Direttorio Vescovi 2004 16

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I Vescovi diocesani membri dei Dicasteri della Curia Romana.

Ulteriore segno dell’affetto collegiale tra i Vescovi ed il Papa è dato dalla presenza di alcuni Vescovi diocesani quali membri dei Dicasteri della Curia Romana. Tale presenza permette ai Vescovi di presentare al Sommo Pontefice la mentalità, i desideri e le necessità di tutte le Chiese. In questo modo, mediante la Curia Romana, il vincolo di unione e di carità che vige nel Collegio episcopale si estende a tutto il Popolo di Dio (48).


17 L’opera missionaria. I Vescovi, insieme al Romano Pontefice, sono direttamente responsabili dell’evangelizzazione del mondo (49); pertanto, ciascun Vescovo attuerà tale responsabilità con la massima sollecitudine.

In quanto coordinatore e centro dell’attività missionaria diocesana, il Vescovo sarà sollecito nell’aprire la Chiesa particolare alle necessità delle altre, suscitando lo spirito missionario nei fedeli, procurando missionari e missionarie, fomentando un fervido spirito apostolico e missionario nel presbiterio e nei religiosi e membri delle Società di vita apostolica, tra gli alunni del suo seminario e nei laici, collaborando con la Sede Apostolica nell’opera di evangelizzazione dei popoli, sostenendo le giovani Chiese con aiuti materiali e spirituali. In questo ed altri modi appropriati alle circostanze di luogo e di tempo, il Vescovo manifesta la sua fraternità con gli altri Vescovi ed adempie il dovere di annunciare il Vangelo a tutte le genti (50).

Secondo le possibilità della diocesi, presi accordi con la Santa Sede e con gli altri Vescovi interessati, il Vescovo provveda ad inviare missionari e mezzi materiali ai territori di missione, tramite accordi particolari o stabilendo vincoli di fratellanza con una determinata Chiesa missionaria. Inoltre, promuova e sostenga nella sua Chiesa particolare le Opere Missionarie Pontificie, procurando il necessario aiuto spirituale ed economico (51). Per conseguire tali obiettivi il Vescovo designerà un sacerdote, un diacono o un laico competente, il quale si occupi di organizzare le diverse iniziative diocesane, come la giornata annuale per le missioni e la colletta annuale in favore delle opere pontificie (52).

Parimenti, il Vescovo associ i propri sforzi con quelli della Santa Sede allo scopo di aiutare le Chiese che soffrono persecuzioni o sono travagliate da grave penuria di clero o di mezzi (53).

Il vincolo di comunione fra le Chiese viene evidenziato dai sacerdoti “fidei donum”, scelti fra quanti adatti e adeguatamente preparati, attraverso i quali le diocesi di antica fondazione contribuiscono efficacemente all’evangelizzazione delle nuove Chiese e, a loro volta, attingono freschezza e vitalità di fede da quelle giovani comunità cristiane (54).

Quando un chierico idoneo (sacerdote o diacono) manifesta il desiderio di essere inserito tra i sacerdoti “fidei donum, il Vescovo, per quanto possibile, non neghi il permesso, anche se ciò possa comportare sacrifici immediati per la sua diocesi, e provveda a determinare i suoi diritti e doveri mediante una convenzione scritta con il Vescovo del luogo di destinazione. Al temporaneo trasferimento si potrà provvedere senza ricorrere all’escardinazione, di modo che al ritorno il chierico conservi tutti i diritti che gli corrisponderebbero se fosse rimasto nella diocesi (55).

Anche i Vescovi delle giovani Chiese di missione incrementeranno il dono di sacerdoti, verso zone dello stesso Paese, dello stesso Continente o di altri Continenti, meno evangelizzati o con meno personale a servizio della Chiesa.

Il Vescovo sarà largamente disponibile ad accogliere nella propria diocesi quei sacerdoti dei Paesi di missione che chiedono temporanea ospitalità per motivi di studio o per altri motivi. In tali casi, i Vescovi interessati stipuleranno una convenzione per concordare i vari settori di vita del presbitero. A tale scopo saranno osservate le norme stabilite dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (56).


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L’impegno ecumenico.

Consapevole che il ristabilimento dell’unità è stato uno dei principali intenti del Concilio Vaticano II (57) e che esso non è soltanto un’appendice che s’aggiunge all’attività tradizionale della Chiesa (58), il Vescovo sentirà l’urgenza di promuovere l’ecumenismo, settore nel quale la Chiesa cattolica è impegnata in maniera irreversibile.

Sebbene la direzione del movimento ecumenico spetti principalmente alla Santa Sede, ai Vescovi, tuttavia, singolarmente e riuniti in Conferenza Episcopale, spetta stabilire norme pratiche per applicare le superiori disposizioni alle circostanze locali (59).

Seguendo fedelmente le indicazioni e gli orientamenti della Santa Sede, il Vescovo si preoccupi inoltre di mantenere rapporti ecumenici con le diverse Chiese e Comunità cristiane presenti nella diocesi, nominando un suo rappresentante che sia competente in materia, al fine di animare e coordinare le attività della diocesi in questo campo (60). Se le circostanze della diocesi lo consigliano, il Vescovo costituirà un segretariato o una commissione incaricati di proporre al Vescovo quanto possa aiutare l’unità fra i cristiani e realizzare le iniziative che lui stesso indichi, promuovere nella diocesi l’ecumenismo spirituale, proporre sussidi per la formazione ecumenica del clero e dei seminaristi (61), sostenere le parrocchie nell’impegno ecumenico.


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Relazioni con l’Ebraismo.

Il Concilio Vaticano II ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo (62); è per questo legame che, rispetto alle religioni non cristiane, un posto del tutto particolare nelle attenzioni della Chiesa spetta agli ebrei, i quali “possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne” (Rm 9,4-5). Il Vescovo deve promuovere fra i cristiani un atteggiamento di rispetto verso questi nostri “fratelli maggiori”, per evitare il prodursi di fenomeni di antigiudaismo, e deve vigilare affinché i ministri sacri ricevano una formazione adeguata sulla religione ebraica e i suoi rapporti con il cristianesimo.


20 Il dialogo interreligioso. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo nelle altre religioni. “Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia ed è tenuta ad annunziare incessantemente Cristo che è ‘la via, la verità e la vita’ (Jn 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose” (63).

Nel rapporto con le religioni non cristiane, la Chiesa è chiamata a stabilire un dialogo sincero e rispettoso che, senz’ombra di irenismo, aiuti a scoprire i semi di verità che si trovano nelle tradizioni religiose dell’umanità e incoraggi le legittime aspirazioni spirituali degli uomini. Tale dialogo è in stretta connessione con l’irrinunciabile chiamata alla missione, suscitata dal mandato di Cristo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), e guidato dal delicato rispetto della coscienza individuale.


21 Appoggio alle iniziative della Santa Sede in ambito internazionale. Il Vescovo, secondo le possibilità della sua Chiesa, contribuisce alle realizzazioni delle finalità delle istituzioni e associazioni internazionali promosse e sostenute dalla Sede Apostolica: per la pace e la giustizia nel mondo, per la tutela della famiglia e della vita umana a partire dal concepimento, per il progresso dei popoli e per altre iniziative.

Come forma particolare di azione apostolica in ambito internazionale, la Santa Sede è rappresentata a pieno titolo in seno ai principali organismi internazionali e interviene attivamente in vari congressi convocati da questi organismi. In queste istanze internazionali, la Chiesa deve farsi ascoltare, in difesa della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali, della protezione dei più deboli, del giusto assetto dei rapporti internazionali, del rispetto della natura, ecc. Il Vescovo non tralascerà di sostenere tali iniziative davanti ai fedeli e all’opinione pubblica, tenendo presente che il suo ministero pastorale può incidere notevolmente nel consolidamento di un ordine internazionale giusto e rispettoso della dignità dell’uomo (64).


II. La Cooperazione Episcopale e gli Organi Sovradiocesani di Collaborazione

A) La cooperazione episcopale


22 L’esercizio congiunto del ministero episcopale. “Ferma restando la potestà di istituzione divina che il Vescovo ha nella sua Chiesa particolare, la consapevolezza di far parte di un corpo indiviso ha portato i Vescovi, lungo la storia della Chiesa, ad adoperare, nel compimento della loro missione, strumenti, organi o mezzi di comunicazione che manifestano la comunione e la sollecitudine per tutte le Chiese e prolungano la vita stessa del Collegio degli Apostoli: la collaborazione pastorale, le consultazioni, l’aiuto reciproco, ecc” (65). Pertanto, il Vescovo esercita il ministero affidatogli non soltanto quando disimpegna nella diocesi le funzioni che gli sono proprie, ma anche quando coopera con i confratelli nell’Episcopato nei diversi organismi episcopali sovradiocesani. Tra questi, vanno annoverate le riunioni dei Vescovi della Provincia ecclesiastica, della Regione ecclesiastica (là dove siano state costituite dalla Sede Apostolica) e, soprattutto, le Conferenze Episcopali.

Queste assemblee episcopali sono espressione della dimensione collegiale del ministero episcopale e del suo necessario adattamento alle varie forme delle comunità umane tra le quali la Chiesa esercita la sua missione salvifica (66). Hanno come scopo principale il reciproco aiuto per l’esercizio dell’ufficio episcopale e l’armonizzazione delle iniziative di ciascun Pastore, per il bene di ogni diocesi e dell’intera comunità cristiana del territorio. Grazie ad esse, le stesse Chiese particolari stringono i vincoli di comunione con la Chiesa universale attraverso i Vescovi, loro legittimi rappresentanti (67).

A parte i casi in cui la legge della Chiesa o uno speciale mandato della Sede Apostolica abbia loro attribuito potere vincolante, l’azione congiunta propria di queste assemblee episcopali deve avere, come criterio primario di azione, il delicato e attento rispetto della responsabilità personale di ciascun Vescovo in relazione alla Chiesa universale e alla Chiesa particolare a lui affidata, pur nella consapevolezza della dimensione collegiale insita nella funzione episcopale.

B) Gli Organi Sovradiocesani e il Metropolita


23 Le diverse assemblee episcopali sovradiocesane

a) Assemblea dei Vescovi della Provincia ecclesiastica. I Vescovi diocesani della Provincia ecclesiastica si riuniscono intorno al Metropolita per coordinare meglio le loro attività pastorali e per esercitare le comuni competenze concesse dal diritto (68). Le riunioni sono convocate dall’Arcivescovo Metropolita, con la periodicità che a tutti convenga, e ad esse partecipano anche i Vescovi Coadiutori e Ausiliari della Provincia, con voto deliberativo. Se l’utilità pastorale lo consiglia, e ottenuta la licenza della Sede Apostolica, ai lavori comuni possono associarsi i Pastori di una diocesi vicina, immediatamente soggetta alla Santa Sede, compresi i Vicari e i Prefetti apostolici, che governano in nome del Sommo Pontefice.

b) Compiti dell’Arcivescovo Metropolita. Una speciale responsabilità per l’unità della Chiesa compete all’Arcivescovo Metropolita in relazione alle diocesi suffraganee e ai loro Pastori (69). Segno dell’autorità che, in comunione con la Chiesa di Roma, ha il Metropolita nella propria Provincia ecclesiastica è il Pallio che ciascun Metropolita deve chiedere personalmente o tramite un procuratore al Romano Pontefice. Il Pallio viene benedetto dal Romano Pontefice ogni anno nella solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno) ed imposto ai Metropoliti presenti. Al Metropolita che non può recarsi a Roma il Pallio sarà imposto dal Rappresentante Pontificio. In ogni caso il Metropolita ha le facoltà inerenti alla sua funzione dal momento della presa di possesso dell’arcidiocesi. Il Metropolita può portare il Pallio in tutte le Chiese della sua Provincia ecclesiastica, mentre non può mai portarlo fuori di essa, nemmeno con il consenso del Vescovo diocesano. Quando il Metropolita viene trasferito ad una nuova sede metropolitana deve chiedere un nuovo Pallio al Romano Pontefice (70).

Il Metropolita ha come funzione propria quella di vigilare perché in tutta la Provincia si mantengano con diligenza la fede e la disciplina ecclesiale, e perché il ministero episcopale sia esercitato in conformità alla legge canonica. Nel caso in cui notasse abusi o errori, il Metropolita, attento al bene dei fedeli e all’unità della Chiesa, riferisca accuratamente al Rappresentante Pontificio in quel Paese, affinché la Sede Apostolica possa provvedere. Prima di riferire al Rappresentante Pontificio, il Metropolita, qualora lo ritenga opportuno, potrà confrontarsi con il Vescovo diocesano riguardo alle problematiche emerse nella diocesi suffraganea. La sollecitudine verso le diocesi suffraganee sarà specialmente attenta nel periodo di vacanza della sede episcopale, o in eventuali momenti di particolari difficoltà del Vescovo diocesano.

Ma la funzione del Metropolita non deve limitarsi agli aspetti disciplinari, bensì estendersi, come conseguenza naturale del mandato della carità, all’attenzione discreta e fraterna, alle necessità di ordine umano e spirituale dei Pastori suffraganei, dei quali può considerarsi in una certa misurafratello maggiore, “primus inter pares”. Un ruolo effettivo del Metropolita, come previsto dal Codice di Diritto Canonico, favorisce un maggiore coordinamento pastorale e una più incisiva collegialità a livello locale fra i Vescovi suffraganei.

Insieme ai Vescovi della Provincia ecclesiastica, l’Arcivescovo Metropolita promuove iniziative comuni per rispondere adeguatamente alle necessità delle diocesi della Provincia. In particolare i Vescovi della stessa Provincia ecclesiastica potranno attuare insieme, se le circostanze così consigliano, i corsi per la formazione permanente del clero e i convegni pastorali per la programmazione di orientamenti comuni su questioni che interessano lo stesso territorio. Per la formazione dei candidati al presbiterato potranno istituire il seminario metropolitano, sia maggiore che minore, oppure istituire una casa di formazione delle vocazioni adulte o per la formazione dei diaconi permanenti o di laici impegnati nell’animazione pastorale. Altri settori di impegno pastorale comune potranno essere proposti dal Metropolita ai Vescovi. Se in qualche caso particolare l’Arcivescovo avrà bisogno di facoltà peculiari per lo svolgimento della sua missione, soprattutto per poter attuare la programmazione pastorale comune elaborata insieme ai Vescovi suffraganei, d’intesa con i Vescovi della Provincia ecclesiastica, potrà chiederle alla Santa Sede.

c) Assemblea dei Vescovi della regione ecclesiastica. Dove sia stata costituita una Regione ecclesiastica per varie Province ecclesiastiche (71), i Vescovi diocesani partecipano alle riunioni dell’assemblea regionale dei Vescovi secondo la forma stabilita dai suoi statuti.

d) La Conferenza Episcopale. La Conferenza Episcopale è importante per rinsaldare la comunione fra i Vescovi e promuoverne l’azione comune in un determinato territorio che si estende in linea di principio ai confini di un Paese. Le sono affidate alcune funzioni pastorali proprie, che esercita attraverso atti collegiali di governo, ed è la sede adatta per la promozione di molteplici iniziative pastorali comuni per il bene dei fedeli (72).

e) Le Riunioni internazionali di Conferenze Episcopali. Questi organismi sono naturale conseguenza dell’intensificazione dei rapporti umani e istituzionali tra Paesi appartenenti a una stessa area geografica. Sono stati costituiti per garantire un rapporto stabile tra Conferenze Episcopali, che di essi fanno parte attraverso i propri rappresentanti, in modo da facilitare la collaborazione fra Conferenze e il servizio agli episcopati di varie nazioni.

C) I Concili Particolari


24 L’esperienza storica conciliare. “Fin dai primi secoli della Chiesa, i Vescovi che erano a capo di Chiese particolari … organizzarono i Sinodi, i Concili provinciali e, infine, i Concili plenari nei quali i Vescovi stabilirono una norma uguale per varie Chiese, che doveva osservarsi nell’insegnamento delle verità della fede e nell’ordinamento della disciplina ecclesiastica” (73).


25 Natura. I Concili particolari sono assemblee di Vescovi, cui partecipano anche con voto consultivo altri ministri e fedeli laici, che hanno il fine di provvedere, nel proprio territorio, alle necessità pastorali del Popolo di Dio, stabilendo quanto convenga all’incremento della fede (74), al regolamento della comune attività pastorale, dei buoni costumi e alla tutela della disciplina ecclesiastica (75).

I Concili particolari possono essere provinciali, se il loro ambito corrisponde alla Provincia ecclesiastica, o plenari, se si tratta delle Chiese particolari della stessa Conferenza Episcopale. Se si tratta di un Concilio plenario, oppure provinciale, quando la Provincia coincida con i confini di una nazione, è necessaria la previa approvazione della Sede Apostolica per procedere alla sua celebrazione (76). Per poter prendere una decisione al riguardo, la Sede Apostolica deve conoscere con esattezza il motivo che induce alla celebrazione e anche i temi o le materie che saranno sottoposti alla delibera.


26 Membri. Nei Concili particolari, soltanto ai Vescovi spetta prendere le decisioni, poiché ad essi compete il voto deliberativo, ma debbono essere convocati anche i titolari di alcuni uffici ecclesiastici di rilievo e i Superiori maggiori degli Istituti religiosi e delle Società di vita apostolica, affinché collaborino con i Pastori con la loro esperienza e consiglio. Inoltre i Vescovi sono liberi di convocare anche chierici, religiosi e laici, vigilando però perché il loro numero non superi la metà dei membri di diritto (77).

Per la grande importanza che hanno i Concili particolari in merito al regolamento della vita ecclesiastica nella Provincia o Nazione, il Vescovo collabora con il proprio personale contributo alla loro preparazione e celebrazione (78).


27 Potestà legislativa. Per raggiungere tali obiettivi, i Concili particolari hanno potestà di governo,soprattutto legislativa, in base alla quale i Vescovi stabiliscono, per le varie Chiese, medesime norme provvedendo così ad un’attività pastorale più efficace e consona alle esigenze dei tempi. Pertanto, la disciplina canonica lascia ampia libertà ai Vescovi della stessa Provincia o Conferenza per regolare insieme le materie pastorali, sempre nel rispetto delle norme superiori (79). Questa stessa libertà deve indurre i Vescovi a sottoporre al giudizio e alla decisione comuni soltanto quelle questioni che richiedono un medesimo regolamento in tutto il territorio, giacché diversamente verrebbe inutilmente limitata la potestà spettante a ciascun Vescovo nella sua diocesi.

Tutte le decisioni vincolanti del Concilio particolare, sia decreti generali come particolari, debbono essere esaminate ed approvate dalla Sede Apostolica prima di essere promulgate (80).

D) La Conferenza Episcopale


28 Finalità della Conferenza Episcopale. La Conferenza Episcopale, il cui ruolo in questi anni è diventato di grande importanza, contribuisce, in forma molteplice e feconda, all’attuazione e allo sviluppo dell’affetto collegiale tra i membri del medesimo Episcopato. In essa i Vescovi esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i fedeli del loro territorio. Tale azionerisponde alla necessità, particolarmente avvertita oggi, di provvedere al bene comune delle Chiese particolari mediante un lavoro concorde e ben collegato dei suoi Pastori (81). Compito della Conferenza episcopale è di aiutare i Vescovi nel loro ministero, a vantaggio dell’intero Popolo di Dio. La Conferenza svolge un’importante funzione in diversi campi ministeriali mediante:

– l’ordinamento congiunto di alcune materie pastorali, mediante decreti generali che obbligano tanto i pastori come i fedeli del territorio (82);

– la trasmissione della dottrina della Chiesa, in maniera più incisiva e in armonia con la particolare natura e le condizioni di vita dei fedeli di una nazione (83);

– il coordinamento di singoli sforzi mediante iniziative comuni d’importanza nazionale, nell’ambito apostolico e caritativo. Per questo fine, la legge canonica ha concesso determinate competenze alla Conferenza;

– il dialogo unitario con l’autorità politica comune a tutto il territorio;

– la creazione di utili servizi comuni, che molte diocesi non sono in grado di procurarsi.

A ciò va sommata la vasta area del mutuo sostegno nell’esercizio del ministero episcopale, tramite l’informazione reciproca, lo scambio di idee, la concordanza dei punti di vista, ecc.


29 I membri della Conferenza Episcopale. Della Conferenza Episcopale fanno parte, in base allo stesso diritto, tutti i Vescovi diocesani del territorio e quanti siano loro equiparati (84), come anche i Vescovi Coadiutori, gli Ausiliari e gli altri Vescovi titolari che esercitano uno speciale incarico pastorale a beneficio dei fedeli. Sono membri anche quanti sono interinalmente a capo di una circoscrizione ecclesiastica del Paese (85).

I Vescovi cattolici di rito orientale con sede nel territorio della Conferenza Episcopale, possono essere invitati all’Assemblea Plenaria dell’organismo con voto consultivo. Gli Statuti della Conferenza Episcopale possono stabilire che ne siano membri. In tal caso compete loro il voto deliberativo (86).

I Vescovi emeriti non sono membri di diritto della Conferenza, però è auspicabile che siano invitati all’Assemblea Plenaria, alla quale parteciperanno con voto consultivo. È bene inoltre ricorrere a loro per le riunioni o commissioni di studio create per esaminare materie in cui tali Vescovi siano particolarmente competenti. Qualche Vescovo emerito può anche essere chiamato a far parte di Commissioni della Conferenza Episcopale (87).

Il Rappresentante Pontificio pur non essendo membro della Conferenza Episcopale e non avendo diritto di voto, è invitato alla sessione di apertura della Conferenza Episcopale, secondo gli Statuti di ciascuna Assemblea episcopale.

Dalla sua condizione di membro della Conferenza, derivano al Vescovo alcuni naturali doveri:

a) il Vescovo procuri di conoscere bene le norme universali che regolano questa istituzione e anche gli Statuti della propria Conferenza che stabiliscono le norme fondamentali dell’azione congiunta (88). Ispirato da profondo amore alla Chiesa, vigili inoltre perché le attività della Conferenza si svolgano sempre secondo le norme canoniche;

b) partecipi attivamente con diligenza alle assemblee episcopali, senza mai lasciare la comune responsabilità alla sollecitudine degli altri Vescovi; se viene eletto per qualche incarico della Conferenza, non rifiuti se non per un giusto motivo. Studi attentamente i temi proposti alla discussione, se occorre con l’aiuto di esperti, in modo che le sue posizioni siano sempre ben fondate e formulate con coscienza;

c) nelle riunioni, manifesti la sua opinione con fraterna franchezza: senza timore quando è necessario pronunciarsi differentemente dal parere di altri, ma disposto ad ascoltare e comprendere le ragioni contrarie;

d) quando il bene comune dei fedeli richieda una comune linea di azione, il Vescovo sarà pronto a seguire il parere della maggioranza, senza ostinarsi nelle sue posizioni;

e) nei casi in cui in coscienza ritiene di non poter aderire ad una dichiarazione o risoluzione della Conferenza, dovrà soppesare attentamente davanti a Dio tutte le circostanze, considerando anche le pubbliche ripercussioni della sua decisione; se si trattasse di un decreto generale reso obbligatorio dalla “recognitio” della Santa Sede, è a quest’ultima che il Vescovo dovrà chiedere la dispensa per non attenersi a quanto disposto nel decreto;

f) animato da spirito di servizio, segnali agli organi direttivi della Conferenza tutti i problemi da affrontare, le difficoltà da superare, le iniziative che il bene delle anime suggerisca.

La Conferenza può invitare alle proprie riunioni persone che non siano membri, ma soltanto in casi determinati e con il solo voto consultivo (89).


30 Materie affidate concretamente alla Conferenza. È una realtà evidente che oggigiorno vi siano materie pastorali e problemi dell’apostolato che non possono essere debitamente affrontati se non a livello nazionale. Per questo motivo, la legge canonica ha affidato alcune aree alla comune attenzione dei Vescovi, in ciascun caso diversamente. Tra queste, emergono:

– la formazione dei ministri sacri, sia candidati al sacerdozio che al diaconato permanente;
– l’ecumenismo;
– i sussidi della catechesi diocesana;
– l’istruzione cattolica;
– l’istruzione superiore cattolica e la pastorale universitaria;
– i mezzi di comunicazione sociale;
– la tutela dell’integrità della fede e dei costumi del popolo cristiano (90).

In tutti questi settori, è necessario collegare le competenze proprie della Conferenza con la responsabilità di ciascun Vescovo nella sua diocesi. Tale armonia è la naturale conseguenza del rispetto delle norme canoniche che regolano le materie in questione.


31 Le competenze giuridiche e dottrinali della Conferenza Episcopale. Secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, alle Conferenze Episcopali, strumenti di mutuo aiuto tra i Vescovi, nel loro compito pastorale, è attribuita dalla Sede apostolica la potestà per dare norme vincolanti in determinate materie (91) e per adottare altre decisioni particolari, che il Vescovo accoglie fedelmente ed esegue nella diocesi (92).

La potestà normativa della Conferenza è esercitata dai Vescovi riuniti in Assemblea Plenaria, che rende possibile il dialogo collegiale e lo scambio di idee, e richiede il voto favorevole di due terzi dei membri dotati di voto deliberativo. Tali norme debbono essere riesaminate dalla Santa Sede, prima della loro promulgazione, per garantirne la conformità con l’ordinamento canonico universale (93). Nessun altro organismo della Conferenza può arrogarsi le competenze della Assemblea Plenaria (94).

I Vescovi riuniti in Conferenza Episcopale esercitano, secondo le condizioni determinate dal diritto, anche una funzione dottrinale (95), essendo pure congiuntamente dottori autentici e maestri della fede per i loro fedeli. Nell’esercitare tale funzione dottrinale, soprattutto quando devono affrontare nuove questioni ed illuminare nuovi problemi che sorgono dalla società, i Vescovi saranno consapevoli dei limiti dei loro pronunciamenti, in quanto il loro Magistero non è universale pur essendo autentico e ufficiale (96).

I Vescovi terranno ben presente che la dottrina è un bene di tutto il Popolo di Dio e vincolo della sua comunione, e pertanto seguiranno il Magistero universale della Chiesa e si impegneranno per farlo conoscere ai loro fedeli.

Le Dichiarazioni dottrinali della Conferenza Episcopale, per poter costituire Magistero autentico ed essere pubblicate a nome della stessa Conferenza devono essere approvate all’unanimità dai Vescovi membri o con la maggioranza di almeno due terzi dei Vescovi aventi voto deliberativo. In questo secondo caso le dichiarazioni dottrinali per poter essere pubblicate devono ottenere la “recognitio” della Santa Sede. Queste dichiarazioni dottrinali dovranno essere inviate alla Congregazione per i Vescovi o a quella per l’Evangelizzazione dei Popoli, a seconda dell’ambito territoriale delle medesime. Tali Dicasteri procederanno a concedere la “recognitio” dopo aver consultato le altre istanze competenti della Santa Sede (97).

Quando si tratta di approvare le dichiarazioni dottrinali della Conferenza Episcopale, i membri non Vescovi dell’organismo episcopale non hanno diritto di votare in seno all’Assemblea Plenaria (98).

Qualora più Conferenze Episcopali ritenessero necessaria un’azione “in solidum”, esse dovranno richiedere l’autorizzazione alla Santa Sede, che nei singoli casi indicherà le necessarie norme da osservare. Al di fuori di questi casi, i Vescovi diocesani sono liberi di adottare o meno nella propria diocesi e di attribuire natura di obbligo, in nome e con autorità propria, ad un orientamento condiviso dagli altri Pastori del territorio. Non è tuttavia lecito allargare l’ambito della potestà della Conferenza, trasferendo ad essa la giurisdizione e la responsabilità dei suoi membri per le loro diocesi, giacché tale trasferimento è competenza esclusiva del Romano Pontefice (99), che darà per sua iniziativa o su richiesta della Conferenza, un mandato speciale nei casi in cui lo giudichi opportuno (100).


32 Le Commissioni della Conferenza. Dalla Conferenza dipendono organi e commissioni varie, che hanno come compito specifico l’aiuto dei Pastori e la preparazione ed esecuzione delle decisioni della Conferenza.

Le commissioni permanenti o “ad hoc” della Conferenza denominate “episcopali” devono essere formate da membri Vescovi o da coloro che ad essi sono equiparati nel diritto. Se il numero dei Vescovi fosse insufficiente per formare tali Commissioni, si possono costituire altri organismi come Consulte, Consigli presieduti da un Vescovo e formati da presbiteri, consacrati e laici. Tali organismi non si possono chiamare “episcopali” (101).

I membri delle diverse commissioni debbono essere consapevoli che il loro compito non è quello di guidare o coordinare il lavoro della Chiesa nella nazione in un particolare settore pastorale, ma un altro, molto più umile ma ugualmente efficace: aiutare l’Assemblea Plenaria — cioè, la Conferenza stessa — a raggiungere i suoi obiettivi e procurare ai Pastori sussidi adeguati per il loro ministero nella Chiesa particolare.

Questo criterio basilare deve indurre i responsabili delle commissioni ad evitare forme di azione ispirate piuttosto ad un senso di indipendenza o di autonomia, come potrebbe essere la pubblicazione per proprio conto di orientamenti in un determinato settore pastorale o una forma di rapportarsi agli organi e alle commissioni diocesane senza passare dall’obbligato tramite del rispettivo Vescovo diocesano.


Capitolo III

SPIRITUALITÀ E

FORMAZIONE PERMANENTE DEL VESCOVO


“Esercitati nella pietà… sii di esempio ai fedeli nelle parole,

nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza…

Non trascurare il dono spirituale che è in te… Vigila su te stesso

e sul tuo insegnamento e sii perseverante” (1Tm 4,7 1Tm 4,12 1Tm 4,16).

I. Gesù Cristo fonte della Spiritualità del Vescovo


33 Gesù Cristo sorgente della spiritualità del Vescovo. Con la consacrazione episcopale il Vescovo riceve una speciale effusione dello Spirito Santo che lo configura in maniera tutta speciale a Cristo, Capo e Pastore. Lo stesso Signore, “maestro buono” (Mt 19,6), “sommo sacerdote” (He 7,26), “buon pastore che offre la vita per le pecore” (Jn 10,11) ha stampato il suo volto umano e divino, la sua somiglianza, la sua potestà e la sua virtù nel Vescovo (102). Egli è l’unica e permanente sorgente della spiritualità del Vescovo. Pertanto, il Vescovo, santificato nel Sacramento con il dono dello Spirito Santo, è chiamato a rispondere alla grazia ricevuta mediante l’imposizione delle mani santificandosi e uniformando la sua vita personale a Cristo nell’esercizio del ministero apostolico. La conformazione a Cristo permetterà al Vescovo di corrispondere con tutto se stesso allo Spirito Santo per armonizzare in sè gli aspetti di membro della Chiesa ed insieme di capo e pastore del popolo cristiano, di fratello e di padre, di discepolo di Cristo e di maestro della fede, di figlio della Chiesa ed, in un certo senso, di padre della medesima, essendo egli ministro della rigenerazione soprannaturale dei cristiani.

Il Vescovo avrà sempre presente che la sua santità personale non si ferma mai ad un livello solo soggettivo, ma, nella sua efficacia ridonda a beneficio di coloro che sono stati affidati alla sua cura pastorale. Il Vescovo deve essere anima contemplativa, oltre che uomo d’azione, così che il suo apostolato sia un “contemplata aliis tradere. Il Vescovo, ben convinto che a nulla serve il fare se manca l’essere con Cristo, deve essere un innamorato del Signore. Inoltre non dimenticherà che l’esercizio del ministero episcopale per essere credibile necessita di quell’autorità morale e di quell’autorevolezza che gli provengono dalla santità di vita, che sostiene l’esercizio della potestà giuridica (103).


34 Spiritualità tipicamente ecclesiale. La spiritualità del Vescovo, in forza dei sacramenti del Battesimo e della Cresima, che lo uniscono a tutti i fedeli, e della stessa consacrazione sacramentale, è tipicamente ecclesiale e si qualifica essenzialmente come una spiritualità di comunione (104) vissuta con tutti i figli di Dio nell’incorporazione a Cristo e nella sua sequela, secondo le esigenze del Vangelo. La spiritualità del Vescovo ha anche una sua specificità: infatti, in quanto pastore, servitore del Vangelo e sposo della Chiesa, egli deve rivivere, insieme al suo presbiterio, l’amore sponsale di Cristo nei riguardi della Chiesa sposa, nell’intimità della preghiera e nella donazione di sé ai fratelli e alle sorelle, affinché ami la Chiesa con cuore nuovo e mediante il suo amore la mantenga unita nella carità. Per questo, il Vescovo promuoverà instancabilmente con ogni mezzo la santità dei fedeli e si adopererà affinché il Popolo di Dio cresca nella grazia mediante la celebrazione dei sacramenti (105).

In forza della comunione con Cristo Capo, il Vescovo ha lo stretto obbligo di presentarsi come ilperfezionatore dei fedeli, e cioè maestro, promotore ed esempio della perfezione cristiana per i chierici, i consacrati attraverso i consigli evangelici e i laici, ciascuno secondo la sua particolare vocazione. Questa ragione deve portarlo a unirsi a Cristo nel discernere la volontà del Padre, in modo che “il pensiero del Signore” (
1Co 2,16) occupi interamente il suo modo di pensare, di sentire e di comportarsi in mezzo agli uomini. La sua meta deve essere una santità sempre più grande, affinché possa dire con verità: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1Co 11,1).


35 Spiritualità mariana. Dal profilo mariano della Chiesa la spiritualità del Vescovo assume una connotazione mariana. L’icona della Chiesa nascente che vede Maria, unita agli Apostoli e ai discepoli di Gesù, nella preghiera unanime e perseverante, in attesa dello Spirito Santo, esprime ilvincolo indissolubile che lega la Madonna ai Successori degli Apostoli (106). Ella in quanto madre, sia dei fedeli che dei pastori, modello e tipo della Chiesa (107) sostiene il Vescovo nel suo impegno interiore di conformazione a Cristo e nel suo servizio ecclesiale. Alla scuola di Maria il Vescovo apprende la contemplazione del volto di Cristo, trova consolazione nello svolgimento della sua missione ecclesiale e forza per annunciare il Vangelo della salvezza.

L’intercessione materna di Maria accompagna la preghiera fiduciosa del Vescovo per penetrare più profondamente nelle verità della fede e custodirla integra e pura come lo fu nel cuore della Madonna (108), per ravvivare la sua fiduciosa speranza, che già vede realizzata nella “Madre di Gesù glorificata nel corpo e nell’anima” (109) e alimentare la sua carità affinché l’amore materno di Maria animi tutta la missione apostolica del Vescovo.

In Maria, che “brilla innanzi al Popolo di Dio pellegrinante sulla terra” (110), il Vescovo contempla ciò che la Chiesa è nel suo mistero (111), vede già raggiunta la perfezione della santità alla quale egli deve tendere con tutte le sue forze e la addita come modello di intima unione con Dio ai fedeli che gli sono stati affidati.

Maria “donna Eucaristica” (112) insegna al Vescovo ad offrire quotidianamente la sua vita nella Messa. Sull’altare egli farà proprio il fiat con cui la Madonna ha offerto se stessa nel momento gioioso dell’Annunciazione ed in quello doloroso sotto la croce del suo Figlio.

Sarà proprio l’Eucaristia, “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (113), alla quale sono strettamente uniti i Sacramenti (114) a far sì che la devozione mariana del Vescovo sia esemplarmente riferita alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare dell’ascolto e della preghiera, dell’offerta e della maternità spirituale.


36 La preghiera. La fecondità spirituale del ministero del Vescovo dipende dall’intensità della sua vita di unione con il Signore. è dalla preghiera che un Vescovo deve attingere luce, forza e conforto nella sua attività pastorale. La preghiera è per un Vescovo come il bastone al quale appoggiarsi nel suo cammino di ogni giorno. Il Vescovo che prega non si scoraggia davanti alle difficoltà per quanto gravi, perché sente Dio accanto e trova rifugio, serenità e pace fra le sue braccia paterne. Aprendosi poi con fiducia a Dio, si apre con maggiore generosità al prossimo diventando capace di costruire la storia secondo il progetto divino. La consapevolezza di questo dovere comporta che il Vescovo ogni giorno celebri l’Eucaristia e preghi la Liturgia delle Ore, si dedichi all’adorazione della SS. Eucaristia davanti al Tabernacolo e alla recita del Rosario, alla frequente meditazione della Parola di Dio e alla lectio divina (115). Tali mezzi alimentano la sua fede e la vita secondo lo Spirito, necessaria per vivere pienamente la carità pastorale nella quotidianità dello svolgimento del ministero, nella comunione con Dio e nella fedeltà alla sua missione.

II. Le virtù del Vescovo


Direttorio Vescovi 2004 16