Paolo VI Catechesi 40577

Mercoledì, 4 maggio 1977

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Ancora il mistero pasquale noi dobbiamo meditare. Non potremo mai terminare la nostra «Via Crucis» senza avvertire il suo valore universale e perenne, cioè senza connettere la Passione del Signore e la sua Risurrezione alle sorti del genere umano, alla relazione che esse hanno con la nostra salvezza. Non basta assistere alla scena dei fatti evangelici, che riguardano la divina Persona di Cristo, e lasciare che la straziante e poi trionfante vicenda di Lui ci commuova e ci avvinca, come può succedere davanti ad una tragedia greca, o ad uno spettacolo impressionante, ma che non ci riguarda personalmente; bisogna afferrare il rapporto che la storia della morte e del ritorno alla vita di Gesù ha con la nostra esistenza. Il mistero pasquale altro non è che l’opera della Redenzione, per ineffabile disegno del Padre, compiuta da Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Si veda, ad esempio, il capitolo primo della lettera di S. Paolo agli Efesini (Cfr. F. PRAT, La Théologie de St Paul).

Questa è un’osservazione importantissima. Noi non siamo solo spettatori davanti ai fatti che hanno concluso la vita temporale del Signore e inaugurato per Lui una nuova forma di vita ultra-temporale; noi siamo, volere o no, coinvolti col dramma di Cristo. Esso ha un significato sacrificale. Cioè Cristo ha patito per noi; per noi è risorto. San Paolo applicherà il sacrificio di Cristo a se stesso: «Egli ha amato me - scrive egli ai Galati - e si è immolato per me» (
Ga 2,20). E ciascuno può dire, anzi deve dire la stessa cosa per se stesso : «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1Co 5,7). Anzi, il pensiero dell’Apostolo prosegue fino ad associare la sorte d’un seguace di Cristo, battezzato appunto in Cristo Gesù, a quella di Lui; con Lui siamo «consepolti» (Rm 6,4) e «conresuscitati» (Ep 2,6 Ga 3,27). Non si tratta d’una semplice figura, si tratta d’una fusione, d’una incorporazione della nostra vita con quella di Cristo. Causa meritoria della nostra giustificazione, Cristo vittima sulla Croce, Egli diventa causa esemplare e principio vivificante con la sua risurrezione (DENZ-SCHÖN., DS 1529). Ed è vano sostenere che questa visione divina cosmica antropologica sia frutto del genio Paolino (Ibid. 3438), quando già la troviamo espressa in uno dei primi discepoli di S. Pietro a Gerusalemme: «Non vi è salvezza che nel Signore nostro Gesù Cristo Nazareno» (Ac 4,10-11).

Quante cose, quanta dottrina resta ancora per la nostra formazione cristiana! Ma anche fermando il nostro pensiero a queste poche ma capitali verità noi possiamo chiedere a noi stessi se esse sono veramente presenti nella nostra «forma mentis» di cristiani autentici, quali tutti dovremmo avere la giusta pretesa di essere! Innanzitutto il proposito d’avere con Cristo una «comunione», un’amicizia, una fiducia, quale tanto facilmente - e beati noi! - ci concediamo con l’accostarci sovente all’Eucaristia: sì, dobbiamo vivere con Lui, di Lui, per Lui; ma questo comporta ch’Egli sia davvero l’ispiratore della nostra nuova, cioè cristiana, mentalità, il nostro «Pane» vitale, che alimenti pensiero, azione, sentimenti, desideri e speranze. Cioè Egli deve produrre in noi un «senso», un animo, uno stile di pensiero e di vita che sia almeno tendenzialmente coerente con la convivenza, che Cristo si è degnato, con la fede e con i sacramenti, che da Lui ci vengono, di stabilire in noi.

Il che vuol dire che la Pasqua, cioè il pensiero del suo mistero, l’impegno ch’esso comporta, il gaudio di cui è sorgente, l’energia di bene che da essa deriva, deve rimanere in noi, e spingere i passi del nostro spirito sul sentiero della vita cristiana, che sale a spirale nei giorni consecutivi alla Pasqua stessa e che ci prepara all’incontro finale con Lui, Cristo Signore.

Così sia per tutti voi, con la nostra Benedizione Apostolica.



Ai 450 Seminaristi del Lazio riuniti a Roma per il loro 1° Convegno Regionale

Ed ora un particolarissimo saluto, paternamente affettuoso, agli oltre 400 Seminaristi del Lazio, riuniti a Roma per il loro Primo Convegno Regionale, sotto la guida del nostro Em.mo Cardinale Vicario e dei rispettivi Ecc.mi Vescovi. Come esprimere la gioia, che pervade il nostro animo, nel vedervi qui accanto a noi, diletti figli, che con la freschezza delle vostre giovani vite, orientate al totale dono di sé per la causa del Regno, ci recate la viva testimonianza della sempre rinascente primavera della Chiesa?

Carissimi, siate innanzitutto consapevoli delle attese, che su di voi convergono da ogni parte: «la speranza della Chiesa e la salvezza delle anime sono affidate alle vostre mani» (Cfr. Optatam Totius OT 22). Siate realisti: costruire in se stessi l’uomo maturo, così equilibrato e saggio da meritare, giovane ancora, la qualifica di «presbyter», non è impresa da poco. Suppone impegno generoso, lotta costante con le proprie tendenze deteriori, sforzo sempre rinnovato di progresso verso quei valori evangelici, che devono essere primari nella vostra vita. Siate lieti: le rinunce, che Cristo vi chiede, sono garanzia sicura di una vostra piena realizzazione a livelli più alti, e quindi di una profonda, tranquilla, inalterabile gioia. Non è forse precisa promessa del Signore quella secondo cui chi avrà lasciato qualcosa per Lui, riceverà «molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» ? (Lc 18,30) Siate infine fiduciosi: il mondo, al quale porterete un giorno l’annuncio della Buona Novella, è certamente percorso da tanti fermenti pervertitori, che ostacolano l’azione evangelizzatrice. Accanto a voi, però, sta Uno, che disse ai suoi Apostoli e ripete oggi a voi: «Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo» (Jn 16,33).

La nostra Apostolica Benedizione vi accompagni!

Ai partecipanti al Capitolo Generale dei Padri Cistercensi Riformati

Ad un gruppo di sacerdoti texani

We extend our welcome to the priests of the Diocese of Corpus Christi in Texas, returning from Jerusalem and other parts of the Near East. We hope that your visit to the Holy Places will mark a renewal of holiness in your lives: an increased love for God’s revelation and a fresh joyful determination to carry to the people Christ’s uplifting Gospel. Dear sons, the Church needs holy priests completely committed, in the words of the Apostles, to “prayer and the ministry of the word” (Ac 6,4). We ask you to take our greetings back to Texas.

A giovani giapponesi di Oita

We greet with deep respect and cordiality the group from Oita in Japan, including the Honorable Deputy Mayor. We see in your visit the same high regard for the Church shown by your ancestors, who sent a youth delegation to our predecessor almost four hundred years ago. They saw that the Church was desirous of contributing in every way to their spiritual and temporal welfare, as shown in the establishment near Oita of the first hospital within a few years of the arrival of the missionaries. The Church still has the same desire and will maintain it, since she must continue the mission of the Lord Jesus Christ, whose life was wholly dedicated to the loving service of all.

Ai partecipanti ad un torso di aggiornamento organizzato a Nemi dalla Società del Divin Verbo

A special greeting to the group from Nemi: missionaries of the Divine Word and their guests. You have assembled near Rome for a period of spiritual renewal. Our prayer is that the Holy Spirit will touch the heart of each of you, and that in the word of God you will always discover your true identity, find your unity, and experience the joy of fraternity. And we pray that, enlightened by the superior wisdom of God’s word, you will go out again, in generosity and self-sacrifice, to tell the world that Jesus Christ is the Incarnate Son of God, and that he is Lord of all for ever and ever.



Mercoledì, 11 maggio 1977

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La Pasqua è passata. Ma noi sappiamo che essa è un avvenimento che rimane. Attenzione: rimane non soltanto nel ricordo storico dell’avvenimento che tutti ricordiamo: la morte di croce inflitta a Gesù, perché, come Pilato aveva scritto sulla tabella, apposta sopra la croce, Egli, «Gesù Nazareno era il re dei Giudei»; e la risurrezione al terzo giorno del misterioso crocifisso; ma rimane nella realtà del fatto prodigioso, inserito nella professione di fede, il «Credo», che la Chiesa ci fa recitare con un timbro di sicurezza all’atto del battesimo e poi nella celebrazione della Messa; rimane nella vita interiore d’ogni credente, rimane nella convinzione dei seguaci, tra i quali noi tutti abbiamo la gioia e la fierezza di annoverarci, nella società religiosa derivata dal Crocifisso risorto; rimane nella mistica e sacramentale presenza, che accompagna appunto la Chiesa nel cammino nel tempo, in attesa che alla fine Egli, Cristo morto e risorto, ridesti dal sonno di morte l’umanità, la giudichi e le assegni, se meritevole, una nuova forma di vita, a Lui congiunta, in ineffabile pienezza (Cfr.
1Co 2,9). Questa è la fede, questa è la verità. Questa è la visione della storia passata e la profezia per quella futura, che nella morte e nel ritorno alla vita di Gesù ha il suo centro focale, irradiante sul mondo; è la «Weltanschauung», la prospettiva dell’universo.

Noi faremo bene a considerare la nostra vita alla luce di questa rivelazione. «Io sono la luce del mondo» (Jn 8,12) ha detto Gesù. E ciò che oggi ci attira, cercando di formarci una mentalità pasquale, è il pensiero che Gesù stesso ha offerto ai due tristi e delusi discepoli di Emmaus, come siamo soliti definirli, la visione sintetica di questo disegno storico-religioso, che in Lui stesso s’incentra. Ricordate la scena descritta dall’Evangelista S. Luca?

La rileggiamo insieme.

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio, distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: « Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino? ». Si fermarono, con volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzo e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,13-35).

Avete ascoltato. Gesù amabilmente accompagna i due viandanti, che, oltremodo afflitti per la tragedia del Venerdì Santo, stanno perdendo la fede e la speranza: «Noi speravamo . . .». E il Signore nelle opache sembianze del compagno, che si è unito ai loro passi, li rimprovera; e spiega loro il senso d’un disegno storico tuttora a loro oscuro, il disegno storico che dalla Scrittura, resa lineare e trasparente dalla parola del Signore, risulta ora comprensibile nel suo profondo e bipolare significato: primo: «era necessario che Cristo patisse»; secondo: «per entrare così nella sua gloria».

Il dramma della libertà, primissima e misteriosa quella di Dio, ch’è Amore, anche nel sacrificio di Gesù (Cfr. Jn 3,16); poi quella di Cristo che pur sudando sangue (Lc 22,44), si offre e si sacrifica (Ga 2,20); poi quella dei crocifissori, esecutori responsabili, ma difesi dallo stesso Gesù per la loro incapacità di capire (Lc 23,34), dei discepoli e degli spettatori, corresponsabili in certa misura, e quella delle miriadi di uomini, che peccando hanno cospirato all’immolazione dell’Agnello di Dio, «che toglie i peccati del mondo», . . . il dramma della libertà, dicevamo, è anche qui esaltato, ma assorbito in un superiore disegno ineffabile di sapienza, di bontà e di volontà divina, che dà carattere di necessità salutare alla croce, e quindi alla risurrezione: «era necessario che Cristo patisse», perché «Egli entrasse nella sua gloria»!

Bisogna sempre ripensare questo mistero pasquale! esso è il cardine dell’economia religiosa mondiale (Cfr. Ep 1). Ripensarlo e riviverlo. Con la nostra Apostolica Benedizione.


Ad un gruppo di sacerdoti americani

We are happy to extend a special welcome to the priests who have been following a course of renewal at the North American College. Dear sons in Christ: for priests and bishops, continuing theological education must include an increased desire to live and grow in the faith of the Son of God. Christ himself has said: “This is the work of God: have faith in the One whom he sent” (Jn 6,29). This faith in Jesus must be sustained and expressed in prayer. With greater faith and deepened prayer you must go back to your Dioceses; together with your brother priests, you must now try to give an ever more effective witness to the Lord Jesus and to his Kingdom and to his Coming. You are called and sent to preach a Crucified Christ. And although for some the message of his Cross is aseeming absurdity, for us it is the power and wisdom of God. And always remember: “God’s folly is wiser than men, and his weakness more powerful than men” (1Co 1,25). Through your priestly ministry, dear sons, may God lead his people to a deeper sharing in the joy of the Resurrection.



Mercoledì, 18 maggio 1977

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Noi abbiamo celebrato la Pasqua. Cioè il grande avvenimento della morte e della risurrezione di Cristo.

Questo avvenimento è grande, è capitale, possiamo dire sotto due aspetti: l’aspetto che riguarda Gesù stesso; Egli si è così manifestato, Egli ha compiuto l’opera per cui era venuto al mondo, Egli si è collocato nel mondo, nella storia, come la luce dell’umanità (Cfr.
Jn 1,9 Jn 8,12), come se nella notte che copre tutta la terra, una fiamma risplende e fa vedere le cose, e dà senso ad esse, allo spazio, al tempo, Egli è il vero Maestro del mondo (Mt 23,8), Egli è il principio e la fine (Ap 1,8), eccetera. Gesù Cristo, da solo, fa dell’universo uno spettacolo splendido e terribile. Ma poi la presenza di Gesù nel tempo, nel Vangelo, assume un’altra importanza, ed è il rapporto ch’Egli ha con gli uomini: con noi, con ciascuno di noi. Egli è il nostro Salvatore; noi nulla possiamo fare senza di Lui (Cfr. Jn 15,5).

Bisogna bene riflettere su questo principio. Noi abbiamo bisogno di Cristo. Come facciamo a metterci in comunicazione con Lui? Ed anche se noi avessimo avuto la fortuna di vivere al tempo suo, e di avvicinarlo personalmente, avremmo noi avuto la capacità di conoscerlo per quello che Egli era, di capirlo, di penetrare nel segreto del suo Essere divino? La scoperta di Cristo, della sua duplice natura umana e divina e della sua Persona divina, Figlio vero di Dio, Verbo di Dio, infinito ed eterno, sarebbe stata veramente possibile? E poi, a noi, lontani da Lui nel tempo e sommersi nell’oceano dell’umanità, come sarebbe mai possibile accostarci a Lui ed avere la sorte beata d’essere da Lui distintamente conosciuti ed amati, d’essere da Lui salvati? Perché questo è il problema che esige una soluzione, la nostra salvezza, essere salvati da Cristo; come è possibile? Che cosa giova a noi celebrare la Pasqua del Signore se essa non è oggi, qui, per noi attuale e operante? Il problema, a noi insolubile, il Signore lo ha reso invece mirabilmente solubile. Ascoltate le ultime parole che concludono il Vangelo di S. Marco: «Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo» (Mc 16,16). La fede e l’azione sacramentale del battesimo sono le due fondamentali condizioni per entrare nell’orbita luminosa e reale della salvezza cristiana, che non è piccola cosa se essa ci associa niente meno che alla vita immortale e divina di Cristo.

Se così è, ed è davvero così, il nostro interesse si rivolge dapprima alla fede: che cosa s’intende per fede? E come si arriva, come si aderisce alla fede? La questione si fa grave nuovamente: «senza la fede è impossibile piacere a Dio» (He 11,6). Siamo sulle soglie della religione di Cristo: entra chi crede! Quale grosso volume di problemi religiosi è posto davanti a noi! Noi ora accenniamo appena alle prime pagine di questo libro della fede, le quali sono facili a riassumersi in parole semplici: esigeranno poi lungo studio per chi vuole proseguire nella esplorazione del misterioso volume. E la prima pagina, quella a cui si arresta il mondo profano, è subito molto ardua e severa: la fede è un regno di mistero; essa per noi, durante questa vita, ch’è ancora un tirocinio, una iniziazione, è una scienza oscura; essa si appoggia non sopra argomenti di razionale evidenza; è suffragata, sì, da ottime ragioni di credibilità sia intrinseca, che estrinseca, ma è fondata per sé sull’autorità d’una rivelazione, sulla Parola di Dio. Solo questo carattere della fede rappresenta una difficoltà per noi che siamo alunni della nostra ragione, e siamo ribelli fino a dichiararci liberi pensatori ad ammettere verità di cui non possiamo darci diretta spiegazione, non pensando che davanti alla Verità, quando tale realmente si manifesta, noi sempre, se ragionevoli, dobbiamo essere docili. Misteriosa ed oscura la fede per la nostra mente, la quale tuttavia, quando sia ammessa alla sua scuola, già intravede, fino a rimanerne affascinata e felice, stupende e profonde zone di bellezza e di luce.

Tuttavia così è: la fede è un cielo superiore alla nostra naturale comprensione. La fede impegna, sì, l’adesione dell’intelligenza, ma non senza la volontà. Per credere, bisogna volere. Il che significa che la fede è libera. Discorso assai importante, oggi specialmente che il Concilio ha confermato questa prerogativa dell’uomo pensante, anche nel campo religioso; proprio il Concilio riafferma che «tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa» (Dignitatis Humanae DH 1).

Un terzo punto dovremmo considerare esaminando questi aspetti preparatori alla fede, e cioè la beatitudine della certezza che essa genera nello spirito di chi la accoglie con sapiente umiltà. Ma su questo punto avremo forse occasione di ritornare. Per ora basti a noi di ricordare come irradiazione del mistero pasquale la fede che ce lo conserva e ce lo fa rivivere.

Lo auguriamo con la nostra Apostolica Benedizione.



Ad un gruppo di Ufficiali e Soldati della Regione Militare Centrale

La vostra presenza così numerosa ed attenta, cari Ufficiali e Soldati della Regione Militare Centrale, ci fa ripensare alla devota assemblea liturgica che presiedemmo in una luminosa mattina del novembre dell’Anno Santo, allorché avemmo la gioia di salutare e di accogliere tanti vostri Commilitoni, convenuti come pellegrini da ogni parte del mondo.

Come allora, grande è la nostra soddisfazione, perché ci è dato di avvicinare e di parlare ad uomini che, in ragione dell’età, sono nel pieno rigoglio delle loro energie fisiche e psichiche, mentre per l’esperienza ancora in atto o quasi conclusa della vita militare, sono temprati alla disciplina, formati al senso dell’onore e del dovere, disposti alla generosità delle decisioni, protesi fiduciosamente verso il futuro. Per questo, mentre rivolgiamo il nostro deferente saluto all’ordinario Militare, ai Superiori ed ai Cappellani che vi hanno accompagnati, ci riferiamo di proposito alla vostra giovinezza ed all’attività alla quale, sia pure per un periodo transitorio, state attendendo. È da qui, infatti, che prende avvio l’esortazione che vi rivolgiamo, di imprimere cioè un forte orientamento spirituale e morale alla vostra vita. Accanto ai doveri militari, professionali, civili - voi lo sapete - esistono non già in contrapposizione o in contraddizione, ma in intreccio fecondo ed in ordinata composizione quelli personali, familiari, ecclesiali. Diremmo che si tratta di due prospettive distinte, ma che, a livello dell’interiorità, ossia in quel «penetrale animi» che non è retorico definire il santuario della coscienza, vengono a convergere, impongono scelte coerenti, esigono un impegno costante, profilano la personalità e - nella misura che questa sa aprirsi al trascendente messaggio salvifico di Cristo - l’arricchiscono di fede e di grazia.

E poiché sappiamo che sono con voi molti Carabinieri e Guardie di Pubblica Sicurezza, di cui conosciamo dalla cronaca, purtroppo, ormai quotidiana le accresciute e rischiose responsabilità d’impiego ed i gravissimi pericoli, anche a loro noi estendiamo il richiamo ora fatto alle esigenze di ordine etico, aggiungendovi, però, una distinta parola di incoraggiamento e di conforto: sappiate essere, cari Militi ed Agenti, sempre forti e fedeli nell’adempimento dei vostri doveri, servendo lealmente la patria, rispondendo alle attese ed alla fiducia, che non solo i Superiori gerarchici, ma l’intera Comunità nazionale meritatamente ripongono in voi.

Da parte nostra, un segno di stima e di augurio per tutti i presenti vuole essere la Benedizione Apostolica, che ora impartiamo, estendendola ai colleghi delle varie armi e specialità come ai congiunti di ciascuno.

Ai Diaconi del Collegio Nord-Americano

Our special greetings to the deacons from the North American College who will be ordained priests tomorrow. You are called to love God’s people in the name of Jesus, and like Jesus to serve them through a life of generosity and consecration. The Spirit of the Lord will be upon you, and you must preach the Gospel of salvation. Never forget, dear sons, the words of the Vatican Council that “pastoral love flows mainly from the Eucharistic Sacrifice, which is the center and root of the priest’s whole life” (Presbyterorum Ordinis PO 14). This is our wish and our blessing for you today: that the Eucharist will truly be-tomorrow and forever-the center and root of your lives. And remember: to love and to serve in the name of Jesus!

A tre gruppi di lingua inglese

With paternal affection we greet the Across pilgrimage from England. Your presence here is a sign of faith and an expression of love. May the sick find strength for their lives, and may all of you find joy in Christ.

Our Nigerian sons and daughters know that they are always welcome pilgrims to the See of Peter. The Pope loves Nigeria and sends his blessing to your dear ones at home.

The memory of our visit to Indonesia is very vivid, as we welcome the group from Jakarta. We remember being in your city, in your stadium, in your Cathedral. And our affection and encouragement for you is the same today as it was then. We repeat the words we spoke in the Cathedral: “May God lavish his grace upon you. With all our heart we give you our paternal Apostolic Blessing”.


Mercoledì, 25 maggio 1977

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Noi dobbiamo rileggere insieme le parole dell’evangelista San Giovanni, con le quali egli inizia la sua prima lettera, quale noi troviamo nella sacra Scrittura riconosciuta dalla Chiesa. Così egli si esprime:

«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita - poiché la Vita si è fatta visibile e di ciò noi rendiamo testimonianza e vi annunziamo la Vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi -, quello che noi abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo affinché la vostra gioia sia perfetta» (
1Jn 1,1-4).

Questo prologo della stupenda lettera apostolica ci fa considerare un aspetto molto importante della nostra religione, la testimonianza cioè apostolica, sulla quale, nell’ambito storico ed esterno, si fonda la nostra fede. Il passo che abbiamo letto dimostra come la nostra fede, cioè ciò che noi crediamo della storia e della rivelazione cristiana, noi la conosciamo per via di testimonianza apostolica. Gli Apostoli, e con loro la generazione che visse al tempo di Gesù e poté godere della sua immediata e sensibile conoscenza, ebbero il mandato da Gesù stesso di trasmettere la conoscenza diretta e sensibile ch’essi ebbero di Lui, e di farne una conoscenza indiretta e spirituale, cioè una «testimonianza», una fede. Il Signore lo aveva predetto prima della sua Ascensione, prima cioè di scomparire dalla scena di questo mondo, dicendo ai suoi discepoli: «. . . voi avrete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (Ac 1,8). E così fu. La predicazione prima dei discepoli, resi Apostoli, e di quanti a loro successero nell’ufficio di annunciare il cristianesimo nel mondo, è stata una testimonianza, resa persuasiva, e in certi momenti travolgente per un carisma di Spirito Santo, operante tanto negli Apostoli quanto negli uditori, testimonianza del fatto evangelico, della morte e della risurrezione di Gesù di Nazareth, e della interpretazione profetica e teologica di questo vero e straordinario avvenimento.

La testimonianza apostolica, la quale in determinate condizioni ha concomitante l’influsso divino dello Spirito Santo, è la sorgente della nostra fede; Ia quale viene a noi per via di magistero, per via di trasmissione esteriore e sociale, nella quale corre una presenza illuminante ed operante dello Spirito Santo; è la Chiesa nella sua autentica missione evangelizzatrice, che ci dà la fede.

E qui si ravvisa il miracolo storico di questa condizione, da cui dipende niente meno che la nostra salvezza, il nostro essere cristiani: «il giusto - ci avverte la sacra Scrittura - vivrà in virtù della fede» (Ga 3,11).

Qui occorre, Figli e Fratelli, una revisione coscienziosa su questa parola-cardine del nostro sistema religioso, vogliamo dire la fede. «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (He 11,6). Forse poche altre parole hanno subito interpretazioni più varie di questa, da quella di sentimento spirituale e generico, ad altra di opinione personale altrettanto imprecisa quanto capziosa. Oggi poi ogni uso soggettivo sembra diventare legittimo; ognuno si crede autorizzato a sopprimere questa parola dal linguaggio scientifico, mentre, in un senso puramente naturale, essa, la fede, domina ogni insegnamento scolastico e razionale; come tante intelligenze moderne, quando ammettono un discorso comunque spirituale, danno alla parola fede un significato impreciso e accomodante di vago sentimentalismo religioso, nel quale si fa sinonimo di penombra, di dubbio, di inquietudine interiore, quando non sia di tormento e di vana attesa d’una luce altrettanto desiderata nel suo sincero conforto, quanto respinta nelle sue logiche esigenze. La mentalità protestante, circa il così detto libero esame, riabilita la grande parola «fede» alla statura di convinzione religiosa, ma disancorata da un magistero autorizzato e perenne, quello della nostra ‘Chiesa cattolica, che cosa diventa? Diventa un’opinione soggettiva, priva d’autorità superiore, diventa una evasione in un equivoco pluralismo, diventa una fede nominale ed elastica, disponibile a troppi insignificanti adattamenti. Non è più il tesoro divino, per il quale tanti eroi hanno dato la vita; non è più la luce mattinale della vita cristiana, che anticipa qualche bagliore della Verità divina (Cfr. 1Co 13,12) e che sorregge effettivamente la vita morale e intellettuale. E così via.

A ricordo del mistero pasquale celebrato e a preludio della festività che ci attende, la Pentecoste, vediamo tutti di rinfrancare la nostra fede, collaudata dal magistero vivente della Chiesa; e facciamo nostra, se occorre, la parola dell’umile personaggio evangelico: «Credo, o Signore, ma Tu aiutami nella mia incredulità» (Ac 9,24).

Così sia. Con la nostra Apostolica Benedizione.


Ai sacerdoti consulenti provinciali del Centro Italiano Femminile (CIF)

Rivolgiamo un saluto cordiale al gruppo di Sacerdoti, consulenti provinciali del Centro Italiano Femminile, riuniti a convegno per discutere i problemi connessi con la funzione della donna nella vita della Chiesa e della società civile.

Il vostro compito, diletti figli, sempre delicato ed importante, ha acquistato un rilievo tutto particolare in questo nostro tempo, che si caratterizza per il deciso imporsi dei problemi della donna all’attenzione dell’opinione pubblica. Pur non sottovalutando forme e contenuti a volte aberranti, che si ricollegano a tale movimento di idee, Noi non esitiamo tuttavia a scorgervi una significativa indicazione della Provvidenza, che sollecita la comunità cristiana a prender miglior coscienza dei ruoli specifici, riservati da Dio all’uomo e alla donna, per la costruzione di un mondo più conforme ai divini disegni.

Possa la vostra azione, rispettosa e discreta, favorire un sempre più consapevole inserimento della donna nella vita ecclesiale, oltre che in quella della comunità civile, affinché, grazie al complementare apporto delle ricchezze proprie della femminilità, si abbia non solo un progresso qualitativo della convivenza umana, ma anche una più efficace presenza evangelizzatrice della Chiesa nel mondo d’oggi. Vi sostenga la nostra Apostolica Benedizione, che volentieri estendiamo a tutte le componenti del Movimento.

Ad un gruppo di sacerdoti Veronesi in occasione del loro 40° anniversario di ordinazione sacerdotale

Un affettuoso saluto desideriamo rivolgere al gruppo dei sacerdoti di Verona che, insieme con il loro confratello Monsignor Luigi Bellotti, nostro Nunzio Apostolico nell’Uruguay, celebrano quest’anno il 40° anniversario della loro Ordinazione.

A voi, figli carissimi, il cordiale augurio che, ancora per lunghi anni, continuiate a testimoniare la fecondità del vostro ministero di amore e di verità con il giovanile entusiasmo e l’incondizionata dedizione dei primi giorni del vostro sacerdozio, a lode di Dio e ad edificazione della Chiesa. Con questi voti vi accompagni la nostra Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di sacerdoti milanesi in occasione del loro 25° anniversario di ordinazione sacerdotale

Un particolare benvenuto diamo al gruppo di sacerdoti dell’Arcidiocesi di Milano, i quali hanno voluto, con questo incontro, inaugurare, diremmo, le manifestazioni di santa gioia che accompagneranno la prossima fausta ricorrenza del XXV anniversario della loro ordinazione sacerdotale.

Nell’esprimervi, carissimi figli, il nostro compiacimento, amiamo pensarvi sempre più riconoscenti alla divina bontà per l’inestimabile dono della vocazione, corrispondendo alla quale foste insigniti della dignità di «ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1Co 4,1).

Dignità soprannaturale che vi ha impegnato a costante ed umile servizio della Chiesa nelle varie forme di attività, da essa affidatevi a solo profitto dei fratelli, considerati come membra dello stesso e unico Corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti (Presbyterorum Ordinis PO 9).

Nell’assolvimento di tale non facile missione non vi saranno mancate certo le legittime consolazioni della paternità spirituale, ma anche momenti di prova e di difficoltà. Ben lungi, peraltro, dal lasciarvene stupire, avete confidato tutto al Divino Maestro, tornando con rinnovate energie alle vostre fatiche apostoliche, forti della sua parola: «nel mondo avrete tribolazione, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo» (Jn 16,33).

La continua riflessione di questo insegnamento del Redentore vi aiuti a proseguire con ribadito impegno la vostra opera che vi auguriamo sempre maggiormente feconda, con la nostra Benedizione Apostolica che estendiamo di cuore a tutti i vostri familiari e congiunti e alle vostre rispettive Comunità parrocchiali.

Ai Membri del 105° Capitolo Generale del Terz’Ordine Regolare di San Francesco

Siamo lieti ora di salutare i Membri del 105° Capitolo Generale del Terz’Ordine Regolare di San Francesco, che in questi giorni hanno concluso i loro lavori con l’elezione del nuovo Ministro Generale nella persona del Padre Roland Faley, qui presente.

Diletti figli, approviamo e incoraggiamo il vostro intelligente impegno per un effettivo rinnovamento dell’Ordine nello spirito di una sempre più autentica adesione alle vostre origini e alle nuove istanze dei tempi odierni. La vostra spiritualità, fatta di semplice e vissuta testimonianza al Vangelo di Nostro Signore, può avere una incidenza sempre nuova su una società assetata di cose genuine e sostanziose. L’uomo d’oggi può così imparare dai figli di San Francesco che l’accettazione del messaggio cristiano, lungi dal mortificare ciò che è profondamente umano, esalta invece «tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato» (Ph 4,8), promuovendolo ad orizzonti aperti e originali di autorealizzazione.

La Benedizione Apostolica, che di cuore impartiamo a voi e in particolare al nuovo Ministro Generale, vuol essere, a tal fine, pegno sincero della feconda assistenza divina su tutto il vostro Ordine.

Agli alunni del Seminario Interdiocesano per le Vocazioni Adulte di Colle Val d’Elsa

Diamo ora il Nostro paterno benvenuto al gruppo di alunni del Seminario Interdiocesano per le Vocazioni Adulte di Colle Val d’Elsa, venuti a questa Udienza per dirci il loro devoto attaccamento, e per metterci a parte della gioia, che l’ideale della consacrazione totale a Cristo suscita nel loro cuore.

Figli carissimi, ci rallegriamo con voi per la generosità con cui, abbandonando concrete, e forse allettanti, prospettive di un impiego diverso della vostra vita, avete accolto l’interiore invito al dono di voi stessi per la causa del Regno. Ora l’impegno è di far spazio a Cristo nella vostra vita: fatevi conquistare da Lui con lo studio diligente della sua dottrina, con la meditazione amorosa del suo mistero, col dialogo assiduo ed appassionato della preghiera. Cristo non vi deluderà.

Il Papa vi è accanto con la Sua Apostolica Benedizione.

Ai pellegrini delle Parrocchie romane di San Gregorio VII e di Santa Maria Liberatrice

Particolarmente cordiale è il saluto che rivolgiamo ora alle folte rappresentanze di due Parrocchie Romane: cioè la Parrocchia di San Gregorio VII, vicina al Vaticano ed affidata ai Frati Minori, e quella di Santa Maria Liberatrice, nel popoloso quartiere di Testaccio, diretta dai Religiosi Salesiani.

Figli carissimi, la nostra non è solo una parola di ringraziamento per la vostra visita festosa e per la devozione a cui essa s’ispira, ma è anche e soprattutto espressione di augurio per le ricorrenze che state celebrando in questi giorni. A voi fedeli appartenenti alla Comunità che prende nome dal grande nostro Predecessore e che oggi - giorno della sua festa liturgica - ricorda il XXV anniversario dell’erezione a Parrocchia, noi additiamo l’esempio dell’invitto Pontefice, morto in esilio per il suo amore alla giustizia e per la sua fedeltà alla Chiesa, affinché ne ricaviate stimolo ed incitamento non solo per la vostra vita personale, ma anche per l’ulteriore sviluppo, nelle vostre fiorenti Associazioni, di un forte senso ecclesiale.

A voi parrocchiani di Santa Maria Liberatrice, che commemorate il LXX anniversario dell’inizio delle Opere Salesiane, raccomandiamo di collaborare con coraggio, in spirito di fraterna emulazione, alle iniziative che i Figli di S. Giovanni Bosco promossero per rispondere alle esigenze dei tempi e che tuttora continuano. E concludiamo questo duplice auspicio, invocando sugli uni e sugli altri la protezione del Signore ed impartendo una speciale Benedizione Apostolica, estensibile a tutti i Parrocchiani.

Ai membri del Gruppo internazionale di «Renouveau dans l’Esprit Saint» (in francese)

Ad un gruppo di terziari dei «Christian Brothers»

With paternal affection we greet the group of Christian Brothers. We wish to confirm you in your desire for renewal: spiritual renewal, ecclesial renewal, the renewal of your religious vocation, of your dedication to the Lord Jesus, and of your sense of mission in the Church of God. This renewal must take place in joyful renunciation, in Gospel simplicity and in the embrace of the Cross. You must find strength in fraternal love and in the word of Christ, and you must draw power from the sacrament of Reconciliation and from the Eucharist. This is the renewal to which you are called, the renewal willed by God and enjoined by his Church. This is the renewal that is an indispensable condition for really serving the brethren in the name of Jesus. And in this renewal you will truly respond to your vocation, which means : “facere et docere”. With Saint Paul, dear sons, we “beg you to lead a life worthy of the calling to which you have been called . . .” (Ep 4,1).

Ai Delegati della Federazione Internazionale della Stampa Periodica

We extend a cordial welcome to the International Federation of the Periodical Press, which has assembled in Rome. In reflecting on the mass media the Second Vatican Council spokt explicitly of the advantages of professional associations like your own (Cfr. InterMirifica, 11), and on our part we view your Federation as a powerful means of being able to render effective service to the world. For this reason we are pleased that the theme of your Congress gives primary consideration to the dignity of your readers, to people. And as you pursue this goal of service to people, we hope that you will find deep personal satisfaction and spiritual joy. We pray moreover that you will always uphold and promote those human, civic, moral and religious values that are so necessary for a well-ordered society and for a true civilization of love. With this intention we invoke upon you abundant blessings from God.

Ai fedeli di lingua portoghese

Um cordial bem-venidos aos visitantes de língua portuguesa!

Entre estes, ternos urna presenta jovem, vibrante de entusiasmo e de fé, florir da Igreja missionária no Brasil: a Bandinha do Centro Educacional «Padre Joáo Piamarta», de Fortaleza.

Amados jovens: arautos da esperanca e da alegria, como bons cristáos, no mundo faminto de valores espirituais e de Deus, sede sempre, com Cristo, mensageiros de amor, fraternidade e paz!

Saudando-vos com afecto, pensamos na vossa terra, no Brasil jovem, e nos jovens precisados de amparo e de Cristo - Caminho, Verdade e Vida -; pensamos nos vossos beneméritos educadores e em todos os educadores brasileiros, de modo particular nos educadores da fé. E do coracáo vos abencoamos.


Mercoledì, 1° giugno 1977


Paolo VI Catechesi 40577