Direttorio Vescovi 2004


INTRODUZIONE


Successori degli Apostoli (“Apostolorum Successores”) per istituzione divina, i Vescovi, mediante lo Spirito Santo che è loro conferito nella consacrazione episcopale, sono costituiti Pastori della Chiesa, col compito di insegnare, santificare e guidare, in comunione gerarchica col Successore di Pietro e con gli altri membri del Collegio episcopale.

Il titolo di “Successore degli Apostoli” è alla radice del ministero pastorale del Vescovo e della sua missione nella Chiesa e ben definisce la figura del Vescovo e la sua missione. I Vescovi, in quanto inseriti nel Collegio episcopale, che succede al Collegio apostolico, sono intimamente uniti a Cristo Gesù, che continua a scegliere e a mandare i suoi apostoli. Il Vescovo, come successore degli Apostoli, in forza della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica, è il principio visibile e il garante dell’unità della sua Chiesa particolare (1).

Il libro dell’Apocalisse afferma che le mura della nuova Gerusalemme “poggiano su dodici basamenti, sui quali sono i dodici nomi dei dodici Apostoli” (Ap 21,14). La Costituzione dogmatica Lumen Gentium insegna: “I Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali Pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e Colui che ha mandato Cristo” (2).

L’essere successori degli Apostoli dà ai Vescovi la grazia e la responsabilità di assicurare alla Chiesa la nota dell’apostolicità. Affinché il Vangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, gli Apostoli lasciarono come successori i Vescovi, affidando ad essi il loro proprio compito di magistero (3). Per questo i Vescovi, lungo il susseguirsi delle generazioni, sono chiamati a custodire e a trasmettere la Sacra Scrittura ed a promuovere la Traditio, cioè l’annuncio dell’unico Vangelo e dell’unica fede, nell’integra fedeltà all’insegnamento degli Apostoli; allo stesso tempo, sono tenuti ad illuminare con la luce del Vangelo le questioni nuove che i cambiamenti delle situazioni storiche dell’umanità continuamente presentano (cambiamenti in questioni culturali, sociali ed economiche, scientifiche e tecnologiche, ecc.) (4). I Vescovi, inoltre, hanno il compito di santificare e di guidare il Popolo di Dio “cum et sub Petro”, in continuità con l’opera svolta dai Vescovi loro predecessori e con dinamismo missionario.

Il presente Direttorio, che riprende, aggiorna e completa quello del 22 febbraio 1973, è stato elaborato dalla Congregazione per i Vescovi al fine di offrire ai “Pastori del gregge di Cristo” uno strumento utile ad un più organico ed efficace esercizio del loro complesso e difficile ministero pastorale nella Chiesa e nella società di oggi. Esso intende aiutare i Vescovi ad affrontare con umile fiducia in Dio e con coerente coraggio le sfide che l’ora presente — caratterizzata da problemi nuovi, grande progresso e repentini cambiamenti — porta con sé, in questo inizio del terzo millennio.

Il Direttorio fa seguito a quella ricca tradizione che, a partire dal XVI secolo, molti autori ecclesiastici crearono, con scritti di diverso nome, quali Enchiridion, Praxis, Statuta, Ordo, Dialogi, Aphorismata, Munera, Institutiones, Officium e altri simili, per fornire ai Vescovi organici sussidi pastorali per un miglior svolgimento del loro ministero.

Le fonti principali di questo Direttorio sono costituite dal Concilio Vaticano II, dai molti documenti ed insegnamenti pontifici pubblicati in questi anni e dal Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1983.

Significativamente, il Direttorio viene pubblicato all’indomani della promulgazione dell’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis, che ha raccolto le proposte e i suggerimenti della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (anno 2001), la quale ha avuto come tema: “Il Vescovo ministro del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo” e che è stata dedicata al ministero episcopale. Con tale Esortazione apostolica è stata completata la riflessione magisteriale svolta dal Santo Padre, a seguito dei Sinodi relativi, sulle varie vocazioni del Popolo di Dio nell’ambito dell’ecclesiologia di comunione delineata dal Concilio Vaticano II, che ha nel Vescovo diocesano il centro propulsore ed il segno visibile. Pertanto, il Direttorio è strettamente collegato con l’Esortazione apostolica Pastores gregis per quanto concerne i suoi fondamenti dottrinali e pastorali. Esso è stato elaborato dopo un’ampia consultazione, tenendo presenti i suggerimenti ed i voti espressi da vari Vescovi diocesani e da alcuni Vescovi emeriti.

Il Direttorio, infine, ha natura fondamentalmente pastorale e pratica, con indicazioni e direttive concrete per l’attività dei Pastori, salva restando la prudente discrezionalità del singolo Vescovo nell’attuarne l’applicazione, soprattutto in considerazione delle particolari condizioni di luogo, di mentalità, di situazione sociale e di fioritura della fede. Ovviamente, quanto in esso è desunto dalla disciplina della Chiesa conserva lo stesso valore che ha nelle proprie fonti.

Capitolo I

IDENTITÀ E MISSIONE DEL VESCOVO

NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA


“Io sono il Buon Pastore,

conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Jn 10,14).

“Le mura della città poggiano su dodici basamenti,

sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello” (Ap 21,14).

I. Il Vescovo nel Mistero di Cristo


1 Identità e missione del Vescovo. Il Vescovo, nel considerare se stesso ed i suoi compiti, deve tener presente come centro che delinea la sua identità e la sua missione il mistero di Cristo e le caratteristiche che il Signore Gesù volle per la sua Chiesa, “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (5). è, infatti, alla luce del mistero di Cristo, Pastore e Vescovo delle anime (cf. 1P 2,25), che il Vescovo comprenderà sempre più profondamente il mistero della Chiesa, nella quale la grazia della consacrazione episcopale lo ha posto come maestro, sacerdote e pastore per guidarla con la sua stessa potestà.

Vicario (6) del “Pastore grande delle pecore” (He 13,20), il Vescovo deve manifestare con la sua vita e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l’autorevolezza di Cristo, che è venuto per dare la vita e per fare di tutti gli uomini una sola famiglia, riconciliata nell’amore del Padre. Il Vescovo deve manifestare anche la perenne vitalità dello Spirito Santo, che anima la Chiesa e la sostiene nell’umana debolezza. Questa indole trinitaria dell’essere e dell’agire del Vescovo ha la sua radice nella vita stessa di Cristo. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre da sempre nel suo seno (cf. Gv Jn 1,18) e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo (cf. Mt Mt 11,27 Gv Jn 15,26 Jn 16,13-14) (7).


2 Immagini espressive del Vescovo. Alcune immagini vive del Vescovo tratte dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, quali quella del pastore, del pescatore, del padre, del fratello, dell’amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro, dell’uomo forte, delsacramentum bonitatis, rimandano a Gesù Cristo e mostrano il Vescovo come uomo di fede e di discernimento, di speranza e di impegno reale, di mitezza e di comunione. Tali immagini indicano che entrare nella successione apostolica significa entrare in combattimento per il Vangelo (8).

Tra le diverse immagini quella del pastore, con particolare eloquenza, illustra l’insieme del ministero episcopale, in quanto manifesta il suo significato, il suo fine, il suo stile, ed il suo dinamismo evangelizzatore e missionario. Cristo Buon Pastore indica al Vescovo la quotidiana fedeltà alla propria missione, la piena e serena dedizione alla Chiesa, la gioia di condurre verso il Signore il Popolo di Dio che gli viene affidato e la felicità nell’accogliere nell’unità della comunione ecclesiale tutti i figli di Dio dispersi (cf. Mt
Mt 15,24 Mt 10,6). Nella contemplazione dell’icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del dono continuo di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per il gregge (cf. Gv Jn 10,11) ed è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mt Mt 20,28) (9); inoltre vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni di insegnare, santificare e governare debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore. Per svolgere, dunque, un fecondo ministero episcopale, il Vescovo è chiamato ad uniformarsi a Cristo in maniera tutta speciale nella sua vita personale e nell’esercizio del ministero apostolico, così che il “pensiero di Cristo” (1Co 2,16) pervada totalmente le sue idee, i suoi sentimenti e i suoi comportamenti, e la luce che promana dal volto di Cristo illumini “il governo delle anime che è l’arte delle arti” (10). Questo impegno interiore ravviva nel Vescovo la speranza di ricevere da Cristo, che verrà a radunare e a giudicare tutte le genti come pastore universale (cf. Mt 25,31-46), la “corona di gloria che non appassisce” (1P 5,4). Sarà questa speranza a guidare il Vescovo lungo il suo ministero, ad illuminare le sue giornate, ad alimentare la sua spiritualità, a nutrire la sua fiducia, a sostenere la sua lotta contro il male e l’ingiustizia, nella certezza che insieme ai fratelli contemplerà l’Agnello immolato, il Pastore che conduce tutti alle fonti della vita e della beatitudine di Dio (cf. Ap Ap 7,17).

II. Il Vescovo nel Mistero della Chiesa


3 La Chiesa, Corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio. La Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium” riporta alcune immagini che illustrano il mistero dellaChiesa e ne evidenziano le note caratteristiche rivelando l’inscindibile legame che il Popolo di Dio ha con Cristo. Tra queste spiccano quella del Corpo mistico, di cui Cristo è il capo (11), e quella di Popolo di Dio, che raccoglie in sè tutti i figli di Dio, sia pastori che fedeli, uniti intimamente dallo stesso Battesimo. Questo popolo ha per capo Cristo, il quale è stato “messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25); ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cui cuore come in un tempio dimora lo Spirito Santo; ha per legge il nuovo comandamento dell’amore e per fine il Regno di Dio iniziato già sulla terra (12).

Questa sua Chiesa, una e unica, il nostro Salvatore la diede da pascere a Pietro (cf. Gv Jn 21,17) e agli altri Apostoli affidando loro la diffusione e il governo (cf. Mt Mt 28,18-20) e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cf. 1Tm 3,15).


4 Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Tutti i membri di questo popolo, che Cristo ha dotato di doni gerarchici e carismatici, costituito in una comunione di vita, di carità e di verità, insignito della dignità sacerdotale (cf. Ap Ap 1,6 Ap 5,9-10) sono stati da Lui consacrati mediante il Battesimo perché offrano sacrifici spirituali mediante tutta la loro attività, e inviati come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt Mt 5,13-16) per proclamare le opere meravigliose di Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce (cf. 1P 2,4-10). Alcuni membri del Corpo di Cristo, tuttavia vengono consacrati, mediante il sacramento dell’Ordine, per esercitare il sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio comune e quello ministeriale o gerarchico differiscono essenzialmente tra loro, anche se sono ordinati l’uno all’altro, poiché ciascuno di essi partecipa a titolo differente all’unico sacerdozio di Cristo. “Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra con cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico ‘in persona Christi’ e l’offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’oblazione dell’Eucaristia e lo esercitano con il ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità”(13).


5 Le Chiese particolari. Il Popolo di Dio non è solo una comunità di genti diverse, ma nel suo stesso interno si compone anche di diverse parti, le Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, nelle quali e dalle quali è costituita l’una ed unica Chiesa Cattolica (14). La Chiesa particolare è affidata al Vescovo (15), che è principio e fondamento visibile di unità (16), ed è attraverso la sua comunione gerarchica con il capo e gli altri membri del Collegio episcopale che la Chiesa particolare si inserisce nella “plena communio ecclesiarum” dell’unica Chiesa di Cristo.

Per questo, l’intero Corpo mistico di Cristo è anche un corpo di Chiese (17), tra le quali si genera un’ammirevole reciprocità, giacché la ricchezza di vita e di opere di ciascuna ridonda nel bene di tutta la Chiesa e all’abbondanza soprannaturale di tutto il Corpo partecipano lo stesso pastore e il suo gregge.

Queste Chiese particolari sono anche “nella” e “a partire dalla” Chiesa, che in esse “si trova e opera veramente”. Per questo motivo, il Successore di Pietro, Capo del Collegio episcopale, ed il Corpo dei Vescovi sono elementi propri e costitutivi di ciascuna Chiesa particolare (18). Il governo del Vescovo e la vita diocesana debbono manifestare la reciproca comunione con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, nonché con le Chiese particolari sorelle, particolarmente con quelle che sono presenti nello stesso territorio.


6 La Chiesa Sacramento di salvezza. La Chiesa è Sacramento di salvezza in quanto, per mezzo della sua visibilità, Cristo è presente tra gli uomini e continua la sua missione, donando ai fedeli il suo Spirito Santo. Il corpo della Chiesa si distingue pertanto da tutte le società umane; infatti, non sulle capacità personali dei suoi membri essa si regge, ma sull’intima unione con Cristo, da cui riceve e comunica agli uomini la vita e l’energia. La Chiesa non solo significa l’intima unione con Dio e l’unità di tutto il genere umano, ma ne è segno efficace e per questo è sacramento di salvezza (19).


7 La Chiesa comunione e missione. In pari tempo La Chiesa è comunione. Le immagini della Chiesa e le note essenziali che la definiscono rivelano che essa nella sua dimensione più intima, è un mistero di comunione, innanzitutto nella Trinità, perché come insegna il Concilio Vaticano II “i fedeli, uniti al Vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità” (20). La comunione sta nel cuore dell’autoconoscenza della Chiesa (21) ed è il legame che la esprime come realtà umana, come comunità dei Santi e come corpo di Chiese; la comunione infatti esprime anche la realtà della Chiesa particolare.

La comunione ecclesiale è comunione di vita, di carità e di verità (22) e, in quanto legame dell’uomo con Dio, fonda una nuova relazione tra gli uomini stessi e manifesta la natura sacramentale della Chiesa. La Chiesa è “la casa e la scuola della comunione” (23) che si edifica intorno all’Eucaristia, sacramento della comunione ecclesiale, dove “partecipando realmente del corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi” (24); allo stesso tempo, l’Eucaristia è l’epifania della Chiesa, dove viene manifestato il suo carattere trinitario.

La Chiesa ha la missione di annunziare e propagare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra, affinché tutti gli uomini credano in Cristo e così conseguano la vita eterna (25). La Chiesa è pertanto anche missionaria.Infatti, “la missione propria, che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, non è di ordine politico o economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina” (26).


8 Il Vescovo visibile principio di unità e di comunione. Il Vescovo, visibile principio di unità nella sua Chiesa, è chiamato a edificare incessantemente la Chiesa particolare nella comunione di tutti i suoi membri e, di questi, con la Chiesa universale, vigilando affinchè i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo.

Quale maestro della fede, santificatore e guida spirituale, il Vescovo sa di poter contare su una speciale grazia divina, conferitagli nell’ordinazione episcopale. Tale grazia lo sostiene nel suo spendersi per il Regno di Dio, per la salvezza eterna degli uomini e anche nel suo impegno per costruire la storia con la forza del Vangelo, dando senso al cammino dell’uomo nel tempo.


III. Il Collegio dei Dodici e il Collegio dei Vescovi


9 La missione pastorale dei Dodici. Il Signore Gesù, all’inizio della sua missione, dopo aver pregato il Padre, costituì dodici Apostoli perché stessero con lui e per mandarli a predicare il Regno di Dio e a scacciare i demoni (27). I Dodici furono voluti da Gesù come un collegio indiviso con a capo Pietro, e proprio come tale adempirono la loro missione, cominciando da Gerusalemme (cf. Lc Lc 24,46), poi, come testimoni diretti della sua risurrezione verso tutti i popoli della terra (cf. Mc Mc 16,20). Tale missione, che fu sottolineata come essenziale dall’apostolo Pietro davanti alla prima comunità cristiana di Gerusalemme (cf. At Ac 1,21-22), fu attuata dagli Apostoli annunciando il Vangelo e facendo discepole tutte le genti (cf. Mt Mt 28,16-20). Si continuava così l’opera stessa che il Risorto affidò loro la sera stessa di Pasqua: “come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi” (Jn 20,21) (28).


10 Gli Apostoli fondamenti della Chiesa. Gli Apostoli, con a capo Pietro, sono il fondamento della Chiesa di Cristo, i loro nomi sono scritti sulle fondamenta della Gerusalemme celeste (cf. Ap Ap 21,14); in quanto architetti del nuovo Popolo di Dio, essi ne garantiscono la fedeltà a Cristo, pietra fondamentale dell’edificio, e al suo Vangelo; insegnano con autorità, dirigono la comunità e ne tutelano l’unità. Così la Chiesa, “costruita sul fondamento degli Apostoli” (Ep 2,20), ha in sè la nota dell’apostolicità, in quanto conserva e trasmette integro quel buon deposito che attraverso gli Apostoli ha ricevuto da Cristo stesso. L’apostolicità della Chiesa è garanzia di fedeltà al Vangelo ricevuto e al sacramento dell’Ordine che rende permanente nel tempo l’ufficio apostolico.


11 Continuità della missione dei Dodici nel Collegio episcopale. La missione pastorale del Collegio Apostolico perdura nel Collegio episcopale, come nel Romano Pontefice perdura l’ufficio primaziale di Pietro. Il Concilio Vaticano II insegna che “i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo” (cf. Lc Lc 10,16) (29).

Il Collegio episcopale, con a capo il Romano Pontefice e mai senza di esso, è “soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale” (30), mentre lo stesso Pontefice, in quanto “Vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa” (31), ha la “potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa che può sempre esercitare liberamente” (32). Questo comporta che il Romano Pontefice ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti (33). L’episcopato, uno e indiviso, si presenta unito nella stessa fraternità intorno a Pietro, per attuare la missione di annunciare il Vangelo e di guidare pastoralmente la Chiesa, affinché cresca in tutto il mondo e, pur nella diversità di tempo e di luogo, continui ad essere comunità apostolica.


12 Appartenenza e forme di azione del Vescovo nel Collegio episcopale. Il Vescovo diviene membro del Collegio episcopale in forza della consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine e configura ontologicamente il Vescovo a Gesù Cristo come pastore nella sua Chiesa. In forza della consacrazione episcopale, il Vescovo diviene sacramento di Cristo stesso presente ed operante nel suo popolo, che mediante il ministero episcopale annunzia la Parola, amministra i sacramenti della fede e guida la sua Chiesa (34). Il “munus” episcopale per poter essere esercitato ha bisogno della “missione canonica” concessa dal Romano Pontefice. Con essa il Capo del Collegio episcopale, affida una porzione del Popolo di Dio o un ufficio a beneficio della Chiesa universale (35). Pertanto, le tre funzioni, che costituiscono il “munus pastorale” ricevuto dal Vescovo nella consacrazione episcopale, debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa natura e finalità, la funzione di santificare è esercitata in modo distinto da quelle di insegnare e di governare (36). Queste ultime due funzioni, infatti, non possono essere esercitate se non nella comunione gerarchica per la loro intrinseca natura (natura sua), altrimenti gli atti compiuti non sono validi.

La collegialità affettiva fa del Vescovo un uomo che non è mai solo perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell’episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro. La collegialità affettiva si esprime come collegialità effettiva nel Concilio Ecumenico o con l’azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, promossa dal Romano Pontefice o recepita da esso, in modo che si realizzi un vero atto collegiale. L’affetto collegiale, che non è un semplice sentimento di solidarietà, si attua in gradi diversi e gli atti che ne derivano, possono avere conseguenze giuridiche. Tale affetto si concretizza in vari modi, quali ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, la Visita ad limina, l’inserimento dei Vescovi diocesani nei Dicasteri della Curia Romana, la collaborazione missionaria, i Concili particolari, le Conferenze episcopali, l’impegno ecumenico, il dialogo interreligioso (37).

Capitolo II

LA SOLLECITUDINE DEL VESCOVO

PER LA CHIESA UNIVERSALE E LA

COLLABORAZIONE DEI VESCOVI TRA LORO


“Tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale

e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per

comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine

a tutta la Chiesa” (Pastores Gregis, 55).

I. La sollecitudine del Vescovo per la Chiesa Universale


13 Collaborazione per il bene della Chiesa Universale. In forza della sua appartenenza al Collegio episcopale, il Vescovo ha la sollecitudine per tutte le Chiese ed è legato agli altri membri del Collegio mediante la fraternità episcopale e lo stretto vincolo che unisce i Vescovi al Capo del Collegio; ciò richiede che ciascun Vescovo collabori con il Romano Pontefice, Capo del Collegio episcopale, al quale, per l’ufficio primaziale su tutta la Chiesa, è affidato il compito di portare a tutti i popoli la luce del Vangelo.

In primo luogo, il Vescovo dovrà effettivamente essere segno e promotore di unità nella Chiesa particolare, che egli rappresenta in seno alla Chiesa universale. Egli dovrà avere quella sollecitudine per tutta la Chiesa, che, anche se non è esercitata individualmente su concreti fedeli con la potestà di giurisdizione, contribuisce al bene di tutto il Popolo di Dio. è per questo motivo che il Vescovo dovrà “promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa” (38), contribuendo al Magistero ordinario della Chiesa e all’adeguata applicazione della disciplina canonica universale, educando i propri fedeli al senso della Chiesa universale e collaborando a promuovere ogni attività comune alla Chiesa. Il Vescovo non dovrà mai dimenticare il principio pastorale secondo il quale, reggendo bene la propria Chiesa particolare, contribuisce al bene di tutto il Popolo di Dio, che è il corpo delle Chiese.

Oltre alla principale forma istituzionale di collaborazione del Vescovo al bene di tutta la Chiesa, nella partecipazione al Concilio Ecumenico, nel quale si esercita in forma solenne e universale la potestà del Collegio episcopale, tale collaborazione si realizza anche nell’esercizio della suprema e universale potestà mediante l’azione congiunta con gli altri Vescovi, se essa è come tale indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice (39). Ogni Vescovo ha il diritto e il dovere di assistere e collaborare attivamente all’una o all’altra azione collegiale con la preghiera, lo studio ed esprimendo il suo voto.

Il Sinodo dei Vescovi offre un prezioso aiuto consultivo alla funzione primaziale del Successore di Pietro, oltre a rafforzare i vincoli di unione tra i membri del Collegio episcopale (40). Se è chiamato a parteciparvi personalmente, il Vescovo compie l’incarico con zelante applicazione, guardando alla gloria di Dio e al bene della Chiesa. Questi stessi sentimenti devono guidarlo nel dare il proprio parere sulle questioni proposte alla riflessione sinodale o quando si tratta di eleggere, nel seno della propria Conferenza Episcopale, i Vescovi impegnati nel ministero o i Vescovi emeriti che, per conoscenza ed esperienza della materia, possano rappresentarlo nel Sinodo.

La medesima sollecitudine per la Chiesa universale spingerà il Vescovo a presentare al Papa consigli, osservazioni e suggerimenti, a segnalargli pericoli per la Chiesa, occasioni per iniziative e altre utili indicazioni: così presta un inestimabile servizio al ministero primaziale e un contributo sicuro all’efficacia del governo universale. Alla richiesta di pareri intorno a questioni pastorali o sollecitato a collaborare nella preparazione di documenti di portata universale — specialmente se ricopre l’ufficio di membro o consultore di qualche Dicastero della Curia Romana — il Vescovo risponda con franchezza, dopo serio studio e meditazione della materia coram Domino (41). Se gli viene richiesto di espletare un incarico per l’interesse di tutta la Chiesa, il Vescovo farà il possibile per accettarlo e lo compirà con diligenza.

Conscio della sua responsabilità per l’unità della Chiesa e tenendo presente con quanta facilità oggi qualunque dichiarazione venga conosciuta da larghi strati dell’opinione pubblica, il Vescovo si guardi dal mettere in discussione aspetti dottrinali del Magistero autentico o disciplinari per non recare danno all’autorità della Chiesa e a quella sua propria; egli ricorra piuttosto agli ordinari canali di comunicazione con la Sede Apostolica e con gli altri Vescovi, se ha questioni da porre al riguardo di tali aspetti dottrinali o disciplinari.


14

Collaborazione con la Sede Apostolica.

Come conseguenza della sua consacrazione episcopale, della comunione gerarchica e della sua appartenenza al Collegio episcopale e quale segno di unione con Gesù Cristo, il Vescovo tenga nel più gran conto e alimenti di cuore la comunione di carità e di ubbidienza col Romano Pontefice, facendo proprie le sue intenzioni, le iniziative, le gioie e le preoccupazioni e incrementando anche nei fedeli i medesimi filiali sentimenti.

Il Vescovo esegua fedelmente le disposizioni della Santa Sede e dei vari Dicasteri della Curia Romana, che aiutano il Romano Pontefice nella sua missione di servizio alle Chiese particolari e ai loro Pastori. Procuri, inoltre, che i documenti della Santa Sede giungano capillarmente a conoscenza dei sacerdoti o, secondo i casi, di tutto il popolo, illustrandone opportunamente il contenuto per renderlo accessibile a tutti.

Per dare attuazione nel modo più appropriato ad ogni documento, oltre alle eventuali indicazioni presenti nel medesimo, il Vescovo dovrà studiarne la natura propria (magisteriale, dispositiva, orientativa, ecc.) e il contenuto pastorale; trattandosi di leggi e altre disposizioni normative, occorre speciale attenzione nell’assicurarne l’immediata osservanza dal momento della loro entrata in vigore, eventualmente mediante opportune norme applicative diocesane. Se si tratta di documenti di altro genere, per esempio di orientamento generale, il Vescovo stesso dovrà valutare con prudenza il modo migliore di procedere, in funzione del bene pastorale del suo gregge.

Rapporti con il Legato Pontificio.

Questi rappresenta il Romano Pontefice davanti alle Chiese particolari e davanti agli Stati (42). La sua missione non si sovrappone alla funzione dei Vescovi e neppure la ostacola o sostituisce, bensí la favorisce in molte maniere e la sostiene con fraterno consiglio. Pertanto, il Vescovo s’impegni a mantenere con il Rappresentante Pontificio rapporti improntati a sentimenti fraterni e di reciproca confidenza, tanto a livello personale come in seno alla Conferenza Episcopale, e utilizzi i suoi uffici per trasmettere informazioni alla Sede Apostolica e per sollecitare i provvedimenti canonici che ad essa competono.

Come forma specifica di collaborazione con il ministero del Romano Pontefice, il Vescovo, insieme agli altri Pastori della provincia ecclesiastica o della Conferenza Episcopale o anche personalmente, segnali alla Sede Apostolica quei presbiteri che giudica idonei per l’episcopato. Nello svolgimento delle previe indagini sui possibili candidati, il Vescovo potrà consultare singolarmente persone informate; ma non consentirà mai che si faccia una consultazione collettiva, in quanto essa metterebbe in pericolo il segreto prescritto dalla legge canonica — necessario quando si tratta del buon nome delle persone — e condizionerebbe la libertà del Romano Pontefice nella scelta del più idoneo (43).

“I Vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale” (44). Il Vescovo neppure trascuri quella particolare questua che si chiama Obolo di San Pietro, destinata a far sì che la Chiesa di Roma possa validamente adempiere il suo ufficio di presidenza nella carità universale. Quando le possibilità della diocesi lo permettono e vi siano sacerdoti adatti e preparati che vengano richiesti, il Vescovo li metta a disposizione della Santa Sede ad tempus o in maniera illimitata.


15

La visita “ad limina”

(45).

Secondo la disciplina canonica, il Vescovo diocesano compie ogni cinque anni l’antica tradizione della Visita “ad limina”, per onorare i sepolcri dei santi Apostoli Pietro e Paolo e incontrare il successore di Pietro, il Vescovo di Roma.

La visita, nei suoi diversi momenti liturgici, pastorali e di fraterno scambio, ha per il Vescovo un preciso significato: accrescere il suo senso di responsabilità come Successore degli Apostoli e rinvigorire la sua comunione con il successore di Pietro. La visita, inoltre, costituisce anche un momento importante per la vita della stessa Chiesa particolare la quale, per mezzo del proprio rappresentante, consolida i vincoli di fede, di comunione e di disciplina che la legano alla Chiesa di Roma e all’intero corpo ecclesiale (46).

Gli incontri fraterni con il Romano Pontefice e i suoi più stretti collaboratori della Curia Romana offrono al Vescovo un’occasione privilegiata non solo per fare presente la situazione della propria diocesi e le sue aspettative, ma anche per avere maggiori informazioni circa le speranze, le gioie e le difficoltà della Chiesa universale e per ricevere opportuni consigli e direttive sui problemi del proprio gregge. Tale visita rappresenta un momento centrale anche per il Successore di Pietro che riceve i pastori delle Chiese particolari per trattare con essi le questioni riguardanti la loro missione ecclesiale. La visita “ad limina” è così espressione della sollecitudine pastorale di tutta la Chiesa (47).

Per tali motivi, è necessaria una diligente preparazione. Con sufficiente anticipo (non meno di sei mesi, se possibile), il Vescovo si preoccuperà di inviare alla Santa Sede la Relazione sullo stato della diocesi, per la cui redazione dispone del relativo Formulario preparato dalla competente Congregazione per i Vescovi. Detta Relazione dovrà fornire al Romano Pontefice e ai Dicasteri romani un’informazione di prima mano — veritiera, sintetica e precisa — che è di grande utilità per l’esercizio del ministero petrino. Al Vescovo, poi, la Relazione offrirà un mezzo idoneo per esaminare lo stato della sua Chiesa e per programmare il lavoro pastorale: perciò, conviene che per la sua elaborazione il Vescovo si avvalga dell’aiuto dei suoi più stretti collaboratori nella funzione episcopale, sebbene il suo contributo personale risulti indispensabile, soprattutto negli aspetti che riguardano più da vicino la sua attività, per dare una visione d’insieme del lavoro pastorale.

La prassi attuale è che le visite si svolgano di regola per Conferenze Episcopali, o divise in vari gruppi se troppo numerose, evidenziando così l’unione collegiale tra i Vescovi. Benché diversi momenti si svolgono in gruppo — visite alle tombe degli Apostoli, discorso del Papa, riunione con i Dicasteri della Curia Romana —, è sempre il singolo Vescovo che presenta la relazione e compie la visita a nome della sua Chiesa, incontrando personalmente il Successore di Pietro, ed avendo sempre il diritto e il dovere di comunicare direttamente con lui e con i suoi collaboratori su tutte le questioni riguardanti il suo ministero diocesano.



Direttorio Vescovi 2004