Paolo VI Catechesi 12177

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La presenza a questa Udienza d’un gruppo, notevole per numero e per dignità di partecipanti, di appartenenti alle «Comunità neocatecumenali» ci offre l’occasione di richiamare l’attenzione dei nostri visitatori e di quanti si collegano all’ascoltazione di questa nostra familiare parola su due avvenimenti della Chiesa cattolica; e cioè sul Sinodo dell’Episcopato del 1974, che ebbe per tema « l’evangelizzazione » nel nostro tempo, e che diede materia alla nostra successiva Esortazione Apostolica «Evangelii Nuntiandi», dell’otto dicembre 1975; e, secondo avvenimento, il prossimo Sinodo dell’Episcopato, che, a Dio piacendo, sarà celebrato nel prossimo autunno del 1977, con l’inizio in data 30 settembre, e col tema sulla «catechesi», il quale si collega evidentemente col tema del Sinodo precedente. Questo dimostra come la coscienza della missione fondamentale della Chiesa, che è quella di diffondere il messaggio evangelico, secondo l’estremo ordine di Gesù al termine della sua visibile presenza sulla terra: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni» (
Mt 28,19), è vigile ed operante nella Chiesa stessa, e la impegna tutta, ministri e fedeli, all’annuncio del Vangelo, oggi più che mai, ciò sia per le difficoltà, sia per le possibilità, che il mondo moderno oppone ed insieme offre alla diffusione di tale annuncio.

Siamo dunque in una fase apostolica, missionaria, didattica quanto mai accentuata nella vita della Chiesa; tutti vi dobbiamo essere impegnati : la edificazione del Corpo mistico di Cristo sulla terra, che è la nostra Chiesa presente, è dovere d’ogni credente (Cfr. Lumen Gentium LG 33).

In questa visione è chiaro, è auspicabile che si vengano moltiplicando gli sforzi per attuare questo immenso e urgente programma: evangelizzare, catechizzare; e si assiste alla fioritura di opere e di mezzi per dare all’annuncio del messaggio evangelico la sua migliore diffusione. Noi osserveremo come questo multiforme fenomeno nella santa Chiesa non riguardi solamente l’aspetto scolastico, didattico, della sua attività, ma piuttosto quello più ampio, pedagogico, vitale, nel quale l’insegnamento delle verità religiose è parallelo, anzi unito alla professione della vita, di cui l’insegnamento è norma e principio. In secondo luogo noteremo come questo dovere non assume in chi lo compie, e anche in chi ne è favorito, la qualifica d’un peso grave e difficile, anche se in realtà esso lo è, ma piuttosto d’un onore, d’una fortuna, d’una vocazione nobilitante ed esaltante: il suo compimento ha in se stesso la rifusione della fatica, che esso comporta; rende felici i suoi testimoni, li rende sicuri, li rende partecipi in anticipo dei beni di quel regno di Dio che essi vanno annunciando.

E poi diremo che coloro che con cuore semplice e generoso si mettono al servizio dell’evangelizzazione subiscono, certo per un segreto ma immancabile carisma dello Spirito Santo, una metamorfosi psicologica e morale caratteristica, quella che trasforma le difficoltà in stimoli, i pericoli in attrattive, le sconfitte stesse in titoli di merito e quindi di pace serena.

Adesso possiamo comprendere anche la testimonianza che i nostri odierni visitatori ci offrono: essa si svolge intorno al cardine della vita cristiana che è il battesimo, il sacramento della rigenerazione cristiana, il quale deve ritornare ad essere ciò che era nella coscienza e nel costume delle prime generazioni del cristianesimo. La prassi e la norma della Chiesa hanno introdotto la santa abitudine di conferire il battesimo ai neonati, lasciando che il rito battesimale concentrasse liturgicamente la preparazione che, ai primi tempi, quando la società era profondamente pagana, precedeva il battesimo, e che era detto catecumenato. Ma nell’ambiente sociale di oggi questo metodo ha bisogno d’essere integrato da una istruzione, da una iniziazione allo stile di vita proprio del cristiano, successiva al battesimo, cioè da un’assistenza religiosa, da un allenamento pratico alla fedeltà cristiana, da un inserimento effettivo nella comunità dei credenti, che è la Chiesa.

Ecco la rinascita del nome «catecumenato», che certamente non vuole invalidare né sminuire l’importanza della disciplina battesimale vigente, ma la vuole applicare con un metodo di evangelizzazione graduale e intensivo, che ricorda e rinnova in certo modo il catecumenato d’altri tempi.

Chi è stato battezzato ha bisogno di capire, di ripensare, di apprezzare, di assecondare l’inestimabile fortuna del sacramento ricevuto. E noi siamo lieti di vedere che questo bisogno oggi è compreso dalle strutture ecclesiastiche istituzionali e fondamentali, le Parrocchie. Si prospetta così una catechesi successiva a quella che il Battesimo non ha avuto; la «pastorale degli adulti», come oggi si dice, viene delineando, crea nuovi metodi e nuovi programmi; poi nuovi ministeri sussidiari sostengono la più esigente assistenza del Sacerdote e del Diacono nell’insegnamento e nella partecipazione alla liturgia; nuove forme di carità, di cultura e di solidarietà sociale accrescono la vitalità della comunità cristiana e ne fanno di fronte al mondo la difesa, l’apologia, l’attrattiva.

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 19 gennaio 1977

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Venerabili Fratelli e Figli carissimi,

il nostro incontro odierno cade opportunamente nella Settimana dedicata alla preghiera e alla meditazione sull’unità dei cristiani. È come un grande coro che in questi giorni, da parte degli appartenenti a quasi tutte le confessioni cristiane, si innalza all’unico Padre di tutti mediante il solo Signore Gesù nel vincolo del medesimo Spirito. Nella preghiera, infatti, la ricerca dell’unità trova la sua ispirazione più profonda e il suo giusto orientamento, oltreché forza e motivo di speranza. L’unità è una nota della Chiesa di Cristo e fa parte del suo mistero. Perciò, come la Chiesa stessa, anche l’unità è un dono di Dio e segno della sua misericordia. Essa infatti implica purificazione del cuore, conversione della mente, perdono dei peccati, santità di vita: tutte cose che solo Dio può dare ai suoi figli, se a lui ricorrono con cuore contrito e umiliato e con proponimento sincero di riprendere il cammino sulle sue vie.

Ed è perciò motivo di gioia il vedere che la preghiera per l’unita si estende nel mondo fra tutti i cristiani. In numero sempre crescente Cattolici, Ortodossi e Protestanti, tutti battezzati nel nome della SS. Trinità, si uniscono in questa Settimana per impetrare la vicendevole piena unità. Da un decennio a questa parte infatti, si è convenuto di pregare su uno stesso tema, scelto di comune accordo di anno in anno. È segno evidente che si riprende coscienza dell’importanza che l’unità comporta per la vita della Chiesa e per la sua missione nel mondo. Diventano così più manifesti i profondi vincoli, con i quali i cristiani sono ancora congiunti fra loro. Nello stesso tempo si esprime la comune volontà di obbedire insieme al Signore, il quale vuole che la sua Chiesa, una ed unica, sia pienamente ed armoniosamente compaginata «nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio» (Unitatis Redintegratio
UR 2). Ma la nostra supplica a Dio non può e non deve limitarsi ad una sbrigativa settimana annuale. È anche durante tutto l’anno che nelle varie Chiese si prega incessantemente per l’unità dei cristiani. Occorre farlo ogni giorno, poiché il problema della divisione è talmente grave che intacca l’opera stessa di Cristo, «è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Ibid. 1). Questa Settimana però resta il punto forte ed è il momento più denso di significato. Essa genera infatti una comunione di spiriti, che fa pregustare il giorno in cui tutti i cristiani pienamente uniti glorificheranno, con una sola voce e con un solo cuore, il nome di Dio e gli renderanno una concorde e fedele testimonianza di fronte al mondo (Cfr. Ph 2,15). A questo coro di invocazioni non può non unirsi particolarmente la nostra voce di Pastore universale (Cfr. Jn 21,15-17), incaricato, se pur indegnamente, di «confermare i fratelli» (Lc 22,32). Perciò la nostra preghiera si fa auspicio e invito a tutti i figli della Chiesa Cattolica ad unirsi in unanimità e dal profondo del cuore, a far corpo tutti insieme davanti al Signore, affinché Egli ascolti la voce pressante dei suoi fedeli, che concordemente gli chiedono luce e forza per fare la sua volontà e camminare insieme, spalla a spalla» (So 3,9), sulle sue vie.

Il tema proposto quest’anno alla riflessione e alla preghiera di tutti noi è tratto da San Paolo: «la speranza non delude» (Rm 5,5). Quanto è opportuno questo appello, perché non si cada nella delusione, perché non si rimanga impigliati nelle abitudini acquisite e non ci si fermi a mezza strada. La speranza è l’anima della causa ecumenica. Essa è la stella che orienta i nostri passi verso il luogo dove sicuramente si trova il Signore. A chi, dalla prima ora, si è impegnato nella ricerca dell’unità e, forse con un velo di tristezza, osserva che l’unità cercata non è ancora raggiunta, San Paolo ricorda che «la speranza non delude» e che occorre perseveranza. A chi forse s’interessa a quest’opera in modo ormai abitudinario e non più creativo, San Paolo ricorda che «la speranza non delude» e che è necessario rimanere protesi verso il futuro e in corsa verso la meta (Cfr. Ph 3,13). A chi prova la tentazione di sentirsi soddisfatto dei positivi risultati già raggiunti nei rapporti tra i cristiani e quindi corre il rischio di fermarsi ad uno stadio di pacifica convivenza, ma non di completa unità, San Paolo ricorda che occorre compiere l’opera fino in fondo mediante il raggiungimento finale della meta indicata dal Signore stesso, che è quella di essere «consacrati nella verità» (Jn 17,19) e «perfetti nell’unità» (Ibid. 17, 23). A chi, all’ultima ora, è in dubbio se valga la pena inserirsi anch’egli in questo movimento, San Paolo annuncia ancora con ardente convinzione che «la speranza non delude» e che, uniti al Signore, si possono vincere tutte le resistenze e superare ogni difficoltà.

La nostra speranza infatti è fondata in Dio e sul suo piano di salvezza, Dio è onnipotente e fedele, e realizza sempre la sua promessa. La sua Parola non torna indietro senza aver operato meraviglie. Come canta il Salmista, il Signore è «mia forza, mia roccia, mio liberatore, mia rupe, mio scudo e baluardo, mia potente salvezza» (Ps 17,2-3 cfr. Ps 17,2 Ps 17,27-31 etc.). Perciò noi non ci fondiamo presuntuosamente sulle nostre opere e sulle nostre aspirazioni, ma «ci vantiamo della speranza della gloria di Dio», come ancora ammonisce l’Apostolo (Rm 5,2). È sicura questa parola: Dio farà finalmente risplendere la sua gloria e comunicherà a tutti la sua santità. Egli sarà «tutto in tutti» (1Co 15,28) e sigillerà il definitivo trionfo su qualsivoglia espressione, del «mistero d’iniquità» (2Th 2,7), soprattutto sulle mutue dilacerazioni, le polemiche, le violenze, le sopraffazioni, le divisioni, le invidie e ogni forma di odio. È questa la suprema speranza del cristiano, di cui egli sa che «non delude», avendo in se stesso la presenza attiva dello Spirito Santo che ci è stato dato (Cfr. Rm 5,5). Infatti l’effusione dello Spirito nei nostri cuori opera nei cristiani una trasformazione certa, se pur lenta e contrastata, verso la formazione dell’uomo nuovo, «finché arriviamo all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, alla misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ep 4,13).

È precisamente in questa prospettiva che si pone la ricerca dell’unità dei cristiani: crescita di fede, maturità in Cristo, tensione verso la piena comunione in Dio. In quanto battezzati, tutti i cristiani sono singolarmente «giustificati nella fede e in pace con Dio per mezzo del Signore Gesù» (Rm 5,1); ma sono anche chiamati a trarre le debite conseguenze ecclesiali dalle esigenze del comune battesimo, così che Cristo diventi pure «la nostra pace» vicendevole ed ecumenica (Ep 2,14). Il Concilio Vaticano II lo ha indicato esplicitamente in questi termini vigorosi: «il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell’unità, che vige fra tutti quelli che per mezzo di esso sono rigenerati. Tuttavia il battesimo di per sé è soltanto inizio ed esordio, poiché esso tende interamente all’acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto il. battesimo è ordinato all’integra professione della fede, all’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza, come lo stesso Cristo ha voluto, e infine alla piena inserzione nella comunione eucaristica» (Unitatis Redintegratio UR 22). Dunque, c’è ancora un cammino di fede da percorrere, per ritrovarci finalmente uniti nella comune partecipazione all’unica Eucaristia, che oggi non possiamo realizzare a causa della mancata piena unità nella fede. Ma ancora una volta, il nostro stimolo è la speranza. Le stesse oggettive difficoltà non debbono impedirci di proseguire. Anzi, dobbiamo trarre vantaggio spirituale da queste stesse asperità, poiché, come spiega ancora San Paolo, «la tribolazione produce pazienza, la pazienza una provata virtù, e la virtù provata la speranza» (Rm 5,4).

Il nostro sperare è anche fondato e sostenuto dai positivi risultati, che va conseguendo la ricerca dell’unità tra i cristiani. Infatti, una nuova atmosfera si è instaurata e lo spirito di vera fraternità diventa sempre più solido e fecondo. Noi stessi lo sperimentiamo nei nostri sempre più frequenti e personali incontri con tanti Venerati Fratelli, che ci onorano con le loro visite qui a Roma, così come ne abbiamo avuto prova nei nostri pellegrinaggi a Gerusalemme, a Istanbul e a Ginevra. Noi ringraziamo il Signore, che ci ha concesso di farci strumento di questo incontro fra i cristiani di varia denominazione e di dare così il nostro contributo a questa misteriosa opera dello Spirito Santo, che vitalizza la Chiesa del nostro tempo. Del resto, non diversamente intendiamo la Sede di Pietro che come peculiare forma di servizio per l’unità della Chiesa. La ricerca dell’unità realizza poi anche un crescente incontro sul piano dottrinale e positive convergenze prendono sempre più corpo, anche su questioni che nel passato hanno fortemente contrapposto i cristiani, come quelle fondamentali sulla realtà dell’Eucaristia, sul Ministero e l’autorità nella Chiesa. I dialoghi fra la Chiesa Cattolica e le altre Chiese e Comunità ecclesiali, sostenuti dalla preghiera, proseguono il loro delicato lavoro, che speriamo porti alla piena chiarificazione di tutte le questioni controverse di fede e al completo accordo nella verità tutta intera. Anche per questo dobbiamo pregare intensamente.

Vogliamo concludere, ribadendo ancora che la ricerca dell’unità non è solo compito di gruppi speciali, come il nostro Segretariato apposito, ma è una responsabilità di tutti i battezzati e in particolare di tutti i cattolici. «La cura di ristabilire l’unità riguarda tutta la Chiesa - afferma il Concilio Vaticano II - sia i fedeli che i pastori e ognuno secondo le proprie capacità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno, quanto negli studi teologici e storici»! (Unitatis Redintegratio UR 5) La concordia nella ricerca infatti non può non condurre anche ad una concordia nel risultato finale. Ed è ciò che tutti ci auguriamo nel nome del Signore.

Intendiamo convalidare questi auspici con la nostra più cordiale Benedizione Apostolica, che ravvivi i propositi ecumenici di tutti e li renda sempre più fecondi, con la necessaria grazia di Dio.



Agli alunni della Pontificia Scuola Pio IX

Con affetto paterno rivolgiamo ora un cordiale saluto agli alunni della Pontificia Scuola Pio IX, che, unitamente ai loro Insegnanti e Familiari e a un gruppo di ex alunni, hanno voluto stamani portarci la testimonianza del loro attaccamento e della loro devozione, solennizzando al contempo l’avvio delle celebrazioni di due Centenari, quello prossimo della morte (7 marzo 1877) di Monsignor Vittorio Scheppers, fondatore della Congregazione, alla quale è affidata la direzione della Scuola, e quello, in prospettiva ormai ravvicinata, della morte (7 febbraio 1878) del nostro predecessore Pio IX, fondatore dell’istituto.

Noi vi siamo sinceramente grati, figli carissimi, per questo gesto di cortesia e di cristiana pietà.

Vi esortiamo a proseguire con entusiasmo verso quella che è la mèta di ogni autentico processo educativo, lo sviluppo cioè della vostra personalità, «traendo fuori» dalle profondità del vostro essere le virtualità latenti, per giungere a formare in voi stessi degli uomini liberi, responsabili, aperti al dialogo con gli altri e disponibili al rapporto religioso. Questo realizzerete se, da una parte, avrete fiducia nella vostra intelligenza e nella sua capacità di raggiungere la verità e, dall’altra manterrete vivo in voi il senso del limite umano, della imperfezione quindi di ogni conoscenza, sempre esposta alla quotidiana possibilità dell’errore. L’umiltà è la prerogativa del sapiente, il quale è ben conscio che alla verità ci si può avvicinare, senza però esaurirne mai la ricchezza, perché la verità è più grande dell’uomo, essendo la Verità il Verbo stesso di Dio incarnato (Cfr. Jn 14,6).

Conforti il vostro impegno la nostra Apostolica Benedizione, che volentieri estendiamo ai vostri Insegnanti e Genitori.

Ad un gruppo di cristiani americani

In this week of Prayer for Christian Unity it is a joy to extend a special greeting to three student groups from the United States, groups that include our Lutheran and Baptist brethren. In particular, we welcome the students from Saint Olaf’s College, the Ecumenical Institute of Wake Forest University, and Texas Lutheran College. Dear young people, may the desire of the Lord Jesus for the unity of his Church be always a deep personal concern for each of you. May Christ’s word in all its richness live in your hearts (Cfr. Col 3,16), and may you know ever more deeply his saving love. We ask you to take our greeting back into your families and into your Churches.


Mercoledì, 26 gennaio 1977

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Il breve, ma commovente incontro con un’assemblea così numerosa, così varia e così rappresentativa di visitatori, come quella che a noi procura questa Udienza settimanale, suscita un’effusione di sentimenti nel nostro animo, che non mai riusciamo ad esprimere adeguatamente, sia perché essi sono molti, sono diversi, sono forti, così da soffocare piuttosto che da favorire il nostro discorso, il quale vuole essere breve e semplice e per voi tutti tonificante; e sia perché la nostra voce vorrebbe essere importante, degna del vostro ricordo. Voi venite dal Papa e attendete da lui, con la sua benedizione, una sua parola, quasi per poter leggere, un istante, nel suo spirito, un suo pensiero, e per poter poi ricordare: così ci ha detto il Papa, e per ricavare qualche personale riflessione, auguriamo consolante e benefica, dall’eco in voi interiore di questo momentaneo dialogo. L’udienza è infatti una specie di dialogo, di intervista, che offre a chi vi assiste l’occasione di sapere qualche cosa del pensiero del Papa, della Chiesa. Così che noi siamo sempre lieti, ma trepidanti in un incontro come questo, e ci sentiamo costretti a scegliere fra le molte cose che vorremmo a voi confidare quella una che, sul momento, ci sembra più importante.

Ebbene, sì; anche questa volta limitiamo l’apertura del nostro cuore all’impressione oggi in noi dominante, la quale ci è suggerita dalle circostanze del nostro tempo in coincidenza con una esortazione più volte ripetuta nel Vangelo da Gesù, nostro Maestro e nostro Salvatore: «Non sia turbato il vostro cuore» (
Jn 14,1). Parola questa che ritorna spesso sulle labbra di Cristo (Cfr. Jn 14,27 Lc 12,32 Lc 24,38 etc.). Rassicurante, bellissima parola, che faremo bene a custodire nei nostri animi, e a farvi ricorso con fiducia; ma parole che ci avvertono nello stesso tempo delle condizioni non tranquille, non felici, nelle quali ci troviamo. Se il Signore ci raccomanda di non temere, segno è che siamo in pericolo; e se noi dobbiamo dare una considerazione prevalente all’esortazione confortante di Lui non facciamo torto alla sua parola quando insieme avvertiamo che noi ci troviamo in una condizione non propizia, non facile. Così è: noi non siamo, umanamente parlando, in un periodo di normalità, di tranquillità, di facilità; noi cristiani, diciamo.

Noi dobbiamo aprire gli occhi. Noi viviamo in tempi difficili. Quel Gesù che ci infonde coraggio e che vuole che noi facciamo credito alla sua assistenza e alla sua divina arte di volgere a nostro vantaggio spirituale e superiore tutte le cose, anche quelle che avvertiamo a noi contrarie e dolorose, quando, per voce dell’Apostolo Paolo, noi sappiamo «che tutto concorre al bene di coloro che amano Iddio» (Rm 8,28) è lo stesso Gesù Maestro che ci avverte più e più volte di vigilare (Cfr. Mt 24,42 Mt 26,38 Mc 13,37 Lc 21,36 etc.); che ci vuole attenti ai segni dei tempi (Cfr. Mt 16,4); che ci preannuncia l’infelicità, per così dire, congenita con la professione cristiana (Cfr. Jn 16,20 Jn 16,22); e che, ancora per mezzo dell’Apostolo stesso, ci esorta a vivere difesi dall’armatura di Dio per essere capaci a resistere al male ...( Cfr. Ep 6,11-13). La vita cristiana è una milizia (Cfr. Jb 7,1). Né pavida, né comoda, né incerta può essere la condizione di chi ha scelto Cristo per suo modello, per sua guida, suo redentore (Cfr. Jn 19,37).

Ebbene, se così è, la nostra vocazione oggi è la fortezza. I tempi sono difficili; dobbiamo essere preparati a viverli con personale e generoso spirito di testimonianza di fede, di energia morale, di preferenza (sopra ogni calcolo di egoismo, di paura, di viltà, di opportunismo), alla nostra personalità di uomini veri, resi «superuomini» dal nostro battesimo, di cittadini temporali leali e sinceri, che hanno coscienza della simultanea cittadinanza per cui appartengono a quella Città di Dio che ora chiamiamo la Chiesa, la nostra «società dello spirito» (Cfr. Ph 2,1): una, santa, cattolica ed apostolica; di cristiani cioè che non hanno bisogno di mutuare dalle concezioni filosofiche e sociali in antitesi con quella religiosa, che sappiamo vera e inesauribilmente feconda di spirito di sacrificio e di amore, i principii veramente ispiratori e fondamentali della storia e del progresso.

Coraggio perciò, Figli e Fratelli, convenuti a questo paterno colloquio; coraggio! con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai Professori e agli studenti della «Notre Dame International School» di Roma

We are pleased to welcome the teachers and students of Notre Dame International School in Rome on the twenty-fifth anniversary of its foundation. We remember the zeal that motivated all the work involved in setting up your School, and in particular we evoke with reverente and gratitude the memory of the late Archbishop Edward Heston of the Congregation of the Holy Cross. And the ideals of genuine Christian education for which your School was founded are the same today, because “Jesus Christ is the same today as he was yesterday and as he will be for ever” (He 13,7). Acceptance of Christ’s message of love and concern, of sacrifice and discipline will always be the measure of your fulfilment and your freedom. Yes, dear young people, we hope that your whole lives will be penetrated with the spirit of Christ (Cfr. Gravissimum Educationis GE 3), and we willingly share with you in the joy of this anniversary.

Ai pellegrini spagnoli convenuti a Roma per la Canonizzazione di Santa Raffaella Maria del Sacro Cuore

Vaya ahora nuestro cordial saludo a todos los componentes del numeroso grupo venido a Roma para la Canonización de la Beata Rafaela María del Sagrado Corazón.

Habeis participado, vosotras Religiosas Esclavas, alumnas, exalumnas, parientes y amigos, a la exaltación de una persona cuya vida impresiona sobre todo por su humildad y su valentía en el sufrimiento. Esto fue posible porque ella vivi siempre en una dimensión profunda de fe, que le hacía mirar más allá del acontecimiento pasajero.

Ante la tendencia actual a dejar a un lado los valores espirituales, aprended de esta figura excepcional a dar a vuestra vida un sentido de trascendente esperanza, una animación de fe, un alimento de oración, una sólida referencia a Cristo, en Quien vivimos nuestra existencia, la de aquí y la eterna. Para que así sea, os bendecimos de corazón.



Mercoledì, 2 febbraio 1977

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Questa solennità festiva, che conclude il tempo natalizio, è designata da diversi nomi e da diversi significati: Purificazione di Maria, in relazione con il rito dell’antica Legge (Cfr.
Ex 13,2 Ex 13,12 Ex 13,15 Nb 8,17 Lv 2,6 Lv 2,8); Presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2,22 ss.); Incontro, in Greco Hypapante, di Gesù col vecchio Simeone e con la profetessa ultra ottogenaria Anna, cioè l’incontro dell’antico Testamento col Nuovo, inaugurato dal natale di Gesù (Ibid. Lc 2,22); Candelora, dalla processione che a Gerusalemme si faceva alla fine del secolo quarto, e che ci è ricordata dalla celebre relazione sulle liturgie locali della pellegrina Eteria (Cfr. DUCHESNE, Origines du culte chrétien, p. 519); e a Roma, a quel tempo stesso, ma con differente significato, penitenziale e purificatore con una processione luminaria (Cfr. PL 96, 277; POLYCARPS RADÒ, Enchir. Litur., II, 1139); a Milano, con la letania, che dalla chiesa di S. Maria Beltrade alla cattedrale, accompagnava la processione recante un portatorium con l’idea, cioè con l’immagine della Madonna avente in braccio Cristo Bambino (Cfr. MARIO RIGHETTI, Manuale di St. lit., II, 87). Bellissima collezione di riti vari e devoti, i quali alla fine trovano nella liturgia odierna, che possiamo ritenere autentica e centrale rispetto alle altre, il suo punto focale, fisso nell’oblazione biblica di Gesù a Dio, Padre e padrone della vita umana, nell’espressione finalmente messianica che si pone al centro della storia dell’umanità e del contrastato destino della salvezza, quale «bersaglio di contraddizione» (Lc 2,34).

Ce lo commenta Bossuet: «Noi sappiamo che il primo atto di Gesù entrando nel mondo, fu di darsi a Dio e di mettersi al posto di tutte le vittime, di qualsiasi natura esse fossero, per compiere la volontà di Lui, qualunque fosse» (BOSSUET, Elévations sur les mystères, «OEuvres», II, 336). Vi è in questo episodio evangelico la professione religiosa fondamentale: la filosofia della vita comincia così: l’uomo non è da sé; egli è creatura; egli nasce libero, ma nella sfera d’un disegno divino che coinvolge il suo destino e il suo dovere radicale (Cfr. Ep 1,3 ss.). Parola ben nota a chi ha scoperto la chiave dell’umana vocazione, ch’è quella di Cristo stesso: «Ecco, io vengo a fare, o Dio, la tua volontà» (He 10,7 He 10,9; cfr. Ps 39,8 Is 53,7). Di qui tutto il rapporto fra l’uomo e Dio si snoda in una serie di passi ascensionali che si fanno orazione, dialogo, obbedienza, amore, oblazione; si fanno sacrificio anche, ma destinato a sfociare nell’oceano della vita e della beatitudine.

Questo impegno iniziale, questa nostra offerta alla volontà di Dio merita la grande meditazione di questa particolare festività, della nostra fede in Dio e in Cristo nostro maestro e nostro salvatore. Popolo di Dio noi siamo; e quasi trasportati da un costume storico, di cui non avremo mai abbastanza riconosciuto e benedetto la gratuita fortuna, noi siamo arrivati all’incontro col mondo religioso, col regno della fede e della luce. Abbiamo noi compreso la nostra sorte meravigliosa? abbiamo corrisposto alla dignità di questa elezione comunitaria, che incorpora la nostra microscopica esistenza a quella universale del Cristo totale, che si chiama il suo Corpo mistico, la Chiesa? Abbiamo noi avvertito che in questa smisurata comunione, che ci fa tutti-uno in Cristo, la nostra minima vita, lungi dal perdere la sua personalità, l’acquista e la magnifica? Il nostro lo prende proporzioni incalcolabili, e si vale di questa trasfigurante «società dello spirito» (Ph 2,1) per giungere a quella pienezza che invano cerchiamo nel possesso del regno della terra, della natura, dei sensi, del pensiero stesso; e che profondamente, inconsciamente forse, desideriamo, ch’è il possesso infinito del Dio vivente?

Offrirsi a Cristo è riceverlo. Rievocare Cristo è conquistare l’infinito Iddio.

O beati noi, se questa offerta, derivante dal nostro battesimo, si è mantenuta fedele, se si è approfondita nella coscienza della sua iperbolica proporzione; e se invece di irradiarsi nello sforzo di rendersi minima ed avara, si è fatta più generosa ed operosa! Si è fatta piena e cristiana!

Ci soccorre, in questo momento, quasi ad inondarci di gaudio che oggi, proprio oggi, trent’anni or sono, un avvenimento è stato celebrato nella Chiesa cattolica, che ha comunicato a molti suoi figli il carisma di questa festività della Presentazione di Gesù al Tempio, cioè dell’oblazione di Cristo alla volontà del Padre.

Vogliamo infatti ricordare un anniversario che ricorre oggi: trent’anni fa, il 2 febbraio 1947, la Chiesa riconobbe una forma nuova di vita consacrata, quando il Nostro Predecessore Pio XII promulgò la Costituzione Apostolica «Provida Mater».

Una forma nuova, diversa da quella della vita religiosa non solo per una diversità di attuazione della «sequela Christi», ma anche per un diverso modo di assumere il rapporto Chiesa-mondo, che pure è essenziale ad ogni vocazione cristiana (Cfr. Gaudium et Spes GS 1).

Trent’anni non sono molti, ma la presenza degli Istituti secolari è già significativa nella Chiesa, e noi vi chiediamo di unirvi a noi nel ringraziare il Padre dei cieli per questo Suo dono.

E vogliamo mandare a tutti ed a ciascuno, uomo o donna che sia, un nostro benedicente saluto, che naturalmente estendiamo a quanti ci portano oggi il loro cero benedetto, simbolo della loro vita e di quella dei loro rispettivi fratelli e sorelle associati in una simile oblazione al Signore; e che ben di cuore allarghiamo a tutto il Popolo di Dio fedele alla propria oblazione al nome e alla professione cristiana.

Mercoledì, 9 febbraio 1977

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Noi pensiamo essere oggi opportuno, anche per noi, gente di Chiesa, rivedere e, se necessario, ricostruire il castello della nostra fede, e passare dalla fase, che pare diventare abituale, d’una penombra di opinioni religiose, incerte e discutibili, e ritenute praticamente superflue per la vita moderna, allo stato di certezza e di chiarezza circa la nostra maniera di pensare e di professare la nostra religione.

Vi sono tante persone intelligenti ed istruite che in fatto di religione preferiscono rimanere libere di fronte ad ogni affermazione religiosa, la quale esiga un’adesione quale si concede alla verità, e si limitano a qualche espressione convenzionale, di religiosità piuttosto che di religione vera e propria, espressione spesso più passiva, per riguardo ad ambienti o a circostanze, che non di convinzione personale, ferma e logica, operante nella vita morale e nella condotta pratica. Si contentano d’un conformismo nominale, manifestato quasi più per riguardo altrui, che non per compromettere se stesse in ordine ad una concezione precisa ed organica della religione, considerata come un sistema reale e indiscutibile e impegnativo. E questa mentalità, pur troppo, è spesso ritenuta non una conseguenza della propria ignoranza, o della propria superficialità in campo religioso, ma come una maturità sia di pensiero che di esperienza, quasi come uno scetticismo aristocratico, ovvero come un modo comodo e pratico per eludere le spinose questioni che la religione, se ritenuta vera e obbligante, pone ai massimi problemi della vita.

Un esempio. Se domandiamo ad un alunno delle nostre scuole di catechismo che cosa è il mondo, egli rivolgerà a noi la domanda: ma di quale mondo intendiamo parlare: quello in cui viviamo? O quello di cui spesso si parla nel Vangelo? cioè il mondo, che possiamo ora qualificare come il cosmo, come il cielo e la terra? Come l’universo? ovvero come l’umanità? oppure anche come quell’umanità, che si oppone alla fede, al regno di Dio, a Cristo? Abbiamo già altra volta accennato alla pluralità di significati che questa comunissima parola può rivestire (Cfr. Insegnamenti di Paolo VI, V (1967) 727); per ora fermiamo l’attenzione sul mondo inteso come la realtà esteriore e materiale in cui viviamo. E vedremo che subito la questione diventa fondamentale; essa impegna il pensiero in modo si può dire decisivo; si fa pensiero cosmologico, cioè interessante il panorama universale delle cose, delle cause e degli avvenimenti, del proprio «io» e dei valori che lo circondano. Reclama una risposta; se essa fosse negata, sarebbe compromessa l’intelligibilità delle cose; se questa fosse ammessa in un modo qualsiasi, irrazionale sembrerebbe giustificato il non-senso del mondo, ovvero sarebbe ammesso il mondo o come privo di spiegazione, cioè come un regno di tenebre, una notte universale, ciò che evidentemente non è, ovvero come autospiegazione, come un panteismo ch’è un assurdo sconvolgente ogni razionalità, mentre invece il mondo è tutto ed estremamente razionale; è il campo della scienza; la quale poi è un incalzante e urgente nodo di questioni: perché così?

La parola «mondo» ci porta alla necessità d’una spiegazione trascendente; ci obbliga innanzitutto ad affermare un dualismo: io e il mondo; anzi ad una sintesi, ad un principio a cui deve far capo tanto il mio pensiero, quanto la realtà delle cose, che il pensiero scopre e non inventa, non crea. E allora? oh! le infinite vie che si irradiano, come lampi che scoppiano nel vuoto; e l’intelligenza che ha cercato fedelmente di seguire alcuna di queste vie si trova esaltata in una semplicissima e formidabile scoperta: Dio esiste, se io esisto. E cioè le gravi e solenni parole della nostra prima professione di fede tornano alle labbra: Credo in Dio, creatore del mondo (Cfr. DENZ.-SCHÖN.,
DS 3001 DS 3003, etc.).

Noi, lo sentiamo, semplifichiamo troppo. Ma non alteriamo la verità. Solo accenniamo a questi problemi, affinché li vogliamo riprendere nella nostra seria e virile considerazione. L’ateismo invece di spaventarci, o di paralizzare con una pseudo-sicurezza il nostro pensiero, lo stimola. Dobbiamo essere, anche come uomini di puro pensiero razionale, dei ricercatori; e davanti ad un secolo che sta smarrendo il senso vero e luminoso d’ogni cosa dobbiamo riaccendere fiduciosi la lampada per il nostro itinerario verso la Luce del mondo (Cfr. Ps 35,10, «in lumine tuo videbimus lumen»; la «causa causarum», il Principio di tutto, l’Essere che È per Se stesso: «Ego Sum, Qui Sum», Ex 3,14, tutto questo immenso, complesso e magnifico tema vedi H. DE LUBAC, Sur les chemins de Dieu, Aubier 1956 e ancora: S. THOMAE Contra Gentiles, 1 et II).

E vogliamo augurare agli uomini del nostro tempo, ai giovani specialmente, di rintracciare i due sentieri che sono forse i più vicini ai loro passi, quello classico della causalità delle cose, che sembra ancor oggi il più stringente e il più accessibile: e quello dell’ammirazione estetica ed estatica dell’universo che appena intrapreso ci incanta e ci esalta, e scioglie in preghiera la stanchezza e le oscurità del nostro pensiero.

Dio voglia! con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 16 febbraio 1977


Paolo VI Catechesi 12177