Discorsi 2005-13 15011

ALLA DELEGAZIONE ECUMENICA DELLA FINLANDIA, IN OCCASIONE DELLA FESTA DI SANT'ENRICO Sabato, 15 gennaio 2011

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Eccellenze!
Cari amici della Finlandia!

Con grande gioia porgo il benvenuto a voi in occasione del vostro annuale pellegrinaggio ecumenico a Roma per celebrare la festa di sant'Enrico, il patrono della vostra amata terra. Ogni anno, in questo periodo, il vostro tradizionale pellegrinaggio attesta i rapporti sinceri, amichevoli e collaborativi che sono stati instaurati fra luterani e cattolici nonché, in generale, fra tutti i cristiani nel vostro Paese.

Sebbene non abbiamo ancora raggiunto l'obiettivo del movimento ecumenico, ovvero la piena unità di fede, nel dialogo sono maturati molti elementi di accordo e di avvicinamento, che ci rafforzano nel nostro desiderio generale di compiere la volontà di nostro Signore Gesù Cristo "perché tutti siano una sola cosa" (
Jn 17,21). Un risultato degno di attenzione, raggiunto di recente, è stato il rapporto conclusivo sul tema della giustificazione nella vita della Chiesa. Questo rapporto è stato redatto dal gruppo di dialogo cattolico-luterano nordico in Finlandia e in Svezia, i cui membri si sono potuti incontrare lo scorso anno. Nella teologia e nella fede tutto è collegato e quindi una più profonda comprensione comune della giustificazione ci aiuterà anche a comprendere meglio insieme la natura della Chiesa e, come da lei accennato, il ministero episcopale e, in tal modo, trovare l'unità della Chiesa in forma concreta e così essere anche più capaci, come ha osservato, di esporre la fede agli uomini di oggi che si interrogano e renderla loro comprensibile affinché vedano che Lui è risposta, che Cristo è il redentore di tutti noi. In tal modo, resta viva anche la nostra speranza che, sotto la guida dello Spirito Santo, molte persone impegnate in ambito ecumenico, competenti e solerti renderanno il loro contributo alla realizzazione di questo grande compito ecumenico e, sempre guidati dallo Spirito Santo possano procedere.

Detto questo, è sottinteso che l'efficacia dei nostri sforzi non può scaturire solo dallo studio e dal dibattito, ma dipende soprattutto dalla nostra preghiera costante, dalla nostra vita conforme alla volontà di Dio, perché l'ecumenismo non è opera nostra bensì frutto dell'azione di Dio.

Nello stesso tempo, siamo tutti consapevoli del fatto che, negli ultimi anni, il cammino ecumenico è divenuto, da alcuni punti di vista, più difficile, certamente più esigente. Verranno espresse questioni relative al metodo ecumenico e alle conquiste degli anni trascorsi nonché all'incertezza del futuro, ai problemi del nostro tempo con la fede in generale. In questa luce, il vostro pellegrinaggio annuale a Roma per la festa di sant'Enrico rimane un evento importante, un segno e un incoraggiamento per i nostri sforzi ecumenici, per la nostra certezza che dobbiamo camminare insieme e che Cristo è la via per l'umanità. Il vostro pellegrinaggio ci aiuta a guardare indietro con gioia a quanto è stato ottenuto finora e a guardare al futuro con il desiderio di assumerci un impegno pieno di responsabilità e di fede. In occasione della vostra visita desideriamo tutti rafforzare la nostra certezza del fatto che lo Spirito Santo, che risveglia, accompagna e fino ad oggi ha reso fecondo il movimento ecumenico, prosegua così anche in futuro.

Spero con fermezza che la vostra visita a Roma rafforzi la futura collaborazione fra luterani e cattolici, sì, fra tutti i cristiani in Finlandia. In vista dell'imminente settimana di preghiera per l'unità dei cristiani vogliamo pregare affinché lo spirito di verità ci conduca a un amore e a una fraternità ancora più grandi. Dio vi doni le sue abbondanti benedizioni in questo nuovo anno appena cominciato.


AI DIRIGENTI, AGENTI E PERSONALE DELL’ISPETTORATO DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO Sala Clementina Sabato, 15 gennaio 2011

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Signor Capo della Polizia,
Signor Dirigente,
Cari Funzionari ed Agenti!

Sono lieto di accogliervi, secondo la buona consuetudine, per il reciproco scambio di auguri all'inizio del nuovo anno. Rivolgo a ciascuno il mio cordiale benvenuto e il mio affettuoso saluto, che volentieri estendo alle rispettive famiglie e ai vostri colleghi che non hanno potuto partecipare a questo incontro, poiché impegnati nel quotidiano servizio per garantire la sicurezza di piazza S. Pietro, delle vicinanze e delle altre zone di pertinenza del Vaticano. Un particolare e beneaugurante saluto desidero rivolgere al Dirigente Generale, Dott. Raffaele Aiello, che da poche settimane è alla guida del vostro Ispettorato. Lo ringrazio per le cortesi espressioni che mi ha rivolto, anche a nome dei presenti e dei rappresentanti di quelle strutture centrali e periferiche del Ministero dell'Interno che cooperano con voi, in spirito di servizio e di solerte disponibilità. Rivolgo altresì il mio deferente saluto al dott. Antonio Manganelli, Capo della Polizia, al Prefetto Salvatore Festa, agli altri Funzionari e Dirigenti, come pure ai Cappellani, rinnovando, anche a nome dei miei collaboratori, viva gratitudine per l'opera preziosa di codesto Ispettorato di Pubblica Sicurezza.

Colgo questa opportunità per manifestare il mio sincero apprezzamento per l'impegno e la professionalità con cui i funzionari e gli agenti della Polizia di Stato, quasi come "angeli custodi", vegliano giorno e notte sul Vaticano, garantendo la necessaria sicurezza e ponendosi al servizio dei pellegrini. Quest'opera di vigilanza, che voi svolgete con diligenza e sollecitudine a tutela dell'ordine pubblico, è certamente considerevole e delicata: essa richiede a volte non poca pazienza, perseveranza, sacrificio e disponibilità all'ascolto. Si tratta di un servizio quanto mai utile al tranquillo e sicuro svolgimento delle manifestazioni spirituali e religiose che si svolgono specialmente nella piazza S. Pietro. La vostra significativa presenza nel cuore della cristianità, dove folle di fedeli giungono senza sosta per incontrare il Successore di Pietro e per visitare le tombe degli Apostoli, susciti sempre più in ciascuno di voi il proposito di ravvivare la dimensione spirituale della vita, come pure l'impegno ad approfondire la vostra fede cristiana, testimoniandola con gioia attraverso una condotta coerente.

Nel periodo natalizio, da poco concluso, la liturgia ci ha invitato ad accogliere il Verbo che fin dal principio è nel seno del Padre e che Egli ci ha donato, rivelandone il volto in un Bambino. Egli è l'Eterno che entra nel tempo e lo riempie della sua pienezza; è la luce che illumina e rischiara quanti stanno nelle tenebre; è il Figlio di Dio che reca all'umanità la salvezza. Accogliamolo sempre con fiducia e gioia! Ce lo presenta la Vergine Maria. Ella, quale Madre premurosa, veglia su di noi. Rivolgetevi di frequente alla sua materna intercessione e affidate a Lei l'anno 2011 da poco iniziato, affinché sia per tutti un tempo di speranza e di pace.

Con questi sentimenti, invoco su di voi e sul vostro lavoro l'abbondanza dei doni celesti, mentre di cuore vi imparto una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo alle vostre famiglie e alle persone care.




ALLA COMUNITÁ DEL PONTIFIFIO ISTITUTO ECCLESIASTICO POLACCO A ROMA, IN OCCASIONE DEL 100° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE Sala Clementina Lunedì, 17 gennaio 2011

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[Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, È con grande gioia che vi accolgo nel Palazzo Apostolico e vi porgo il mio più cordiale benvenuto. Saluto Lei, Mons. Rettore, e tutta la comunità del Pontificio Istituto Ecclesiastico Polacco, nonché gli ospiti. Ringrazio in modo particolare il Cardinale Zenon Grocholewski per le significative parole a me rivolte a nome di tutti i presenti]

Ciò che vi ha portati qui, ad incontrare il Successore di Pietro e ad essere confermati nella fede e nella vostra appartenenza alla Chiesa, è una felice circostanza a voi giustamente molto cara: il centenario di fondazione di questa benemerita Istituzione. Sorta per illuminata intuizione e mirabile iniziativa di san Józef Sebastian Pelczar, allora Vescovo di Przemysl, iniziò la sua storia già durante il pontificato di san Pio X, al quale fu presentato il progetto di fondazione. Il 13 maggio 1909 lo stesso Papa approvò la richiesta dei Vescovi polacchi e il 19 marzo 1910, con il decreto Religioso Polonae gentis, fu eretto l’Ospizio Polacco. Venne solennemente inaugurato il 13 novembre 1910 da Mons. Sapieha, divenuto in seguito Cardinale Arcivescovo di Cracovia. L’Istituto ha così potuto godere, nel corso degli anni, della sollecitudine e dell’affetto dei diversi Pontefici, fra i quali ricordiamo, più vicini a noi, il Servo di Dio Paolo VI e, naturalmente, il futuro Beato, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, che lo visitò nel 1980 ed ebbe modo di sottolineare il suo grande significato per la Chiesa e per il popolo polacco.

Celebrare il primo centenario di questa importante Istituzione costituisce un valido richiamo alla doverosa e riconoscente memoria di coloro che ad essa hanno dato inizio, con fede, con coraggio e con fatica; un richiamo, al tempo stesso, alla responsabilità di portare avanti nell’oggi le finalità originarie, adattandole opportunamente alle nuove situazioni. Al di sopra di tutto è da porre l’impegno di tenere viva l’anima dell’Istituto: la sua anima religiosa ed ecclesiale, che risponde al provvidenziale disegno divino di offrire a sacerdoti polacchi un ambiente idoneo per lo studio e la fraternità, durante il periodo di formazione a Roma.

Di questo Pontificio Istituto, che è stato testimone di tanti avvenimenti significativi per la Chiesa in Polonia, ora fate parte anche voi, cari Sacerdoti studenti, che, giunti nel cuore della cristianità, desiderate seriamente approfondire la vostra preparazione intellettuale e spirituale, per assolvere nel modo migliore a tutti ai compiti di responsabilità che vi verranno via via affidati dai vostri Vescovi per il servizio del Popolo di Dio. Sentitevi “pietre vive”, parte importante di questa storia che oggi richiede anche la vostra personale ed incisiva risposta, offrendo il vostro generoso contributo, come lo offrì, nel corso del Concilio Vaticano II, l’indimenticabile Primate della Polonia, il Cardinale Stefan Wyszynski, che proprio nell’Istituto Polacco ebbe l’opportunità di preparare la celebrazione del Millennio del Battesimo della Polonia e lo storico Messaggio di riconciliazione che i vescovi Polacchi indirizzarono ai Presuli Tedeschi, contenente le famose parole: “Perdoniamo e chiediamo perdono”.

La Chiesa ha bisogno di sacerdoti ben preparati, ricchi di quella sapienza che si acquisisce nell’amicizia con il Signore Gesù, attingendo costantemente alla Mensa eucaristica e alla fonte inesauribile del suo Vangelo. Da queste due insostituibili sorgenti sappiate trarre il continuo sostegno e la necessaria ispirazione per la vostra vita e il vostro ministero, per un sincero amore alla Verità, che oggi siete chiamati ad approfondire anche attraverso lo studio e la ricerca scientifica e che potrete domani condividere con molti. La ricerca della Verità, per voi che da sacerdoti vivete questa peculiare esperienza romana, viene stimolata e arricchita dalla vicinanza alla Sede Apostolica, a cui compete uno specifico ed universale servizio alla comunione cattolica nella verità e nella carità. Rimanere legati a Pietro, nel cuore della Chiesa, significa riconoscere, pieni di gratitudine, di essere all’interno di una plurisecolare e feconda storia di salvezza, che per una multiforme grazia vi ha raggiunti e alla quale siete chiamati a partecipare attivamente affinché, come albero rigoglioso, porti sempre i suoi preziosi frutti. L’amore e la devozione alla figura di Pietro vi spinga a servire generosamente la comunione di tutta la Chiesa cattolica e delle vostre Chiese particolari, perché, come una sola e grande famiglia, tutti possano imparare a riconoscere in Gesù, via, verità e vita, il volto del Padre misericordioso, il quale vuole che nessuno dei suoi figli vada perduto.

Venerati e cari Fratelli, vi affido tutti alla Vergine Maria, tanto amata dal popolo polacco. Invocatela sempre quale Madre del vostro sacerdozio, perché vi accompagni nel cammino della vita ed attiri sul vostro ministero presente e futuro l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo. Maria vi aiuti a perseverare con gioiosa fedeltà nella grazia e nell’impegno di seguire Gesù, e a nutrire costantemente una fruttuosa dedizione al vostro quotidiano lavoro e a coloro che il Signore vi pone accanto.



[Imparto di cuore a tutti voi, come pure ai vostri familiari ed a quanti vi sono cari, una speciale Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo]



AI MEMBRI DEL CAMMINO NEOCATECUMENALE Aula Paolo VI Lunedì, 17 gennaio 2011

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Cari amici!

Sono lieto di accogliervi e di darvi il mio cordiale benvenuto. Saluto in particolare Kiko Argüello e Carmen Hernández, iniziatori del Cammino Neocatecumenale, e Don Mario Pezzi, ringraziandoli per le parole di saluto e di presentazione che mi hanno rivolto. Con vivo affetto saluto tutti voi qui presenti: sacerdoti, seminaristi, famiglie e membri del Cammino. Ringrazio il Signore perché ci offre l’opportunità di questo incontro, nel quale voi rinnovate il vostro legame con il Successore di Pietro, accogliendo nuovamente il mandato che Cristo risorto diede ai discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura“ (
Mc 16,15).

Da oltre quarant’anni il Cammino Neocatecumenale contribuisce a ravvivare e consolidare nelle diocesi e nelle parrocchie l’Iniziazione cristiana, favorendo una graduale e radicale riscoperta delle ricchezze del Battesimo, aiutando ad assaporare la vita divina, la vita celeste che il Signore ha inaugurato con la sua incarnazione, venendo in mezzo a noi, nascendo come uno di noi. Questo dono di Dio per la sua Chiesa si pone “al servizio del Vescovo come una delle modalità di attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente nella fede” (Statuto, art. 1 § 2). Tale servizio, come vi ricordava il mio predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro avuto con voi nel 1974, “potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane quegli effetti di maturità e di approfondimento, che nella Chiesa primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione al battesimo” (Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974], 406).

Negli ultimi anni è stato percorso con profitto il processo di redazione dello Statuto del Cammino Neocatecumenale che, dopo un congruo periodo di validità “ad experimentum”, ha avuto la sua approvazione definitiva nel giugno 2008. Un altro passo significativo si è compiuto in questi giorni, con l’approvazione, ad opera dei competenti Dicasteri della Santa Sede, del “Direttorio catechetico del Cammino Neocatecumenale” Con questi sigilli ecclesiali, il Signore conferma oggi e vi affida nuovamente questo strumento prezioso che è il Cammino, in modo che possiate, in filiale obbedienza alla Santa Sede e ai Pastori della Chiesa, contribuire, con nuovo slancio e ardore, alla riscoperta radicale e gioiosa del dono del Battesimo ed offrire il vostro originale contributo alla causa della nuova evangelizzazione. La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino Neocatecumenale un particolare dono suscitato dallo Spirito Santo: come tale, esso tende naturalmente ad inserirsi nella grande armonia del Corpo ecclesiale. In questa luce, vi esorto a ricercare sempre una profonda comunione con i Pastori e con tutte le componenti delle Chiese particolari e dei contesti ecclesiali, assai diversi, nei quali siete chiamati ad operare. La comunione fraterna tra i discepoli di Gesù è, infatti, la prima e più grande testimonianza al nome di Gesù Cristo.

Sono particolarmente lieto di poter inviare oggi, in diverse parti del mondo, più di 200 nuove famiglie, che si sono rese disponibili con grande generosità e partono per la missione, unendosi idealmente alle circa 600 che già operano nei cinque Continenti. Care famiglie, la fede che avete ricevuto in dono sia quella luce posta sul candelabro, capace di indicare agli uomini la via del Cielo. Con lo stesso sentimento, invierò 13 nuove “missiones ad gentes”, che saranno chiamate a realizzare una nuova presenza ecclesiale in ambienti molto secolarizzati di vari Paesi, o in luoghi nei quali il messaggio di Cristo non è ancora giunto. Possiate sempre sentire accanto a voi la presenza viva del Signore Risorto e l’accompagnamento di tanti fratelli, così come la preghiera del Papa, che è con voi!

Saluto con affetto i Presbiteri, provenienti dai Seminari diocesani “Redemptoris Mater” d’Europa, e gli oltre duemila Seminaristi qui presenti. Carissimi, voi siete un segno speciale ed eloquente dei frutti di bene che possono nascere dalla riscoperta della grazia del proprio Battesimo. A voi guardiamo con particolare speranza: siate sacerdoti innamorati di Cristo e della sua Chiesa, capaci di trasmettere al mondo la gioia di avere incontrato il Signore e di poter essere al suo servizio. Saluto anche i catechisti itineranti e quelli delle Comunità neocatecumenali di Roma e del Lazio e, con affetto speciale, le “communitates in missionem”. Avete abbandonato, per così dire, le sicurezze delle vostre comunità di origine per andare in luoghi più lontani e scomodi, accettando di essere inviati per aiutare parrocchie in difficoltà e per ricercare la pecora perduta e riportarla all’ovile di Cristo. Nelle sofferenze o aridità che potete sperimentare, sentitevi uniti alla sofferenza di Cristo sulla croce, e al suo desiderio di raggiungere tanti fratelli lontani dalla fede e dalla verità, per riportarli alla casa del Padre.

Come ho scritto nell’Esortazione apostolica Verbum Domini, “la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale. Si tratta di lasciare che lo Spirito Santo ci assimili a Cristo stesso […] in modo da comunicare la Parola con tutta la vita” (n. 93). Tutto il Popolo di Dio è un popolo “inviato” e l’annuncio del Vangelo è un impegno di tutti i cristiani, come conseguenza del Battesimo (cfr ibid., 94). Vi invito a soffermarvi sull’Esortazione Verbum Domini, riflettendo, in modo particolare, dove, nella terza parte del Documento, si parla de “La missione della Chiesa: annunciare la Parola di Dio al mondo” (n. 90-98). Cari amici, sentiamoci partecipi dell’ansia di salvezza del Signore Gesù, della missione che Egli affida a tutta la Chiesa. La Beata Vergine Maria, che ha ispirato il vostro Cammino e che vi ha dato la famiglia di Nazareth come modello delle vostre comunità, vi conceda di vivere la vostra fede in umiltà, semplicità e lode, interceda per tutti voi e vi accompagni nella vostra missione. Vi sostenga anche la mia Benedizione, che di cuore imparto a voi e a tutti i membri del Cammino neocatecumenale sparsi nel mondo.


AI DIRIGENTI E AGENTI DELLA QUESTURA DI ROMA Aula della Benedizione Venerdì, 21 gennaio 2011

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Illustre Signor Questore,
illustri Dirigenti e Funzionari,
cari Agenti e Personale civile della Polizia di Stato!

Sono veramente lieto di questo incontro con voi e vi do il benvenuto nella Casa di Pietro, questa volta non per servizio, ma per vederci, parlarci e salutarci in modo più familiare! Saluto in particolare il Signor Questore, ringraziandolo per le sue cortesi parole, come pure gli altri Dirigenti e il Cappellano. Un saluto cordiale ai vostri familiari, specialmente ai bambini!

Desidero anzitutto ringraziarvi per tutto il lavoro che svolgete a favore della città di Roma, di cui sono il Vescovo, perché la sua vita si svolga nell’ordine e nella sicurezza. Esprimo la mia riconoscenza anche per quell’impegno in più che spesso la mia attività richiede da voi! L’epoca in cui viviamo è percorsa da profondi cambiamenti. Anche Roma, che giustamente è chiamata “città eterna”, è molto cambiata e si evolve; lo sperimentiamo ogni giorno e voi ne siete testimoni privilegiati. Questi mutamenti generano talvolta un senso di insicurezza, dovuto in primo luogo alla precarietà sociale ed economica, acuita però anche da un certo indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza.

Il nostro mondo, con tutte le sue nuove speranze e possibilità, è attraversato, al tempo stesso, dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno. Si affaccia pertanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso. Di fronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristiani, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore felici come in quelle buie dell’esistenza terrena.

Ai nostri giorni, grande importanza è data alla dimensione soggettiva dell’esistenza. Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porre l’uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensiero che nell’azione storica. Non si deve mai dimenticare, però, che l’uomo trova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio, nel riferimento a Lui. L’attenzione alla dimensione soggettiva è anche un bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana. Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale. La conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile. Pertanto, se, da una parte, nella società si dà grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, dall’altra, la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell’uomo.

Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della “coscienza” è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla. Alla verità e al bene occorre che l’uomo sappia aprirsi, per poterli accogliere in modo libero e consapevole. La persona umana, del resto, è espressione di un disegno di amore e di verità: Dio l’ha “progettata”, per così dire, con la sua interiorità, con la sua coscienza, affinché essa possa trarne gli orientamenti per custodire e coltivare se stessa e la società umana.

Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che Dio e uomo tornino ad incontrarsi, che la società e le Istituzioni pubbliche ritrovino la loro “anima”, le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica. La fede cristiana e la Chiesa non cessano mai di offrire il proprio contributo alla promozione del bene comune e di un progresso autenticamente umano. Lo stesso servizio religioso e di assistenza spirituale che, in forza delle vigenti disposizioni normative, Stato e Chiesa si impegnano a fornire anche al personale della Polizia di Stato, testimonia la perenne fecondità di questo incontro.

La singolare vocazione della città di Roma richiede oggi a voi, che siete pubblici ufficiali, di offrire un buon esempio di positiva e proficua interazione fra sana laicità e fede cristiana. L’efficacia del vostro servizio, infatti, è il frutto della combinazione tra la professionalità e la qualità umana, tra l’aggiornamento dei mezzi e dei sistemi di sicurezza e il bagaglio di doti umane quali la pazienza, la perseveranza nel bene, il sacrificio e la disponibilità all’ascolto. Tutto questo, ben armonizzato, va a favore dei cittadini, specialmente delle persone in difficoltà. Sappiate sempre considerare l’uomo come il fine, perché tutti possano vivere in maniera autenticamente umana. Come Vescovo di questa città, vorrei invitarvi a leggere e meditare la Parola di Dio, per trovare in essa la fonte e il criterio di ispirazione per la vostra azione.

Cari amici! quando siete in servizio per le strade di Roma, o nei vostri uffici, pensate che il vostro Vescovo, il Papa, prega per voi, che vi vuole bene! Vi ringrazio per la vostra visita, e vi affido tutti alla protezione di Maria Santissima e dell’Arcangelo San Michele, vostro protettore celeste, mentre imparto di cuore su di voi e sul vostro impegno una speciale Benedizione Apostolica.


IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA Sala Clementina Sabato, 22 gennaio 2011

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Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana!

Sono lieto di incontrarvi per questo annuale appuntamento in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un cordiale saluto rivolgo al Collegio dei Prelati Uditori, iniziando dal Decano, Mons. Antoni Stankiewicz, che ringrazio per le cortesi parole. Saluto gli Officiali, gli Avvocati e gli altri collaboratori di codesto Tribunale, come pure tutti i presenti. Questo momento mi offre l’opportunità di rinnovare la mia stima per l’opera che svolgete al servizio della Chiesa e di incoraggiarvi ad un sempre maggiore impegno in un settore così delicato ed importante per la pastorale e per la salus animarum.

Il rapporto tra il diritto e la pastorale è stato al centro del dibattito postconciliare sul diritto canonico. La ben nota affermazione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II, secondo la quale «non è vero che per essere più pastorale il diritto debba rendersi meno giuridico» (Allocuzione alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 4: AAS 82 [1990], p. 874) esprime il superamento radicale di un’apparente contrapposizione. «La dimensione giuridica e quella pastorale – diceva – sono inseparabilmente unite nella Chiesa pellegrina su questa terra. Anzitutto, vi è una loro armonia derivante dalla comune finalità: la salvezza delle anime» (ibidem). Nel mio primo incontro, che ebbi con voi nel 2006, ho cercato di evidenziare l'autentico senso pastorale dei processi di nullità del matrimonio, fondato sull'amore per la verità (cfr Allocuzione alla Rota Romana, 28 gennaio 2006: AAS 98 [2006], PP 135-138). Oggi vorrei soffermarmi a considerare la dimensione giuridica che è insita nell'attività pastorale di preparazione e ammissione al matrimonio, per cercare di mettere in luce il nesso che intercorre tra tale attività e i processi giudiziari matrimoniali.

La dimensione canonica della preparazione al matrimonio forse non è un elemento di immediata percezione. In effetti, da una parte si osserva come nei corsi di preparazione al matrimonio le questioni canoniche occupino un posto assai modesto, se non insignificante, in quanto si tende a pensare che i futuri sposi abbiano un interesse molto ridotto per problematiche riservate agli specialisti. Dall'altra, pur non sfuggendo a nessuno la necessità delle attività giuridiche che precedono il matrimonio, rivolte ad accertare che «nulla si oppone alla sua celebrazione valida e lecita» (CIC, can.
CIC 1066), è diffusa la mentalità secondo cui l'esame degli sposi, le pubblicazioni matrimoniali e gli altri mezzi opportuni per compiere le necessarie investigazioni prematrimoniali (cfr ibid., can. 1067), tra i quali si collocano i corsi di preparazione al matrimonio, costituirebbero degli adempimenti di natura esclusivamente formale. Infatti, si ritiene spesso che, nell'ammettere le coppie al matrimonio, i pastori dovrebbero procedere con larghezza, essendo in gioco il diritto naturale delle persone a sposarsi.

È bene, in proposito, riflettere sulla dimensione giuridica del matrimonio stesso. È un argomento a cui ho fatto cenno nel contesto di una riflessione sulla verità del matrimonio, nella quale affermavo, tra l'altro: «Di fronte alla relativizzazione soggettivistica e libertaria dell'esperienza sessuale, la tradizione della Chiesa afferma con chiarezza l'indole naturalmente giuridica del matrimonio, cioè la sua appartenenza per natura all'ambito della giustizia nelle relazioni interpersonali. In quest'ottica, il diritto s'intreccia davvero con la vita e con l'amore; come un suo intrinseco dover essere» (Allocuzione alla Rota Romana, 27 gennaio 2007, AAS 99 [2007], p. 90). Non esiste, pertanto, un matrimonio della vita ed un altro del diritto: non vi è che un solo matrimonio, il quale è costitutivamente vincolo giuridico reale tra l'uomo e la donna, un vincolo su cui poggia l'autentica dinamica coniugale di vita e di amore. Il matrimonio celebrato dagli sposi, quello di cui si occupa la pastorale e quello messo a fuoco dalla dottrina canonica, sono una sola realtà naturale e salvifica, la cui ricchezza dà certamente luogo a una varietà di approcci, senza però che ne venga meno l'essenziale identità. L'aspetto giuridico è intrinsecamente legato all'essenza del matrimonio. Ciò si comprende alla luce di una nozione non positivistica del diritto, ma considerata nell'ottica della relazionalità secondo giustizia.

Il diritto a sposarsi, o ius connubii, va visto in tale prospettiva. Non si tratta, cioè, di una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell'unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio. Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, se mancasse, cioè, palesemente la capacità richiesta per sposarsi, oppure la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio.

? questo proposito vorrei ribadire quanto ho scritto dopo il Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia: «Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare (cfr Propositio 40). Troppo grande è il bene che la Chiesa e l'intera società s'attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale» (Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 29: AAS 99 [2007], p. 130).

La preparazione al matrimonio, nelle sue varie fasi descritte dal Papa Giovanni Paolo II nell'Esortazione apostolica Familiaris consortio, ha certamente delle finalità che trascendono la dimensione giuridica, poiché il suo orizzonte è costituito dal bene integrale, umano e cristiano, dei coniugi e dei loro futuri figli (cfr n. 66: AAS 73 [1981], PP 159-162), volto in definitiva alla santità della loro vita (cfr CIC, can. 1063,2°). Non bisogna mai dimenticare, tuttavia, che l'obiettivo immediato di tale preparazione è quello di promuovere la libera celebrazione di un vero matrimonio, la costituzione cioè di un vincolo di giustizia ed amore tra i coniugi, con le caratteristiche dell’unità ed indissolubilità, ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, e che tra battezzati costituisce uno dei sacramenti della Nuova Alleanza. Con ciò non viene rivolto alla coppia un messaggio ideologico estrinseco, né tanto meno viene imposto un modello culturale; piuttosto, i fidanzati vengono posti in grado di scoprire la verità di un'inclinazione naturale e di una capacità di impegnarsi che essi portano inscritte nel loro essere relazionale uomo-donna. È da lì che scaturisce il diritto quale componente essenziale della relazione matrimoniale, radicato in una potenzialità naturale dei coniugi che la donazione consensuale attualizza. Ragione e fede concorrono a illuminare questa verità di vita, dovendo comunque rimanere chiaro che, come ha insegnato ancora il Venerabile Giovanni Paolo II, «la Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della c?niugalità» (Allocuzione alla Rota Romana, 30 gennaio 2003, n. 8: AAS 95 [2003], p. 397). In questa prospettiva, una cura particolare deve essere posta nell’accompagnare la preparazione al matrimonio sia remota, sia prossima, sia immediata (cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 22 novembre 1981, n. 66: AAS 73 [1981], PP 159-162)

Tra i mezzi per accertare che il progetto dei nubendi sia realmente coniugale spicca l'esame prematrimoniale. Tale esame ha uno scopo principalmente giuridico: accertare che nulla si opponga alla valida e lecita celebrazione delle nozze. Giuridico non vuol dire però formalistico, come se fosse un passaggio burocratico consistente nel compilare un modulo sulla base di domande rituali. Si tratta invece di un'occasione pastorale unica - da valorizzare con tutta la serietà e l’attenzione che richiede - nella quale, attraverso un dialogo pieno di rispetto e di cordialità, il pastore cerca di aiutare la persona a porsi seriamente dinanzi alla verità su se stessa e sulla propria vocazione umana e cristiana al matrimonio. In questo senso il dialogo, sempre condotto separatamente con ciascuno dei due fidanzati - senza sminuire la convenienza di altri colloqui con la coppia - richiede un clima di piena sincerità, nel quale si dovrebbe far leva sul fatto che gli stessi contraenti sono i primi interessati e i primi obbligati in coscienza a celebrare un matrimonio valido.

In questo modo, con i vari mezzi a disposizione per un’accurata preparazione e verifica, si può sviluppare un'efficace azione pastorale volta alla prevenzione delle nullità matrimoniali. Bisogna adoperarsi affinché si interrompa, nella misura del possibile, il circolo vizioso che spesso si verifica tra un'ammissione scontata al matrimonio, senza un’adeguata preparazione e un esame serio dei requisiti previsti per la sua celebrazione, e una dichiarazione giudiziaria talvolta altrettanto facile, ma di segno inverso, in cui lo stesso matrimonio viene considerato nullo solamente in base alla costatazione del suo fallimento. È vero che non tutti i motivi di un’eventuale dichiarazione di nullità possono essere individuati oppure manifestati nella preparazione al matrimonio, ma, parimenti, non sarebbe giusto ostacolare l'accesso alle nozze sulla base di presunzioni infondate, come quella di ritenere che, al giorno d'oggi, le persone sarebbero generalmente incapaci o avrebbero una volontà solo apparentemente matrimoniale. In questa prospettiva appare importante che vi sia una presa di coscienza ancora più incisiva circa la responsabilità in questa materia di coloro che hanno cura d'anime. Il diritto canonico in generale, e in specie quello matrimoniale e processuale, richiedono certamente una preparazione particolare, ma la conoscenza degli aspetti basilari e di quelli immediatamente pratici del diritto canonico, relativi alle proprie funzioni, costituisce un'esigenza formativa di primaria rilevanza per tutti gli operatori pastorali, in particolare per coloro che agiscono nella pastorale familiare.

Tutto ciò richiede, inoltre, che l'operato dei tribunali ecclesiastici trasmetta un messaggio univoco circa ciò che è essenziale nel matrimonio, in sintonia con il Magistero e la legge canonica, parlando ad una sola voce. Attesa la necessità dell'unità della giurisprudenza, affidata alla cura di codesto Tribunale, gli altri tribunali ecclesiastici debbono adeguarsi alla giurisprudenza rotale (cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 17 gennaio 1998, n. 4: AAS 90 [1998], p. 783). Di recente ho insistito sulla necessità di giudicare rettamente le cause relative all'incapacità consensuale (cfr Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2009: AAS 101 [2009], PP 124-128). La questione continua ad essere molto attuale, e purtroppo permangono ancora posizioni non corrette, come quella di identificare la discrezione di giudizio richiesta per il matrimonio (cfr CIC, can. CIC 1095,2) con l’auspicata prudenza nella decisione di sposarsi, confondendo così una questione di capacità con un'altra che non intacca la validità, poiché concerne il grado di saggezza pratica con cui si è presa una decisione che è, comunque, veramente matrimoniale. Più grave ancora sarebbe il fraintendimento se si volesse attribuire efficacia invalidante alle scelte imprudenti compiute durante la vita matrimoniale.

Nell'ambito delle nullità per l'esclusione dei beni essenziali del matrimonio (cfr ibid., can. 1101, § 2) occorre altresì un serio impegno perché le pronunce giudiziarie rispecchino la verità sul matrimonio, la stessa che deve illuminare il momento dell'ammissione alle nozze. Penso, in modo particolare, alla questione dell'esclusione del bonum coniugum. In relazione a tale esclusione sembra ripetersi lo stesso pericolo che minaccia la retta applicazione delle norme sull'incapacità, e cioè quello di cercare dei motivi di nullità nei comportamenti che non riguardano la costituzione del vincolo coniugale bensì la sua realizzazione nella vita. Bisogna resistere alla tentazione di trasformare le semplici mancanze degli sposi nella loro esistenza coniugale in difetti di consenso. La vera esclusione può verificarsi infatti solo quando viene intaccata l'ordinazione al bene dei coniugi (cfr ibid., can. 1055, § 1), esclusa con un atto positivo di volontà. Senz'altro sono del tutto eccezionali í casi in cui viene a mancare il riconoscimento dell'altro come coniuge, oppure viene esclusa l'ordinazione essenziale della comunità di vita coniugale al bene dell'altro. La precisazione di queste ipotesi di esclusione del bonum coniugum dovrà essere attentamente vagliata dalla giurisprudenza della Rota Romana.

Nel concludere queste mie riflessioni, torno a considerare il rapporto tra diritto e pastorale. Esso è spesso oggetto di fraintendimenti, a scapito del diritto, ma anche della pastorale. Occorre invece favorire in tutti i settori, e in modo particolare nel campo del matrimonio e della famiglia, una dinamica di segno opposto, di armonia profonda tra pastoralità e giuridicità, che certamente si rivelerà feconda nel servizio reso a chi si avvicina al matrimonio.

Cari Componenti del Tribunale della Rota Romana, affido tutti voi alla potente intercessione della Beata Vergine Maria, affinché non vi venga mai a mancare l’assistenza divina nello svolgere con fedeltà, spirito di servizio e frutto il vostro quotidiano lavoro, e ben volentieri imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.



Discorsi 2005-13 15011