima e l’avvento di Cristo; un rapporto molto problematico e incalzante; ma che noi, in questo momento e in questa sede, non vogliamo esplorare.

Vogliamo piuttosto porre un altro invito, quello del confronto fra l’arrivo di Cristo nel tempo e la storia dell’umanità. Meditazione senza confine, come il cielo intorno alla terra. Ma raccogliamo da così vasto quadro almeno questa impressione soverchiante: il momento del presepio si pone nel punto focale della storia universale. I secoli tendono verso questo infimo istante, quelli passati come una preparazione, quelli futuri come una conseguenza. Sappiamo di prospettare un fatto sproporzionato alla nostra intelligenza e perfino alla nostra immaginazione; ma è così. Dice San Paolo, quasi guardando sul quadrante del tempo che registra innumerevoli secoli: «. . . quando venne la pienezza del tempo (tò pléroma toû chrónou), Dio mandò il suo Figlio, nato da Donna» (Ga 4,4). La scena pastorale del presepio acquista un significato cosmico. La notte dei secoli è attraversata da un Pensiero vegliante, che a un dato momento effonde dal presepio una luce irradiante la storia del mondo; la storia qui ha la sua chiave, il suo segreto, il suo cardine, il suo senso, il suo destino. Il tempo, così opaco, così impossibile, così inesorabile, ha qui la sua luce (Cfr. Jn 1,5 Jn 12,46). Qua noi dovremo sempre ritornare per comprendere il vero e profondo senso delle cose e della vita.



E ancora un’altra osservazione orientatrice del pensiero umano. E cioè: questa apparizione di Cristo nella storia ha una storia, passata e futura; un disegno, la cui cognizione almeno sommaria non può mancare al nostro Natale; vogliamo dire la rievocazione spirituale della preparazione etnico-storica della venuta di Cristo, quella che noi classifichiamo come «Antico Testamento»; e vogliamo dire la consapevolezza della sequela storico-religiosa alla venuta di Lui, quel «Nuovo Testamento» nel quale noi tuttora viviamo, in attesa d’un’escatologia finale, cioè di quell’«altro mondo», in cui il regno di Dio si manifesterà nella sua pienezza. E poi mille altri pensieri! Ma basti così.

Ma com’è bello aprire lo spirito alle grandi visioni del tempo, cioè della storia della vita umana partendo dall’umile presepio di Betlehem! Oh! grandezza della piccolezza di Cristo! Oh! venuta di Cristo a livello umano della nostra bassezza per sollevarci all’altezza della sua divinità! Oh! antinomia della nostra incapacità ad essere uomini veri e perfetti, e dell’onnipotenza liberatrice e salvatrice di Colui ch’è venuto per renderci «figli di Dio» (Jn 1,12).

Prepariamoci al Natale, curvandoci su l’umiltà del presepio, in cui Cristo fu nostro, per sollevarci nel desiderio, nella speranza, nella grazia del Cristo glorioso, quando noi saremo veramente suoi.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai membri del Comitato permanente della «Fiaccola della Carità»

Costituisce un vivo piacere per noi potervi incontrare, cari dirigenti e rappresentanti del Comitato Permanente della «Fiaccola della Carità» che siete venuti a farci visita in occasione del quarto centenario della conversione di San Camillo de Lellis, ed a ringraziarci, altresì, per averlo proclamato Patrono della Sanità Militare Italiana.

Se dobbiamo, a nostra volta, ringraziarvi per quest’atto gentile e per i doni che ci recate, vogliamo anche esprimervi il nostro plauso ed incoraggiamento per i nobili ideali che animano la vostra Associazione, la quale, quasi erede della «Congregazione de’ Siculari» fondata dal Santo, si prefigge di sensibilizzare la società moderna e, in particolare, le persone addette all’assistenza dei malati, al dovere dell’amore cristiano verso chi soffre. A questo punto, si aprirebbe un discorso assai lungo ed ampio per materia e molteplicità di argomenti: la carità come supplemento e superamento della giustizia; la carità come spirituale vicinanza, anzi come comunicazione e comunione del fratello che sta accanto al fratello ammalato; la carità che, a noi assegnata come «comandamento nuovo» da Gesù (Cfr. Jn 13,34), ha avuto il suo celebratore e cantore in San Paolo (Cfr. 1Co 13), del quale certo San Camillo, per averla esercitata con sovrumano ardore spinto fino all’eroismo, ha tradotto in pratica il motto: «Caritas Christi urget nos» (2Co 5,14). Ma ci basti dare a voi, che a tale esempio vi ispirate, una semplice indicazione come un paterno ricordo: tenete sempre alta la vostra «fiaccola della carità», onde possa all’intorno diffondere i suoi raggi luminosi e benefici; sia essa una vera e convincente testimonianza della civiltà dell’amore; e, perché mai non si spenga, alimentatela a quel fuoco portato su questa terra da Gesù Salvatore (Cfr. Lc 12,49).

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Ad alunni ed ex alunni del Collegio Nazareno di Roma

Diamo il nostro cordiale benvenuto alla rappresentanza degli alunni ed «ex alunni» del Collegio Nazareno in Roma, presenti a questa Udienza.

Conosciamo, carissimi figli, il particolare motivo della vostra visita: nel dirci il vostro sincero affetto, avete voluto anche dimostrarci la fiducia che riponete nella bontà e altresì nelle sue generose risorse che spesso si riscontra nell’animo degli studenti: infatti, per metterla nel giusto risalto, la vostra Associazione «ex alunni del Nazareno» ha istituito il premio «l’Alunno più buono d’Italia», che quest’anno è stato assegnato ad Antonella Rubegni, segnalatasi per la sua dedizione ai propri familiari colpiti da grave infermità.

Nel manifestare il nostro compiacimento, rivolgiamo un paterno incoraggiamento a tutti gli alunni delle scuole italiane, affinché, nelle diuturne fatiche dello studio, esercitino esemplari virtù nell’ambito domestico e nella comunità sociale.

Per il compimento di tali doveri è incitatrice la funzione della famiglia: essa, nata per l’unione di tutti i suoi membri, è base di crescita fisica e spirituale, ed è parimente, alla luce delle verità cristiane, centro qualificato di annuncio della buona novella, per la missione da Dio conferita per la grazia sacramentale ai maggiori responsabili, i genitori.

Invochiamo su di voi e su tutti i vostri cari i continui doni dell’assistenza celeste e di gran cuore vi benediciamo.

A un gruppo di sacerdoti americani e a un gruppo di «Christian Brothers»

With paternal affection in Christ Jesus we extend a special welcome to the group of American priests who have just completed their course of continuing theological education. Dear sons, you have come to Rome in search of renewal and strength for your priestly lives. And you must always seek this renewal and strength in a greater understanding and love of the mystery of Christ. To share in the mystery of Christ must always be the goal of our lives. Each of us must say with Saint Paul: “I wish to know Christ and the power flowing from his Resurrection” (Ph 3,10). And for the glory of God may you proclaim to your people, by word and example, the life-giving mystery of Christ.

Our affectionate greetings go likewise to the Tertian Group of Christian Brothers who are engaged in a course of spiritual renewal. Our prayer for you is that you will find great joy in the Word of God, fresh energy for your apostolate of Catholic education. To belong entirely to Christ in consecrated love, to serve him in his Church, and to communicate him to the young is a great vocation, a great gift of God. Be always strong and faithful-faithful for ever.

Ai partecipanti a un corso di perfezionamento dell’IRI

Un saludo particular para el grupo de participantes latinoamericanos en el Curso pogramado por el IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), a quienes acompañan algunos dirigentes del mismo.

Habéis sentido en vuestro ánimo, amadísimos hijos, la inquietud por perfeccionar vuestros conocimientos técnicos y la urgencia de renovaros personalmente para mejor servir al progresivo adelanto en vuestros respectivos países.

Nos congratulamos por ello y os exhortamos a infundir en torno a vosotros ese espíritu de servicio, con la voluntad consciente de que los bienes y recursos de que disponen vuestras Naciones cumplan debidamente su función social. He ahí vuestra tarea que, unida a un testimonio de fe y de esperanza cristianas, os darán la íntima alegría de trabajar por una tierra más solidaria y un hombre más completo en su dignidad humana y espiritual. Con nuestra Bendición Apostólica, para vosotros y vuestros seres queridos.



Mercoledì, 22 dicembre 1976

22126

Il Natale, come ogni festa liturgica, ha due aspetti; il primo è quello del culto dovuto al mistero ch’esso commemora e celebra, cioè, nel caso del Natale, l'Incarnazione del Verbo di Dio, la nascita di Cristo nel mondo e nel tempo; l’altro è il riflesso tipico e morale che il mistero celebrato riverbera sull’umanità, sulla Chiesa celebrante, su noi fedeli chiamati alla celebrazione della festa. Questo secondo aspetto si presta ad applicazioni spirituali senza fine, e conferisce alla celebrazione un’attualità che tutti ci riguarda, e ogni anno si rinnova, e cerca di modellare la vita dei credenti su gli aspetti religiosi e storici del mistero celebrato. Il Natale festeggia la nascita del Salvatore; e perciò promuove la nostra rinascita nel disegno della salvezza. Egli è nato, insegna S. Agostino, affinché noi rinascessimo: «natus est, ut renasceremur» (S. AUGUSTINI Sermo 189, 3: PL 38, 1006).

Questo tema della nascita dell’uomo ricorre in tutta l’economia della salvezza. Ricordate l’episodio evangelico di Nicodemo, un buon fariseo, che forse per timidità va da Gesù, ormai rinomato come maestro e operatore di prodigi, di notte, per una consultazione riservata, ma chiarificatrice; e ricordate l’insegnamento primario e fondamentale che il Signore, con parole sconvolgenti gli impartì? «In verità, in verità ti dico: se uno non rinasce dall’alto non può vedere il regno di Dio» (
Jn 3,3). Rinascere, come è possibile? Sarà questo il caposaldo della dottrina battesimale cristiana, la quale comporta non soltanto l’assoluzione dal peccato originale, che ogni uomo, erede di Adamo, per il fatto stesso della sua nascita naturale, porta con sé, ma l’infusione altresì d’un nuovo principio vitale, la grazia, che associa la vita umana all’ineffabile ed infinita vita divina (Cfr. 1P 1,23 2P 1,4). S. Paolo è il dottore di questa pagina capitale della rivelazione cristiana (Cfr. Rm 5,12-16 ss.). L’uomo può rinascere, anzi deve rinascere. E questa verità illumina per noi anche il Natale, che diventa non solo la festa per eccellenza dell’infanzia e dell’innocenza, ma invita noi tutti a desiderare questa età beata dei piccoli, che hanno la precedenza, anzi la preferenza evangelica nel regno dei cieli, cioè in quella novità di esistenza, inaugurata e instaurata da Cristo al di fuori della quale sarebbe fallito l’umano destino (Cfr. Mt 11,25 Mt 18,2). Bisogna ritornare bambini; cioè innocenti; umili e senza colpe; puri, nuovi. Il presepio parla (Cfr. S. AUGUSTINI Sermo 188, 3: PL 35, 1004).

E insegna una delle sue verità pedagogiche più mirabili e più consolanti; e cioè la corregibilità dell’animo umano, anche se inveterato in colpe ed in vizi, che sono di per sé praticamente non emendabili. L’uomo può diventare buono, anche se corrotto e cattivo. Nessun caso di umana malizia è disperato alla scuola del Vangelo e con la terapia della grazia. L’educazione e la medicina moderne hanno fatto progressi consolantissimi, ma spesso ridotti nel numero e fallaci nella durata e sempre contenuti nell’ambito naturale. Ma ai loro ammirevoli risultati non può mancare all’umile scuola del Natale il concorso, il suffragio dell’efficacia incomparabile della cristiana rinascita spirituale e morale. Non è che questa sia sempre miracolosa, come lo è nel momento sacramentale della Penitenza; ma essa, cercata e curata con i metodi dell’ascetica evangelica, è valida in modo meraviglioso. I maestri della santità cristiana, o anche semplicemente della saggezza cristiana ce lo dimostrano. E la rinascita psicologica e morale acquista alla loro scuola una virtù e una speranza, che ci deve ridare coraggio nella formazione delle nuove generazioni : le vogliamo buone, forti, coscienti, non solo per se stesse, ma altresì per quei contesti sociali, che siamo spesso rassegnati a considerare inguaribili, e che la gioventù di oggi e di domani può prodigiosamente risanare.

Quanti, e pur troppo crescenti, malanni corrodono oggi il tessuto sociale di tante zone dei Popoli malamente trascinati dall’evoluzione moderna, alle quali è mancata la lezione, l’esempio, il conforto, l’ambiente d’una vita integra ed umana, e per le quali tutti dobbiamo essere più coscientemente e responsabilmente impegnati a sollevare alla coscienza e all’osservanza d’una nuova umana e civile onestà. Non vi è malattia dell’etica sociale che sia refrattaria alla cura amorosa, paziente e sapiente del Vangelo. La nascita di Gesù sulla terra ci conforta a sperare e ad operare per la rinascita dell’uomo nel mondo.

Con l’augurio di buon Natale, la nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 29 dicembre 1976

29126

Il Natale è passato. Ma il Natale rimane. Rimane come fatto storico intorno al quale si organizza e si sviluppa successivamente il cristianesimo, che, tutt’altro che superato ed estenuato, arriva fino a noi. Rimane come concezione della storia, che vede secoli passati, come un momento del tempo iniziato col Natale di Cristo, e vede secoli futuri come logico svolgimento di quell’umile e sommo avvenimento che fu la venuta del Verbo di Dio sulla terra e nel tempo, e che guida i destini dell’umanità fino alla fine dei secoli. Ma rimane come filosofia della vita, come scuola che ci insegna il disegno della nostra esistenza nel tempo, come modello esemplare di ciò che dobbiamo essere e di ciò che dobbiamo fare: dobbiamo essere cristiani e dobbiamo comportarci come tali. Quest’ultimo aspetto del Natale, quello filosofico-morale, è ora per noi tema di questa breve riflessione, nella quale potrebbero confluire i contributi enciclopedici dell’ascetica cristiana sul Natale.

Limitiamoci ad una domanda riassuntiva: qual è l’insegnamento fondamentale e sommario che la nascita di Cristo raccomanda all’umanità, a ciascuno di noi? Noi ci atterremo ancora alla parola di S. Agostino; ma mille maestri ci possono ripetere nel repertorio della letteratura sacra la medesima lezione. Del resto il quadro del presepio parla da sé: se questo è il modo scelto dal Verbo di Dio per farsi uomo, che cosa c’insegna il Signore se non l’umiltà? «Cum esset altus humilis venit» (S. AUGUSTINI Enarr. in
Ps 31,18, PL 36, 270). E S. Paolo non ha lui racchiuso in una memorabile sintesi il disegno dell’Incarnazione: «Abbiate – egli scrive ai Filippesi - in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso (annientò se stesso) assumendo la condizione di servo, e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Ph 2,5-8). E sarà questo pensiero che alimenterà alla radice la cristologia di Sant’Agostino; egli narra nelle «Confessioni» d’aver compreso la missione di Cristo quando capì che l’umiltà era stata scelta da Cristo come via della sua mediazione per condurre l’uomo dalla sua decaduta umanità all’altezza della divinità (Cfr. S. AUGUSTINI Confessiones, VII, c. 28, 24: PL 32, 745). Il florilegio delle citazioni non avrebbe più termine a volerlo raccogliere dalle opere del santo Dottore. (Cfr. E. PORTALIÉ Dict. Théol. Cath., II, 2372)

L’umiltà, di cui si tratta, non è la virtù specifica che S. Tommaso cataloga nella sfera della temperanza, pur riconoscendole un posto principale in una classifica più ampia, quella d’un ordinamento generale della vita morale (Cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, II-II 161,5); ma è quella relativa alla verità fondamentale del rapporto religioso, alla realtà essenziale delle cose, che mette al primo e sommo livello l’esistenza di Dio, personale, onnipotente, onnipresente, al momento in cui Egli viene a confronto con l’uomo: è l’umiltà della Madonna nel «Magnificat», che dà alla creatura il senso di se stessa nella totale dipendenza da Dio, nella sproporzione incolmabile fra l’infinita grandezza di lui e la misura, sempre infima, di chi tutto deve a Dio, nell’avvertenza d’una assoluta necessità della sua provvidenza, che per noi peccatori vuol essere misericordia. Scaturisce da questo punto centrale del Natale, l’umiltà di Cristo-Dio e Uomo, la logica del Vangelo, nel quale sentiamo risuonare le parole del Signore: «imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11,29), e ne ascolteremo l’insegnamento ripercuotersi sui seguaci del Vangelo: «beati i poveri di spirito (cioè gli umili), perché di essi è il regno dei cieli» (Ibid. Mt 5,3).

Qui occorrono due fugaci, ma importanti osservazioni. La prima ci ricorda che questa fondamentale lezione di umiltà non annulla né la grandezza di Cristo, né curva nel nulla la nostra pochezza. L’umiltà è una attitudine morale che non distrugge i valori ai quali essa si applica; essa è una via per riconoscerli e per ricuperarli (Cfr. Ph 2,9 ss.; Ep 3,2 Mt 23,12). La seconda presenta un confronto fra la mentalità cristiana, tutta imbevuta di umiltà, e la mentalità profana che non apprezza l’umiltà, e la giudica come offesa alla dignità dell’uomo, come criterio debilitante al volontarismo creativo dell’uomo, e come, al più (come già gli Stoici), una saggezza rassegnata alla mediocrità umana. Non staremo a discutere la debolezza di queste posizioni; potremmo piuttosto ricordarne i pericoli (come quelli del superuomo, della sopraffazione di potenza, della cecità dell’infatuazione orgogliosa, del disorientamento pedagogico quando non sia più diretto dalla verità del Vangelo). Ma ci limiteremo a ricordare il premio che accompagna una sapiente umiltà: la grazia, come ci ammoniscono gli Apostoli Pietro (1P 5,5) e Giacomo (Jc 4,6).

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai partecipanti all’Incontro nazionale per le Vocazioni

Rivolgiamo ora un saluto particolarmente cordiale ai partecipanti all’Incontro Nazionale di studio sul tema fondamentale: «Famiglia e servizio di orientamento e accompagnamento vocazionale». Siamo lieti di testimoniarvi il nostro sincero apprezzamento per l’entusiasmo e la competenza, che avete portato a questo Convegno, e ad esprimere la nostra fiducia circa le indicazioni concrete di animazione per le sacre vocazioni, che in esso riuscirete ad elaborare. È nota a voi tutti la vivissima sollecitudine con la quale seguiamo le molteplici iniziative, varate in questo campo dalla Chiesa in Italia. Facciamo voti che la pronta disponibilità di tutti alle mozioni dello Spirito, ed insieme l’attenta analisi delle caratteristiche della realtà socio-culturale odierna, possano favorire la progettazione di un’azione pastorale atta a stimolare nelle diverse componenti della comunità ecclesiale, ed in particolare nella famiglia cristiana, una sempre più chiara presa di coscienza non solo delle esigenze poste dalla comune vocazione cristiana, ma anche di quelle, che scaturiscono dalla vocazione ad una speciale consacrazione di sé alla causa del Regno di Dio.

Accompagniamo questi voti con una speciale Benedizione Apostolica, propiziatrice di ogni celeste lume e conforto.

Ai partecipanti all’Assemblea della FIDAE

Rivolgiamo ora un caloroso saluto ai numerosi partecipanti alla XXX Assemblea Generale della FIDAE, che proprio oggi chiude i suoi lavori.

Figli carissimi, vogliamo innanzitutto assicurarvi il nostro totale apprezzamento per il vostro impegno personale e di associazione a favore della scuola cattolica, la quale, conformemente al tema della vostra Assemblea, pur nel necessario pluralismo della società attuale, è solida garanzia di un’integrale educazione giovanile, quale non poche famiglie richiedono.

Intendiamo pertanto infondervi fiducia e stimolare la perseveranza delle vostre energie intelligenti e generose nella dedizione ad un aspetto della testimonianza cristiana, sempre degna sicuramente del migliore slancio sia nella vita interna dell’Organizzazione sia nell’impegnato concorso con le Istituzioni statali tanto centrali quanto locali.

In pegno di tanto auspicio, impartiamo a tutti voi la nostra più cordiale Benedizione Apostolica, estensibile pure ai vostri cari e a tutti i vostri Colleghi di lavoro.

Ai novelli sacerdoti Legionari di Cristo

Un affettuoso saluto desideriamo rivolgere anche ai novelli Sacerdoti della Congregazione dei Legionari di Cristo, i quali hanno ricevuto la sacra Ordinazione la vigilia del Santo Natale.

A voi, figli carissimi, che siete stati consacrati definitivamente al servizio di Dio, della Chiesa e dei fratelli, esprimiamo l’augurio che siate sempre animati per tutta la vita dal fervore di questi giorni di grazia, e che rimanga in voi sempre intatta la serena letizia della vostra donazione al Signore.

Su di voi, sui vostri familiari, sui vostri Superiori invochiamo l’effusione dei favori del Divin Redentore, e di cuore impartiamo la Benedizione Apostolica.

Al pellegrinaggio di Bolsena

Ci piace ora rivolgere un cordiale benvenuto ai fedeli di Bolsena, i quali, accompagnati dal loro Vescovo Monsignor Decio Lucio Grandoni, sono venuti a restituirci la visita che noi facemmo alla loro ridente Cittadina nell’agosto scorso, in coincidenza col Congresso Eucaristico Internazionale di Filadelfia.

Figli carissimi, vi siamo assai grati di questa premura, perché con la vostra presenza non solo intendete rappresentare l’intera comunità ecclesiale e civile, a cui appartenete, ma volete anche rinnovarci i sentimenti di sincero ossequio che tanto apprezzammo in quella circostanza. Dinanzi a voi il nostro cuore si apre ad un dolce ricordo, nel quale i tratti della squisita ospitalità ricevuta s’intrecciano alle ragioni più alte della pietà religiosa: ripensiamo, infatti, al clima festoso con cui fummo accolti; ripensiamo all’evento prodigioso che ha reso celebre, da tanti secoli, Bolsena; e ripensiamo - senza soluzione di continuità, ma per soprannaturale ed inscindibile collegamento - alla più recente celebrazione eucaristica che ha avuto luogo nella metropoli statunitense.

Ed il ricordo, da parte nostra, si traduce facilmente in esortazione: siate gelosi custodi di questa tradizione, che tanto onora la vostra terra; sappiate distinguervi per il culto verso Gesù presente nell’Eucaristia irradiando intorno a voi una fede sempre viva ed un amore ardente verso il grande Sacramento.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Alla comunità romana delle Missionarie della Carità di S. Gregorio al Celio

Rivolgiamo ora ben volentieri un cordiale saluto al gruppo di ospiti della «Casa per abbandonati» che le Missionarie della Carità - meglio conosciute col nome di Suore di Madre Teresa di Calcutta - dirigono alla Salita di S. Gregorio al Celio.

Chi sia Madre Teresa tutti lo sanno; ma forse non tutti sanno che le iniziative di questa instancabile animatrice di opere di carità hanno trovato spazio anche qui in Roma, dove silenziosamente da anni si prodigano per i bisognosi le sue figlie spirituali, e dove recentemente esse hanno aperto una casa di riposo per gli anziani abbandonati. Esprimiamo plauso e riconoscenza per questa nuova attività che seguiamo con interesse e favore, incoraggiando quanti con spirito umano e cristiano vorranno dedicarvi cure, tempo, contributi.

Siamo certi che voi, ospiti qui presenti della Casa, sarete i primi a comprendere il significato di questo servizio. L’assistenza amorevole di cui siete oggetto da parte delle benemerite Suore, sia un motivo di fede nella Provvidenza del buon Dio, il quale non abbandona mai i suoi figli, ma ispirando nei cuori dei buoni sempre nuove sollecitudini di carità, fa loro sentire la delicatezza di Padre con cui li circonda e fa loro avvertire più vivo ed urgente il bisogno di Lui. Il pensiero della Divina Provvidenza vi accompagni continuamente, cari figli, e vi aiuti ad abbandonarvi sempre più fiduciosamente ad essa, anche nei momenti delle prove più dure della vita. Vi conforti la nostra Benedizione, che di cuore impartiamo a tutti voi e alle brave religiose che vi assistono.

A un gruppo di giapponesi provenienti da Tokyo

A warm welcome to the group of Catholics from Japan. You have come to Rome to venerate the places made holy by many martyrs and saints, especially by the holy apostles Peter and Paul. You are also following the footsteps of many other Japanese Catholics since the youth delegation that was sent here almost four centuries ago. May your stay in Rome bring you many blessings and encourage you to continue the glorious traditions of the Church in Japan.

With Our Apostolic Blessing.





Mercoledì, 5 gennaio 1977

Il pensiero del Natale, recentemente celebrato, occupa ancora i nostri spiriti, con un duplice stimolo, quello esemplare e quello sociale; relativo il primo al fatto della nascita di Gesù a Betlemme, al quadro cioè del presepio, il quale non cessa di assorbire il nostro spirito con l’incanto della sua pastorale semplicità e della sua angelica poesia; relativo il secondo all’efficacia pedagogica della rivelazione di Cristo nel modo squallido con cui si è presentata all’umanità, indubbiamente con l’intenzione tipica, esemplare.

In altri termini, volendo noi cogliere il senso essenziale del grande avvenimento, qual è la venuta di Cristo nel mondo, del Figlio stesso di Dio che, tale restando, assume insieme la natura umana per farsi Figlio dell’uomo, non possiamo non restare attoniti dalla povertà, che ha rivestito il Messia venendo nel mondo.

Il Natale è una incomparabile lezione di povertà. Così Dio si è fatto uomo. L’avvertenza di questo aspetto del mistero dell’Incarnazione diventa assorbente, non solo se si considerano le circostanze nelle quali tale mistero si è storicamente e praticamente celebrato a Betleem, ma se si osserva che tale aspetto non è un episodio subito superato da un quadro storico meglio corrispondente all’eccezionale dignità del Dio-Uomo entrato nella scena dell’umanità, ma è lo stile, è la forma voluta e coerente, scelta da Cristo per vivere fra noi, anzi per compiere la sua missione salvatrice: il Bambino del Presepio morirà sul Calvario, nel dolore e nell’umiliazione della croce. La povertà dell’Incarnazione sarà consumata nella Redenzione, e tutto il messaggio evangelico, che intercorre fra la nascita e la morte di Cristo, è un annuncio, un’apologia della povertà, proverbiale scelta di Lui per manifestarsi al mondo.

Povertà del Signore! il grande ostacolo alla sua accettazione da un’umanità che ben altro si attendeva dalla venuta spettacolare e vittoriosa del Messia; ed insieme il grande segreto dell’attrattiva di Gesù comparso nell’umanità.

Leggiamo, quasi scegliendo a caso nelle pagine del nuovo Testamento, alcuni testi che impongono il tema della povertà evangelica come argomento essenziale del fatto cristiano. Chi non ricorda la voce squillante della prima beatitudine «beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli»? (Mt 5,3) Dunque questo Gesù di Betleem e di Nazareth è il profeta dei poveri? è il rivelatore della loro dignità, della loro priorità, della loro fortuna? Non è demagogia; è riabilitazione nell’eccellenza terrena e nella speranza ultraterrena dei diseredati dai beni della terra.

E poi ricordate quella celebre pagina di S. Paolo nella lettera ai Filippesi sulla povertà totale e volontaria di nostro Signore? Egli scrive: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il Quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso (letteralmente: annientò), assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Ph 2,5-8). E ancora, sempre San Paolo, scrivendo ai Corinti per indurli a beneficare i fratelli di Gerusalemme, ammonisce: «Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventiate ricchi per mezzo della sua povertà» (2Co 8,9).

Impossibile dire tutto su questo aspetto immenso del cristianesimo. Ci basti porlo all’ammirazione di quanti, celebrando il Natale, hanno dovuto accorgersi dell’esaltazione che da tale festa divina deriva alla povertà umana.

Ma impossibile anche tacere l’importanza e l’interesse degli insegnamenti che sulla povertà, la veste assunta da Cristo per abitare fra noi, ci sono, staremmo per dire, non solo proposti, ma imposti, specialmente dopo il Concilio (Cfr. J. DUPONT, L’Eglise et la pauvreté in L’Eglise du Vatican II, II vol. , pp. 339-372).

Possiamo accennare ad una classifica della dottrina di Cristo sulla povertà, senza pretendere d’aggiungere qualche cosa a ciò che tutti sanno.

Ecco, punto primo, quello che si riferisce al criterio teologico del Vangelo sulla povertà. Perché la povertà? per dare a Dio, al regno di Dio, il primo posto nella scala dei valori che fanno oggetto delle aspirazioni umane. Dice Gesù: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33); e lo dice al confronto con tutti gli altri beni temporali, anche necessari e legittimi, che di solito impegnano i desideri umani. La povertà di Cristo rende possibile questo distacco affettivo dalle cose terrene per porre in vetta alle aspirazioni umane il rapporto con Dio.

Secondo punto, il criterio ascetico: la povertà, come liberazione dai vincoli degli interessi temporali per dedicare le nostre facoltà alla sequela del Vangelo ed ai doveri della vita cristiana. San Francesco insegni.

E terzo punto, il criterio benefico: «Date e vi sarà dato» (Lc 6,38 Lc 11,41). Anche questo è ben noto: la povertà, cioè la privazione di qualche nostro avere, deve farsi pane per i fratelli. È la fonte sociale, che scaturisce dalla povertà, e che sa valorizzare il lavoro, il risparmio, la ricchezza, e la relativa generosa rinuncia per mantenere la carità, per sostenere l’amore fra gli uomini, l’assistenza fraterna. Questa lezione evangelica della povertà è oggi d’attualità! Che ciascuno l’ascolti appunto con cuore capace di amare, ripensando ad una parola di S. Paolo, ch’egli dice uscita dalle labbra di Cristo: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (Ac 20,25).

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai Fratelli di San Gabriele riuniti in capitolo generale

Ad un gruppo di sacerdoti tedeschi

Mit besonderer Freude begrüßen Wir die anwesenden Priester aus den Diözesen Köln, Essen und Aachen, die hier in der Ewigen Stadt ihr silbernes Priesterjubiläum feiern.

Ihnen allen, liebe Freunde, gilt Unser aufrichtiger Glück- und Segenswunsch! Der Herr selbst ist es, der Ihnen durch Uns für Ihre aufopferungsvolle Tätigkeit dankt, mit der Sie als Priester in dieser schwierigen, aber doch sehr verheißungsvollen Zeit der konziliaren Erneuerung der Kirche in Treue gedient haben. Möge diese Jubiläumsfeier Ihres Priestertums in Ihnen jene Gnade neu entfachen, die durch die Handauflegung in Ihnen ist (Cfr. 2Tm 1,6), und Sie in Ihrer priesterlichen Sendung bestärken und ermutigen.

Dazu erteilen Wir Ihnen, allen anwesenden Pilgern und denen, die Uns über Radio hören, in der Liebe Christi den Apostolischen Segen.



Mercoledì, 12 gennaio 1977

12177
Paolo VI Catechesi 15126