Discorsi 2005-13 22201

CONCERTO OFFERTO DA "BAYERISCHE STAATSOPER Aula Paolo VI Sabato, 22 ottobre 2011

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[Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinti Ministri Dott. Heubisch e Dott. Spaenle,
distinti signori e signore,

un grazie sincero alla Bayerischen Staatsorchester e alla Audi-Jugendchorakademie, come pure al Direttore Kent Nagano e ai solisti, per il grande dono che ci hanno fatto. La splendida esecuzione dei due capolavori di Anton Bruckner, il Te Deum e la Sinfonia N. 9, ci ha permesso di immergerci in modo profondo nella musica di questo grande Compositore. Grazie alla Bayerischen Staatsoper per aver offerto questo bellissimo concerto, e a tutti coloro che hanno reso possibile questo momento.]

Quando, l’11 ottobre 1896, Bruckner morì, stava ancora scrivendo la sua nona sinfonia, iniziata quasi 10 anni prima. Sentiva, ricordando Beethoven e Schubert, che si trattava del suo “testamento sinfonico”, ed effettivamente - come sappiamo - non riuscì mai a completarne il quarto tempo, lasciando il suo lavoro incompiuto. Il sinfonismo bruckneriano si stacca dal modello classico, il suo discorso musicale si sviluppa per grandi blocchi accostati, sezioni elaborate e complesse non delimitate in modo chiaro, ma separate molto spesso da semplici episodi di collegamento, come pure da pause. Ascoltare la sua musica è quasi come trovarsi all’interno di una grande cattedrale, osservando le grandiose strutture portanti della sua architettura, che ci avvolgono, ci spingono in alto e creano emozione. C’è però un aspetto che è alla base della produzione di Bruckner sia sinfonica che sacra: la sua fede, semplice, solida e genuina, conservata per tutta la vita tanto da voler essere sepolto nella chiesa dell’Abbazia di Sankt Florian, nella cripta, sotto il possente organo, che aveva suonato molte volte. Confrontandolo con un altro esponente del tardo romanticismo, il grande direttore d’orchestra Bruno Walter affermava: “Mahler fu sempre alla ricerca di Dio, mentre Bruckner lo aveva trovato”. E la sinfonia che abbiamo ascoltato ha un titolo preciso “Dem lieben Gott”, “Al buon Dio”, quasi egli avesse voluto dedicare e affidare l’ultimo e maturo frutto della sua arte a Colui nel quale aveva sempre creduto, ormai l’unico e vero interlocutore a cui rivolgersi, giunto all’ultimo tratto dell’esistenza. E si percepisce un senso di continua attesa in tutta la Sinfonia che abbiamo ascoltato, tempi dilatati che ci aprono e ci guidano in una dimensione misteriosa, quasi atemporale; dal primo tempo, caratterizzato dall’indicazione “Feierlich-misterioso”, fino all’adagio, che inizia con un grandioso gesto dei primi violini e si sviluppa in una ascesa progressiva verso l’alto con un alternarsi di momenti luminosi, di improvvisi silenzi, di sezioni timbriche isolate, di sonorità organistiche, di corali, di esplosioni di suono, di sereni cantabili, fino a giungere alla pacata, radiosa conclusione in mi maggiore. E’ significativo che in questo ultimo tempo siano inserite quattro note del “miserere” dal Gloria della sua Messa in re minore, e che vi siano reminiscenze del “Benedictus” da un’altra sua Messa, quella in Fa minore. Bruckner chiedeva al buon Dio di poter entrare nel suo mistero, di poter ascendere alle sue altezze, di poter lodare in cielo il Signore come aveva fatto in terra con la sua musica. “Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur”: questa opera grandiosa che abbiamo ascoltato, scritta di getto e rielaborata lungo 15 anni quasi a ripensare come ringraziare e lodare meglio Dio, sintetizza la fede di questo grande musicista, ripetuta nella grande doppia fuga finale: “In te, Domine speravi: non confundar in aeternum”. Un richiamo anche a noi ad aprire gli orizzonti e pensare alla vita eterna, non per sfuggire dal presente, anche se segnato da problemi e difficoltà, ma piuttosto per viverlo ancora più intensamente, portando nella realtà in cui viviamo un po’ di luce, di speranza, di amore.



[Ancora una volta desidero dire un cordiale “”Vergelt’s Gott” (Dio ve ne renda merito) al maestro Kent Nagano, ai solisti, alla Bayerischen Staatsorchester e alla Audi-Jugendchorakademie e al suo Direttore, alla Bayerischen Staatsoper, ai collaboratori e a voi tutti.]

Grazie, buona serata a tutti, con la mia Benedizione.



AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE "GIOVANNI PAOLO II" Sala Clementina Lunedì, 24 ottobre 2011

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Cari Cardinali,
Cari Fratelli Vescovi e sacerdoti,
Fratelli e Sorelle in Cristo,

trent’anni fa, su richiesta di «alcuni fratelli e sorelle che vivono in Polonia o sono emigrati da lì, ma mantengono vincoli forti con la loro terra d’origine» il mio predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, istituì nella Città del Vaticano una Fondazione che porta il suo nome, con l’obiettivo di «promuovere attraverso il loro sostegno, materiale e di altra natura, iniziative di carattere religioso, culturale, pastorale e caritativo e coltivare e rafforzare i vincoli tradizionali fra loro e la Santa Sede» (cfr. Decreto di Istituzione).

Oggi, membri della Fondazione e amici di tutto il mondo hanno scelto di celebrare questo anniversario rendendo grazie al Signore per tutti i frutti che le varie attività hanno prodotto nel corso di tre decenni. Sono lieto di potermi unire a voi in questo rendimento di grazie. Saluto con affetto tutti voi che siete qui oggi, in particolare il Cardinale Stanislaw Dziwisz, già segretario dell’amato Santo Padre e uno dei promotori della Fondazione, ora suo capo ex officio come Arcivescovo di Cracovia. Estendo il mio cordiale benvenuto al Cardinale Stanislaw Rylko, Presidente del Consiglio di Amministrazione, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. Saluto l’Arcivescovo Szczepan Wesoly, già Presidente, nonché i distinti membri del Consiglio e con loro i direttori delle singole istituzioni della Fondazione. Infine, porgo un cordiale saluto a tutti i membri del Circolo degli Amici della Fondazione disseminati in tutti i continenti. Quanti sono qui presenti, rappresentano le migliaia di benefattori che continuato a sostenere l’opera della Fondazione dal punto di vista finanziario e spirituale. Vi chiedo di trasmettere a tutti loro i miei saluti e i miei ringraziamenti.

Come leggiamo nella premessa degli Statuti: «consci della grandezza del dono che la persona e l’opera del Papa polacco rappresentano per la Chiesa, per la patria e per il mondo, la Fondazione cerca di conservare e sviluppare questa eredità spirituale che mira a trasmettere alle generazioni future». So che l’obiettivo viene realizzato soprattutto attraverso il «Centro di Documentazione e di Studio del Pontificato di Giovanni Paolo II», che non solo raccoglie archivi, materiale bibliografico e articoli museali, ma promuove anche pubblicazioni, mostre, congressi e altri eventi scientifici e culturali per diffondere l’insegnamento e l’attività pastorale e umanitaria del beato pontefice. Confido nel fatto che, attraverso lo studio quotidiano delle fonti e la cooperazione con organismi di carattere simile sia a Roma sia altrove, questo Centro diverrà un sempre più importante punto di riferimento per quanti cercano di conoscere e di apprezzare la vasta e ricca eredità che egli ci ha lasciato.

Affiliata alla Fondazione, la Casa Giovanni Paolo II qui, a Roma, in collaborazione con il nobile Ospizio di san Stanislao, offre aiuto concreto e spirituale ai pellegrini che giungono sulle tombe degli Apostoli per rafforzare la loro fede e la loro unione con il Papa e la Chiesa universale. Il beato pontefice ha cercato sempre di legare i fedeli non a se stesso, ma sempre più a Cristo, alla tradizione Apostolica e alla comunità cattolica unita al collegio episcopale presieduto dal Papa. Io stesso posso sperimentare l’efficacia di questi sforzi visto che ricevo l’amore e il sostegno spirituale di così tante persone di tutto il mondo che mi accolgono con affetto quale Successore di Pietro, chiamato dal Signore a confermarle nella fede. Sono grato del fatto che la Fondazione continui a coltivare questo spirito di amore che ci unisce in Cristo.

Un compito di grande valore umano e culturale, esplicitamente voluto da Giovanni Paolo II e intrapreso dalla Fondazione è quello di contribuire alla «formazione del clero e del laicato, in particolare di quanti provengono dai Paesi dell’Europa centrale e orientale». Ogni anno, studenti arrivano a Lublino, a Varsavia e a Cracovia da Paesi che, in passato, hanno subito l’oppressione ideologica del regime comunista, per proseguire gli studi in varie materie scientifiche, così da vivere nuove esperienze, conoscere differenti tradizioni spirituali e ampliare i loro orizzonti culturali. Poi ritornano ai loro Paesi, arricchendo i vari settori della vita sociale, economica, culturale, politica ed ecclesiale. Più di 900 laureati sono un dono prezioso per quelle nazioni. Tutto ciò è possibile grazie alle borse di studio e all’aiuto spirituale e professionale garantiti dalla generosità della Fondazione. Spero che quest’opera continui, si sviluppi e rechi frutti abbondanti.

Miei cari amici, si potrebbero elencare molti più successi e molte realizzazioni della vostra Fondazione. Tuttavia, vorrei sottolineare un aspetto di primaria importanza, che va al di là ed è al di sopra degli effetti immediati e visibili. Associata alla Fondazione, si è evoluta una unione spirituale di migliaia di persone in vari continenti che non solo la sostengono materialmente, ma costituiscono i Circoli degli Amici, comunità di formazione basate sull’insegnamento e sull’esempio del beato Giovanni Paolo II. Non si limitano a un ricordo sentimentale del passato, ma discernono le necessità del presente, guardano al futuro con sollecitudine e fiducia e si impegnano a permeare il mondo, in una maniera più profonda, dello spirito di solidarietà e di fraternità. Rendiamo grazie al Signore per il dono dello Spirito Santo che vi unisce, vi illumina e vi ispira.

Con cuore grato, attraverso l’intercessione del vostro patrono, il beato Giovanni Paolo II, affido il futuro della vostra Fondazione alla Divina Provvidenza e vi benedico con tutto il mio cuore.



GIORNATA DI RIFLESSIONE, DIALOGO E PREGHIERA PER LA PACE E LA GIUSTIZIA NEL MONDO Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli Giovedì, 27 ottobre 2011

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"PELLEGRINI DELLA VERITÀ, PELLEGRINI DELLA PACE"


Cari fratelli e sorelle,
distinti Capi e rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali e delle religioni del mondo,
cari amici,

sono passati venticinque anni da quando il beato Papa Giovanni Paolo II invitò per la prima volta rappresentanti delle religioni del mondo ad Assisi per una preghiera per la pace. Che cosa è avvenuto da allora? A che punto è oggi la causa della pace? Allora la grande minaccia per la pace nel mondo derivava dalla divisione del pianeta in due blocchi contrastanti tra loro. Il simbolo vistoso di questa divisione era il muro di Berlino che, passando in mezzo alla città, tracciava il confine tra due mondi. Nel 1989, tre anni dopo Assisi, il muro cadde – senza spargimento di sangue. All’improvviso, gli enormi arsenali, che stavano dietro al muro, non avevano più alcun significato. Avevano perso la loro capacità di terrorizzare. La volontà dei popoli di essere liberi era più forte degli arsenali della violenza. La questione delle cause di tale rovesciamento è complessa e non può trovare una risposta in semplici formule. Ma accanto ai fattori economici e politici, la causa più profonda di tale evento è di carattere spirituale: dietro il potere materiale non c’era più alcuna convinzione spirituale. La volontà di essere liberi fu alla fine più forte della paura di fronte alla violenza che non aveva più alcuna copertura spirituale. Siamo riconoscenti per questa vittoria della libertà, che fu soprattutto anche una vittoria della pace. E bisogna aggiungere che in questo contesto si trattava non solamente, e forse neppure primariamente, della libertà di credere, ma anche di essa. Per questo possiamo collegare tutto ciò in qualche modo anche con la preghiera per la pace.

Ma che cosa è avvenuto in seguito? Purtroppo non possiamo dire che da allora la situazione sia caratterizzata da libertà e pace. Anche se la minaccia della grande guerra non è in vista, tuttavia il mondo, purtroppo, è pieno di discordia. Non è soltanto il fatto che qua e là ripetutamente si combattono guerre – la violenza come tale è potenzialmente sempre presente e caratterizza la condizione del nostro mondo. La libertà è un grande bene. Ma il mondo della libertà si è rivelato in gran parte senza orientamento, e da non pochi la libertà viene fraintesa anche come libertà per la violenza. La discordia assume nuovi e spaventosi volti e la lotta per la pace deve stimolare in modo nuovo tutti noi.

Cerchiamo di identificare un po’ più da vicino i nuovi volti della violenza e della discordia. A grandi linee – a mio parere – si possono individuare due differenti tipologie di nuove forme di violenza che sono diametralmente opposte nella loro motivazione e manifestano poi nei particolari molte varianti. Anzitutto c’è il terrorismo, nel quale, al posto di una grande guerra, vi sono attacchi ben mirati che devono colpire in punti importanti l’avversario in modo distruttivo, senza alcun riguardo per le vite umane innocenti che con ciò vengono crudelmente uccise o ferite. Agli occhi dei responsabili, la grande causa del danneggiamento del nemico giustifica ogni forma di crudeltà. Viene messo fuori gioco tutto ciò che nel diritto internazionale era comunemente riconosciuto e sanzionato come limite alla violenza. Sappiamo che spesso il terrorismo è motivato religiosamente e che proprio il carattere religioso degli attacchi serve come giustificazione per la crudeltà spietata, che crede di poter accantonare le regole del diritto a motivo del “bene” perseguito. La religione qui non è a servizio della pace, ma della giustificazione della violenza.

La critica della religione, a partire dall’illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l’ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente. In un modo più sottile, ma sempre crudele, vediamo la religione come causa di violenza anche là dove la violenza viene esercitata da difensori di una religione contro gli altri. I rappresentanti delle religioni convenuti nel 1986 ad Assisi intendevano dire – e noi lo ripetiamo con forza e grande fermezza: questa non è la vera natura della religione. È invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione. Contro ciò si obietta: ma da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi. Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso – un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato. Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (
2Co 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo.

Se una tipologia fondamentale di violenza viene oggi motivata religiosamente, ponendo con ciò le religioni di fronte alla questione circa la loro natura e costringendo tutti noi ad una purificazione, una seconda tipologia di violenza dall’aspetto multiforme ha una motivazione esattamente opposta: è la conseguenza dell’assenza di Dio, della sua negazione e della perdita di umanità che va di pari passo con ciò. I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio.

Qui non vorrei però soffermarmi sull’ateismo prescritto dallo Stato; vorrei piuttosto parlare della “decadenza” dell’uomo, in conseguenza della quale si realizza in modo silenzioso, e quindi più pericoloso, un cambiamento del clima spirituale. L’adorazione di mammona, dell’avere e del potere, si rivela una contro-religione, in cui non conta più l’uomo, ma solo il vantaggio personale. Il desiderio di felicità degenera, ad esempio, in una brama sfrenata e disumana quale si manifesta nel dominio della droga con le sue diverse forme. Vi sono i grandi, che con essa fanno i loro affari, e poi i tanti che da essa vengono sedotti e rovinati sia nel corpo che nell’animo. La violenza diventa una cosa normale e minaccia di distruggere in alcune parti del mondo la nostra gioventù. Poiché la violenza diventa cosa normale, la pace è distrutta e in questa mancanza di pace l’uomo distrugge se stesso.

L’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo. Ma dov’è Dio? Lo conosciamo e possiamo mostrarLo nuovamente all’umanità per fondare una vera pace? Riassumiamo anzitutto brevemente le nostre riflessioni fatte finora. Ho detto che esiste una concezione e un uso della religione attraverso il quale essa diventa fonte di violenza, mentre l’orientamento dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente, è una forza di pace. In tale contesto ho rimandato alla necessità del dialogo, e parlato della purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta. Dall’altra parte, ho affermato che la negazione di Dio corrompe l’uomo, lo priva di misure e lo conduce alla violenza.

Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile. Per questo ho appositamente invitato rappresentanti di questo terzo gruppo al nostro incontro ad Assisi, che non raduna solamente rappresentanti di istituzioni religiose. Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto. In conclusione, vorrei assicurarvi che la Chiesa cattolica non desisterà dalla lotta contro la violenza, dal suo impegno per la pace nel mondo. Siamo animati dal comune desiderio di essere “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Vi ringrazio.



CONGEDO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Assisi, Piazza San Francesco Giovedì, 27 ottobre 2011

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Illustri Ospiti,
cari Amici,

Al termine di questa intensa giornata desidero ringraziare voi tutti. Viva gratitudine va a coloro che hanno reso possibile l’incontro odierno. Ringraziamo in particolare chi, ancora una volta, ci ha ospitato: la città di Assisi, la comunità di questa Diocesi con il suo Vescovo, i figli di San Francesco, che custodiscono la preziosa eredità spirituale del Poverello di Assisi. Un grazie anche ai numerosi giovani che hanno compiuto il pellegrinaggio a piedi da Santa Maria degli Angeli per testimoniare come, tra le nuove generazioni, siano in tanti ad impegnarsi per superare violenze e divisioni, ed essere promotori di giustizia e di pace.

Today’s event is an image of how the spiritual dimension is a key element in the building of peace. Through this unique pilgrimage we have been able to engage in fraternal dialogue, to deepen our friendship, and to come together in silence and prayer.

After renewing our commitment to peace and exchanging with one another a sign of peace, we feel even more profoundly involved, together with all the men and women from the communities that we represent, in our common human journey.

We are not being separated; we will continue to meet, we will continue to be united in this journey, in dialogue, in the daily building of peace and in our commitment to a better world, a world in which every man and woman and every people can live in accordance with their own legitimate aspirations.

From my heart I thank all of you here present for having accepted my invitation to come to Assisi as pilgrims of truth and peace and I greet each one of you in Saint Francis’ own words: May the Lord grant you peace – “il Signore ti dia pace”.

[L’evento di oggi è un’immagine di come la dimensione spirituale sia un elemento chiave nell’edificazione della pace. Attraverso questo pellegrinaggio abbiamo potuto impegnarci nel dialogo fraterno, approfondire la nostra amicizia e unirci in silenzio e preghiera.

Dopo aver rinnovato il nostro impegno per la pace e scambiato un altro segno di pace, ci sentiamo coinvolti sempre più profondamente, insieme con tutti gli uomini e tutte le donne delle comunità che rappresentano, nel nostro comune viaggio umano.

Noi non siamo separati. Continueremo a incontraci, continueremo a essere uniti in questo viaggio, nel dialogo, nell’edificazione quotidiana della pace, nel nostro impegno per un mondo migliore, un mondo in cui ogni uomo e ogni donna e tutti possano vivere secondo le proprie legittime aspirazioni.

Di tutto cuore ringrazio quanti di voi sono qui presenti per aver accettato il mio invito a venire ad Assisi come pellegrini di verità e di pace e saluto ognuno di voi con le parole di san Francesco: che il Signore vi conceda la pace — «Il Signore vi dia la pace».]




ALLE DELEGAZIONI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DI ASSISI Sala Clementina Venerdì, 28 ottobre 2011

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Distinti ospiti.
Cari amici,

vi accolgo questa mattina nel Palazzo Apostolico e vi ringrazio ancora una volta per la vostra disponibilità a prendere parte alla giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la giustizia e per la pace nel mondo, svoltasi ieri ad Assisi, venticinque anni dopo quel primo storico incontro.

In un certo senso, quest’incontro rappresenta i miliardi di uomini e di donne nel mondo attivamente impegnati nella promozione della giustizia e della pace. È anche un segno dell’amicizia e della fraternità, che sono frutto degli sforzi di così tanti pionieri in questo tipo di dialogo. Che l’amicizia continui a crescere fra tutti i seguaci delle religioni del mondo e con gli uomini e le donne di buona volontà ovunque.

Ringrazio i miei fratelli e le mie sorelle cristiani per la loro presenza fraterna. Ringrazio anche i rappresentanti del popolo ebraico, che ci è particolarmente vicino, e tutti voi, distinti rappresentanti delle religioni del mondo. Sono consapevole del fatto che molti di voi sono venuti da lontano e hanno intrapreso un viaggio impegnativo. Esprimo gratitudine anche a quanti rappresentano le persone di buona volontà che non seguono alcuna tradizione religiosa, ma si impegnano nella ricerca della verità. Hanno voluto condividere questo pellegrinaggio con noi come segno del loro desiderio di cooperare all’edificazione di un mondo migliore. Guardando indietro, possiamo apprezzare la lungimiranza del compianto Papa Giovanni Paolo II nell’indire il primo incontro di Assisi e la necessità costante degli uomini e delle donne di differenti religioni di testimoniare che il viaggio dello spirito è sempre un viaggio di pace.

Gli incontri di questo tipo sono necessariamente eccezionali e rari, ma sono un’ espressione vivida del fatto che ogni giorno, in tutto il mondo, persone di differenti tradizioni religiose vivono e lavorano insieme in armonia. È sicuramente significativo per la causa della pace che così tanti uomini e donne, ispirati dalle loro convinzioni più profonde, siano impegnati a operare per il bene della famiglia umana.

In questo modo, sono sicuro che l’incontro di ieri ci abbia donato il senso di quanto è autentico il nostro desidero di contribuire al bene di tutti gli esseri umani e di quante cose dobbiamo condividere gli uni con gli altri. Andando per le nostre strade diverse, traiamo forza da quest’esperienza e, ovunque siamo, proseguiamo il viaggio rinnovato che conduce alla verità, il pellegrinaggio che porta alla pace. Vi ringrazio tutti di cuore!



AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DI ANGOLA E SÃO TOMÉ (C.E.A.S.T.) IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Sala del Concistoro Sabato, 29 ottobre 2011

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Signor Cardinale,
Amati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,

Nella gioia della fede, il cui annuncio è il nostro servizio comune di Pastori, vi do il benvenuto a questo nostro incontro in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Questa ha luogo dopo la mia visita a Luanda, nel marzo 2009, durante la quale ho potuto stare con voi e con voi celebrare Gesù Cristo in mezzo a un popolo che non si stanca di cercarlo, amarlo e servirlo con generosità e gioia. Serbo quel popolo nel cuore e, in un certo senso, attendevo la vostra visita per avere sue notizie. Ringrazio monsignor Gabriele Mbilingi, Arcivescovo di Lubango e Presidente della Conferenza Episcopale, per la presentazione delle vostre comunità, con le loro sfide e le loro speranze al momento presente e con la forza e i favori di cui il Cielo le la dotate. Il vostro aiuto reciproco e fraterno, la sollecitudine per il popolo di Dio in Angola e a São Tomé e Príncipe, l’unione con il Papa e il desiderio di restare fedeli al Signore sono per me fonte di profonda gioia e sentita azione di rendimento di grazie.

Voi, amati Fratelli, in virtù della missione apostolica ricevuta, siete in grado di introdurre il vostro popolo nel cuore del mistero della fede, incontrando la persona viva di Gesù Cristo. Nella speranza di «mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo» (Motu proprio Porta fidei, n. 2), ho deciso di proclamare un Anno della Fede, affinché l’intera Chiesa possa offrire a tutti un volto più bello e credibile, trasparenza più limpida del volto del Signore. Come giustamente ha sottolineato la Seconda Assemblea per l’Africa del Sinodo dei vescovi, i cui frutti, sotto la consueta forma di Esortazione Apostolica, spero di poter affidare a tutto il popolo di Dio nella mia prossima visita in Benin, «il primo e specifico contributo della Chiesa ai popoli d’Africa è la proclamazione del Vangelo di Cristo. Siamo perciò impegnati a continuare vigorosamente la proclamazione del Vangelo ai popoli d’Africa, perché «la vita in Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo ... Infatti l’impegno a favore dello sviluppo proviene da quel cambiamento del cuore che deriva dalla conversione al Vangelo» (Messaggio conclusivo, n. 15). Non si tratta di annunciare «una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova» (Esortazione Apostolica Verbum Domini, n. 93).

In verità, i cristiani respirano lo spirito del loro tempo e subiscono la pressione dei costumi della società in cui vivono: ma, attraverso la grazia del battesimo, sono chiamati a rinunciare alle tendenze dannose imperanti e a camminare controcorrente, guidati dallo spirito delle Beatitudini. In questa ottica, vorrei affrontare tre scogli, dove naufraga la volontà di molti abitanti dell’Angola e di São Tomé che hanno aderito a Cristo. Il primo è il cosiddetto «amigamento» (concubinato), che contraddice il piano di Dio per la procreazione e la famiglia umana. Il ridotto numero di matrimoni cattolici, nelle vostre comunità, indica un’ipoteca che grava sulla famiglia, della quale conosciamo il valore insostituibile per la stabilità dell’edificio sociale. Consapevole di questo problema, la vostra Conferenza Episcopale ha scelto il matrimonio e la famiglia come priorità pastorali del triennio in corso. Che Dio ricopra di frutti le iniziative per il bene di questa causa! Aiutate le coppie sposate ad acquisire la maturità umana e spirituale necessaria per assumere in modo responsabile la loro missione di coniugi e di genitori cristiani, ricordando loro che l’amore sponsale deve essere unico e indissolubile, come l’alleanza fra Cristo e la sua Chiesa. Questo tesoro prezioso deve essere salvaguardato, a ogni costo.

Un secondo scoglio nella vostra opera di evangelizzazione è il cuore dei battezzati ancora diviso fra il cristianesimo e le religioni tradizionali africane. Afflitti dai problemi della vita, non esitano a ricorrere a pratiche incompatibili con la sequela di Cristo (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica
CEC 2117). Effetto abominevole di ciò è l’emarginazione e persino l’uccisione di bambini e anziani, a cui sono condannati da falsi dettami di stregoneria. Ricordando che la vita umana è sacra in tutte le sue fasi e situazioni, continuate, cari vescovi, a alzare la vostra voce a favore delle sue vittime. Ma, trattandosi di un problema regionale, è opportuno uno sforzo congiunto delle comunità ecclesiali provate da questa calamità, cercando di determinare il significato profondo di tali pratiche, d’identificare i rischi pastorali e sociali da esse veicolati e di giungere a un metodo che conduca al suo definitivo sradicamento, con la collaborazione dei governi e della società civile.

Infine, vorrei parlare dei residui del tribalismo etnico percepibili negli atteggiamenti di comunità che tendono a chiudersi, non accettando persone originarie di altre parti della nazione. Esprimo il mio apprezzamento per quelli di voi che hanno accettato una missione pastorale fuori dai confini del proprio gruppo regionale e linguistico, e ringrazio i sacerdoti e le persone che vi hanno accolto e aiutato. Nella Chiesa, come nuova famiglia di tutti coloro che credono in Cristo (cfr. Mc 3,31-35), non c’è posto per nessun tipo di divisione. «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo» (Giovanni Paolo II, Lettera Novo Millennio ineunte, 43). Attorno all’altare, si riuniscono gli uomini e le donne di tribù, lingue e nazioni diverse che, condividendo lo stesso corpo e lo stesso sangue di Gesù Eucaristia, diventano fratelli e sorelle realmente consanguinei (cfr. Rom Rm 8,29). Questo vincolo di fratellanza è più forte di quello delle nostre famiglie terrene e di quello delle vostre tribù.

Vorrei concludere queste mie considerazioni con alcune parole che ho pronunciato all’arrivo a Luanda, nella suddetta visita: «Dio ha concesso agli esseri umani di volare, al di sopra delle loro tendenze naturali, con le ali della ragione e della fede. Se vi fate sollevare da queste ali, non vi sarà difficile riconoscere nell’altro un fratello, che è nato con gli stessi diritti umani fondamentali». Sì, amati pastori dell’Angola e di São Tomé e Príncipe, formate un popolo di fratelli, che da qui abbraccio e saluto.

Portate il mio saluto affettuoso a tutti i membri delle vostre Chiese particolari: ai vescovi emeriti, ai sacerdoti e ai seminaristi, ai religiosi e alle religiose, ai catechisti e agli animatori dei movimenti e a tutti i fedeli laici. Mentre vi affido alla protezione della Vergine Maria, tanto amata nelle vostre nazioni soprattutto nel santuario di Mamã Muxima, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.





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