Discorsi 2005-13 16520

A S.E. IL SIGNOR BOUBACAR SIDIKI TOURÉ, NUOVO AMBASCIATORE DEL MALI PRESSO LA SANTA SEDE Sala Clementina Giovedì, 16 dicembre 2010

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Signor Ambasciatore,

Ricevo molto volentieri le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario del Mali presso la Santa Sede. In questa felice circostanza sono lieto di darle il benvenuto in Vaticano e la ringrazio per le sue cordiali parole, mediante le quali mi ha espresso l'omaggio rispettoso del Presidente della Repubblica e di tutto il popolo maliano. Le sarei grato se potesse trasmettere in cambio a Sua Eccellenza il Signor Amadou Toumani Touré, Capo di Stato, i miei sentimenti di gratitudine e di rispetto, e la certezza delle mie preghiere per la sua persona e per tutti i maliani.

Come molti altri Paesi africani, il Mali ha celebrato quest'anno il cinquantesimo anniversario della sua indipendenza. Vorrei congratularmi con tutti i maliani per i considerevoli progressi compiuti in questo mezzo secolo. Come lei sa, Signor Ambasciatore, i progressi realizzati sono sempre accompagnati da sfide da accogliere. Cito fra le altre la pace sociale, l'educazione e il diritto all'alimentazione. Per edificare una società pacifica e stabile, il Mali può attingere al suo patrimonio culturale che racchiude valori umani, intellettuali e religiosi. Vi incoraggio a conservarli e a trasmetterli alle nuove generazioni, poiché una società servita da persone dotate di una profonda perspicacia morale promuove sempre la giustizia e la pace. I responsabili di una simile società sanno superare i propri interessi per essere governanti virtuosi e totalmente dediti al bene comune. Sanno anche coltivare rapporti umani animati dalla fiducia e dalla solidarietà, dal rispetto reciproco e dal dialogo sincero. Incoraggio dunque i diversi responsabili maliani ad aiutare i loro concittadini a riconciliarsi fra di essi dopo i confitti che hanno costellato la storia recente del Mali. Li invito anche a lottare contro ogni discriminazione basata sull'etnia e sulla religione. È in effetti legittimo che l'identità propria di ogni comunità etnica o religiosa possa esprimersi visibilmente, nel rispetto reciproco, favorendo una coesistenza pacifica a tutti i livelli della comunità nazionale (cfr. Discorso ai Vescovi del Mali, 18 maggio 2007).

Guardando al futuro, il Governo maliano ha inserito fra le sue priorità la formazione di dirigenti capaci di assicurare lo sviluppo del Paese. In un mondo caratterizzato dall'interdipendenza dei popoli e dalla rapida diffusione di un mimetismo dei comportamenti umani accompagnato da un crescente individualismo, l'educazione costituisce una necessità vitale ed esistenziale. Essa non può però ridursi a un'accumulazione di conoscenze intellettuali o di competenze tecniche. Il saper-fare dovrebbe andare di pari passo con il saper-vivere e il saper-essere che, fondati sulla saggezza umana e sulle risorse spirituali, riflettono maggiormente la verità essenziale dell'esistenza umana. È per questo che, nell'educazione dei figli, le famiglie maliane non si accontentano dei risultati scolastici da conseguire, ignorando le virtù umane, culturali e religiose. Che esse offrano ai loro figli quei punti di riferimento che li condurranno alla verità sulla vita, sul dovere di solidarietà e di dialogo che sono connaturati alla natura umana! Spetta altresì allo Stato sostenere le famiglie nel loro compito educativo e vegliare sulla qualità intellettuale e umana del personale docente. Che i giovani maliani non si lascino sedurre dal guadagno facile che potrebbe indurli a venire a patti con reti che spingono alla criminalità e al traffico della droga!

Il suo Paese si è impegnato, Signor Ambasciatore, sul cammino di uno sviluppo armonioso, elaborando progetti fra i quali il nuovo Codice delle persone e della famiglia. Nutro grande speranza nel fatto che possa aiutare a colmare le disuguaglianze fra le persone e i gruppi sociali. Questo nuovo Codice contribuirà alla pace sociale se i responsabili del suo Paese si adopereranno anche per assicurare il diritto all'alimentazione. Plaudendo agli sforzi compiuti per accrescere la produzione del cotone e del riso, incoraggio il suo Governo ad affrontare il problema dell'insicurezza alimentare "eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo ... mediante investimenti... capaci di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello locale... Tutto ciò va realizzato coinvolgendo le comunità locali nelle scelte e nelle decisioni relative all'uso della terra coltivabile" (Caritas in veritate, ).

Come lei ha potuto constatare, Eccellenza, molti dirigenti del suo Paese sono stati formati in scuole cattoliche. L'impegno della Chiesa nella formazione e nell'educazione, come pure nei campi caritativo, sanitario e sociale, dimostra la sua volontà di collaborare con lo Stato, pur conservando la natura particolare delle sue strutture. Colgo l'occasione per plaudire alla Convenzione sulle cure sanitarie, firmata fra la Conferenza episcopale e il ministero della Sanità del Mali, come pure all'impegno assunto da tale ministero a concedere sovvenzioni alle strutture sanitarie ecclesiali.

Per concludere, saluto calorosamente, per mezzo di lei, la comunità cattolica del Mali con i suoi pastori, e l'invito a proseguire nella sua testimonianza coraggiosa e gioiosa della fede e dell'amore fraterno insegnato da Cristo. Desidero incoraggiare anche gli sforzi compiti dalla Conferenza episcopale e dal Governo per consolidare le relazioni di stima reciproca tra il Mali e la Santa Sede.
Mentre lei inaugura la sua missione, le formulo, Signor Ambasciatore, i miei voti migliori, assicurandola del sostegno dei diversi servizi della Curia romana per lo svolgimento della sua funzione. A tal fine, invoco volentieri su di lei e sulla sua famiglia, come pure sui suoi collaboratori, l'abbondanza delle Benedizioni divine.


AI NUOVI AMBASCIATORI PRESSO LA SANTA SEDE IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE COLLETTIVA DELLE LETTERE CREDENZIALI Sala Clementina Giovedì, 16 dicembre 2010

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Signora e Signori Ambasciatori,

È per me una gioia ricevervi questa mattina nel Palazzo Apostolico per la presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la Santa Sede: il Nepal, lo Zambia, il Principato di Andorra, la Repubblica delle Seychelles e il Mali. Mi avete appena rivolto cordiali parole da parte dei vostri rispettivi Capi di Stato e vi ringrazio per questo. Vi sarei grato se in cambio poteste trasmettere loro i miei deferenti saluti e i miei voti rispettosi per la loro persona e per l'alta missione che svolgono al servizio del loro Paese e del loro popolo. Attraverso di voi desidero salutare anche tutte le autorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure tutti i vostri concittadini. Le mie preghiere e i miei pensieri vanno naturalmente anche alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi. Vivendo il Vangelo, si preoccupano di testimoniare uno spirito di collaborazione fraterna.

Vorrei, Eccellenze, parlarvi della fratellanza umana. Si è fatto appello a essa in modo accorato durante tutto l'anno per assistere Haiti, martoriata prima da un terremoto e poi dal colera. Altre tragedie, purtroppo, hanno colpito altri Paesi nel corso dell'anno. I vostri Paesi, la comunità internazionale e il mondo associativo hanno risposto a richieste d'aiuto particolarmente urgenti, aiuto che naturalmente sarebbe bene proseguire e intensificare. Da parte sua, e attraverso le sue diverse istituzioni, la Chiesa dà un contributo multiforme che prolungherà nel tempo.

Il bell'ideale della fratellanza, che si ritrova nel motto nazionale di molti Paesi, ha trovato una risonanza minore nello sviluppo del pensiero filosofico rispetto ad altri ideali quali la libertà, l'uguaglianza, il progresso o l'unità. Si tratta di un principio che in gran parte è rimasto lettera morta nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell'influenza esercitata dalle ideologie individualistiche e collettivistiche (cfr. Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, n. 390). La fratellanza ha, come sapete, un significato particolare per i cristiani a causa del disegno di amore fraterno di Dio, di fratellanza quindi, rivelato da Cristo. D'altronde, nella mia ultima Enciclica Caritas in veritate, ho abbondantemente affrontato questo tema indispensabile per una coabitazione umana armoniosa.

Per vivere degnamente, ogni essere umano ha bisogno di rispetto; ha anche bisogno che gli sia resa giustizia e che i suoi diritti vengano riconosciuti in modo concreto. Tuttavia, ciò non basta per condurre una vita pienamente umana: di fatto, la persona ha bisogno anche di fratellanza. Ciò è vero non solo nelle relazioni di prossimità, ma anche su scala planetaria. Ora, se il processo di globalizzazione in atto avvicina gli esseri umani gli uni agli altri, non ne fa per questo dei fratelli. Si tratta qui di una problematica più ampia, poiché, come osservava il mio predecessore Papa Paolo vi, il sottosviluppo ha come causa profonda la mancanza di fraternità (cfr. Populorum progressio PP 66).

La ragione umana è in grado di riconoscere l'uguaglianza di tutti gli uomini e la necessità di limitare le disparità eccessive tra loro, ma si dimostra incapace di istituire la fratellanza. Questa è un dono soprannaturale. Da parte sua, la Chiesa vede la realizzazione della fratellanza umana in terra come una vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio, del quale vuole diventare, sempre più fedelmente, operaia sul piano sia universale sia locale, così come lo è nei Paesi che voi rappresentate presso la Santa Sede.

Se la Chiesa, svolgendo la missione specificamente spirituale che Cristo le ha affidato, suscita tra i suoi discepoli una vicinanza particolare, ella nondimeno desidera dare il suo contributo, sincero e forte, alla formazione di una comunità più fraterna tra tutti gli esseri umani. È per questo che impedisce a sé stessa d'agire come una lobby, preoccupata solo dei propri interessi, ma opera, sotto lo sguardo di Colui che è il Creatore di tutti gli uomini, volendo onorare la dignità di tutti. Si sforza quindi di porre l'amore e la pace alla base dei molteplici legami umani che uniscono le persone le une alle altre, come ha voluto Dio nella sua sapienza creatrice.

Nella vita quotidiana, la fratellanza trova un'espressione concreta nella gratuità e nel rispetto. Questi sono chiamati a manifestarsi in tutti gli ambiti dell'attività umana, compresa quella economica. L'identità profonda dell'uomo, il suo essere in relazione, si esprime anche nella sua attività economica, che è uno dei campi di maggiore cooperazione tra gli uomini. Attraverso la mia ultima Enciclica ho voluto mettere in evidenza il fatto che l'economia è un luogo in cui anche il dono è possibile e perfino necessario (cfr. Caritas in veritate, n. 34-39)

Ogni forma di dono è, in definitiva, un segno della presenza di Dio, poiché conduce alla scoperta fondamentale che in origine tutto è donato. Una tale presa di coscienza non rende le conquiste dell'uomo meno belle, ma le libera dalla prima di tutte le schiavitù, quella di volersi creare da soli. Al contrario, riconoscendo ciò che gli viene donato, l'uomo può aprirsi all'azione della grazia e comprendere che è chiamato a svilupparsi, non contro o accanto agli altri, ma con e in comunione con loro.

Nondimeno, se la fratellanza vissuta tra gli uomini può trovare un'eco positiva sul piano della "efficacia sociale", non bisogna dimenticare che essa non costituisce un mezzo, ma che è un fine in se stessa (cfr. Caritas in veritate ). La Chiesa crede in Cristo che ci rivela che Dio è amore (cfr.
Jn 4,8). È inoltre convinta che, a tutti coloro che credono nella carità divina, Dio dà la certezza che "la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" (Gaudium et spes GS 38).

Come diplomatici, senza alcun dubbio vi interessate in modo particolare ai differenti aspetti della vita politico-sociale che ho appena trattato. Durante la vostra missione presso la Sede Apostolica avrete la possibilità, Eccellenze, di scoprire più direttamente le azioni e le preoccupazioni della Chiesa in tutti i continenti. Troverete presso i miei collaboratori una cortese attenzione. Su di voi, sulle vostre famiglie, sui membri delle vostre Missioni diplomatiche e su tutte le nazioni che rappresentate invoco l'abbondanza delle Benedizioni divine.


A S.E. MUNIB A. YOUNAN, PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE LUTERANA MONDIALE Sala Clementina Giovedì, 16 dicembre 2010

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Caro Vescovo Younan,
cari amici luterani,

sono felice di salutare voi, rappresentanti della Federazione Luterana Mondiale, in occasione della vostra visita ufficiale a Roma. Porgo i miei cordiali migliori auspici al Vescovo Munib Younan e al Reverendo Martin Junge per le loro elezioni rispettivamente a Presidente e a Segretario Generale, insieme con le mie preghiere per il loro mandato.

Cinque anni fa, all'inizio del mio pontificato, ho avuto la gioia di ricevere i vostri predecessori e di esprimere la mia speranza che i contatti stretti e il dialogo intenso che hanno caratterizzato le relazioni ecumeniche fra cattolici e luterani continuino a recare frutti abbondanti. Con gratitudine possiamo valutare i frutti numerosi e significativi prodotti da questi decenni di dibattiti bilaterali. Con l'aiuto di Dio è stato possibile lentamente e con pazienza rimuovere le barriere e promuovere i vincoli visibili di unità per mezzo del dialogo teologico e della cooperazione pratica, in particolare a livello di comunità locali.

Lo scorso anno è stato celebrato il decimo anniversario della firma della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, che si è dimostrata un passo importante lungo il difficile cammino verso il ripristino della piena unità fra cristiani e uno stimolo a un ulteriore dibattito ecumenico. In questi anni che portano al cinquecentesimo anniversario degli eventi del 1517, cattolici e luterani sono chiamati a riflettere di nuovo su dove il nostro cammino verso l'unità ci ha condotto e a implorare la guida e l'aiuto del Signore per il futuro. Sono lieto di osservare che, per l'occasione, la Commissione internazionale luterano-cattolica per l'unità sta preparando un testo congiunto che documenterà che cosa i luterani e i cattolici, a questo punto, sono in grado di affermare insieme a proposito delle loro relazioni più strette dopo quasi cinque secoli di separazione. Per spiegare ulteriormente l'idea di Chiesa, che è il punto focale del dialogo ecumenico oggi, la Commissione sta studiando il seguente tema: Battesimo e crescente comunione ecclesiale. Spero che queste attività ecumeniche offrano nuove occasioni ai cattolici e ai luterani di crescere avvicinandosi di più nella vita, nella testimonianza del Vangelo e nei loro sforzi per portare la luce di Cristo in tutte le dimensioni della società.

In questi giorni di gioiosa preparazione per la celebrazione del Natale, affidiamoci gli uni agli altri e affidiamo la nostra ricerca comune di unità al Signore, il quale è la novità autentica che supera tutte le nostre umane aspettative (cfr. Ireneo,Adv. Haer., IV, 34, 1).

Che la pace e la gioia di questo tempo di Natale sia con tutti voi.




A S.E. IL SIGNOR FRANCESCO MARIA GRECO, NUOVO AMBASCIATORE D'ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 17 dicembre 2010

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Signor Ambasciatore,

sono lieto di accogliere le Lettere con le quali il Presidente della Repubblica Italiana La accredita Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario presso la Santa Sede. Nel ringraziarLa per le nobili espressioni che mi ha indirizzato, il mio pensiero si estende al Capo dello Stato, alle altre Autorità e a tutto il caro Popolo italiano. Continuamente ho l’occasione di constatare come sia forte la consapevolezza dei particolari vincoli fra la Sede di Pietro e l’Italia, che trovano significativa espressione sia nell’attenzione che le Autorità civili hanno per il Successore del Principe degli Apostoli e per la Santa Sede, sia nell’affetto che la gente d’Italia mi dimostra con tanto entusiasmo qui a Roma e durante i viaggi che compio nel Paese, come è avvenuto anche di recente in occasione della mia visita a Palermo. Vorrei assicurare che la mia preghiera accompagna da vicino le vicende liete e tristi dell’Italia, per la quale chiedo al Datore di ogni bene di conservarle il tesoro prezioso della fede cristiana e di concederle i doni della concordia e della prosperità.

In questa felice circostanza Le porgo, col mio cordiale benvenuto, un fervido augurio per l’impegnativa missione che Ella oggi ufficialmente assume. Infatti, l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede - la cui prestigiosa sede, legata anche alla memoria di san Carlo Borromeo, ho potuto visitare due anni or sono - costituisce un importante punto di raccordo per i rapporti di intensa collaborazione che intercorrono fra la Santa Sede e l’Italia, non solo dal punto di vista bilaterale, ma anche nel più ampio contesto della vita internazionale. Inoltre, la Rappresentanza diplomatica, di cui Ella assume la guida, offre un valido contributo allo sviluppo di armoniosi rapporti fra la comunità civile e quella ecclesiale nel Paese, e presta pure preziosi servizi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Sono certo che sotto la Sua guida questa intensa attività proseguirà con rinnovato slancio, e già da ora esprimo a Lei e ai Suoi collaboratori la mia viva riconoscenza.

Come Ella ha ricordato, hanno preso avvio le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unità d’Italia, occasione per una riflessione non solo di tipo commemorativo, ma anche di carattere progettuale, assai opportuna nella difficile fase storica attuale, nazionale ed internazionale. Sono lieto che anche i Pastori e le varie componenti della Comunità ecclesiale siano attivamente coinvolti nella rievocazione del processo di unificazione della Nazione iniziato nel 1861.

Ora, uno degli aspetti più rilevanti di quel lungo, a volte faticoso e contrastato, cammino, che ha condotto all’odierna fisionomia dello Stato italiano, è costituito dalla ricerca di una corretta distinzione e di giuste forme di collaborazione fra la comunità civile e quella religiosa, esigenza tanto più sentita in un Paese come l’Italia, la cui storia e cultura sono così profondamente segnate dalla Chiesa cattolica e nella cui capitale ha la sua sede episcopale il Capo visibile di tale Comunità, diffusa in tutto il mondo. Queste caratteristiche, che da secoli fanno parte del patrimonio storico e culturale dell’Italia, non possono essere negate, dimenticate o emarginate; l’esperienza di questi 150 anni insegna che quando si è cercato di farlo, si sono causati pericolosi squilibri e dolorose fratture nella vita sociale del Paese.

A questo riguardo, Vostra Eccellenza ha opportunamente richiamato l’importanza dei Patti del Laterano e dell’Accordo di Villa Madama, che fissano le coordinate di un giusto equilibrio di rapporti, del quale si avvantaggiano la Sede Apostolica così come lo Stato e la Chiesa in Italia. Infatti, il Trattato Lateranense, configurando lo Stato della Città del Vaticano e prevedendo una serie di immunità personali e reali, ha posto le condizioni per assicurare al Pontefice e alla Santa Sede piena sovranità e indipendenza, a tutela della sua missione universale. A sua volta, l’Accordo di modifica del Concordato mira fondamentalmente a garantire il pieno esercizio della libertà religiosa, di quel diritto cioè, che è storicamente e oggettivamente il primo tra quelli fondamentali della persona umana. E’ perciò di grande importanza osservare e, allo stesso tempo, sviluppare la lettera e lo spirito di quegli Accordi e di quelli che ne sono derivati, ricordando che essi hanno garantito e possono ancora garantire una serena convivenza della società italiana.

Quei patti internazionali non sono espressione di una volontà della Chiesa o della Santa Sede di ottenere potere, privilegi o posizioni di vantaggio economico e sociale, né con essi si intende sconfinare dall’ambito che è proprio della missione assegnata dal Divino Fondatore alla Sua comunità in terra. Al contrario, tali accordi hanno il loro fondamento nella giusta volontà da parte dello Stato di garantire ai singoli e alla Chiesa il pieno esercizio della libertà religiosa, diritto che ha una dimensione non solo personale, perché “la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario” (CONC. VAT. II, Dich. Dignitatis humanae
DH 3). La libertà religiosa è, quindi, un diritto, oltre che del singolo, della famiglia, dei gruppi religiosi e della Chiesa (cfr ibid., 4-5.13), e lo Stato è chiamato a tutelare non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione e delle comunità religiose nella sfera pubblica.

Il retto esercizio e il corrispettivo riconoscimento di questo diritto consentono alla società di avvalersi delle risorse morali e della generosa attività dei credenti. Per questo non si può pensare di conseguire l’autentico progresso sociale, percorrendo la via dell’emarginazione o perfino del rifiuto esplicito del fattore religioso, come ai nostri tempi si tende a fare con varie modalità. Una di queste è, ad esempio, il tentativo di eliminare dai luoghi pubblici l’esposizione dei simboli religiosi, primo fra tutti il Crocifisso, che è certamente l’emblema per eccellenza della fede cristiana, ma che, allo stesso tempo, parla a tutti gli uomini di buona volontà e, come tale, non è fattore che discrimina. Desidero esprimere il mio apprezzamento al Governo italiano che a questo riguardo si è mosso in conformità a una corretta visione della laicità e alla luce della sua storia, cultura e tradizione, trovando in ciò il positivo sostegno anche di altre Nazioni europee.

Mentre in alcune società vi sono tentativi di emarginare la dimensione religiosa, le cronache recenti ci testimoniano come ai nostri giorni vengano compiute anche delle aperte violazioni della libertà religiosa. Di fronte a questa dolorosa realtà, la società italiana e le sue Autorità hanno dimostrato una particolare sensibilità per la sorte di quelle minoranze cristiane, che, a motivo della loro fede, subiscono violenze, vengono discriminate o sono costrette ad una forzata emigrazione dalla loro patria. Auspico che possa crescere ovunque la consapevolezza di questa problematica e, conseguentemente, vengano intensificati gli sforzi per vedere realizzato, ovunque e per tutti, il pieno rispetto della libertà religiosa. Sono certo che all’impegno in tal senso da parte della Santa Sede non mancherà l’appoggio dell’Italia in ambito internazionale.

Signor Ambasciatore, concludendo le mie riflessioni, desidero assicurarLe che, nel compimento dell’alta missione a Lei affidata, Ella potrà contare sul sostegno mio e dei miei collaboratori. Soprattutto invoco su questi inizi la protezione della Madre di Dio, così amata e venerata in tutta la Penisola, e dei Patroni della Nazione, i santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, e imparto di cuore a Lei, alla Sua famiglia, ai Suoi collaboratori e al caro Popolo italiano la Benedizione Apostolica.



ALLA DELEGAZIONE DAL SUD TIROLO, PER IL DONO DELL'ALBERO DI NATALE IN PIAZZA SAN PIETRO Sala Clementina Venerdì, 17 dicembre 2010

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Liebe Freunde!
Cari fratelli e sorelle!

Mit Freude heiße ich euch alle willkommen, die ihr mir euren schönen Christbaum aus Lüsen zum Geschenk macht. Ganz herzlich grüße ich euch alle, angefangen bei Bischof Karl Golser, dem ich für seine lieben Worte danke. Mit ihm grüße ich stellvertretend die Priester, die Ordensleute, die Pfarrgemeinderäte und alle Gläubigen aus den Städten, Orten und Tälern eures schönen Landes, das tief vom Glauben geprägt ist. Ich begrüße den Herrn Landeshauptmann von Südtirol und den Bürgermeister der Stadt Brixen und danke ihnen für die guten Worte, die sie an mich gerichtet haben und die mir wirklich das Gefühl vermittelt haben, in Südtirol zu Hause zu sein und von ihrer Freundschaft umgeben und begleitet zu sein. Mein Gruß gilt ebenso den Vertretern der Stadt Brixen und der Gemeinde Lüsen, des Schützenbezirks Brixen und der Bezirksgemeinschaft Eisacktal. Ein besonderes »Grüß Gott« sage ich dem Bürgermeister von Natz-Schabs, der mir die Ehrenbürgerwürde verleihen wird – in Erinnerung an meine liebe Großmutter mütterlicherseits, die aus Raas, einer Fraktion dieser Gemeinde, stammte. Ein herzliches »Vergelt’s Gott« für dieses geschätzte Zeichen eurer Verbundenheit! In meinen Gruß schließe ich auch alle anderen Vertreter des öffentlichen Lebens ein wie euch alle, die ihr mit euren Trachten, der stimmungsvollen Musik und den heimischen Spezialitäten gekommen seid, um hier in Rom die Traditionen eures wunderschönen Landes bekannt zu machen.

Ich weiß, daß dieses besondere Ereignis Interesse geweckt und die gesamte Bevölkerung des Landes einbezogen hat. Vor allem haben sich, wie ich höre, die Brixner Frauen um die Anfertigung der Strohsterne gekümmert, eines für den deutschen Sprachraum typischen Christbaumschmucks. Euch allen danke ich für die ganz besondere Gabe dieser schönen Fichte wie auch für all die anderen Christbäume, die den Apostolischen Palast und den Bereich des Vatikans weihnachtlich schmücken werden und mir auch das Bewußtsein der Anwesenheit Südtirols in meiner Wohnung geben. Möge diese großherzige Initiative alle Menschen in Südtirol dazu anregen, die Werte des Lebens, der Liebe und des Friedens in ihrem persönlichen Umfeld zu bezeugen, die das Christfest uns jedes Jahr neu nahelegt.

Heuer kommt der Christbaum für den Petersplatz aus dem malerischen Ort Lüsen unweit des Peitlerkofels in den gewaltigen Dolomiten. Die außerordentliche Schönheit dieser Landschaft lädt uns ein, die Größe unseres Schöpfers zu erkennen, dessen Liebe unaufhörlich in seinem wunderbaren Werk der Natur durchscheint, um dann auch das Herz des Menschen hell zu machen und mit Frieden und Freude zu erfüllen.

Stasera, al termine della cerimonia di consegna ufficiale, alla presenza del Cardinale Giovanni Lajolo, Presidente del Governatorato, verranno accese le luci che ornano l’abete. Esso, raccolto a un’altitudine di circa 1500 metri e tagliato senza recare danno alla vita del bosco, resterà accanto al presepe fino al termine delle festività natalizie e sarà ammirato dai numerosi pellegrini e turisti provenienti da ogni parte del mondo, quale significativo simbolo della luce che Cristo, con la sua nascita, ha recato all’umanità. Egli, il Messia, si è fatto uomo ed è venuto in mezzo a noi, per dissipare le tenebre dell’errore e del peccato, compiendo “in modo insuperabile la condiscendenza di Dio” (Esort. Ap. Verbum Domini, 11). Avere fede in Lui significa accogliere in sé stessi la luce che è Cristo Gesù.

L’albero di Natale arricchisce il valore simbolico del presepe, che è un messaggio di fraternità e di amicizia; un invito all’unità e alla pace; un invito a far posto, nella nostra vita e nella società, a Dio, il quale ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo, perché vuole che al suo amore rispondiamo liberamente con il nostro amore. Il presepe e l’albero portano quindi un messaggio di speranza e di amore, e aiutano a creare il clima propizio per vivere nella giusta dimensione spirituale e religiosa il mistero della Nascita del Redentore.

Liebe Freunde, von Herzen wünsche ich euch allen hier Anwesenden und euren Landsleuten ein besinnliches und unbeschwertes Christfest. Ich versichere euch, an der Krippe für euch, für eure Familien und für alle Menschen in eurer Heimat zu beten, und erteile euch allen von Herzen meinen Apostolischen Segen. Gesegnete Weihnachten!




AI CARDINALI, ARCIVESCOVI E VESCOVI, PRELATURA ROMANA, PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI Sala Regia Lunedì, 20 dicembre 2010

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Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

È con vivo piacere che vi incontro, cari Membri del Collegio Cardinalizio, Rappresentanti della Curia Romana e del Governatorato, per questo appuntamento tradizionale. Rivolgo a ciascuno un cordiale saluto, ad iniziare dal Cardinale Angelo Sodano, che ringrazio per le espressioni di devozione e di comunione, e per i fervidi auguri che mi ha rivolto a nome di tutti. Prope est jam Dominus, venite, adoremus! Contempliamo come un’unica famiglia il mistero dell’Emmanuele, del Dio-con-noi, come ha detto il Cardinale Decano. Ricambio volentieri i voti augurali e desidero ringraziare vivamente tutti, compresi i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per l’apporto competente e generoso che ciascuno presta al Vicario di Cristo e alla Chiesa.

Excita, Domine, potentiam tuam, et veni” – con queste e con simili parole la liturgia della Chiesa prega ripetutamente nei giorni dell’Avvento. Sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando. Frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre un freno a tale declino. Tanto più insistente era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce.

Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”. Anche oggi abbiamo motivi molteplici per associarci a questa preghiera di Avvento della Chiesa. Il mondo con tutte le sue nuove speranze e possibilità è, al tempo stesso, angustiato dall’impressione che il consenso morale si stia dissolvendo, un consenso senza il quale le strutture giuridiche e politiche non funzionano; di conseguenza, le forze mobilitate per la difesa di tali strutture sembrano essere destinate all’insuccesso.

Excita – la preghiera ricorda il grido rivolto al Signore, che stava dormendo nella barca dei discepoli sbattuta dalla tempesta e vicina ad affondare. Quando la sua parola potente ebbe placato la tempesta, Egli rimproverò i discepoli per la loro poca fede (cfr par.). Voleva dire: in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di svegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo.

Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”: nelle grandi angustie, alle quali siamo stati esposti in quest’anno, tale preghiera di Avvento mi è sempre tornata di nuovo alla mente e sulle labbra. Con grande gioia avevamo iniziato l’Anno sacerdotale e, grazie a Dio, abbiamo potuto concluderlo anche con grande gratitudine, nonostante si sia svolto così diversamente da come ce l’eravamo aspettato. In noi sacerdoti e nei laici, proprio anche nei giovani, si è rinnovata la consapevolezza di quale dono rappresenti il sacerdozio della Chiesa Cattolica, che ci è stato affidato dal Signore. Ci siamo nuovamente resi conto di quanto sia bello che esseri umani siano autorizzati a pronunciare in nome di Dio e con pieno potere la parola del perdono, e così siano in grado di cambiare il mondo, la vita; quanto sia bello che esseri umani siano autorizzati a pronunciare le parole della consacrazione, con cui il Signore attira dentro di sé un pezzo di mondo, e così in un certo luogo lo trasforma nella sua stessa sostanza; quanto sia bello poter essere, con la forza del Signore, vicino agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore importanti come in quelle buie dell’esistenza; quanto sia bello avere nella vita come compito non questo o quell’altro, ma semplicemente l’essere stesso dell’uomo – per aiutare che si apra a Dio e sia vissuto a partire da Dio. Tanto più siamo stati sconvolti quando, proprio in quest’anno e in una dimensione per noi inimmaginabile, siamo venuti a conoscenza di abusi contro i minori commessi da sacerdoti, che stravolgono il Sacramento nel suo contrario: sotto il manto del sacro feriscono profondamente la persona umana nella sua infanzia e le recano un danno per tutta la vita.

In questo contesto, mi è venuta in mente una visione di sant’Ildegarda di Bingen che descrive in modo sconvolgente ciò che abbiamo vissuto in quest’anno. “Nell’anno 1170 dopo la nascita di Cristo ero per un lungo tempo malata a letto. Allora, fisicamente e mentalmente sveglia, vidi una donna di una bellezza tale che la mente umana non è in grado di comprendere. La sua figura si ergeva dalla terra fino al cielo. Il suo volto brillava di uno splendore sublime. Il suo occhio era rivolto al cielo. Era vestita di una veste luminosa e raggiante di seta bianca e di un mantello guarnito di pietre preziose. Ai piedi calzava scarpe di onice. Ma il suo volto era cosparso di polvere, il suo vestito, dal lato destro, era strappato. Anche il mantello aveva perso la sua bellezza singolare e le sue scarpe erano insudiciate dal di sopra. Con voce alta e lamentosa, la donna gridò verso il cielo: ‘Ascolta, o cielo: il mio volto è imbrattato! Affliggiti, o terra: il mio vestito è strappato! Trema, o abisso: le mie scarpe sono insudiciate!’

E proseguì: ‘Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa.

Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno un buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità’.

E sentii una voce dal cielo che diceva: ‘Questa immagine rappresenta la Chiesa. Per questo, o essere umano che vedi tutto ciò e che ascolti le parole di lamento, annuncialo ai sacerdoti che sono destinati alla guida e all’istruzione del popolo di Dio e ai quali, come agli apostoli, è stato detto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura»’ (
Mc 16,15)” (Lettera a Werner von Kirchheim e alla sua comunità sacerdotale: PL 197, 269ss).

Nella visione di sant’Ildegarda, il volto della Chiesa è coperto di polvere, ed è così che noi l’abbiamo visto. Il suo vestito è strappato – per la colpa dei sacerdoti. Così come lei l’ha visto ed espresso, l’abbiamo vissuto in quest’anno. Dobbiamo accogliere questa umiliazione come un’esortazione alla verità e una chiamata al rinnovamento. Solo la verità salva. Dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano, così che una tale cosa potesse accadere. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza. Dobbiamo sforzarci di tentare tutto il possibile, nella preparazione al sacerdozio, perché una tale cosa non possa più succedere. È questo anche il luogo per ringraziare di cuore tutti coloro che si impegnano per aiutare le vittime e per ridare loro la fiducia nella Chiesa, la capacità di credere al suo messaggio. Nei miei incontri con le vittime di questo peccato, ho sempre trovato anche persone che, con grande dedizione, stanno a fianco di chi soffre e ha subito danno. È questa l’occasione per ringraziare anche i tanti buoni sacerdoti che trasmettono in umiltà e fedeltà la bontà del Signore e, in mezzo alle devastazioni, sono testimoni della bellezza non perduta del sacerdozio.

Siamo consapevoli della particolare gravità di questo peccato commesso da sacerdoti e della nostra corrispondente responsabilità. Ma non possiamo neppure tacere circa il contesto del nostro tempo in cui è dato vedere questi avvenimenti. Esiste un mercato della pornografia concernente i bambini, che in qualche modo sembra essere considerato sempre più dalla società come una cosa normale. La devastazione psicologica di bambini, in cui persone umane sono ridotte ad articolo di mercato, è uno spaventoso segno dei tempi. Da Vescovi di Paesi del Terzo Mondo sento sempre di nuovo come il turismo sessuale minacci un’intera generazione e la danneggi nella sua libertà e nella sua dignità umana. L’Apocalisse di san Giovanni annovera tra i grandi peccati di Babilonia – simbolo delle grandi città irreligiose del mondo – il fatto di esercitare il commercio dei corpi e delle anime e di farne una merce (cfr Ap 18,13). In questo contesto, si pone anche il problema della droga, che con forza crescente stende i suoi tentacoli di polipo intorno all’intero globo terrestre – espressione eloquente della dittatura di mammona che perverte l’uomo. Ogni piacere diventa insufficiente e l’eccesso nell’inganno dell’ebbrezza diventa una violenza che dilania intere regioni, e questo in nome di un fatale fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata e alla fine annullata del tutto.

Per opporci a queste forze dobbiamo gettare uno sguardo sui loro fondamenti ideologici. Negli anni Settanta, la pedofilia venne teorizzata come una cosa del tutto conforme all’uomo e anche al bambino. Questo, però, faceva parte di una perversione di fondo del concetto di ethos. Si asseriva – persino nell’ambito della teologia cattolica – che non esisterebbero né il male in sé, né il bene in sé. Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”. Niente sarebbe in se stesso bene o male. Tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male. La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere. Gli effetti di tali teorie sono oggi evidenti. Contro di esse Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Veritatis splendor del 1993, indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell’ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell’agire morale. Questo testo oggi deve essere messo nuovamente al centro come cammino nella formazione della coscienza. È nostra responsabilità rendere nuovamente udibili e comprensibili tra gli uomini questi criteri come vie della vera umanità, nel contesto della preoccupazione per l’uomo, nella quale siamo immersi.

Come secondo punto vorrei dire una parola sul Sinodo delle Chiese del Medio Oriente. Esso ebbe inizio con il mio viaggio a Cipro dove potei consegnare l’Instrumentum laboris per il Sinodo ai Vescovi di quei Paesi lì convenuti. Rimane indimenticabile l’ospitalità della Chiesa ortodossa che abbiamo potuto sperimentare con grande gratitudine. Anche se la piena comunione non ci è ancora donata, abbiamo tuttavia constatato con gioia che la forma basilare della Chiesa antica ci unisce profondamente gli uni con gli altri: il ministero sacramentale dei Vescovi come portatore della tradizione apostolica, la lettura della Scrittura secondo l’ermeneutica della Regula fidei, la comprensione della Scrittura nell’unità multiforme incentrata su Cristo sviluppatasi grazie all’ispirazione di Dio e, infine, la fede nella centralità dell’Eucaristia nella vita della Chiesa. Così abbiamo incontrato in modo vivo la ricchezza dei riti della Chiesa antica anche all’interno della Chiesa Cattolica. Abbiamo avuto liturgie con Maroniti e con Melchiti, abbiamo celebrato in rito latino e abbiamo avuto momenti di preghiera ecumenica con gli Ortodossi, e, in manifestazioni imponenti, abbiamo potuto vedere la ricca cultura cristiana dell’Oriente cristiano. Ma abbiamo visto anche il problema del Paese diviso. Si rendevano visibili colpe del passato e profonde ferite, ma anche il desiderio di pace e di comunione quali erano esistite prima. Tutti sono consapevoli del fatto che la violenza non porta alcun progresso – essa, infatti, ha creato la situazione attuale. Solo nel compromesso e nella comprensione vicendevole può essere ristabilita l’unità. Preparare la gente per questo atteggiamento di pace è un compito essenziale della pastorale.

Nel Sinodo lo sguardo si è poi allargato sull’intero Medio Oriente, dove convivono fedeli appartenenti a religioni diverse ed anche a molteplici tradizioni e riti distinti. Per quanto riguarda i cristiani, ci sono le Chiese pre-calcedonesi e quelle calcedonesi; Chiese in comunione con Roma ed altre che stanno fuori di tale comunione ed in entrambe esistono, uno accanto all’altro, molteplici riti. Negli sconvolgimenti degli ultimi anni è stata scossa la storia di condivisione, le tensioni e le divisioni sono cresciute, così che sempre di nuovo con spavento siamo testimoni di atti di violenza nei quali non si rispetta più ciò che per l’altro è sacro, nei quali anzi crollano le regole più elementari dell’umanità. Nella situazione attuale, i cristiani sono la minoranza più oppressa e tormentata. Per secoli sono vissuti pacificamente insieme con i loro vicini ebrei e musulmani. Nel Sinodo abbiamo ascoltato parole sagge del Consigliere del Mufti della Repubblica del Libano contro gli atti di violenza nei confronti dei cristiani. Egli diceva: con il ferimento dei cristiani veniamo feriti noi stessi. Purtroppo, però, questa e analoghe voci della ragione, per le quali siamo profondamente grati, sono troppo deboli. Anche qui l’ostacolo è il collegamento tra avidità di lucro ed accecamento ideologico. Sulla base dello spirito della fede e della sua ragionevolezza, il Sinodo ha sviluppato un grande concetto del dialogo, del perdono e dell’accoglienza vicendevole, un concetto che ora vogliamo gridare al mondo. L’essere umano è uno solo e l’umanità è una sola. Ciò che in qualsiasi luogo viene fatto contro l’uomo alla fine ferisce tutti. Così le parole e i pensieri del Sinodo devono essere un forte grido rivolto a tutte le persone con responsabilità politica o religiosa perché fermino la cristianofobia; perché si alzino a difendere i profughi e i sofferenti e a rivitalizzare lo spirito della riconciliazione. In ultima analisi, il risanamento può venire soltanto da una fede profonda nell’amore riconciliatore di Dio. Dare forza a questa fede, nutrirla e farla risplendere è il compito principale della Chiesa in quest’ora.

Mi piacerebbe parlare dettagliatamente dell’indimenticabile viaggio nel Regno Unito, voglio però limitarmi a due punti che sono correlati con il tema della responsabilità dei cristiani in questo tempo e con il compito della Chiesa di annunciare il Vangelo. Il pensiero va innanzitutto all’incontro con il mondo della cultura nella Westminster Hall, un incontro in cui la consapevolezza della responsabilità comune in questo momento storico creò una grande attenzione, che, in ultima analisi, si rivolse alla questione circa la verità e la stessa fede. Che in questo dibattito la Chiesa debba recare il proprio contributo, era evidente per tutti. Alexis de Tocqueville, a suo tempo, aveva osservato che in America la democrazia era diventata possibile e aveva funzionato, perché esisteva un consenso morale di base che, andando al di là delle singole denominazioni, univa tutti. Solo se esiste un tale consenso sull’essenziale, le costituzioni e il diritto possono funzionare. Questo consenso di fondo proveniente dal patrimonio cristiano è in pericolo là dove al suo posto, al posto della ragione morale, subentra la mera razionalità finalistica di cui ho parlato poco fa. Questo è in realtà un accecamento della ragione per ciò che è essenziale. Combattere contro questo accecamento della ragione e conservarle la capacità di vedere l’essenziale, di vedere Dio e l’uomo, ciò che è buono e ciò che è vero, è l’interesse comune che deve unire tutti gli uomini di buona volontà. È in gioco il futuro del mondo.

Infine, vorrei ancora ricordare la beatificazione del Cardinale John Henry Newman. Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? A queste domande si possono dare molte risposte, che nel contesto della beatificazione sono state sviluppate. Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa. Il primo è che dobbiamo imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un cammino spirituale che ci interessa tutti. Vorrei qui mettere in risalto solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente. Fino a quel momento, Newman pensava come la media degli uomini del suo tempo e come la media degli uomini anche di oggi, che non escludono semplicemente l’esistenza di Dio, ma la considerano comunque come qualcosa di insicuro, che non ha alcun ruolo essenziale nella propria vita. Veramente reale appariva a lui, come agli uomini del suo e del nostro tempo, l’empirico, ciò che è materialmente afferrabile. È questa la “realtà” secondo cui ci si orienta. Il “reale” è ciò che è afferrabile, sono le cose che si possono calcolare e prendere in mano. Nella sua conversione Newman riconosce che le cose stanno proprio al contrario: che Dio e l’anima, l’essere se stesso dell’uomo a livello spirituale, costituiscono ciò che è veramente reale, ciò che conta. Sono molto più reali degli oggetti afferrabili. Questa conversione significa una svolta copernicana. Ciò che fino ad allora era apparso irreale e secondario si rivela come la cosa veramente decisiva. Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita. Di tale conversione noi tutti abbiamo sempre di nuovo bisogno: allora siamo sulla via retta.

La forza motrice che spingeva sul cammino della conversione era in Newman la coscienza. Ma che cosa si intende con ciò? Nel pensiero moderno, la parola “coscienza” significa che in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione. Il mondo viene diviso negli ambiti dell’oggettivo e del soggettivo. All’oggettivo appartengono le cose che si possono calcolare e verificare mediante l’esperimento. La religione e la morale sono sottratte a questi metodi e perciò sono considerate come ambito del soggettivo. Qui non esisterebbero, in ultima analisi, dei criteri oggettivi. L’ultima istanza che qui può decidere sarebbe pertanto solo il soggetto, e con la parola “coscienza” si esprime, appunto, questo: in questo ambito può decidere solo il singolo, l’individuo con le sue intuizioni ed esperienze. La concezione che Newman ha della coscienza è diametralmente opposta. Per lui “coscienza” significa la capacità di verità dell’uomo: la capacità di riconoscere proprio negli ambiti decisivi della sua esistenza – religione e morale – una verità, la verità. La coscienza, la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, gli impone con ciò, al tempo stesso, il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra. Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità, che si mostra all’uomo che cerca col cuore aperto. Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza – un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che passo passo si apriva a lui. La sua terza conversione, quella al Cattolicesimo, esigeva da lui di abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti amici. La rinuncia che l’obbedienza verso la verità, la sua coscienza, gli chiedeva, andava ancora oltre. Newman era sempre stato consapevole di avere una missione per l’Inghilterra. Ma nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita. Era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi sconvolgenti: “Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione”. Non era ancora arrivata l’ora della sua efficacia. Nell’umiltà e nel buio dell’obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per poter asserire l’identità tra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione soggettiva della coscienza, si ama far riferimento alla sua parola secondo cui egli – nel caso avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato prima alla coscienza e poi al Papa. Ma in questa affermazione, “coscienza” non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda il suo primato. Al Papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità.

Devo rinunciare a parlare dei viaggi così significativi a Malta, in Portogallo e in Spagna. In essi si è reso nuovamente visibile che la fede non è una cosa del passato, ma un incontro con il Dio che vive ed agisce adesso. Egli ci chiama in causa e si oppone alla nostra pigrizia, ma proprio così ci apre la strada verso la gioia vera.

Excita, Domine, potentiam tuam, et veni!”. Siamo partiti dall’invocazione della presenza della potenza di Dio nel nostro tempo e dall’esperienza della sua apparente assenza. Se apriamo i nostri occhi, proprio nella retrospettiva sull’anno che volge al termine, può rendersi visibile che la potenza e la bontà di Dio sono presenti in maniera molteplice anche oggi. Così tutti noi abbiamo motivo per ringraziarLo. Con il ringraziamento al Signore rinnovo il mio ringraziamento a tutti i collaboratori. Voglia Dio donare a tutti noi un Santo Natale ed accompagnarci con la sua bontà nel prossimo anno.

Affido questi voti all’intercessione della Vergine Santa, Madre del Redentore, e a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Buon Natale!




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