Direttorio Vescovi 2004 166

III. Gli Organismi di partecipazione alla funzione pastorale del Vescovo


166 La partecipazione dei fedeli ai Consigli diocesani. In forza del Battesimo tra i fedeli vige una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, per cui tutti sono chiamati a cooperare all’edificazione del Corpo di Cristo, quindi ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo, secondo la condizione ed i compiti di ciascuno (489). L’organicità della comunione ecclesiale e la spiritualità di comunione impegneranno il Vescovo a valorizzare gli organismi di partecipazione previsti dal Diritto Canonico (490). Tali organismi imprimono uno stile comunionale al governo pastorale del Vescovo, in quanto si realizza una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a disporre e provvedere con responsabilità personale per il bene della diocesi e la collaborazione di tutti i fedeli (491). Il Vescovo ricorderà chiaramente che gli organismi di partecipazione non si ispirano ai criteri della democrazia parlamentare, perché sono di natura consultiva e non deliberativa (492). Il reciproco ascolto tra il Pastore ed i fedeli, li unirà “a priori in tutto ciò che è essenziale, e a convergere normalmente anche nell’opinabile verso scelte ponderate e condivise”(493).

Il Vescovo nel promuovere la partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa, ricorderà i suoi diritti e doveri personali di governo che lo impegnano, oltre che a testimoniare, nutrire e curare la fede, anche a valutarla, a tutelarla e proporla nella forma retta (494).

Il coordinamento e la partecipazione di tutte le forze diocesane richiedono momenti di riflessione e di confronto collegiale. Il Vescovo dovrà impegnarsi perché queste riunioni siano sempre ben preparate, contenute nella durata, abbiano un obiettivo concreto, siano sempre propositive, e sia sempre osservato da tutti un rapporto mutuo di spirito cristiano, che lasci nei presenti un sincero desiderio di collaborare con gli altri.

a) Il Sinodo diocesano


167 Atto di governo ed evento di comunione. Secondo una norma di attività pastorale trasmessa attraverso i secoli e poi codificata dal Concilio di Trento, ripresa dal Concilio Vaticano II e prevista dal Codice di Diritto Canonico, al vertice delle strutture di partecipazione della diocesi, nel governo pastorale del Vescovo il Sinodo diocesano (495) occupa un posto di primario rilievo. Esso si configura come un atto del governo episcopale e come evento di comunione che esprime l’indole della comunione gerarchica che appartiene alla natura della Chiesa (496).


168 Natura del Sinodo. Il Sinodo diocesano è una riunione o assemblea consultiva, convocata e diretta dal Vescovo, alla quale sono chiamati, secondo le prescrizioni canoniche, sacerdoti e altri fedeli della Chiesa particolare, per aiutarlo nella sua funzione di guida della comunità diocesana. Nel Sinodo e attraverso di esso, il Vescovo esercita in forma solenne l’ufficio e il ministero di pascere il suo gregge.


169 Applicazione ed adattamento della disciplina universale. Nella sua duplice dimensione di “atto di governo episcopale ed evento di comunione” (497), il Sinodo è mezzo idoneo per applicare e adattare le leggi e le norme della Chiesa universale alla situazione particolare della diocesi, indicando i metodi che occorra adottare nel lavoro apostolico diocesano, superando le difficoltà inerenti all’apostolato e al governo, animando opere e iniziative di carattere generale, proponendo la retta dottrina e correggendo, se esistessero, gli errori sulla fede e la morale.


170 Composizione a immagine della Chiesa particolare. Sempre nel rispetto delle prescrizioni canoniche (498), è necessario fare in modo che la composizione dei membri del Sinodo rifletta la diversità di vocazioni, di impegni apostolici, di origine sociale e geografica che caratterizza la diocesi, procurando però di affidare ai chierici un ruolo prevalente, secondo la loro funzione nella comunione ecclesiale. Il contributo dei sinodali sarà tanto più valido quanto più emergano per rettitudine di vita, prudenza pastorale, zelo apostolico, competenza e prestigio.


171 Presenza degli osservatori delle altre Chiese o comunità cristiane. Per introdurre la preoccupazione ecumenica nella pastorale diocesana, il Vescovo, se lo ritiene opportuno, può invitare come osservatori alcuni ministri o membri di Chiese o Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. La presenza degli osservatori contribuirà a far crescere la reciproca conoscenza, la carità vicendevole e, possibilmente, la fraterna collaborazione. Per la loro individuazione, di solito, converrà procedere d’intesa con i capi di tali Chiese o Comunità che segnaleranno la persona più idonea a rappresentarle (499).


172 Diritti e doveri del Vescovo nel Sinodo. Spetta al Vescovo convocare il Sinodo diocesano, quando, dopo aver sentito il Consiglio Presbiterale, a suo giudizio, le circostanze della diocesi lo suggeriscano (500). Spetta a lui decidere la maggiore o minore periodicità di convocazione del Sinodo. Il criterio che deve guidare il Vescovo in tale decisione sono le necessità della diocesi e del governo diocesano. Il Vescovo, tra i motivi, terrà conto anche della necessità di promuovere una pastorale d’insieme, la necessità di applicare norme o orientamenti superiori in ambito diocesano, particolari problemi della diocesi che necessitano di una soluzione condivisa, la necessità di una maggiore comunione ecclesiale. Nel valutare l’opportunità della convocazione sinodale, il Vescovo terrà conto dei risultati della visita pastorale che, più delle indagini sociologiche o inchieste, gli consente di conoscere i bisogni spirituali della diocesi. Spetta, inoltre, al Vescovo anche individuare l’argomento del Sinodo ed emanare il Decreto di convocazione, che annunzierà in occasione di una festa liturgica di particolare solennità. Chi guida la diocesi interinalmente (501) non ha la facoltà di indire il Sinodo diocesano. Se il Vescovo ha la cura pastorale di più diocesi, come Vescovo proprio o come Amministratore, può convocare un solo Sinodo diocesano per tutte le diocesi affidategli (502). Il Vescovo fin dall’inizio del cammino sinodale dovrà chiarire che i sinodali sono chiamati a prestare aiuto al Vescovo diocesano con il loro parere e con il voto consultivo. La forma consultiva del voto stà ad indicare che il Vescovo, pur riconoscendone l’importanza, è libero di accogliere o meno le opinioni dei sinodali. D’altra parte, egli non si discosterà da opinioni o voti espressi in larga maggioranza, se non per gravi motivi di carattere dottrinale, disciplinare o liturgico. Il Vescovo chiarisca subito, qualora ve ne fosse bisogno, che non si può mai contrapporre il Sinodo al Vescovo in forza di una pretesa rappresentanza del Popolo di Dio. Una volta convocato il Sinodo, il Vescovo, pur potendo delegare il Vicario Generale o quello episcopale a presiedere singole sessioni (503), lo diriga personalmente. In esso come maestro della Chiesa insegna, corregge, discerne in modo che tutti aderiscano alla dottrina della Chiesa.

È dovere del Vescovo sospendere e sciogliere il Sinodo diocesano, qualora gravi motivi dottrinali, disciplinari o di ordine sociale, a suo giudizio, perturbino il pacifico svolgimento del lavoro sinodale (504). Prima di emettere il Decreto di sospensione o di scioglimento, è opportuno che il Vescovo senta il parere del Consiglio Presbiterale, pur rimanendo libero di prendere la decisione che egli riterrà giusta (505). Il Vescovo farà in modo che i testi sinodali siano redatti con formule precise, evitando di restare nel generico o in mere esortazioni. Le dichiarazioni e i decreti sinodali dovranno essere sottoscritti soltanto dal Vescovo. Le espressioni usate nei documenti devono mostrare chiaramente che nel Sinodo diocesano l’unico legislatore è il Vescovo diocesano. Il
Vescovo tenga presente che un decreto sinodale contrario al diritto superiore è giuridicamente invalido.


173 Preparazione del Sinodo. Il Vescovo deve sentirsi profondamente impegnato nella preparazione, programmazione e celebrazione del Sinodo, con forme rinnovate e adattate alle attuali necessità della Chiesa. A questo scopo il Vescovo si atterrà all’Istruzione sui Sinodi diocesani emanata dalle Congregazioni per i Vescovi e per l’Evangelizzazione dei Popoli (506). Affinché si svolga bene e risulti veramente fecondo per la crescita della comunità diocesana, il Sinodo deve essere adeguatamente preparato. Per tale finalità, il Vescovo costituisca unacommissione preparatoria come organismo che, durante la fase di preparazione lo assista ed esegua quanto viene disposto. In questo modo si proceda all’elaborazione del regolamento del Sinodo.


174 Suggerimenti, preghiera ed informazioni nella preparazione del Sinodo diocesano. Il Vescovo inviti i fedeli a formulare liberamente suggerimenti al Sinodo e, in particolare, solleciti i sacerdotiperché trasmettano proposte relative al governo pastorale della diocesi. Sulla base di questi apporti e con l’aiuto di gruppi di esperti o di membri del Sinodo già eletti, il Vescovo fissi le diverse questioni da proporre alla discussione e deliberazione sinodale. Fin dall’inizio dei lavori preparatori, il Vescovo si preoccupi perché tutta la diocesi sia informata sull’evento e non tralasci di chiedere abbondanti preghiere per il suo felice esito. Può anche disporre una capillarecatechesi, offrendo adeguati sussidi per la predicazione sulla natura della Chiesa, sulla dignità della vocazione cristiana e sulla partecipazione di tutti i fedeli alla sua missione soprannaturale, alla luce degli insegnamenti conciliari.


175 Celebrazione del Sinodo. Il carattere ecclesiale dell’assemblea sinodale si manifesta in primo luogo nelle celebrazioni liturgiche, che ne costituiscono il nucleo più visibile (507). È opportuno che tanto le solenni liturgie eucaristiche di apertura e di conclusione del Sinodo, come le celebrazioni quotidiane, siano aperte a tutti i fedeli.

Gli studi e i dibattiti sulle questioni o gli schemi proposti sono riservati ai membri dell’assemblea sinodale, sempre alla presenza e sotto la direzione del Vescovo o del suo delegato. “Tutte le questioni proposte si sottoporranno alla libera discussione dei membri nelle sessioni del Sinodo” (508), ma “il Vescovo ha il dovere di escludere dalla discussione sinodale tesi o posizioni — magari proposte con la pretesa di trasmettere alla Santa Sede “voti” in merito — discordanti dalla perenne dottrina della Chiesa o del Magistero Pontificio o relative a materie disciplinari riservate alla suprema o ad altra autorità ecclesiastica” (509).

Al termine degli interventi, il Vescovo affiderà a diverse commissioni la redazione dei progetti di documenti sinodali, dando le opportune indicazioni. Infine, esaminerà i testi preparati e, comeunico legislatore, sottoscriverà i decreti e le dichiarazioni sinodali e li farà pubblicare con la sua personale autorità (510).

Concluso il Sinodo, il Vescovo disporrà la trasmissione dei decreti e delle dichiarazioni al Metropolita e alla Conferenza Episcopale, per favorire la comunione e l’armonia legislativa tra le Chiese particolari di uno stesso ambito, ed invierà, attraverso la Rappresentanza Pontificia, ai Dicasteri interessati della Santa Sede, particolarmente alla Congregazione per i Vescovi e a quella per l’Evcangelizzazione dei Popoli, il Libro del Sinodo (511). Se i documenti sinodali di carattere soprattutto normativo non si pronunziano circa la loro applicazione, sarà il Vescovo a determinare le modalità di esecuzione, affidandola anche agli organismi diocesani.


176 “Forum” e altre Assemblee ecclesiali similari. È auspicabile che la sostanza delle norme del Codice di Diritto Canonico sul Sinodo diocesano e le indicazioni dell’Istruzione sui Sinodi diocesani, servatis servandis, siano osservate anche nei “forum” e nelle altre assemblee ecclesiali di tipo sinodale. Il Vescovo con grande senso di responsabilità deve guidare tali assemblee e vigilare affinché non siano adottate proposte che sono contrarie alla fede e alla disciplina della Chiesa.

b) La Curia diocesana


177 La Curia diocesana, in generale. “La Curia diocesana consta di quegli organismi e persone che collaborano con il Vescovo nel governo di tutta la diocesi, principalmente nella direzione dell’attività pastorale, nell’amministrazione della diocesi e nell’esercizio della potestà giudiziale” (512). Essa è, infatti, “la struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti” (513).

La struttura essenziale della Curia diocesana che viene indicata dai cann. 469-494 del Codice di Diritto Canonico, può essere integrata dal Vescovo — senza però alterare gli organismi stabiliti dalla disciplina vigente — con altri uffici con attribuzioni ordinarie o stabilmente delegate, soprattutto di carattere pastorale, a seconda delle necessità della diocesi, della sua ampiezza e delle consuetudini locali.

Il Vescovo nomina liberamente i titolari dei diversi uffici della Curia (514) tra coloro che si distinguono per competenza nella relativa materia, per zelo pastorale e per integrità di vita cristiana, evitando di affidare uffici o incarichi a persone inesperte: dovrà anzi assicurarsi della loro preparazione teologica, pastorale e tecnica e solamente allora introdurle gradualmente nei diversi campi di lavoro specializzato. Per provvedere ai diversi uffici è conveniente che il Vescovo ascolti il parere di alcuni sacerdoti e laici secondo i modi che ritenga opportuni. Se si tratta di presbiteri, il Vescovo curi che abbiano qualche altro ministero con cura d’anime, per mantenere vivo il loro zelo apostolico ed evitare che sviluppino, per mancanza di contatto diretto con i fedeli, una dannosa mentalità burocratica.

I diversi compiti della Curia assicurano il buon funzionamento dei servizi diocesani e la continuità dell’amministrazione, al di là dell’avvicendarsi delle persone. È importante che il Vescovo appena nominato conosca le peculiarità organizzative della Curia e la sua prassi amministrativa e vi si adegui nella misura del possibile, giacché ciò facilita il rapido disbrigo delle pratiche. Questo non impedisce, ovviamente, la doverosa introduzione di miglioramenti funzionali e la correzione accurata di quanto sia meno conforme alla disciplina canonica.


178 Il coordinamento dei diversi uffici. “Il Vescovo diocesano deve vigilare perché vengano dovutamente coordinate tutte le questioni che si riferiscono all’amministrazione della diocesi, e che ciò venga fatto nella maniera più efficace per il bene della porzione del Popolo di Dio a lui affidata” (515).

Il coordinamento dell’attività pastorale della diocesi spetta naturalmente al Vescovo diocesano, dal quale dipendono direttamente i Vicari, generale ed episcopali (516). Se lo ritiene opportuno, il Vescovo può costituire un “Consiglio episcopale” formato dai suoi Vicari, allo scopo di coordinare l’intera azione pastorale diocesana (517).

Il Vescovo può anche stabilire l’ufficio di Moderatore di Curia, con la specifica funzione di coordinare le questioni amministrative e di vigilare perché il personale della Curia adempia
fedelmente il proprio incarico. L’ufficio di Moderatore dovrà essere affidato ad un Vicario Generale, purché particolari circostanze non consiglino diversamente; in ogni caso, il Moderatore deve essere un sacerdote (518).

Nel dirigere e coordinare il funzionamento di tutti gli organi diocesani, il Vescovo terrà presente, come principio generale, che le strutture diocesane debbono essere sempre al servizio del bene delle anime e che le esigenze organizzative non debbono anteporsi alla cura delle persone. Occorre, perciò, fare in modo che l’organizzazione sia agile ed efficiente, estranea ad ogni inutile complessità e burocratismo, con l’attenzione sempre rivolta al fine soprannaturale del lavoro.


179 Il Vicario Generale e i Vicari episcopali. Il Vescovo deve nominare il Vicario Generale, ufficio preminente della Curia diocesana, perché lo aiuti nel governo della diocesi (519).

Anche se di norma è preferibile che vi sia soltanto un Vicario Generale, qualora il Vescovo lo ritenga opportuno, per l’ampiezza della diocesi, o per altra ragione pastorale, ne può costituire anche di più. Avendo tutti la stessa potestà su tutta la diocesi è necessario un chiaro coordinamento della loro attività, nell’osservanza di quanto il Codice dispone circa le grazie concesse da uno o dall’altro Ordinario (520), e in generale, circa l’esercizio delle competenze assegnate a ciascuno.

Quando lo richieda il buon governo della diocesi, il Vescovo può nominare anche uno o piùVicari episcopali. Essi hanno la medesima potestà del Vicario Generale, ma limitata ad una parte della diocesi o ad un certo genere di questioni, in relazione o ai fedeli di un rito particolare o a un determinato gruppo umano. La nomina dei Vicari episcopali deve essere fatta sempre per un certo tempo da determinarsi nell’atto di costituzione (521).

Nella nomina di un Vicario episcopale, il Vescovo farà attenzione a definire chiaramente l’ambito delle sue facoltà, evitando così la sovrapposizione di competenze o, cosa anche peggiore, l’incertezza del titolare o dei fedeli.

Il Vescovo diocesano nomini Vicario Generale o Vicari episcopali sacerdoti dottrinalmente sicuri, degni di fiducia, stimati dal presbiterio e dall’opinione pubblica, saggi, onesti e moralmente retti, con esperienza pastorale ed amministrativa, capaci di instaurare autentiche relazioni umane e di saper trattare gli affari che interessano la diocesi. Quanto all’età, dovranno aver compiuto almeno i 30 anni, ma prudenzialmente, dove è possibile, è auspicabile che abbiano compiuto i 40 anni, e aver raggiunto anche un’adeguata preparazione accademica con il conseguimento del dottorato o della licenza in Diritto Canonico o in Sacra Teologia, o almeno dovranno essere veramente esperti in tali discipline.

Il Vicario Generale e, nell’ambito delle loro attribuzioni, quelli episcopali, in virtù del loro ufficio, hanno potestà esecutiva ordinaria, pertanto possono compiere tutti gli atti amministrativi di competenza del Vescovo diocesano, ad eccezione di quelli che lui stesso abbia riservato per sé e che il Codice di Diritto Canonico affida espressamente al Vescovo diocesano: per esercitare anche tali atti il Vicario necessita di un mandato speciale dello stesso Vescovo.

Il Vescovo diocesano non può nominare agli uffici di Vicario Generale e di Vicario episcopale i propri consanguinei fino al quarto grado. Tali uffici non sono compatibili con quello di canonico Penitenziere (522).

I Vicari debbono agire sempre secondo la volontà e le intenzioni del Vescovo, al quale debbonorendere conto delle questioni principali di cui si occupano (523).


180 Il Cancelliere della Curia e gli altri notai. “In ciascuna Curia deve esserci un cancelliere, la cui principale funzione consiste nel preoccuparsi che si redigano gli atti della Curia, si compilino e si conservino nell’archivio” (524). Tuttavia, la funzione di cancelliere non si limita a questi settori, giacché a lui (e al vicecancelliere, se esiste) competono anche due altri importanti incarichi (525):

a) Notaio della Curia: l’ufficio notarile che detengono il cancelliere e gli altri eventuali notai, ha una particolare importanza canonica, poiché la sua firma fa pubblica fede della realizzazione di atti giuridici, giudiziali o amministrativi, cioè “certifica” l’identità giuridica del documento, il che presuppone una previa qualifica dell’atto stesso e una verifica della sua corretta esposizione per iscritto.

Il Vescovo si serva inoltre dell’aiuto del cancelliere e dei notai per la preparazione dei documenti giuridici, come atti giuridici di vario genere, decreti, indulti, ecc., in modo che la redazione risulti precisa e chiara.

b) Segretario di Curia: con il compito di vigilare, in stretto contatto con il Vicario Generale e, se esiste, con il Moderatore della Curia, per il buon ordine dei compiti amministrativi curiali.

Spetta al diritto particolare di precisare il rapporto del cancelliere con gli altri uffici principali della Curia.

L’ufficio di cancelliere deve essere affidato ad un fedele che si distingua per onestà personale al di sopra di ogni sospetto, abilità canonica ed esperienza nella gestione delle pratiche amministrative (526). Nelle cause in cui può essere implicata la fama di un sacerdote, il notaio deve essere sacerdote (527).

In caso di necessità, o quando il Vescovo lo riterrà necessario, al cancelliere può essere affiancato un vice-cancelliere con le stesse funzioni del cancelliere. Anch’egli dovrà possedere le doti richieste per il cancelliere.


181 Il tribunale diocesano. Il Vescovo esercita la potestà giudiziaria sia personalmente sia mediante il Vicario giudiziale e i giudici (528).

L’amministrazione della giustizia canonica è un compito di grave responsabilità che esige, innanzitutto, un profondo senso di giustizia, ma anche un’adeguata perizia canonica e la corrispondente esperienza (529). Per questo motivo, il Vescovo sceglierà attentamente i titolari dei diversi uffici:

– il Vicario giudiziale, giudice e capo dell’amministrazione giudiziaria deve essere necessariamente costituito dal Vescovo (530). La sua nomina sarà a tempo determinato rinnovabile. Il Vicario giudiziale ed eventuali Vicari giudiziali aggiunti devono essere sacerdoti, aver compiuto almeno 30 anni, essere di integra fama, dottori o licenziati in Diritto Canonico. Il Vicario giudiziale durante la sede vacante rimane in carica, e non può essere rimosso dall’Amministratore diocesano;

– gli altri giudici diocesani, per la cui nomina si richiedono le stesse qualità che per il Vicario giudiziale, che in nome del Vescovo decidono le cause canoniche;

– il promotore di giustizia e il difensore del vincolo, con l’incarico di vigilare, ciascuno secondo la propria competenza, sul bene pubblico ecclesiale (531). Il Vescovo può affidare questi due uffici a laici esperti, secondo le modalità e le condizioni stabilite dalle norme canoniche (532), in modo che i chierici siano più liberi per svolgere i compiti indispensabili relativi all’Ordine sacro. Qualora lo permetta la Conferenza episcopale, i fedeli laici possono anche essere giudici; di essi, se la necessità lo suggerisce, uno può essere assunto a formare un collegio (533).

Se, per le locali circostanze, varie diocesi costituiscono un tribunale interdiocesano di prima istanza, i Vescovi interessati esercitano in comune le funzioni che spetterebbero a ciascuno rispetto al tribunale diocesano (534).

Consapevole del fatto che l’amministrazione della giustizia è un aspetto della sacra potestà, il cui giusto e tempestivo esercizio è molto importante per il bene delle anime, il Vescovo considererà l’ambito giudiziario come oggetto della sua personale preoccupazione pastorale. Rispettando la giusta indipendenza degli organi legittimamente costituiti, vigilerà tuttavia sull’efficacia del loro lavoro e soprattutto sulla loro fedeltà alla dottrina della Chiesa sulla fede e sui costumi, specialmente in materia matrimoniale. Senza lasciarsi intimorire dall’indole tecnica di molte questioni, saprà consigliarsi e prendere le misure di governo opportune per riuscire ad avere un tribunale in cui risplenda la vera giustizia intraecclesiale.


182 Gli organi pastorali diocesani. Allo scopo di fare della Curia uno strumento idoneo anche per la direzione delle opere di apostolato (535), conviene costituire, secondo le possibilità della diocesi, anche altri uffici o commissioni, sia permanenti che temporanei, con l’incarico di eseguire i programmi diocesani e di studiare le iniziative nei diversi campi pastorali ed apostolici (famiglia, insegnamento, pastorale sociale, ecc.). Il Vescovo esamina e decide circa le proposte di questi organi con l’aiuto dei Consigli presbiterale e pastorale della diocesi.

Per determinare quali uffici o commissioni convenga creare, il Vescovo si servirà delle indicazioni della Santa Sede e delle raccomandazioni della Conferenza Episcopale, e vigilerà anche sulle particolari necessità e sulle abitudini della diocesi. Qualunque sia il modello organizzativo adottato, occorre evitare il crearsi e perpetuarsi di strutture di governo atipiche, che in qualche modosostituiscano o diventino competitive con gli organi previsti nella legge canonica, cosa che certamente non aiuterebbe l’efficacia del governo pastorale. Questo imperativo ha un necessario corollario a livello parrocchiale, dove il parroco e il Consiglio pastorale debbono effettivamente svolgere la funzione che a ciascuno spetta, evitando l’assemblearismo (536).

Per una maggiore efficacia, bisogna far sì che il lavoro di questi organismi sia ben distribuito e coordinato, evitando le reciproche interferenze, le distinzioni superflue dei compiti o al contrario la loro confusione. Il Vescovo cerchi di inculcare in tutti un forte spirito di collaborazione per l’unico fine comune, e di responsabile iniziativa nel dirigere le proprie questioni. Il Vescovo si incontri frequentemente con i responsabili di questi organi o i delegati, per orientarne il lavoro e incoraggiare il loro zelo apostolico. Risulta utile inoltre che tutti coloro che sono destinati ad una medesima area si riuniscano periodicamente per valutare insieme il comune impegno, scambiare punti di vista e cercare di raggiungere gli obiettivi prefissati.

c) I Consigli Diocesani


183 Il Consiglio Presbiterale. La comunione gerarchica tra il Vescovo e il presbiterio, fondata sull’unità del sacerdozio ministeriale e della missione ecclesiale, si manifesta istituzionalmente per mezzo del Consiglio Presbiterale, in quanto “gruppo di sacerdoti che sia come il senato del Vescovo, in rappresentanza del presbiterio, la cui missione è aiutare il Vescovo nel governo della diocesi conformemente alla norma del diritto, per provvedere nel miglior modo al bene pastorale della porzione del Popolo di Dio a lui affidata” (537).

In questo modo, il Consiglio, oltre a facilitare il necessario dialogo tra il Vescovo e il presbiterio, serve ad accrescere la fraternità tra i diversi settori del clero della diocesi. Il Consiglio affonda le sue radici nella realtà del presbiterio e nella particolare funzione ecclesiale che compete ai presbiteri, in quanto collaboratori primi dell’ordine episcopale (538). Il Consiglio è dunque “diocesano” per natura propria, deve essere obbligatoriamente costituito in ciascuna diocesi (539) e la condizione sacerdotale è requisito indispensabile sia per far parte del Consiglio che per partecipare all’elezione dei suoi membri (540).

Il Consiglio Presbiterale non deve mai agire all’insaputa del Vescovo diocesano, in quanto soltanto a lui spetta convocarlo, presiederlo, determinare le questioni da trattare e divulgare il contenuto delle discussioni e le eventuali decisioni adottate (541).

Anche se organo di natura consultiva (542), il Consiglio è chiamato a coadiuvare il Vescovo su ciò che riguarda il governo della diocesi. Esso è anche la sede idonea per fare emergere una visione di insieme della situazione diocesana e per discernere ciò che lo Spirito Santo suscita per mezzo di persone o di gruppi; per scambiare pareri ed esperienze; per determinare, infine, obiettivi chiari dell’esercizio dei vari ministeri diocesani, proponendo priorità e suggerendo metodi.

Il Vescovo deve consultare il Consiglio nelle questioni di maggiore importanza, relative alla vita cristiana dei fedeli, e al governo della diocesi (543). Dopo aver ottenuto il parere del Consiglio, il Vescovo è libero di prendere le decisioni che ritenga opportune valutando e decidendo “coram Domino”, a meno che il diritto universale o particolare esigano l’assenso del medesimo per determinate questioni (544). Cionondimeno, il Vescovo non deve allontanarsi dall’opinione concorde dei consiglieri senza una seria motivazione, che deve soppesare secondo il suo prudente giudizio (545).

La composizione del Consiglio deve rispecchiare una adeguata rappresentanza dei presbiteri che lavorano a beneficio della diocesi, curando soprattutto la diversità dei ministeri e delle diverse zone, in maniera da riflettere la presenza numerica e l’importanza pastorale di ciascun settore diocesano (546). Se il numero dei sacerdoti della diocesi è molto ridotto, nulla vieta di convocarli tutti. Tale Assemblea del Presbiterio sostituirà quella formale del Consiglio Presbiterale.

Il Consiglio deve elaborare i propri Statuti, nei quali vengono stabilite le norme circa la sua composizione, l’elezione dei membri, le principali materie da sottoporre allo studio, la frequenza delle riunioni, gli incarichi interni (moderatore, segretario, ecc.) ed eventuali commissioni per trattare determinati argomenti, il modo di procedere nelle sessioni, ecc. La proposta di Statuti verrà presentata alla libera approvazione del Vescovo, il quale dovrà comprovarne la conformità alle prescrizioni del Codice e della Conferenza Episcopale e verificare che la struttura progettata sia quella propria di un organo consultivo, senza complessità organizzative che potrebbero toglierle chiarezza (547).

Con il suo atteggiamento di dialogo sereno e attento ascolto di quanto viene espresso dai membri del Consiglio, il Vescovo incoraggerà i sacerdoti ad assumere posizioni costruttive, responsabili, lungimiranti, avendo a cuore soltanto il bene della diocesi. Al di là delle visioni parziali e personalistiche, il Vescovo diocesano cercherà di promuovere all’interno del Consiglio un clima di comunione, di attenzione e di ricerca comune delle soluzioni migliori. Eviterà di dare l’impressione dell’inutilità dell’organismo e condurrà le riunioni in modo che tutti i consiglieri possano esprimere liberamente il loro parere.

Qualora il Consiglio Presbiterale non adempisse la sua funzione per il bene della diocesi o ne abusasse gravemente, il Vescovo, a norma del diritto può scioglierlo, con l’obbligo di costituirlo di nuovo entro un anno (548).

Quando la sede della diocesi diviene vacante, il Consiglio Presbiterale cessa ed i suoi compiti passano al Collegio dei consultori. Il nuovo Vescovo deve costituire nuovamente il Consiglio entro un anno dalla presa di possesso della diocesi (549).


184 Il Collegio dei consultori. “Tra i membri del Consiglio Presbiterale, il Vescovo nomina liberamente alcuni sacerdoti, in numero non inferiore a sei e non superiore a dodici, che formino per cinque anni il Collegio di consultori, al quale competono le funzioni stabilite dal diritto” (550). L’erezione del Collegio mira a garantire una qualificata assistenza al Vescovo, dando il suo consenso e parere secondo quanto stabilito nel Diritto, al momento di prendere importanti provvedimenti di natura economica (551) e, in caso di vacanza o impedimento della sede, ad assicurare la continuità del governo episcopale (552) e l’ordinata successione.(553) La Conferenza Episcopale può stabilire che le funzioni del Collegio vengano affidate al Capitolo cattedrale (554).

Le riunioni del Collegio dei consultori debbono essere presiedute dal Vescovo diocesano o da chi ne fa le veci, i quali si astengono dal votare con i consultori quando al Collegio sia chiesto il parere o il consenso (555).


185 Il Consiglio pastorale. Pur facendo uso della libertà che la disciplina canonica lascia, è bene che in ogni diocesi si costituisca il Consiglio pastorale diocesano, come forma istituzionale di esprimere la partecipazione di tutti i fedeli, di qualunque stato canonico, alla missione della Chiesa. Pertanto, il Consiglio pastorale è composto di fedeli, chierici, membri di Istituti di vita consacrata esoprattutto laici,556 e ad esso spetta, “sotto l’autorità del Vescovo, studiare e valutare quanto si riferisce alle attività pastorali nella diocesi, e suggerire le relative soluzioni pratiche” (557).
I suoi Statuti sono stabiliti e, se è il caso, modificati dal Vescovo (558).

Anche se a rigore non rappresenta i fedeli, il Consiglio deve essere una immagine fedele della porzione del Popolo di Dio che costituisce la Chiesa particolare e i suoi membri debbono essere scelti “considerando le loro distinte regioni, condizioni sociali e professioni, come anche il ruolo da essi svolto nell’apostolato, sia personalmente che in associazione con altri” (559).

Tutti i membri del Consiglio pastorale debbono essere in piena comunione con la Chiesa cattolica e distinguersi per fede sicura, buoni costumi e prudenza (560). Spetta al Vescovo decidere, mediante le opportune indicazioni statutarie, le modalità di designazione dei suoi membri: per esempio, affidando alle parrocchie e ad altre istituzioni la proposta di candidati, riservandosi comunque — forse tramite la conferma di quelli precedentemente eletti — il diritto di escludere coloro che non appaiano idonei.

Il Vescovo convochi il Consiglio almeno una volta l’anno. Lo stesso Vescovo propone le questioni da esaminare, presiede le riunioni, decide se convenga o meno rendere pubblici i temi trattati e determina il modo di realizzare le relative conclusioni (561). Il lavoro del Consiglio è, pertanto, di natura consultiva (562), e deve essere sempre contraddistinto da un delicato rispetto sia della giurisdizione episcopale che dell’autonomia dei fedeli, individui o associati, senza pretese direttive o di coordinamento estranee alla sua natura. Tuttavia, il Vescovo deve tenere nella dovuta considerazione il parere dei membri del Consiglio, in quanto responsabile collaborazione della comunità ecclesiale al suo ufficio apostolico.

Il Vescovo può proporre alle discussioni del Consiglio temi relativi alle attività pastorali della diocesi: (563) come per esempio, il piano pastorale, le diverse iniziative missionarie, catechetiche e apostoliche diocesane, i mezzi per migliorare la formazione dottrinale e la vita sacramentale dei fedeli, il modo di facilitare il ministero pastorale dei chierici, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui problemi della Chiesa, ecc.

Affinché l’operato del Consiglio risulti più efficace, converrà che le sessioni siano precedute da un adeguato studio preparatorio, servendosi a tal fine dell’aiuto delle istituzioni e degli uffici pastorali diocesani.

Circa l’attività dei Consigli pastorali diocesani, è opportuno che i Vescovi ne discutano in sede diConferenza Episcopale, cosicché ciascuno nella propria diocesi possa utilizzare l’esperienza degli altri.

Il Consiglio pastorale cessa la propria attività durante la sede vacante della diocesi (564) e può essere sciolto dal Vescovo quando non compie le funzioni ad esso assegnate.


Direttorio Vescovi 2004 166