Direttorio Vescovi 2004 84

V. Il Seminario


84 Istituzione primaria della diocesi. Fra tutte le istituzioni diocesane il Vescovo consideri come primissima il seminario e ne faccia oggetto delle cure più intense e assidue del suo ufficio pastorale, perché dai Seminari dipendono in gran parte la continuità e la fecondità del ministero sacerdotale della Chiesa (224).


85 Il seminario maggiore. Il Vescovo insista decisamente e con convinzione sulla necessità del seminario maggiore quale strumento privilegiato per la formazione sacerdotale (225) e si adoperi affinché la diocesi abbia un seminario maggiore proprio, come espressione della pastorale vocazionale della Chiesa particolare e nello stesso tempo come comunità ecclesiale peculiare che forma i futuri presbiteri ad immagine di Gesù Cristo, Buon Pastore. L’istituzione del seminario maggiore diocesano è condizionata dalla possibilità della diocesi di offrire una profonda formazione umana, spirituale, culturale e pastorale ai candidati al sacerdozio. A tale scopo il Vescovo cercherà di favorire la formazione dei formatori e dei futuri professori al più alto livello accademico possibile.

Se la diocesi non è in condizioni di avere un seminario proprio, il Vescovo unisca le sue forze con quelle di altre diocesi vicine per dar vita a un seminario interdiocesano, o invii i candidati nel seminario più vicino alla diocesi (226).

La Santa Sede, appurata la reale difficoltà che ogni diocesi abbia il suo seminario maggiore, dà l’approvazione per l’erezione di un seminario interdiocesano. Ne approva pure gli statuti. I Vescovi interessati dovranno concordare le norme del regolamento ed è responsabilità di ciascuno visitare personalmente i propri alunni e interessarsi alla loro formazione per venire a conoscenza, dai superiori, di quanto gli possa essere utile per valutare se sussistano le condizioni per l’ammissione al sacerdozio (227).

La possibilità di ridurre la permanenza prescritta dei seminaristi nel seminario è da considerarsi un’eccezione per singoli casi specifici (228).


86 Il seminario minore o istituzioni analoghe. Oltre al seminario maggiore il Vescovo si preoccuperà, laddove è possibile, di costituire il seminario minore o di sostenerlo dove è già presente (229). Tale seminario dovrà essere inteso come una peculiare comunità di ragazzi dove vengono custoditi e sviluppati i germi della vocazione sacerdotale. Il Vescovo diocesano imposti il seminario minore secondo un tenore di vita conveniente all’età, allo sviluppo degli adolescenti e secondo le norme di una sana psicologia e pedagogia sempre nel rispetto della libertà dei giovani nella scelta di vita. Il Vescovo, inoltre, sia consapevole che questo tipo di comunità necessita della continua circolarità educativa della comunità educante del seminario, dei genitori dei ragazzi e della scuola (230).

Per la sua natura e la sua missione, sarebbe bene che il seminario minore divenisse nella diocesi un valido punto di riferimento della pastorale vocazionale, con opportune esperienze formative per ragazzi che sono alla ricerca del senso della loro vita, della vocazione o che sono già decisi a intraprendere la strada del sacerdozio ministeriale, ma non possono ancora iniziare un vero cammino formativo.

Il Vescovo promuova un’intensa collaborazione tra la comunità educativa del seminario maggiore e quella del seminario minore in modo che non vi sia discontinuità nelle linee di fondo della formazione e quest’ultimo offra un’adeguata e solida base a coloro che dovranno continuare il cammino vocazionale nel seminario maggiore (231).

Sarà necessario che il seminario minore offra agli alunni un corso di studi equivalente a quello previsto dal curriculum statale, possibilmente riconosciuto dallo Stato stesso (232).


87 Le vocazioni adulte. Analogamente alla cura che il Vescovo dovrà avere verso i germi di vocazione degli adolescenti e dei giovani, così dovrà provvedere alla formazione delle vocazioni adulte, disponendo a tal fine adeguati istituti o un programma formativo adeguato all’età e alla condizione di vita del candidato al sacerdozio (233).


88 Il Vescovo primo responsabile della formazione sacerdotale. L’attuale e assai problematica situazione dell’universo giovanile richiede specialmente dal Vescovo che si operi un attento discernimento dei candidati al momento della loro ammissione in seminario. In alcuni casi difficili, nella selezione dei candidati per l’ammissione al seminario, sarà opportuno sottoporre i giovani a test psicologici, ma soltanto “si casus ferat” (234), perché il ricorso a tali mezzi non può essere generalizzato e lo si deve fare con grande prudenza, per non violare il diritto della persona a conservare la propria intimità (235). In questo contesto si deve anche prestare una grande attenzione all’ammissione in seminario di candidati al sacerdozio provenienti da altri seminari o da famiglie religiose. In questi casi, l’obbligo del Vescovo è quello di applicare scrupolosamente le norme previste dalla disciplina della Chiesa circa l’ammissione in seminario degli ex seminaristi e degli ex religiosi e membri delle Società di vita apostolica (236). Come manifestazione della sua primaria responsabilità nella formazione dei candidati al sacerdozio, il Vescovo visiti spesso il seminario, o gli alunni della propria diocesi che risiedono nel seminario interdiocesano o in altro seminario, intrattenendosi cordialmente con loro in modo che essi possano stare con lui. Il Vescovo riterrà tale visita come uno dei momenti importanti della sua missione episcopale, in quanto la sua presenza in seminario aiuta ad inserire questa peculiare comunità nella Chiesa particolare, la sprona a conseguire la finalità pastorale della formazione e a dare il senso di Chiesa ai giovani candidati al sacerdozio (237).

In tale visita il Vescovo cercherà un incontro diretto e informale con gli alunni in modo da conoscerli personalmente, alimentando il senso della familiarità e dell’amicizia con loro per poter valutare le inclinazioni, le attitudini, le doti umane ed intellettuali di ciascuno ed anche gli aspetti della loro personalità che necessitano di una maggior cura educativa. Questo rapporto familiare permetterà al Vescovo di poter valutare meglio l’idoneità dei candidati al sacerdozio e di confrontare il suo giudizio con quello dei superiori del seminario che è alla base della promozione al sacramento dell’ordine. Infatti, sul Vescovo ricade l’ultima responsabilità dell’ammissione dei candidati agli ordini sacri. La loro idoneità gli deve risultare provata con argomenti positivi, per cui, se per precise ragioni dovesse avere dei dubbi, non ammetta all’ordinazione (238).

Il Vescovo si preoccupi di inviare presbiteri intellettualmente dotati a continuare gli studi nelleuniversità ecclesiastiche, per assicurare alla diocesi un clero accademicamente formato, un insegnamento teologico di qualità e disporre inoltre di persone ben preparate all’esercizio dei ministeri che esigono una particolare competenza. Per ottenere maggior frutto dalla loro esperienza di studi, può risultare in genere spesso conveniente che questi sacerdoti facciano prima un periodo di esercizio del ministero (239).


89 Il Vescovo e la comunità educativa del seminario. Il Vescovo scelga con particolare cura il Rettore, il Direttore Spirituale, i Superiori e i Confessori del seminario, i quali debbono essere i migliori tra i sacerdoti della diocesi, eccellere in devozione e sana dottrina, conveniente esperienza pastorale, zelo per le anime e speciale attitudine formativa e pedagogica; e se non ne dispone, li richiede ad altre diocesi meglio provviste. è opportuno che i formatori godano di una qualche stabilità ed abbiano residenza abituale nella comunità del seminario. Al Vescovo spetta anche un’attenzione e una sollecitudine del tutto particolari per la loro preparazione speciale, che sia veramente tecnica, pedagogica, spirituale, umana e teologica (240).

Mentre avanza il percorso formativo, il Vescovo solleciti i superiori del seminario a fornire informazioni precise circa la situazione e il profitto degli alunni. Con prudente anticipo, si assicuri mediante scrutini che ciascuno dei candidati sia idoneo per i sacri ordini e pienamente deciso a vivere le esigenze del sacerdozio cattolico. Non agisca mai con precipitazione in una materia così delicata e, nei casi di dubbio, piuttosto differisca la sua approvazione, finché non si sia dissipata ogni ombra di mancanza di idoneità. Qualora il candidato non venga ritenuto idoneo a ricevere i sacri ordini, gli si comunichi per tempo la valutazione di non idoneità (241).

Sono parimenti responsabili della formazione integrale al sacerdozio tutti i professori del seminario, anche chi si occupa di materie non strettamente teologiche, e per tale incarico debbono essere nominati soltanto coloro che si distinguano per una sicura dottrina e abbiano sufficiente preparazione accademica e capacità pedagogica. Il Vescovo vigili attentamente affinché compiano con diligenza il loro compito e se qualcuno si discosta dalla dottrina della Chiesa o dà cattivo esempio agli alunni, lo allontani con decisione dal seminario (242).

In casi particolari, e secondo la natura della disciplina scientifica, l’incarico di professore del seminario può essere affidato anche a laici che siano competenti e diano esempio di autentica vita cristiana (243).

Con i responsabili del seminario, il Vescovo mantenga frequenti contatti personali, in segno di fiducia, per animarli nel loro operato e far sì che tra loro regni uno spirito di piena armonia, di comunione e di collaborazione.


90 La formazione dei seminaristi. è competenza del Vescovo approvare il Progetto Formativodel seminario e il Regolamento.

Tale progetto dovrà essere articolato secondo i principi stabiliti dalla Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis data dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, dagli altri documenti della Santa Sede e dalla Ratio Institutionis Sacerdotalis data dalla Conferenza Episcopale, nonché dalle necessità concrete della Chiesa particolare (244).

L’obiettivo fondamentale del progetto formativo avrà come nucleo centrale la configurazione dei seminaristi a Cristo capo e pastore, nell’esercizio della carità pastorale. Tale obiettivo sarà raggiunto mediante:

a) la formazione umana attraverso l’educazione a quelle virtù, che consentano ai seminaristi di sviluppare una personalità armonica e di accrescere la propria efficacia apostolica;

b) la formazione spirituale, che disponga gli alunni a conseguire la santità cristiana attraverso il ministero sacerdotale, esercitato con fede viva e amore per le anime (245);

c) la formazione dottrinale, in modo che gli alunni raggiungano una conoscenza integrale della dottrina cristiana che sostenga la loro vita spirituale e li aiuti nel ministero dell’insegnamento (246). A tal fine, il Vescovo dovrà vigilare sulla retta dottrina dei professori, così come dei manuali e degli altri libri utilizzati nel seminario;

d) la formazione pastorale, con la quale si cerchi di inserire i seminaristi nelle diverse attività apostoliche della diocesi e nell’esperienza pastorale diretta, tramite modalità concrete determinate dal Vescovo. Questa formazione abbia una naturale continuità specialmente durante i primi anni dell’esercizio del ministero presbiterale, in conformità con quanto disponga il piano di formazione sacerdotale nazionale (247);

e) la formazione missionaria, che è esigita dalla natura universalistica del ministero sacro (248), fa sì che i seminaristi sentano sollecitudine non solo per la propria Chiesa particolare, ma anche per la Chiesa universale e siano pronti a offrire la propria opera a quelle Chiese particolari che si trovano in gravi necessità. Quelli tra i seminaristi che mostrassero il desiderio di esercitare il loro ministero in altre Chiese siano incoraggiati e ricevano una formazione speciale (249).


91 La pastorale vocazionale e l’opera diocesana per le vocazioni. La pastorale vocazionale, strettamente connessa alla pastorale dei giovani, trova il suo nucleo ed organo specifico nell’opera diocesana per le vocazioni. Converrà perciò costituire nella diocesi, sotto la guida di un sacerdote, un servizio comune per tutte le vocazioni, per coordinare le diverse iniziative, sempre nel rispetto dell’autonomia propria di ogni istituzione ecclesiale (250). Se può risultare utile, il Vescovo crei “piani operativi” diocesani a breve e lungo termine.

In particolare, è dovere prioritario dei Vescovi provvedere alla sufficienza numerica dei sacri ministri, sostenendo le opere già esistenti a tale scopo e promuovendo altre iniziative (251). Il Vescovo abbia a cuore di istruire tutti i fedeli circa l’importanza del sacro ministero insegnando loro la responsabilità di suscitare vocazioni per il servizio dei fratelli e l’edificazione del Popolo di Dio. Ciò è stato sempre un compito necessario, ma oggi è divenuto un dovere più grave e più urgente.

Il Vescovo non tralasci di fomentare nei sacerdoti l’impegno per dare continuità alla loro missione divina, come naturale conseguenza dello spirito apostolico e dell’amore alla Chiesa. Soprattutto iparroci hanno un ruolo del tutto speciale nella promozione delle vocazioni al ministero sacro, per cui dovranno premurosamente seguire i bambini e i ragazzi che dimostrino una particolare attitudine al servizio dell’altare, dando loro una guida spirituale conforme all’età, e frequentando anche i genitori (252).

VI. I Diaconi permanenti


92 Il ministero diaconale. Il Concilio Vaticano II, secondo la venerabile tradizione ecclesiale, ha definito il diaconato un “ministero della liturgia, della parola e della carità” (253). Il diacono, pertanto, partecipa secondo un modo proprio delle tre funzioni di insegnare, santificare e governare, che corrispondono ai membri della Gerarchia. Egli proclama e illustra la Parola di Dio; amministra il Battesimo, la Comunione e i Sacramentali; anima la comunità cristiana, principalmente in ciò che si riferisce all’esercizio della carità e all’amministrazione dei beni.

Il ministero di questi chierici, nei suoi differenti aspetti, è penetrato dal senso di servizio che dà nome all’ordine “diaconale”. Come nel caso di qualunque altro ministro sacro, il servizio diaconale si rivolge in primo luogo a Dio, e, in nome di Dio, ai fratelli; ma la diaconia è anche servizio all’episcopato e al presbiterato, ai quali l’ordine diaconale è legato da vincoli di obbedienza e di comunione, secondo le modalità stabilite dalla disciplina canonica. In questo modo, tutto il ministero diaconale costituisce un’unità al servizio del piano divino di redenzione, i cui distinti ambiti sono saldamente connessi tra loro: il ministero della parola conduce al ministero dell’altare, che a sua volta comporta l’esercizio della carità.

Pertanto, il Vescovo deve adoperarsi affinché tutti i fedeli, e in particolare i presbiteri, apprezzino e stimino il ministero dei diaconi, per il servizio che esercitano (liturgico, catechetico, socio-caritativo, pastorale, amministrativo, ecc.), per l’edificazione della Chiesa e perché essi suppliscono all’eventuale scarsità di sacerdoti.


93 Funzioni e incarichi affidati al diacono permanente. È molto importante disporre le cose in modo che i diaconi possano, nella misura delle proprie possibilità, svolgere in pienezza il loro ministero: predicazione, liturgia, carità (254).

I diaconi debbono comprendere che i loro differenti incarichi non sono un insieme di attività diverse, bensì sono strettamente legate grazie al sacramento ricevuto, e che tali compiti, benché alcuni di essi possano essere espletati anche da laici, sono sempre diaconali, perché è un diacono a realizzarli, in nome della Chiesa, sostenuto dalla grazia del sacramento (255).

Per questo motivo, qualunque incarico di supplenza della presenza del presbitero deve essere affidato preferibilmente a un diacono piuttosto che a un laico, soprattutto ove si tratti di collaborare stabilmente alla guida di una comunità cristiana carente di presbitero o di assistere, in nome del Vescovo o del parroco, a gruppi dispersi di cristiani (256). Ma allo stesso tempo, occorre fare in modo che i diaconi esercitino le attività proprie, senza essere relegati alla sola funzione di supplenza dei presbiteri.


94 Rapporti dei diaconi tra loro. Come i Vescovi e i presbiteri, i diaconi costituiscono un ordine di fedeli uniti da vincoli di solidarietà nell’esercizio di un’attività comune. Per questo, il Vescovo deve favorire le relazioni umane e spirituali dei diaconi, che li portino a gustare una speciale fraternità sacramentale. Ciò potrà realizzarsi utilizzando i mezzi di formazione diaconale permanente e anche tramite riunioni periodiche, convocate dal Vescovo per valutare l’esercizio del ministero, scambiarsi esperienze e avere un sostegno per perseverare nella chiamata ricevuta.

I diaconi, come gli altri fedeli e gli altri chierici, hanno il diritto di associarsi con altri fedeli e con altri chierici per accrescere la propria vita spirituale ed esercitare opere di carità o di apostolato conformi allo stato clericale e non contrarie all’adempimento dei loro propri doveri (257).Tuttavia, tale diritto associativo non sfocia in un corporativismo per la tutela dei comuni interessi, il che sarebbe un’imitazione impropria dei modelli civili, inconciliabile con i vincoli sacramentali che legano i diaconi tra loro, con il Vescovo e con gli altri membri dell’Ordine sacro (258).


95 I diaconi che esercitano una professione o un’occupazione secolare. Il ministero diaconale è compatibile con l’esercizio di una professione o di un incarico civile. Secondo le circostanze di luogo ed il ministero affidato al singolo diacono, è auspicabile che egli abbia un proprio lavoro ed una propria professione, così da poter avere il necessario per vivere (259). Tuttavia, l’esercizio di compiti secolari non trasforma il diacono in laico.

Quei diaconi che esercitano una professione debbono saper dare a tutti un esempio di onestà e di spirito di servizio e prendere avvio dai rapporti professionali e umani per avvicinare le persone a Dio e alla Chiesa. Dovranno impegnarsi per conformare il loro operato alle norme della morale individuale e sociale, per cui non tralasceranno di consultare il proprio Pastore quando l’esercizio della professione diventi più un ostacolo che un mezzo di santificazione (260).

I diaconi possono esercitare qualunque professione o attività onesta, purché non ne siano impediti, per principio, dai divieti che la disciplina canonica stabilisce per gli altri chierici (261). Ciononostante, sarebbe opportuno fare in modo che i diaconi svolgano quelle attività professionali più strettamente vincolate alla trasmissione della verità evangelica e al servizio dei fratelli: come l’insegnamento — principalmente della religione —, i diversi servizi sociali, i mezzi di comunicazione sociale, alcuni settori di ricerca e di applicazione della medicina, ecc.


96 I diaconi coniugati. Il diacono sposato dà testimonianza di fedeltà alla Chiesa e della sua vocazione di servizio anche mediante la vita familiare. Ne consegue che si rivela necessario ilconsenso della moglie per l’ordinazione del marito (262) e che occorre riservare una particolare attenzione pastorale alla famiglia del diacono, in maniera che possa vivere con gioia l’impegno del marito e del padre e sostenerlo nel suo ministero. Tuttavia, non vanno affidate alla consorte o ai figli del diacono funzioni e attività proprie del ministero, perché la condizione diaconale è propria ed esclusiva della persona: ciò naturalmente non impedisce ai familiari di prestare aiuto al diacono nello svolgimento dei suoi compiti.

Del resto, l’esperienza di vita familiare conferisce ai diaconi sposati una speciale idoneità per lapastorale familiare, diocesana e parrocchiale, per la quale occorre siano convenientemente preparati.


97 La formazione dei diaconi permanenti. La formazione dei diaconi, tanto iniziale quanto permanente, ha una considerevole importanza per la loro vita e il loro ministero. Per determinare quanto riguarda la formazione degli aspiranti al diaconato permanente occorre osservare le norme emanate dalla Santa Sede e dalla Conferenza Episcopale. è bene che i Diaconi permanenti non siano troppo giovani ma abbiano maturità anche umana, oltre che spirituale, e che siano formati in un’apposita comunità per tre anni, a meno che in qualche singolo caso gravi motivazioni non consiglino diversamente (263).

Tale formazione comprende i medesimi ambiti di quella dei presbiteri, con alcune peculiarità:

– la formazione spirituale del diacono (264) tende a favorire la santità cristiana di questi ministri, e deve essere realizzata ponendo in particolare risalto quanto distingue il suo ministero, cioè lo spirito di servizio. Evitando, perciò, ogni sospetto di mentalità “burocratica” o una frattura tra la vocazione e l’operato, è necessario inculcare al diacono l’anelito di conformare la sua intera esistenza a Cristo, che tutti ama e serve;

– l’esercizio del ministero, in particolare per ciò che riguarda la predicazione e l’insegnamento della Parola di Dio, suppone una continua formazione dottrinale, impartita con la dovuta competenza;

– occorre prestare speciale attenzione al sostegno personalizzato di ogni diacono, cosicché sia in grado di affrontare le sue peculiari condizioni di vita: i suoi rapporti con gli altri membri del Popolo di Dio, il suo lavoro professionale, i suoi legami familiari, ecc.

VII. La Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica


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La vita consacrata e le Società di vita apostolica nella comunità diocesana.

Il Vescovo, come padre e pastore della Chiesa particolare in tutte le sue componenti, accoglie le varie espressioni della vita consacrata come una grazia. Sarà pertanto suo impegno sostenere le persone consacrate, in modo che queste, rimanendo fedeli all’ispirazione fondazionale, si aprano ad una sempre più fruttuosa collaborazione spirituale e pastorale corrispondente alle esigenze della diocesi (265). In questo modo gli istituti di vita consacrata, le società di vita apostolica, nonché gli Eremiti e le Vergini consacrate fanno parte a pieno titolo della famiglia diocesana perché hanno in essa la loro residenza e, con la testimonianza esemplare della propria vita e del proprio lavoro apostolico, le prestano un beneficio inestimabile. I sacerdoti debbono essere considerati parte del presbiterio della diocesi, con il cui Pastore collaborano nella cura delle anime (266).

Il Vescovo diocesano consideri lo stato consacrato come un dono divino che, “sebbene non appartenga alla struttura gerarchica della Chiesa, tuttavia appartiene, in maniera indiscutibile, alla sua vita e santità” (267), ed apprezzi la specificità del suo modo di essere nella Chiesa e la grande energia missionaria ed evangelizzatrice derivante dall’essere consacrato che esso procura alla diocesi. Per queste ragioni, il Vescovo lo accoglie con profondo sentimento di gratitudine, lo sostiene, ne valorizza i carismi mettendoli a servizio della Chiesa particolare (268).

(265) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 49; Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, .
(266) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Dabo Vobis, PDV 31.
(267) Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, LG 44; Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 207 § 2 e 574 § 1; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 29.
(268) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 48.


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Adeguato inserimento nella vita diocesana.

Come naturale conseguenza dei vincoli che legano i fedeli consacrati agli altri figli della Chiesa, il Vescovo si impegni affinché:

a) i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica si sentano parte vivadella comunità diocesana, disposti a prestare ai Pastori la maggior collaborazione possibile (269). A tal fine, cerchi di conoscere bene il carisma di ciascun Istituto e Società descritto nelle loro Costituzioni, incontri personalmente i Superiori e le comunità verificando il loro stato, le loro preoccupazioni e le loro speranze apostoliche;

b) il Vescovo faccia in modo che la vita consacrata sia conosciuta ed apprezzata dai fedeli e, in particolare, provveda perché clero e seminaristi, tramite i rispettivi mezzi di formazione, siano istruiti sulla teologia e sulla spiritualità della vita consacrata (270), e giungano ad apprezzare sinceramente le persone consacrate, non soltanto per la collaborazione che esse possono offrire alla pastorale diocesana, ma soprattutto per la forza della loro testimonianza di vita consacrata e per la ricchezza introdotta nella Chiesa, universale e particolare, dalla loro vocazione e dal loro stile di vita;

c) i rapporti tra il clero diocesano e i chierici degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica siano improntati ad uno spirito di fraterna collaborazione (271). Il Vescovo promuova la partecipazione dei presbiteri religiosi alle riunioni dei chierici della diocesi, per esempio quelle che si tengono a livello vicariale, perché possano così conoscersi, accrescere la reciproca stima e dare ai fedeli esempio di unità e di carità. Procuri anche, se per loro risulta opportuno, che partecipino ai mezzi di formazione del clero della diocesi;

d) gli organismi consultivi diocesani riflettano adeguatamente la presenza della vita consacrata nella diocesi, nella varietà dei suoi carismi (272), stabilendo norme opportune al riguardo: disponendo, per esempio, che i membri degli Istituti partecipino secondo l’attività apostolica espletata da ciascuno, assicurando al tempo stesso una presenza dei diversi carismi. Nel caso del Consiglio Presbiterale, va consentito ai sacerdoti elettori (religiosi e secolari) di scegliere liberamente membri di Istituti che li rappresentino.

(269) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, CD 35; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis, .
(270) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 50.
(271) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, 35; Codex Iuris Canonici, can. CIC 679.
(272) Cf. Sinodo dei Vescovi, Ultimis temporibus, Pars altera, II, 2.


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La potestà del Vescovo in relazione alla vita consacrata.

Le persone consacrate, insieme agli altri membri del Popolo di Dio, sono soggette all’autorità pastorale del Vescovo in quanto maestro della fede e responsabile dell’osservanza della disciplina ecclesiastica universale, custode della vita liturgica e moderatore di tutto il ministero della parola (273).

Il Vescovo, mentre tutela con grande zelo — anche di fronte agli stessi consacrati — la disciplina comune (274), rispetti e faccia rispettare la giusta autonomia degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica (275), senza interferire nella loro vita e nel loro governo e senza farsi autorevole interprete del loro carisma di fondazione. In tutti i consacrati rafforzi lo spirito di santità, ravvivando in essi l’obbligo che hanno, anche se immersi nell’apostolato esterno, di essere impregnati dello spirito del proprio carisma e rimanere fedeli all’osservanza della loro regola e alla sottomissione ai superiori (276), giacché il loro contributo specifico all’evangelizzazione consiste principalmente “nella testimonianza di una vita completamente dedicata a Dio e ai fratelli” (277). è suo dovere perciò, richiamare l’attenzione dei Superiori quando osservi abusi nelle opere dirette dagli Istituti o nel tenore personale di vita di qualche consacrato (278).

Il Vescovo rammenterà alle persone consacrate il dovere e la grazia gioiosa che compete loro, come esigenza della propria vocazione, di dare esempio di adesione al Magistero pontificio ed episcopale. Quale maestro della verità cattolica nella sua diocesi, si preoccupi in particolare:

a) di esigere con umile fermezza i propri diritti nel campo delle pubblicazioni, mediante opportuni contatti con i Superiori (279), in modo da assicurare l’armonia con il Magistero ecclesiale;

b) di assicurare che le scuole dirette dai diversi Istituti impartiscano una formazione pienamente concorde con la loro identità cattolica, visitandole di tanto in tanto personalmente o tramite un suo rappresentante (280).

Il Vescovo, secondo la norma del diritto, riconosca l’esenzione degli Istituti, per la quale “il Romano Pontefice, in virtù del suo primato sulla Chiesa universale, può esentare gli Istituti di vita consacrata dal regime degli Ordinari del luogo e sottoporli esclusivamente a se stesso o ad altra autorità ecclesiastica” (281). Tale esenzione, tuttavia non annulla la sottomissione di tutti i consacrati alla potestà del Vescovo (oltre che ai propri Superiori) per quanto concerne la cura d’anime, l’esercizio pubblico del culto divino e le opere di apostolato (282). In tali aspetti è necessario che i consacrati, sempre osservando il proprio carisma, diano esempio di comunione e di sintonia con il Vescovo, in ragione della sua autorità pastorale e della necessaria unità e concordia nel lavoro apostolico (283).

(273) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 392 CIC 756 § 2; CIC 772 § 1 e CIC 835.
(274) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis, .
(275) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 586 CIC 732; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 48.
(276) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, CD 35; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 35-37.
(277) Codex Iuris Canonici, can. CIC 679; Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 76.
(278) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 76.
(279) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 823 CIC 824 CIC 826 CIC 827; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione circa alcuni aspetti degli strumenti delle comunicazioni sociali nella promozione della dottrina della fede, 8 § 2; 16 § 6; 17 § 4; 18; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 46; Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, Istruzione Ripartire da Cristo, 32.
(280) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 806 § 1.
(281) Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, LG 45; Cf. Decreto Christus Dominus, CD 35; Codex Iuris Canonici, cann. CIC 591 CIC 732.
(282) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, CD 35; Codex Iuris Canonici, cann. CIC 678 CIC 738 § 2.
(283) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, LG 54; Decreto Christus Dominus, CD 35; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 49.

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Diverse forme di cooperazione apostolica e pastorale dei consacrati con la diocesi.

Per comprendere adeguatamente il regime di ciascuna opera apostolica servita dagli Istituti o dai suoi membri, è necessario distinguere:

a) Le opere proprie, che gli Istituti costituiscono secondo il proprio carisma e che sono dirette dai rispettivi Superiori. Occorre inserire queste opere nel quadro generale della pastorale diocesana, per cui la loro creazione non deve essere decisa autonomamente, ma sulla base di un accordo tra Vescovo e Superiori, tra i quali deve sussistere un dialogo costante nella direzione di tali opere, senza detrimento dei diritti conferiti a ciascuno dalla disciplina canonica (284).

Gli Istituti religiosi e le Società di vita apostolica necessitano del consenso scritto del Vescovo diocesano nei seguenti casi: per l’erezione di una casa nella diocesi, per destinare una casa a opere apostoliche diverse da quelle per le quali fu costituita, per costruire e aprire una chiesa pubblica e per stabilire scuole secondo il proprio carisma (285). Il Vescovo deve essere consultato anche per la chiusura, da parte del Moderatore supremo, di una casa religiosa aperta legittimamente (286).

b) Le opere diocesane e le parrocchie affidate ad Istituti religiosi o Società di vita apostolica, restano sotto l’autorità e la direzione del Vescovo, mantenendo comunque la fedeltà del responsabile consacrato alla disciplina del proprio Istituto e la sottomissione ai propri Superiori. Il Vescovo stipulerà un accordo con l’Istituto o la Società, per determinare chiaramente quanto si riferisce al lavoro che va realizzato, alle persone che vi si dedicheranno e all’aspetto economico (287).

c) Inoltre, per affidare un ufficio diocesano ad un religioso, secondo la norma canonica (288), debbono intervenire sia il Vescovo che i Superiori religiosi. Il Vescovo eviti di chiedere collaborazioni che risultino difficilmente compatibili con le esigenze della vita religiosa (per esempio, se possono costituire un ostacolo per la vita comune) e ricordi a tali persone che, qualunque sia l’attività da essi svolta, il loro primo apostolato consiste nella testimonianza della propria vita consacrata (289).

La collaborazione tra la diocesi e gli Istituti o i loro membri può interrompersi per iniziativa di una delle parti interessate, tenendo presenti i diritti e gli obblighi stabiliti dalle norme o dalle convenzioni (290). Ma in tal caso occorre assicurare l’opportuna informazione della controparte (Vescovo o Istituto), evitando di metterla davanti al fatto compiuto. In questo modo si potranno prendere i necessari provvedimenti per il bene dei fedeli, come per esempio, sollecitare un’altra istituzione o persona a farsi carico dell’opera o dell’incarico, e studiare anche con la dovuta attenzione gli aspetti umani ed economici che l’abbandono di un’opera può comportare.

(284) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, CD 35; Codex Iuris Canonici, cann. CIC 678 CIC 738 § 2.
(285) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 609 CIC 612 CIC 801 CIC 1215 § 3. Circa le case delle Società di vita apostolica, cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 733 § 1.
(286) Cf. Codex Iuris Canonici, can. CIC 616 § 1.
(287) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 521 CIC 681.
(288 Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 682 CIC 738 § 2.
(289) Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto Christus Dominus, CD 35; Codex Iuris Canonici, can. CIC 673; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata, VC 32-49.
(290) Cf. Codex Iuris Canonici, cann. CIC 681 § 1; CIC 682 § 2; CIC 616 CIC 733; Pontificia Commissione per l’Interpretazione dei Decreti del Concilio Vaticano II, Responsum del 25.VI.1979, I.



Direttorio Vescovi 2004 84